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I IN NT TR RO OD DU UZ ZI IO ON NE E
Il presente lavoro nasce con l'intenzione di offrire un quadro completo della
nascita e dello sviluppo della marca commerciale nel settore Food.
Le imprese distributive di tutto il mondo, nel corso degli ultimi decenni, hanno
creato proprie linee di prodotti, contraddistinti dal nome dell'insegna e presenti nei
propri espositori al fianco dei prodotti delle grandi marche industriali.
Il successo riscosso è stato notevole e, come per qualsiasi altro fenomeno
economico e di marketing, l'evoluzione e lo sviluppo attraverso molteplici
declinazioni è stato inevitabile.
La marca commerciale si è diversificata e, quindi, orientata a nuovi e diversi
targets, assumendo nuovi posizionamenti strategici ed operativi nei mercati nei
quali ha fatto il suo ingresso.
La marca commerciale si è dimostrata attenta alle nuove esigenze del
consumatore post-moderno, in cerca di sicurezza, salute, autenticità, tradizione,
naturalezza e responsabilità etica, sia sociale che ambientale.
E proprio questa capacità di cogliere le opportunità offerte dalla realtà dei
consumi odierna, insieme all'efficacia poi mostrata nel concretizzarle, che ha reso
la marca commerciale un successo sotto gli occhi di tutti.
Nello specifico, è stato il settore alimentare quello che è stato travolto dallo
sviluppo delle private labels ed è stato, perciò, anche il terreno sul quale la
diversificazione ha maggiormente preso atto.
2
E' così che accanto ai prodotti convenzionali, le insegne hanno creato linee ad hoc
per i prodotti biologici, i prodotti tipici o etnici, prodotti per celiaci oltre ad
identificare con marchi garantiti, anche i prodotti freschissimi come carni e
ortofrutta.
Il primo capitolo del lavoro spiega, in sintesi, origini e sviluppi del fenomeno oltre
ai principali aspetti della creazione di una marca commerciale, dal punto di vista
di distributori e co-packers (i produttori di prodotti a marchio privato),
evidenziandone vantaggi e criticità.
Il secondo capitolo definisce meglio la realtà della marca commerciale, per mezzo
di dati concreti di mercato ed indagini qualitative e quantitative sugli operatori
della distribuzione così come sui consumatori, al fine di delinearne il profilo nel
settore più specifico del Food.
Al quadro generale fornito nei primi due capitoli, seguono gli approfondimenti
sulle principali tipologie di marca commerciale nel settore alimentare: le linee bio,
la marca di filiera, e le linee di prodotti tipici.
Per tutte e tre le tipologie, dapprima si chiariscono le peculiarità degli specifici
prodotti, quindi gli aspetti relativi alla loro commercializzazione per mezzo della
Grande Distribuzione, quindi si approfondiscono le specificità delle linee a
marchio privato.
A completamento di ciò vengono presentate brevi case histories, al fine di
arricchire i contributi della letteratura e della ricerca con fotografie della realtà
concreta delle imprese più note della distribuzione italiana: Esselunga, Crai e
Conad.
3
Il lavoro viene infine corredato, in appendice, da una breve trattazione sugli
standards di sicurezza, il rispetto dei quali è richiesto dalla distribuzione come
elemento imprescindibile nella selezione dei propri co-packers.
4
C Ca ap pi it to ol lo o 1 1
L La a M Ma ar rc ca a C Co om mm me er rc ci ia al le e
1.INTRODUZIONE
Il fenomeno della marca commerciale è un fenomeno che negli ultimi decenni sta
caratterizzando la distribuzione moderna, la quale trova in esso uno strumento
decisivo nella propria strategia d'impresa.
Allo stesso fenomeno la letteratura specializzata fa riferimento con diverse
denominazioni: marca bianca, marca generica, marca dei distributore, marca
privata (più diffusamente nella versione inglese, private label). La stessa
letteratura di marketing, ha presentato diverse definizioni della marca
commerciale. Ricordando che per marca si intende “un nome o termine, simbolo o
disegno, o una combinazione di entrambe le cose, impiegato per identificare
prodotti e servizi e differenziarli dalla concorrenza.”
1
, una definizione comune ai
primi studi definisce la marca commerciale come i prodotti contraddistinti dalla
stessa come beni di consumo prodotti da, o per conto di, distributori e venduti
sotto il nome proprio del distributore o la sua insegna nei punti vendita dello
stesso distributore
2
.
Secondo Levy e Weitz i prodotti private label “...sono prodotti sviluppati e
immessi sul mercato da un retailer”
3
. Tipicamente i buyers o i category managers
1
Dictionary of marketing terms, www.marketingpower.com.
2
Burt S. (2000), The Strategic Role of Retail Brands in British Grocery Retailing, European
Journal of Marketing, V ol. 34, n.8, pp. 875-890.
3
Levy M. and Weitz B.A.(2001), Retailing Management, McGraw-Hill, Irwin, pp.419.
5
delle imprese distributive sviluppano le specifiche del prodotto, quindi contrattano
con un fornitore la produzione, essendo quindi il retailer e non il produttore il
responsabile delle attività di marketing.
Un'altra definizione proposta da Dunne e Lusch
4
identifica la fattispecie della
marca commerciale con il caso in cui un distributore sviluppa un brand name e
contratta con un produttore la realizzazione dei beni che verranno identificati con
il brand del distributore anziché con il nome del produttore.
In sostanza la marca commerciale è una marca la cui proprietà legale appartiene al
distributore, mentre la produzione viene svolta da imprese contrattate, definite co-
packers, che realizzano i prodotti seguendo le specifiche relative a packaging,
design, qualità, composizione, ecc., dettate dal distributore, il quale si occupa
dello sviluppo di tutte le attività di marketing.
2. ORIGINI E SVILUPPO
I primi esempi di marca del distributore si sono riscontrati in Gran Bretagna nel
1869, quando Sainsbury lanciò la sua marca, seguita molti anni dopo da l'impresa
distributiva francese Coop, che registrò la sua marca nel 1929, sebbene il
momento decisivo della nascita della marca privata è segnato dall'iniziativa di
Carrefour, nel 1976, che introdusse nel proprio assortimento ben 50 “produits
libres” associati al proprio logotipo ed offerti a prezzi competitivi senza che ne
venisse inficiata la qualità.
4
Dunne P., Lusch R.F. (1999), Retailing, The Dreyden Press, USA, p.15.
6
Ed è proprio grazie alla riduzione del differenziale di qualità, che a partire da
questo periodo che i volumi di vendita e la quota di mercato delle private labels
registrarono un importante incremento.
Ad esempio, durante il periodo tra il 1970 e il 1990, fu registrata una percentuale
media del 14,1% delle vendite dei supermercati statunitensi, raggiungendosi il
20,8% durante il terzo trimestre del 1997.
Secondo la PLMA (Private Label Manufactures Association) le vendite della
marca privata nel settore alimentare negli USA sono cresciute da 34 miliardi di
dollari nel 1994, a 43,3 nel 1999, superando le marche nazionali e conquistando il
20% delle vendite totali del settore alimentare del paese.
Per quanto riguarda l'Europa, nel 1997, le marche commerciali nel settore
alimentare raggiunsero una quota di mercato del 21% in Olanda e del 40% nel
Regno Unito.
In Spagna, nel 1996, le private labels rappresentavano il 12,4% delle vendite di
prodotti alimentari, mentre solo due anni prima tale quota corrispondeva solo
all’8%
5
.
Questi dati dimostrano come, dalla sua nascita, la marca del distributore si sia
affermata rapidamente, sviluppandosi a tassi di crescita notevoli e sempre più
crescenti (trend tuttora riscontrabile) grazie, da un lato, al riconoscimento da parte
5
http://www.plma.org
Figura 1.1: Campagna pubblicitaria per i
Produits Libres Carrefour.
7
delle imprese della distribuzione del suo potenziale strategico e, dall'altro, alla
positiva risposta dei consumatori.
Numerose sono le tipologie attraverso le quali il fenomeno delle private labels si è
declinato nel tempo.
La prima generazione è rappresentata dai prodotti generici, ovvero prodotti,
generalmente commercializzati a prezzi molto bassi, privi di alcun nome di marca
sull'etichetta, che riporta solamente la denominazione generica, appunto, del
prodotto (caffè, burro, pasta, ecc.). Si tratta di prodotti di bassa qualità e prezzo
dal 30 al 50 % inferiore rispetto al prezzo dei prodotti leader, che permettono un
aumento della marginalità grazie al taglio dei costi di marketing e di materiali e
componenti.
La seconda generazione è denominata marca bianca, perché i prodotti si
presentano in confezioni bianche, prive di qualsiasi elemento che non fosse il solo
nome del distributore. La seconda generazione viene alla luce come arma di difesa
contro la diffusione dei prodotti generici e la mancanza di fedeltà al punto vendita
dei consumatori, ma diventando al contempo uno strumento per ridurre il potere
dei produttori, aumentare i margini di profitto e accrescere il valore dei prodotti
migliorando il rapporto qualità-prezzo.
Con il tempo la marca commerciale si è evoluta, assumendo aspetti e
caratteristiche tipiche delle marche industriali, ovvero lo studio del design, delle
proprietà e componenti, la realizzazione di attività di marketing. Il prodotto, in
questa terza generazione, viene identificato dal nome dell'insegna, quindi le
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esigenze di differenziazione rispetto la concorrenza e di maggiori livelli
qualitativi, si fanno più pressanti, dato che, per la coincidenza di marca e insegna,
le azione di marketing sul prodotto riversano i loro effetti sull'immagine dell'intera
azienda. Un 'impresa distributiva può possedere oltre allo store brand ulteriori
store sub-brands al fine di diversificare l'offerta tra diversi segmenti e diverse
fasce di prezzo.
Con la diffusione delle private label, le imprese della distribuzione hanno dovuto
ricercare nuove forme di differenziazione, arricchendo così il proprio brand
portfolio delle c.d. marche proprie e marche esclusive.
Le prime sono marche di proprietà dell'insegna, per cui viene meno la
associazione tra prodotto e distributore. Ad esempio i prodotti Lidl sono
contraddistinti da marchi non coincidenti con l'insegna, come Combino per la
pasta, Beauty Iseree per la cosmetica femminile, Solevita per i succhi.
Le seconde possono essere considerate un passo avanti nell'evoluzione della
marca commerciale, anche se non sono propriamente tali, in quanto sono proprietà
dei produttori, ma sono realizzate per la vendita esclusiva presso i punti vendita
delle catene distributive che le commissionano. Presentano il vantaggio del
contributo alla store loyalty tipico della marca commerciale, ma salvaguardano il
distributore dagli inconvenienti derivanti dall'associazione prodotto-insegna
Figura1.2: Alcune marche proprie dell’impresa di distribuzione tedesca Lidl.
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derivanti da difetti e insoddisfazione.
3.MERCATI FA VOREVOLI ALLO SVILUPPO E POSIZIONAMENTO.
Generalmente il distributore decide di realizzare prodotti a marchio proprio in
mercati che presentano limitate barriere all'entrata, basati su tecnologie semplici e
facilmente replicabili, e bassi tassi d'innovazione; l'offerta risulta frammentata a
causa della notevole proliferazione delle marche; la differenziazione qualitativa e
di marketing è limitata e pertanto la sostituibilità dei prodotti è alta; mancano forti
brand equities anche per il limitato coinvolgimento del consumatore con il
prodotto (di acquisto frequente e routinario) e, pertanto, è limitato il ricorso a
strumenti promozionali e pubblicitari. Infine si tratta di mercati dal lungo ciclo di
vita e in fase di sviluppo.
E' sbagliato immaginare che il distributore faccia il suo ingresso con le sue linee
solo in mercati dove non ci sono grandi competitors industriali: si offrono marche
commerciali anche in categorie dove la marca industriale è molto forte.
Ciò sopratutto se il differenziale di prezzo supera il differenziale di qualità, perché
così la presenza della private label mette in discussione la stabilità della categoria,
costringendo il fornitore ad assumere comportamenti che trasferiscano valore al
distributore e al consumatore: aumenti promozioni, differenziazione del prodotto,
investimenti in trade marketing.
“La creazione di un nuovo mercato spetta sempre all'industria. La distribuzione
interviene infatti con lo sviluppo della sua marca quando esistono già un prodotto
e una domanda che possono essere segmentati e soddisfatti meglio combinando
10
diversamente gli attributi delle proposte correnti”
6
.
Quindi la distribuzione compete nelle attività di marketing, più che nella
componente tecnologica e, perciò, nell'innovazione, prerogativa dell'industria.
In realtà, attualmente di sta assistendo a un cambio di rotta nelle strategie delle
private labels. La crescente competizione, dovuta anche al proliferare di marche
private, ha spinto, come naturale in ogni mercato, le insegne, per lo meno le più
esperte sul terreno delle private labels, a cercare la differenziazione ( e un
vantaggio in termini competitivi tramite essa) attraverso l'orientamento
all'innovazione. Non più prodotti imitativi, quindi, bensì brands che ricercano la
creazione di un quid distintivo, sia attraverso azioni di marketing, come quelle
sulla comunicazione o sul packaging, sia attraverso vere e proprie innovazioni sul
piano funzionale.
Esempi significativi di quest'ultima strategia quelli di Coop Italia, che ha richiesto
al fornitore del detersivo a marchio di modificare la formulazione proposta
inserendo tra gli ingredienti del prodotto una sostanza, il Bitrex, che provoca il
vomito quando ingerita (come misura precauzionale nei casi di ingerimento del
detersivo da parte dei bambini). O ancora la stessa impresa ha dotato la
confezione della frutta secca di un dispositivo di apertura che permette di
prolungare la durata del prodotto dopo l'apertura, dispositivo poi imitato
dall'industria.
Le insegne hanno investito molto nella riduzione del differenziale di qualità
7
,
6
Lugli G., “La politica di marca del distributore”, in Lugli G., Pellegrini L.(2005), Marketing
Distributivo: la creazione di valore nella distribuzione despecializzata, Utet, Milano, p.310.
7
“Studi di marketing hanno consistentemente dimostrato che nei blind tests i consumatori
difficilmente distinguono i prodotti a marchio privato da quelli a marchio industriale.” Dick A.,
Jain A.K., Richardson P.(1996), The Influence of Store Aesthetics on Evaluation of Private
Label Brands, Journal of Product and Brand Management, Vol. 5, n. 1.pp.19-28.
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cosicchè la private label ha smesso di essere solamente un'alternativa di basso
prezzo e scarsa qualità, costruendosi una propria identità caratterizzata da una
specifica relazione qualità-prezzo.
La convenienza rimane comunque un decisivo selling point sul quale si farà
sempre leva. A tal proposito si può ricordare l'iniziativa di Carrefour che,
all'entrata dei propri punti vendita francesi ha posizionato 3 carrelli contenenti
ciascuno gli stessi prodotti ma di marche diverse: nel primo erano presenti
prodotti di marche industriali leader, mentre negli altri due prodotti di marca
commerciale “insegna” e prodotti di “primo prezzo”.
Tutto ciò con l'obiettivo di dimostrare il risparmio conseguibile acquistando
prodotti diversi da quelli delle imprese leader, sebbene, cercando di proporre
livelli di qualità simili a quelle delle marche nazionali, le marche d'insegna stiano
Figura 1.3: Iniziativa di Carrefour a sostegno delle marche commerciali.
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offrendo scarti di prezzo certamente inferiori rispetto al passato
8
, limitando i forti
tagli ai c.d. prodotti di primo prezzo.
Non identificati con il nome d'insegna, sono venduti a prezzi inferiori tra il 30% e
il 60% rispetto le marche nazionali, e presentati nell'assortimento delle catene
della GDO al fine di contrastare l'aumento della quota detenuta dalle formule
discount registratosi, a partire dal 2003, in tutta Europa, e con particolare intensità
in Italia, Francia e Germania. Si tratta di marche utilizzate per prodotti basici,
senza avere la pretesa di conseguire lo status di una marca a tutti gli effetti, ma al
solo scopo di inserire in assortimento referenze di primo prezzo che possano
soddisfare la crescente richiesta di convenienza che contraddistingue l'odierno
consumatore europeo che, proprio a causa della stessa, ha dirottato i suoi acquisti
verso soluzioni distributive meno costose quali i discount.
Secondo quanto accertato da alcuni studi, i consumatori riconosco il vantaggioso
rapporto qualità-prezzo delle marche commerciali, in alcuni casi ritenute persino
più affidabili delle marche dei produttori, ma nonostante ciò non si sono ancora
affermate come preferibili alle marche industriali nei confronti delle quali
sviluppare un vero e proprio legame affettivo
9
.
8
Cristau C., Lacoeuilhe J. (2008), Attachement et fidélité aux marques de distributeurs: première
proposition de cadre conceptuel, VII Congresso Internazionale “Le Tendenze del Marketing”,
Venezia, 17-19 Gennaio.
9
Si rimanda al capitolo 2 per l’approfondimento di tali studi.