Introduzione
Dall’esperienza di workshop ho maturato la consapevolezza di che
cosa sia la maternità per una donna, ho capito quali sono le aspettative e
quali le ansie. In seguito a queste sollecitazioni mi sono chiesta se sia
possibile, a partire da come il cinema contemporaneo rappresenta la
maternità, individuare dei segnali riguardo alle aspettative e alle
problematiche in atto nella società odierna. So come per una donna sia
difficile visualizzare il proprio bambino, rapportarsi con il proprio corpo
che cambia, ma voglio scoprire un altro punto di vista, ovvero come il
cinema guarda la maternità.
Uno stimolo a continuare l’ho ricevuto dalle suggestioni scaturite in
me dalla lettura del testo di Baudry J.L. L’effet cinéma e dalle analogie che
egli opera tra il dispositivo cinematografico, la caverna platonica e il
grembo materno: «la caverne la grotte, sorte de demeure souterraine, on n’a
pas manqué d’y voir une représentation du ventre maternel, de la matrice
dans laquelle nous aspirerions à retourner.»
1
Anche gli studi di G.B. Canova sui cambiamenti in atto nel cinema
postmoderno, le sue considerazioni sul dispositivo cinematografico, sul
corpo e sui mutamenti della forma filmica, hanno rappresentato, per me, un
punto di partenza imprescindibile.
Pertanto, mi propongo di analizzare i cambiamenti, che segnano il
passaggio dal cinema moderno al cinema postmoderno, e di evidenziare
come è possibile considerare il grembo materno metafora del dispositivo
cinematografico e come nel contemporaneo il regime scopico si fonda a
partire da un rapporto di contiguità e immersività tra il soggetto che guarda
e l’oggetto guardato.
Il cinema post-moderno non aspira più a rappresentare il reale e a
darne una visione ordinata e produttiva, ma mira a far esplodere dal suo
1
Baudry J.L., L’effet cinéma, Albatros, Paris, 1978.
4
Introduzione
interno le forme filmiche, per simulare il disorientamento costante che
viviamo come cittadini post-moderni, che devono imparare a conoscere
attraverso tutti i sensi.
Anche per quanto riguarda il modo di intendere e rappresentare il
corpo si assiste ad un mutamento. Il corpo non viene inteso più come il
tempio dell’anima e il contenitore dell’identità, ma viene inteso come
oggetto in continua mutazione e cambiamento; non è più qualcosa di dato,
ma diviene un progetto in continuo divenire. Il corpo come carne smette di
essere il referente principale del cinema. L’uomo si misura con la macchina
e sente il peso della propria inadeguatezza. Di fronte a questi mutamenti il
cinema reagisce in due modi: da un lato, crea immagini di corpi cibernetici
in cui si sperimentano nuove forme di integrazione tra l’organico e
l’inorganico, che inaugurano la smaterializzazione della carne umana,
dall’altro, elabora il lutto nella forma della nostalgia, narrando di esseri
(vampiri, computer, angeli, spettri, alieni) ossessionati dalla corporeità.
Sulla base di queste considerazioni è opportuno chiedersi quale
interesse il cinema riserva alla rappresentazione del corpo della madre.
Affronterò questa problematica tracciando una topografia e una
fenomenologia della maternità nel cinema contemporaneo, selezionando
momenti cinematografici e film in modo del tutto arbitrario, in base al gusto
personale. Non intendo, però, parlare di come esclusivamente un certo tipo
di cinema (italiano, internazionale o di genere) rappresenta la maternità nel
contemporaneo, ma piuttosto cercherò di fare emergere una nuova lettura
del cinema attraverso la lente della maternità, come luogo di mistero e di
contraddizioni.
A questo proposito l’attenzione sarà focalizzata su due macro-
argomenti: la maternità mostruosa e la maternità sacra.
Il tema della maternità mostruosa sarà oggetto di analisi nel secondo
capitolo e quello della maternità sacra nel terzo capitolo.
5
Introduzione
Nel secondo capitolo si partirà dalle riflessioni su come il cinema ha
rappresentato la donna, dalla diva e dalla femme fatale fino ai film di Marco
Ferreri e ad alcuni di Abel Ferrara. L’attenzione sarà rivolta anche alle
problematiche in atto sul modo di concepire la donna e la donna madre nel
dibattito femminista post-moderno. Sarà analizzato quindi il modo in cui il
cinema rappresenta il materno mostruoso. Si vedrà se sarà possibile
individuare nell’immagine del feto presente in certi film (2001: Odissea
nello Spazio, ExistenZ e Matrix) il topos che il cinema utilizza per parlare
dei propri mutamenti, del modo in cui le dinamiche tra l’uomo e le nuove
tecnologie vengono rappresentate nel concepire nuove forme di corporalità
e di alterità.
Si cercherà di capire come il cinema affronta il problema della
maternità mostruosa e come rappresenta i diversi tipi di generazione e di
riproduzione: il topos della maternità per partenogenesi o extra-uterina in
David Cronenberg, il topos della maternità satanica nel film Rosemary’s
baby di Polanski e, infine, il materno mostruoso nella seria di Alien.
Sarà evidenziato come la madre, in quanto matrice generatrice della
vita, è stata considerata dalla tradizione del pensiero occidentale il luogo del
mostruoso, perché luogo del mistero e dell’ambiguità.
Nel terzo capitolo si vedrà se ancora il materno può essere inteso
come il luogo dove il sacro si manifesta nel duplice aspetto di abietto e
sacro, e, quindi, vedremo il rapporto che intercorre tra femminile e sacro,
tra cinema e sacro. A tale proposito sarà analizzata la rappresentazione del
materno sacro in alcuni film: la passione da parte della donna in Je vous
salue, Marie di Godard; le analogie che intercorrono tra Je vous salue,
Marie e Rosemary’s baby di Polanski; l’incarnazione del sacro in Mary di
Abel Ferrara; il materno come ierofania in Respiro di Crialese, infine la
morte e il sacro nel personaggio di Ripley della serie Alien.
6
Introduzione
Si farà riferimento, nell’analizzare il concetto di abietto e di sacro nel
rapporto che intercorre tra i due termini nel luogo del materno, al grande
contributo che Julia Kristeva e Barbara Creed hanno dato con le loro opere.
Il differente modo in cui il cinema rappresenta il grembo materno
come luogo di incarnazione del mostruoso e del sacro consentirà di fare
emergere come il cinema, utilizzando questi due temi, è in grado di
riflettere su se stesso e sul proprio linguaggio.
7
Il corpo del cinema e il corpo nel cinema
1.
IL CORPO DEL CINEMA
E
IL CORPO NEL CINEMA
Una donna conversa con l’amica una volta fuori dal cinema:
«E’ stato un film molto interessante, non è vero Mary?»
«Film – esclamò l’altra avvolgendosi in un boa di piume – Film? Questo
non è un film, la gente è viva.»
«Lo so che sembrano- disse l’altra- ma non lo sono.»
«Credo di sapere quando vedo della gente viva».
News di Providence, 15 maggio 1908.
1.1.
Scenari: il contemporaneo
Ogni periodo storico ha il suo modo di percepire il reale.
«Il modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana –
il medium in cui essa ha luogo- non è condizionato soltanto in senso
naturale, ma anche storico»
1
.
Ogni epoca storica ha il suo medium. E l’invenzione di ogni tecnica
risponde ad un’esigenza sociale maturata negli anni. Ogni tecnica è frutto di
determinate condizioni storico-culturali, ed è interessante fare emergere la
differenza tra le condizioni socio-culturali ed epistemologiche, che hanno
dato avvio alla nascita del cinema nel corso del Novecento, e quelle che,
alle soglie del nuovo millennio, mutano la forma del cinema
1
Benjamin W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi,
Torino, 2000, pag. 24.
8
Il corpo del cinema e il corpo nel cinema
contemporaneo. In questo panorama di mutamento, possiamo considerare la
madre - il grembo materno- il luogo che motiva il nascere e il perdurare del
dispositivo cinematografico? E’ un’esigenza arcaica dell’uomo, che trova
maggiore esplicitazione nel cinema rispetto alle altre arti, quella di fare un
viaggio dentro se stesso? Un viaggio nel suo inconscio, dove sono insite le
ragioni prime che hanno dato avvio alla sua esistenza?
Nel Novecento, lo spettatore cinematografico poteva essere
assimilato al viaggiatore su di un treno, soggetto di massa e viaggiatore
immobile, trasportato, (individuo singolo su di un mezzo di locomozione di
massa anonimo e collettivo) che vede trascorrere dal suo finestrino lo
spettacolo di uno spazio attraversato in un lasso di tempo.
2
Lo spettatore al
cinema è un viaggiatore, corpo immobile, ma dotato di un occhio mobile,
onniveggente, che, grazie allo spettacolo filmico, accede al sogno, alla
finzione e al suo immaginario.
Dice Luciani: «il telefono, l’automobile, l’aeroplano e la radio hanno
modificato talmente i limiti di tempo e di spazio entro cui le civiltà si sono
svolte durante i secoli che l’uomo oggi ha finito non tanto con l’acquistare
una rapidità di sintesi ignota agli antichi, quanto una specie di ubiquità»
3
.
Con il cinema l’arte ha perso la sua aura per avvicinarsi alle masse:
«la tecnica della riproduzione (…) sottrae il prodotto all’ambito della
tradizione. Moltiplicando la riproduzione essa pone al posto di un evento
unico una serie quantitativa di eventi»
4
.
La dimensione filmica si distacca dalla dimensione cultuale, che ha
dato avvio alla nascita dell’arte, per accedere ad una dimensione
comunicativa. La rappresentazione del mondo e, quindi, la sua conoscenza
diventa possibile grazie al cinema, arte di massa. L’estetico si fa
2
Aumont J., L’occhio interminabile, Saggi Marsilio, Venezia ,1991.
3
Luciani S. A., L’antiteatro. Il cinematografo come arte, La Voce Anonima
Ed.,Roma,1928, pag.76.
4
Benjamin W., op.cit., pag. 23.
9
Il corpo del cinema e il corpo nel cinema
comunicativo. Il cinema produce opere d’arte con lo scopo principale di
creare un luogo fisico e virtuale di condivisione dell’immaginario
collettivo.
«L’azione di un medium investe la sfera dei processi simbolici,
quella dei processi sociali e quella dei processi tecnologici, e dunque va a
toccare gli snodi più delicati di una comunità umana»
5
, tanto da far parlare
McLuhan dei mezzi di comunicazione come del sistema nervoso della
società.
Il cinema è un dispositivo che, nel comunicare la realtà
rappresentata, crea un luogo di condivisione, offre sistemi di relazione. E’
il medium del Novecento che più di ogni altro ha elaborato e rappresentato
quell’insieme di miti e riti in cui una società può riconoscersi. Testimone e
protagonista del proprio tempo, il cinema risulta il maggior ermeneuta della
realtà sociale in cui si trova ad operare. Il cinema alimenta lo sguardo del
Novecento.
In un intervento degli anni venti, Kracauer
6
parla dei cinematografi
come luoghi di culto, dove si pratica la religione del divertimento.
Parodiando Wagner, Kracauer afferma che col cinema si realizza l’opera
d’arte totale, dove tutti i sensi vengono coinvolti.
Analogamente con la descrizione che Simmel fa del cittadino
contemporaneo, soggetto ad un’intensificazione della vita nervosa, il
cittadino delle metropoli riesce a controbattere questo bombardamento
sensoriale in due modi: con la razionalità, che lo porta a valutare tra i vari
stimoli quale per lui è il più conveniente, e con l’indifferenza per non farsi
troppo schiacciare, divorare dall’eccitazione dei sensi. «Percepire significa
esporsi a degli shock ma anche proteggersi da essi»
7
.Protezioni che anche
5
Casetti F., L’occhio del Novecento,Bompiani, Milano, 2005, pag. 31.
6
In Casetti F., op.cit.
7
Ibidem, pag. 187.
10
Il corpo del cinema e il corpo nel cinema
lo spettatore cinematografico attua per non farsi inglobare dal flusso
filmico: crea così uno ‘schermo di protezione ’
8
, un filtro cioè con cui la
realtà esterna deve costantemente misurarsi, perché i nostri organi di senso
possano percepire il mondo solo in piccole quantità.
Per Hügo Mustenberg, «il ritmo del film è segnato da una rapidità
innaturale (…) questo aumenta il senso di vitalità dello spettatore, gli
sembra di vivere più intensamente, le sue energie sono più stimolate»
9
.
Aumenta nello spettatore la sensazione di essere ubiquo. Sensazione
che potrebbe portarlo a perdersi.
Il cinema, perciò, diventa strumento che produce ebbrezza sensoriale
che ci immerge nel cuore delle cose, a tal punto da farci perdere in quel
marasma sensoriale che non produce senso. La conoscenza nasce, infatti, da
un certo distacco fisico e mentale e il rischio che nel cinema l’immersione
diventi totale è forte, come quella vissuta durante il sogno. Ma forse ci
siamo dimenticati che al cinema si vive un’impressione di realtà, a
differenza del sogno in cui si vive un’illusione di realtà.
Il cinema è sempre una narrazione sottesa da una logica. Andare al
cinema significa essere partecipi di sensazioni e senso.
Il cinema, confluenza del sensibile e del sensato, può definirsi come
il luogo di maturazione che ha trovato esplicitazione, da un lato, in quei
dispositivi che tra l’Otto e il Novecento hanno contribuito alla stimolazione
sensoriale (le giostre, la ruota, l’ottovolante) e, dall’altro, nelle
apparecchiature scientifiche come il microscopio, il telescopio etc., che
hanno fatto della percezione un mezzo per arrivare alla conoscenza tramite
la vista.
8
Cfr. le riflessioni di Benjamin sullo ‘schermo di protezione ’ concetto elaborato da
Freud in Aldilà del principio del piacere.
9
Müstenberg H., Film. Il cinema muto nel 1916, trad. it. Pratiche, Parma 1980, pag. 221.
11