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originaria, che non si può che conservarne lo status quo, la ragione
d’essere storica - “…Sarà esteticamente un rudero ogni avanzo di
opera d’arte che non possa essere ricondotto all’unità potenziale
senza che l’opera divenga una copia o un falso di se medesimo…”.
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Dunque quasi tutte le strutture archeologiche sono delle rovine
poiché si tratta comunque di forme incomplete, di materia
deteriorata, interrotta e senza possibilità d’ uso.
Il concetto di rudere ha subito nel corso della storia una vasta
evoluzione, le correnti di pensiero che si sono succedute ne hanno
spesso stravolto il significato intrinseco. Il Neoclassicismo ne ha
rielaborato il valore formale, il Romanticismo ne ha recuperato il
valore simbolico attraverso un profonda meditazione ideale e
spirituale. Ma soltanto la Ragione Storicistica, che abbandona ogni
speculazione trascendente a favore di un’attività di ricerca storico-
culturale, è stata in grado di connotare i caratteri critici del recupero
della “rovina”. Grazie a una continua indagine che è andata
crescendo man mano che le esperienze si succedevano, si è potuto
arrivare alla costituzione di una metodo accreditato. Se il restauro
archeologico esiste è perchè la definizione di “rovine”, secondo
Brandi, è una soglia che si sposta man mano che cambiano gli
obiettivi, i giudizi di valore, le misure che si prendono.
Se ci guardiamo intorno, possiamo dire che l’unico dato prodottosi
dall’elaborazione della teoria di Brandi consiste semplicemente in
un aggravamento dello stato di conservazione del nostro patrimonio
artistico, e in specie del patrimonio monumentale e archeologico. Se
diciamo che questa situazione è contrassegna da un processo di
“ruderizzazione” del patrimonio, non possiamo che porci il
problema del rudere in maniera diversa sotto il profilo di una
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preminenza e urgenza che mezzo secolo fa non aveva. In passato il
problema era quello di ricorrere all’illusione di poter far risalire il
rudero a forma, mentre Brandi affermava: “il restauro, in quanto
rivolto al rudero, non può essere che consolidamento o
conservazione dello status quo”.
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Il problema del restauro del
rudero viene così perentoriamente ristretto, dal punto di vista
tecnico, solo al consolidamento o conservazione dello stato di fatto.
Pretendere di bloccare il rudere allo stato di fatto è un operazione
praticamente possibile solo se si accetta che al termine delle
operazioni ci sarà da aspettarsi la ripresa, ogni volta più devastante,
dei fenomeni di degrado, e, di conseguenza, la necessità di ulteriori
misure di consolidamento sempre più massicce e snaturanti.
Se tutto quello che si può fare dei ruderi è cercare di conservarli così
come sono, allora, come sottolinea Giovanni Urbani: “…sarà meglio
non restaurarli in nessun modo, non solo perché così si
conserveranno più a lungo, perché il loro degrado seguirà in questo
caso un corso per così dire naturale, cioè infinitamente meno
caotico e grave di un corso su cui abbiano avuto effetto, assai più
dei fattori naturali, quelli imputabili a un fare umano condotto alla
cieca e incapace di controllare i proprio effetti…”
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Questa provocazione lanciata da Urbani sottolinea come sul rudere
non ci si può limitare al semplice “intervento diretto” volto a puro
consolidamento dei materiali, ma che accanto a esso si richiama la
necessità “…di un intervanto indiretto che interessa lo spazio
ambientale del rudero…”
L’esigenza conservativa come esigenza determinante pone il
problema di compatibilità tra necessità conservativa e spazialità
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BRANDI 2000
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autonoma dell’opera e del suo godimento; la risposta viene data dal
fatto che per talune vitali alterazioni gli interventi preventivi, come
sottolinea Brandi: “potranno rivelarsi anche contrari in parte alle
esigenze che all’opera d’arte si riconoscono in quanto opera d’arte;
e cioè l’opera d’arte, in quanto costa di una certa materia o di un
certo coacervo di materie, può avere rispetto alla sua conservazione
esigenze contrarie o comunque limitative rispetto a quelle che le si
riconoscono per il suo godimento come opera d’arte”.
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Ponendosi la conservazione come un vero e proprio “imperativo
morale”, possono in effetti darsi casi in cui l’esigenza conservativa
debba prevalere su quella estetica. Dal momento che tutto ciò che è
in condizione di rudere non è in alcun modo conservabile in maniera
diretta, e cioè facendo conto solo sul consolidamento dello stato di
fatto, e dal momento che lo spazio della nostra vita non ha ormai più
nulla a che vedere con lo spazio-ambiente relativamente inalterato,
in cui questi ruderi furono sino al nostro tempo, il restauro
preventivo è l’intervento indiretto oggi necessario e può consistere
in un radicale mutamento dell’attuale spazio ambiente ultra-
degradato. L’intervento preventivo può consistere nel creare attorno
al rudere un involucro che lo ponga in condizioni ambientali
controllate e, attraverso un controllo climatico costante, porre un
piano di accertamento periodico di operazioni da effettuare sul
manufatto.
Nella sua spazialità autonoma, il rudere potrebbe essere offeso dal
punto di vista estetico dal fatto che esso sia protetto da un involucro,
mentre da un lato l’osservatore godrebbe dei vantaggi di un
illuminazione ben calibrata e di punti di vista predisposti e,
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URBANI 2000
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dall’altro, il rudere stesso godrebbe del vantaggio dell’isolamento
dall’ambiente esterno degradato.
In conclusione dunque il problema torna ad essere quello enunciato
al principio: l’unica alternativa alla protezione diretta delle superfici
è la messa in opera di un sistema di protezione indiretta.
E’ utile fare il punto sulle discipline che operano nel campo della
conservazione dei siti archeologici al fine di definire cosa sia la
manutenzione programmata:
- La conservazione preventiva si effettua con delle operazioni
che non intervengono direttamente sulla struttura ma piuttosto sui
fattori di rischio dovuti all’ambiente, al contesto o
all’azione/presenza umana.
- Il restauro invece interviene direttamente sui materiali
costitutivi di una struttura, per riportarla in buono stato dal punto di
vista estetico e culturale e renderla agibile per la visita e lo studio.
- La manutenzione ha l’obiettivo di mantenere la qualità
ristabilita dal restauro, a livello materiale e culturale, con delle
pratiche periodiche e non invasive, che possano attenuare gli effetti
dei fattori di degrado, siano essi ordinari (pioggia) o eccezionali
(terremoti).
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Fino ad una passato abbastanza recente la disciplina
archeologica tradizionale ha considerato il restauro e la
manutenzione come qualcosa di marginale rispetto alle scoperte e ai
ritrovamenti sul campo. Gli effetti negativi di questa separazione si
risentono soprattutto ora che si sa che l’approccio teorico e tecnico
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La cultura della manutenzione è stato, inoltre, il tema centrale della XIV Edizione della Fiera
del Restauro tenutosi a Ferrara dal 22 e al 25 marzo 2007, dedicando un incontro a quattro
restauri eseguiti recentemente (la chiesa della certosa di Pavia; le cattedrali di Siena, Parma e
Torino) come esempi significativi dei problemi della manutenzione.
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alla conservazione non può fare a meno dell’analisi dei siti. Un
intervento di conservazione è anche un percorso di conoscenza
materiale e strutturale dell’oggetto archeologico. Al contrario, la
conservazione, nei rari casi in cui essa è effettuata al momento dello
scavo, è considerata piuttosto come un’urgenza fatta in mancanza di
esperti e senza che si rediga poi un resoconto adeguato.
Nel corso degli ultimi decenni il deterioramento delle strutture
archeologiche è diventato un problema sempre più grave, a causa di
un più generale degrado dell’ambiente (disequilibrio idrogeologico,
inquinamento dell’aria e delle acque).
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Non potendo intervenire in
maniera decisiva sulla qualità dell’acqua, del suolo e dell’aria, la
manutenzione diventa sempre più una pratica necessaria.
Oggi la manutenzione, concepita come la combinazione di
conservazione preventiva e di restauro, avrebbe forse bisogno di una
nuova definizione, corrisponderebbe al tentativo di mantenere in
buono stato la parte materiale di queste testimonianze e del loro
valore culturale.
“Manutenzione” significa quindi anche “conservazione”.
Il modello di procedura della manutenzione ha la capacità di
superare il campo di analisi concernente la conservazione,
integrandola, infatti dopo aver ristabilito uno stato di conservazione
accettabile delle strutture si procederà all’elaborazione di un
programma di attività di manutenzione in funzione delle
caratteristiche del sito e delle problematiche specifiche riguardo alla
conservazione. Per ogni struttura del sito bisognerà dunque
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Per verificare lo stato di conservazione delle strutture archeologiche l’Istituto Centrale per il
Restauro di Roma ha elaborato un modello di scheda specifica, nel quadro del progetto “Carta
dei Rischi dei Beni Culturali”. Nella sua attuale configurazione la Carta dei Rischi è la più
grande banca dati alfanumerici e cartografici esistente in Italia
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determinare il livello di rischio, la periodicità dei controlli, il tipo di
ispezioni, il tipo di attività di manutenzione così come la loro
periodicità e durata, il lavoro necessario per assicurare queste attività
(numero di persone/giorni di lavoro) e il budget necessario.
La manutenzione dunque non concerne solo le antichità ma anche
tutti quei servizi collaterali alla fruizione del bene.
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Capitolo I
Metodologia della manutenzione programmata nei siti
archeologici
La manutenzione programmata è divenuto ormai un obbiettivo
prioritario nella conservazione, specie se si desidera definire delle
nuove strategie e lavorare per una migliore gestione e valorizzazione
di un sito archeologico come quello di San Vincenzo al Volturno.
Le attività manutentive non sono pensate e rivolte al solo manufatto
monumentale, in esse sono compresi anche quei servizi e le
infrastrutture che ne permettono la conoscenza, sia in funzione di
una valenza turistica che culturale.
Ciò significa che una corretta programmazione prende forma e si
concretizza nell’ambito di un’attività progettuale che vede coinvolti,
su differenti ed intercomunicanti livelli, professionalità scientifiche
ed operatori tecnici, enti di gestione territoriale e centri di ricerca,
Enti preposti alla tutela e università, e per finire alle infrastrutture
pubbliche e private e fornitori di ospitalità e di servizi. Certamente
il nocciolo di un sistema di manutenzione programmata si identifica
con il bene e il suo Luogo, dalla sua conservazione e dall’equilibrata
fruizione deriva, a vari livelli e in un corretto e determinato rapporto
con il territorio, il giusto grado di valorizzazione e di quanto, in
termini culturali ed economici, ne consegue.
Quindi per identificare una strategia di manutenzione ordinaria e
integrata dei beni archeologici e dei servizi/infrastrutture, concepita
sulla base delle informazioni sul valore, la matericità e soprattutto,
sulla vulnerabilità dell’Oggetto si rende necessario realizzare un
Progetto di Manutenzione Programmata (PMP).
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L’analisi dei differenti fattori che provocano la vulnerabilità di un
sito archeologico è un preliminare indispensabile per ogni azione di
valorizzazione: prima di qualsiasi intervento bisogna infatti tener
conto dei differenti fattori naturali o antropici di pericolosità presenti
sul sito, così come bisogna valutare la fragilità delle strutture
archeologiche stesse L’analisi sul tema della vulnerabilità del sito
archeologico e del suo contesto diventa l’oggetto di un Piano
Operativo per il riconoscimento dei requisiti preliminari per la
Manutenzione (POM).
In assenza di queste informazioni è impossibile definire un PMP e di
conseguenza tutti quelle tipologie d’intervento diretto e indiretto che
ne derivano, e non è nemmeno possibile identificare quali siano gli
standard migliori da adottare al livello di conservazione e di
sicurezza. Questi standard infine devono tenere conto al tempo
stesso dei fattori di pericolosità presenti sul territorio, della
vulnerabilità intrinseca dei resti archeologici e del loro eventuale
utilizzo turistico.
In questo senso la manutenzione programmata è una procedura che,
partendo da un’analisi dell’oggetto e delle sue condizioni attuali,
identifica un programma d’intervento che prevede le scadenze, le
risorse professionali e i mezzi finanziari necessari. L’obiettivo è
sempre quello di conservare nel tempo l’efficacia degli interventi
conservativi già effettuati.
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1.1 Analisi e indagini preliminari: Piano Operativo per il
riconoscimento dei requisiti preliminari per la Manutenzione
(POM)
Per procedere nell’analisi di un sistema Culturale come può essere
un sito archeologico consegnato alla visita e al pubblico e comunque
obbligatoriamente oggetto di atti conservativi è necessario acquisire
tutti i dati relativi alla storia del Bene. dalle origini fino alla fase di
scavo, dei resoconti delle attività archeologiche, degli studi
pubblicati e di qualsiasi, anche se marginale, intervento conservativo
o non eseguito nella fase post-scavo. Un altro importante capitolo di
conoscenza riguarda i caratteri del territorio, dal punto di vista
geologico, orografico e ambientale, quindi, un’anamnesi completa
del bene, delle tecniche esecutive e dei materiali originali e di quelli
aggiunti in fase di restauro o nella messa in opera di strutture
protettive, fin nei dettagli come per l’utilizzo delle differenti
strutture e infine, dei differenti fattori che provocano la vulnerabilità
delle unità archeologiche presenti nel sito.
Volendo limitare la fase investigativa al perimetro archeologico si
potrà operare pur tenendo presente l’unità del complesso
suddividendo il complesso in settori e sistemi. Per settore si intende
un area monumentale nella quale possono essere presenti una o più
unità monumentali riconducibili ad un unico complesso o, in origine
ad un unico monumento (come nel nostro caso, come vedremo, La
Basilica di San Vincenzo Maggiore), per sistema invece si intendono
itinerari, strutture percorsi didattici, interventi unificati che
riguardano tutto il complesso o comunque più settori (es. itinerario
di visita).