6
Introduzione
Questo lavoro ha l‟obiettivo di comprendere se le odierne tendenze che
stanno portando ad una crescita della marca commerciale si rafforzeranno nei
prossimi anni. Cercando di capire se le strade intraprese oggi dai retailer della
distribuzione italiana li porteranno a crescere. In particolar modo se il mercato dei
prodotti freschi a peso imposto (carne, ortofrutta, salumi, formaggi, pasta fresca) è
capace di trainare la crescita e rafforzare la store loyalty dei consumatori e la
brand store loyalty.
Nel primo capitolo si delinea il quadro odierno, in quanto la generale stasi
dei consumi registrata durante gli ultimi anni sta dando una spinta alla
penetrazione dei prodotti che portano il nome della catena distributiva o del
supermercato che li commercializza, le cosiddette private label. Come evidenziato
nell‟ultimo rapporto di Symphony Iri dedicato al tema, il trend che da anni si
registra in Spagna, Germania e Regno Unito sta prendendo piede anche in Italia,
con ampi margini di crescita. Viene cosi delineato il livello di crescita della
private label nelle varie categorie di prodotti.
Nel secondo capitolo si riassumono brevemente i fondamenti teorici alla
base dell‟analisi del comportamento di consumo e acquisto e le dimensioni che li
caratterizzano. Si delineano i cambiamenti che sono avvenuti nel corso degli anni
sia per cause congiunturali ma anche strutturali. Dopodiché si è cercato di
delineare il comportamento d‟acquisto del consumatore di private label.
Nel terzo capitolo si identificano i potenziali di sviluppo per i retailer
italiani che investono sulla private label, gli obiettivi perseguiti da quest‟ultima,
ma anche il ciclo di vita che la caratterizza e le diverse tipologie adottabili. Si
analizzano le leve a loro disposizione, quali, l‟assortimento, il prezzo, le
promozioni, la comunicazione in ed out of store ed il visual merchandising.
Infine viene presentato un breve quadro delle tre insegne su cui è stata
basata la ricerca presentata nel quarto capitolo e sono, Conad, Coop ed Esselunga.
Di cui si individuano i tassi di crescita degli ultimi anni nonché le diverse
tipologie di private label proposte nelle varie categorie di prodotti.
Nel quarto e ultimo capitolo viene presentata una ricerca che indaga sul
comportamento di consumo e acquisto di prodotti freschi a peso imposto a marca
commerciale da parte dei consumatori delle tre insegne sopra citate, Si è cercato
di indagare sul comportamento nei confronti di Carne, Ortofrutta, Salumi,
Formaggi, Pasta fresca.
La ricerca è stata condotta attraverso un intervista diretta ad un campione
di centocinquanta consumatori, cinquanta per il supermercato Conad di viale
Piacenza a Parma, cinquanta per il supermercato Coop di via Gramsci e cinquanta
per il superstore Esselunga di via Emilia Est sempre a Parma.
7
Sono stati poi identificati quattro profili di shopper che acquistano prodotti
a private label e sono state poi esplicitate le possibili implicazioni per la
distribuzione e l‟industria.
Segue una conclusione dove vengono esplicitati i punti più significativi di
questo lavoro.
8
Capitolo 1
La marca commerciale
Nei sistemi distributivi più evoluti del largo consumo si assiste ad una
crescente accentuazione della competizione basata sul prezzo. Infatti i Paradigmi
del pricing distributivo che sembravano convincere fino a poco tempo fa oggi
sono fortemente in crisi e ciò ha spinto le grandi insegne a promuovere strategie
fondate sulla differenziazione. Le imprese distributive che hanno raggiunto un
vantaggio competitivo sono state quelle capaci di creare valore sull‟insegna
attivandosi su diversi fronti, attraverso un processo di qualificazione dei valori e
dei principi identificativi del gruppo, ma anche a livello di canale/formato
manovrando le diverse leve di retail mix, in primis l‟assortimento, ma anche la
gestione dello spazio espositivo, il pricing, la promozioni, i servizi erogati in
punto vendita. Il risultato finale di un‟azione strategica che attivi tutte le leve
sopra citate ha portato in molti casi la creazione di una identità d‟insegna
fortemente riconosciuta dalla domanda finale.
Infatti mediante il richiamo costante ai fattori segnaletici dell‟insegna, le
catene sono state in grado di sviluppare fiducia nel consumatore, elemento
importante per la crescita del livello di fedeltà dello stesso.
In tale contesto la Marca Privata ha rappresentato la leva di retail mix che
maggiormente ha contribuito a rafforzare il valore dell‟insegna, svolgendo un
ruolo centrale nell‟ambito delle strategie di differenziazione (Lugli 2005).
1.1 Lo sviluppo della MC in Italia
Di recente anche in Italia si è raggiunto un forte sviluppo delle marche
“commerciali” ovvero le cosiddette ”private label”. Si tratta dei prodotti a
marchio proprio e con l'etichetta che ha un riferimento di fantasia e non il nome
originale del prodotto o dell‟azienda produttrice (vale anche per il vino, per la
birra, per alcuni distillati e per il food). Esistono poi etichette di prodotti che
riportano esattamente, e ben visibile, nome e logo dell‟azienda distributrice. Si
realizza, dopo molti anni di battaglie tra produzione e distribuzione, un
mutamento nei rapporti di forza. Oggi a tenere la barra del potere, e quindi la
forza di imporre anche proprie regole e spesso anche i prezzi, sono le grandi
aziende distributrici. Agli inizi erano le grandi realtà produttrici, specie quelle con
un passato glorioso in quanto a nome oltre che penetrazione sul mercato e fiducia
del consumatore, a dettare le proprie regole. I consumatori, spesso ignari, si
trovano di fronte un prodotto con un nome di fantasia, creato dalla stessa azienda,
per disporre di alcune referenze altamente competitive. Ci sono grandi aziende
birrarie (ad esempio) che producono per conto di alcune catene della distribuzione
9
(sia Cash and Carry sia GDO) alcune tipologie di birra identica ad alcune
referenze ma alla quale danno un nome di fantasia che non lascia scoprire le
origini vere del contenuto. Salvo non essere esperti e indagatori.
Questo problema ha interessato anche l‟Italia, pur se con un po‟ di ritardo,
infatti l‟introduzione delle marche commerciali inizialmente è stata realizzata
dalle imprese con l‟obiettivo di determinare un incremento nel margine lordo
medio dell‟assortimento. I prodotti di marca commerciale, infatti, non sono
sottoposti alla stessa aggressiva concorrenza di prezzo cui sono costretti i prodotti
di marca industriale, specialmente quando appartengono alle imprese leader di
mercato. I secondi, dato l‟elevato livello di notorietà dei loro marchi presso i
consumatori, assicurano quindi margini ridotti (in percentuale) per le aziende
commerciali, ma hanno prezzi elevati al consumo, dovuti principalmente ai costi
sostenuti per l‟innovazione, la differenziazione (ricerca e sviluppo,
comunicazione) e la commercializzazione del prodotto.
Dall‟obiettivo iniziale di equilibrare i margini dell‟assortimento, le aziende
commerciali sono passate però alla ricerca delle opportunità di marketing insite
nello sviluppo delle marche commerciali. Queste sono state tradizionalmente
utilizzate per prodotti di basso
prezzo e spesso di qualità non
elevata, come i prodotti
“generici” nel settore
grocery. La tendenza è però
ormai da qualche tempo
rivolta a prodotti di migliore
qualità e prezzo più alto,
sostenuti da una struttura
operativa di marketing più
agguerrita.
Le imprese tendono a passare
dai marchi industriali in
esclusiva ai marchi di fantasia
che non identificano il
distributore, poi a quelli che lo
identificano, ai prodotti “bandiera” ed infine ai marchi insegna, cioè ai prodotti
che hanno la stessa marca dell‟insegna (Pellegrini 1994).
A mano a mano che progrediscono e sperimentano queste diverse tipologie
aumentano la loro padronanza del marchio, l‟identificazione del prodotto con
l‟azienda e l‟insegna e il potenziale di differenziazione dell‟offerta.
Questi prodotti instaurano un diverso rapporto fra industria e commercio, nel
quale il secondo svolge un ruolo di marketing autonomo.
L‟impresa commerciale individua i prodotti di cui ha bisogno, in funzione
del suo posizionamento di mercato, e ne prescrive la produzione ai fornitori da lei
10
scelti, garantendo essa stessa al consumatore la qualità del prodotto venduto. Si
tratta, in effetti, di un rovesciamento dei rapporti tradizionali fra industria e
distribuzione, in seguito al quale la leadership nel canale è assunta dall‟impresa
commerciale. In questo modo, infatti, essa stabilisce un rapporto con i clienti
diretto e non più intermediato dalla marca industriale e dispone di un‟offerta
confrontabile con quella dei concorrenti sul piano merceologico, ma non su quello
della marca, che è diversa ed esclusiva. Quest‟ultima favorisce quindi lo sviluppo
di una fedeltà all‟insegna e non alla marca del produttore e di conseguenza
consente all‟azienda commerciale di conquistare un maggior potere di mercato nei
confronti sia delle aziende di produzione sia di quelle commerciali con cui è in
concorrenza.
I prodotti a marca commerciale sono diffusi in misura differente nei diversi paesi
europei, nei diversi settori merceologici e nelle diverse forme distributive.
Il loro grado di penetrazione è, infatti, collegato alla dimensione delle im-
prese commerciali, quindi alla loro concentrazione in rapporto con quella delle
aziende industriali.
Per comprendere il ruolo odierno della private label nelle strategie dei
retailer bisogna richiamare gli elementi che hanno determinato il suo sviluppo nel
tempo. Lo sviluppo della marca commerciale in Italia è strettamente correlato allo
sviluppo della distribuzione, la cui modernizzazione è legata ad un importante
industriale italiano, Luigi Bocconi che fondò l‟attuale Rinascente. Fu proprio
questa che ebbe esperienze di marca commerciale nel no food prima e
successivamente anche nel food con nomi di fantasia originali. La seguirono le
Coop che hanno presentato nella categoria delle conserve il marchio soldoro,
SMA il marchi Re Verde e Conad il marchio Sabrina. Tra le unioni volontarie la
11
prima ad inserirsi in questo mercato fu VèGè con una serie di marchi. A metà del
XXesimo secolo le marche commerciali avrebbero potuto affermarsi ma cosi non
fu per tre motivi. Per l‟arretratezza delle forme distributive italiane, per
l‟eccessiva presenza di marchi di fantasia e per la tendenza verso prodotti di basso
prezzo e di qualità scadente.
Solo a fine anni „70 inizio anni ‟80 in
Italia si apre una nuova fase, con un riordino
dei prodotti e uno sviluppo dei marchi
bandiera. Si comincia dunque ad abbandonare
la politica dei generics e dei marchi di fantasia
a basso prezzo e si tende verso il prodotto
marchio insegna, di qualità medio-alta, nel
tentativo di trasferire la fedeltà del
consumatore dalla marca all‟insegna. Viene
cosi ridotto il numero di referenze,
abbandonando quelle che non sono di prima
necessità e in cui la marca pubblicizzata risulta
vincente.
Negli anni ‟90 però l‟attenzione si concentrava sulla crescita dimensionale
delle insegne. Erano scarse le valutazioni circa i risultati che le private label erano
in grado di generare, ma ancora più scarso era il confronto sul ruolo che la marca
privata avrebbe potuto e dovuto svolgere nell‟assortimento di un distributore. In
quegli anno sono presenti con prodotti a marca commerciale sei imprese della
GD, Esselunga, Giesse, Pam, SMA, Standa e Coop Italia, sei unioni volotarie,
A&O, Selex, Despar Italia, Gea, Gigad, Italmec e VèGè, e sei gruppi d‟acqusito,
Conad, Crai, Conitcoop, Sigma, Sisa e Sun. Alla fine degli anni ‟90 e con l‟inizio
del XXIesimo secolo la situazione è cambiata, nel giro di pochi anni si è assistito
a un crescente interesse degli operatori per la marca privata, coinvolgendo sia
l‟industria, che ha aumentato il proprio orientamento verso il fenomeno private
label sia la distribuzione. Sia gli operatori nazionali sia quelli posti sotto il
controllo di gruppi stranieri presentano, ormai, sui propri scaffali gamme di
marche proprie molto ampie, con diverse collocazioni nella scala prezzi e con
posizionamenti differenziati, volti a soddisfare i diversi segmenti di domanda.
Oggi anche in Italia, anche se
con ritmi diversi, si sta
assistendo a quel fenomeno
evolutivo che posiziona il ruolo
della marca privata come fulcro
della politica del distributore.
Nel 2006 il mercato
delle private label in Europa
valeva circa 300 miliardi di
euro fino a raggiungere nel
12
2010 430 miliardi, superando quindi quota 25% del mercato grocery. Nel mercato
italiano ad inizio 2011 la quota è intorno ai 16 punti percentuali, ancora ben
distante dai 38 punti della Spagna, ai 32 della Germania, al 32 del Regno Unito e
al 27 della Francia.
Nell‟ambito del contesto internazionale il mercato distributivo Italiano
presenta un evidente ritardo nelle dinamiche di consolidamento della marca
commerciale. I vincoli al suo sviluppo sono molti e riguardano sia la struttura del
sistema distributivo, sia le condotte delle imprese operanti sul mercato.
Per quanto riguarda la struttura distributiva, negli ultimi trentacinque anni
il mercato italiano ha vissuto una progressiva modernizzazione che si è
concretizzata in una riduzione della numerosità dei punti vendita e in un aumento
del peso della distribuzione moderna rispetto a quella tradizionale. Nonostante ciò
il processo di industrializzazione del commercio presenta alcune criticità quali: il
numero di punti vendita marginali è ancora molto elevato, il peso della
distribuzione tradizionale è ancora tale da generare più del 20% del giro d‟affari
complessivo, il livello di concentrazione degli operatori del canale moderno è
ancora modesto rispetto alla media europea e inoltre l‟internazionalizzazione è
ancora nello stadio iniziale. Dunque lo sviluppo della private label è stato
sfavorito dalla lentezza dell‟evoluzione del sistema distributivo provocata sia
dalla presenza di condizioni geografiche ed infrastrutturali sfavorevoli, sia dalla
presenza di vincoli legislativi/normativi alla diffusione delle grandi superfici di
vendita.
Con riferimento invece alle condotte delle imprese, la crescita della private
label in Italia è stata condizionata dalla consistente presenza della distribuzione
organizzata con una quota di mercato che supera il 40%. Questi gruppi si
caratterizzano per una minore propensione all‟impiego della marca commerciale
come leva strategica di sviluppo, Inoltre la ridotta efficacia del branding
distributivo dipende dalla mancata unitarietà della proposta a livello di insegna e
di formato distributivo. Tuttavia questi elementi negativi si stanno
ridimensionando tanto che nei primi anni 2000 rispetto a quello che succedeva
negli anni ‟80 e ‟90 la marca insegna è cresciuta a ritmi sostenuti e raddoppiati.
Questa tendenza è ancora più importante se si considera che le vendite a rete
complessiva hanno registrato una flessione e le crescita a parità di rete è stata
inesistente. Si evidenzia una maturità dei mercati dove la marca commerciale
rappresenta una leva di competizione tra insegne per la conquista di quote di
mercato in un momento di stagnazione come quello odierno.
In definitiva i fenomeni che hanno caratterizzato il settore distributivo
italiano nell‟ultimo decennio sono stati quattro:
una progressione nel processo di modernizzazione della rete di
vendita al dettaglio e all‟ingrosso che ha subito un‟accelerazione di
recente;
13
una crescente concentrazione distributiva sia negli acquisti che
nelle vendite, derivante anche dall‟entrata nel mercato italiano di
operatori esteri in primis Carrefour, Auchan e Gruppo Rewe;
un rallentamento nel trend di sviluppo delle vendite a valore dei
prodotti di largo consumo realizzate dalla distribuzione moderna in
alcune aree territoriali, prime tra tutti il Nord Ovest e il Nord est
del paese;
Infine una crescente segmentazione della rete di vendita in store
formats mirati a determinati cluster di clientela e un parallelo
incremento della pressione promozionale nelle grandi superfici.
Segnalati i fenomeni che hanno connotato l‟evoluzione dell‟offerta nel
corso degli ultimi anni, si possono ora citare velocemente alcune tendenze che
riguardano il comportamento del consumatore finale che verranno riprese
successivamente.
Le richieste più evidenti sono: la convenienza, elemento che ha connotato i
comportamenti di acquisto di una parte consistente della domanda. I motivi di
questo ritorno al prezzo come variabile fondamentale di scelta sono di diverso
genere ma tutti rimandano alla richiesta di una vantaggio economico
nell‟acquisto. Ciò ha condotto la distribuzione a ridurre il prezzo complessivo
dell‟offerta nel corso degli ultimi anni. Comportamento Value for Money a parte
del consumatore, si ricerca un equilibrio tra qualità e prezzo, e dove il
consumatore non è più disposto ad acquistare in nessuna categoria prodotti
connotati dalla sola convenienza, senza garanzie di qualità. Ricerca di prodotti
innovativi, il consumatore infatti premi i prodotti con componenti di servizio
maggiori. Vengo sempre più ricercati prodotti innovativi, in grado di fornire
vantaggi concreti sotto il profilo del risparmio di tempo, della facilità d‟uso, della
migliore conservabilità, delle modalità di utilizzo. Sicurezza e genuinità, il
consumatore chiede sempre più spesso al distributore di garantire la naturalità dei
prodotti venduti. Questo anche perché quasi la metà della spesa effettuata nel
grocery ha come riferimento i prodotti freschi e freschissimi. Pertanto la sfida più
grande gli attori della filiera la stanno giocando sulla sicurezza e sulla garanzia
dell‟offerta da proporre al consumatore che non concede deroghe su questi fronti
(Cristini 2006).
14
1.2 L’attuale livello di diffusione di private label in Italia
La
generale stasi dei
consumi registrata
durante gli ultimi
anni sta dando una
spinta alla
penetrazione dei
prodotti di marca
commerciale che
portano il nome
della catena
distributiva o del
supermercato che
li commercializza.
Esselunga, Coop,
Conad, Sidis,
Lidl, Sma,
Auchan sono solo
alcune delle marche commerciali più note. E‟ ormai consuetudine trovare nel
carrello della spesa dei consumatori italiani prodotti a marchio commerciale. Il
trend che da anni si registra in altri paesi, quali Regno Unito, Spagna e Germania,
sta prendendo piede anche nel nostro paese. E‟ possibile ipotizzare che nel corso
dei prossimi 5/7 anni la marca commerciale raggiunga anche in Italia una quota
del 25%
avvicinandosi a
quella di altri paesi
Europei. Lo scorso
anno le private
label nelle catene
della GDO hanno
raggiunto una quota
di vendite pari al
16,4%, cioè il 6,3 %
in più in valore
rispetto al 2009. In
particolare è stato
registrato un
aumento del valore
degli acquisti pari
ad un +30% del
segmento premium.