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Introduzione
Il concetto di salute negli ultimi tempi è stato riconsiderato e
accompagnato in una notevole evoluzione che ha visto il passaggio
da salute intesa solo come assenza di malattia a salute intesa come
benessere completo e globale della persona. Di conseguenza la cura
non è più intesa come sola terapia volta a eliminare le patologie che
il corpo di un individuo può presentare ma come un’assistenza
globale che riguarda anche la sfera emotiva, psichica e sociale della
persona
1
.
“Una nuova cultura del care fa riferimento all’insieme di
pratiche sociali…volte alla cura del corpo e della psiche, del singolo
e della collettività, dell’ambiente di vita fisico e sociale”
2
.
Questo nuovo concetto di salute e del “prendersi cura” implica
un intervento che prevede l’integrazione di diversi saperi, diversi
ambiti disciplinari e diverse figure professionali. Per promuovere un
benessere totale è infatti necessario un saldo collegamento tra
scuole, famiglie, centri educativi e sociali, ospedali.
La pedagogia interviene a tale proposito, in maniera
considerevole per assolvere a tale compito, ciò che infatti si
prospetta di fare è: garantire un sistema formativo integrato che vede
integrato il lavoro delle diverse istituzioni e delle diverse figure
professionali, condizione importante per raggiungere la sua finalità
principale e cioè la promozione nelle persone di benessere,
autonomia e identità
3
.
Nel mio lavoro di tesi ho voluto dunque approfondire
l’importanza dell’intervento pedagogico in un contesto particolare e
1
I. Loiodice, Infanzia, salute, progetto pedagogico, in Isabella Loiodice ( a cura di ),
Bambini in ospedale tra cura e formazione, Mario Adda Editore, Bari 2002, p.7.
2
Ivi, p.10.
3
Ivi, p.11.
6
complicato che è quello dell’ospedale e in particolare della pediatria
oncologica.
Il primo capitolo, intitolato Bambini in ospedale, illustra le
difficoltà e i traumi che il bambino incontra quando viene a trovarsi
davanti alla realtà del ricovero . L’ospedale rappresenta per il
bambino un luogo sconosciuto e che di conseguenza può incutere
timore, inoltre i volti sconosciuti di dottori e infermieri, il dolore indotto
dalle procedure mediche, possono trasformare l’esperienza
ospedaliera del bambino in un vero e proprio trauma. Dunque, dal
punto di vista pedagogico risultano importanti progetti di
informazione rivolti a bambini e genitori, sulla realtà ospedaliera a
tale proposito ho preso come esempio il progetto: “Ti racconto
l’ospedale” , effettuato a Viareggio nel 2004 dai volontari dell’ABIO e
rivolto a bambini dai 3 agli undici anni con la finalità di presentare la
realtà ospedaliera in forma ludica in modo che i bambini vengano
informati e che davanti ad un eventuale ricovero non siano
traumatizzati, ma nel suo obbiettivo specifico, il progetto ne ha
conseguito uno più generale, quello di modificare l’aspetto negativo
che il senso comune attribuisce all’ospedalizzazione.
La sensibilizzazione sul tema dei bambini ospedalizzati si è
tradotta in una serie di provvedimenti legislativi volti a salvaguardare
il soddisfacimento dei bisogni del bambino anche nell’ospedale,
viene approvata così dal Parlamento Europeo la Carta Europea dei
bambini degenti in ospedale il 13 Maggio 1986.
Un’importante passo avanti è stato fatto con la Legge
Nazionale n.118 del 30 Marzo 1971 che nell’articolo 29, prevede
l’introduzione della scuola anche all’interno dell’ospedale. La scuola
in ospedale è fondamentale perché non solo è per il bambino uno
spiraglio di collegamento e continuità con il mondo esterno e con il
suo precedente stile di vita, ma è soprattutto luogo di confronto,
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socializzazione e sviluppo di abilità e competenze necessarie a
favorire uno sviluppo sano e positivo.
Per metabolizzare al meglio l’esperienza ospedaliera è anche
importante che il bambino venga affiancato da un personale
qualificato ecco perché si sottolinea la necessità di una formazione
continua dell’equipe sanitaria, degli insegnanti , degli animatori e
degli educatori.
La figura dell’educatore anche se non è ancora obbligatoria
all’interno di tutti gli ospedali, può essere presente come volontario.
L’educatore deve possedere competenze e abilità varie perché oltre
a svolgere un ruolo fondamentale di accoglienza e di relazione con il
bambino, deve anche sapersi rapportare con i genitori e con tutte le
altre figure professionali presenti nel reparto poiché fondamentale è
la sua funzione di mediatore tra il bambino, la sua famiglia e l’equipe
sanitaria. Il suo obbiettivo principale resta comunque l’educabilità del
bambino al contesto di ricovero e malattia, le strategie educative che
può utilizzare sono molteplici e varieranno in base a diversi fattori
quali: l’età del bambino, l’intensità della malattia, le condizioni sociali
e culturali del contesto di appartenenza del bambino e della sua
famiglia ecc. Molteplici sono però anche le difficoltà che l’educatore
può incontrare nel contesto di azione, per superarle e per fare in
modo che non intralcino il suo percorso è importante che l’educatore
intenda il suo lavoro come una scelta umanitaria che ha come fine la
valorizzazione della persona.
“A partire dal primo sentimento istintivo di solidarietà umana
scaturito dalla propria storia personale, si dovrebbe arrivare a
credere, come educatori, nella bontà e dignità di un fine, la persona,
8
che è già valore in sé, perché degno di essere realizzato per se
stesso, al di là delle personali convinzioni o passioni”
4
.
Il secondo capitolo si intitola: La malattia cronica e mortale
nell’infanzia e nell’adolescenza e ripercorre alcuni studi inerenti
l’analisi del vissuto di malattia, in questo caso cronica, per i bambini
e per gli adolescenti.
Una malattia come il cancro minaccia l’integrità fisica ed
emotiva del bambino in quanto incude dolore, limita la libertà
motoria, richiede la somministrazione di terapie pesanti e nei casi
gravi porta all’isolamento dal mondo esterno quando si arriva alla
sala sterile. Tutte queste condizioni e tutti i fattori che intervengono
turbano e traumatizzano la vita del bambino rischiando l’insorgere di
seri disturbi dello sviluppo e del comportamento, e molte volte
causano una totale perdita di identità e di conseguenza un’incapacità
di progettarsi nel futuro. Il tutto si complica ancora di più se
rapportato all’adolescenza. L’adolescente colpito da malattia cronica,
mortale, si trova a fare i conti con due grandi trasformazioni quelle
indotte dalla pubertà e quelle causate dalla malattia. I primi segni del
cambiamento con i quali l’adolescente si trova a fare i conti sono le
trasformazioni del suo corpo. Il corpo cambia durante l’adolescenza
e di conseguenza il ragazzo si trova in un momento in cui la sua
identità è molto fragile, a volte introvabile, la malattia che irrompe in
questo momento delicato non fa altro che mettere in crisi l’identità.
L’alopecia cioè la perdita dei capelli causata dalle terapie, il volto
pallido, il dimagrimento improvviso oppure l’aumento di peso causato
dagli steroidi, sconvolgono notevolmente il corpo dell’adolescente.
Oltre ai cambiamenti corporei però, la malattia porta un totale
4
C.Xodo, L’occhio del cuore, La Scuola, Brescia 2001, pp.79-80., citato in N.
Bobbo, Bambini in ospedale: riflessioni pedagogiche e prospettive educative,
Pensa MultiMedia Editore, Lecce 2004, p.174.
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cambiamento della vita così l’adolescente comincia a sentirsi diverso
dai suoi coetanei, impedito nel confronto e nella crescita sessuale
che è un fattore importante per il ragazzo. Lo stato di malattia
coinvolge pienamente anche la famiglia del ragazzo ecco perché
sono importanti interventi mirati e delicati, è importante innanzitutto il
colloquio e la comunicazione sia a livello globale coinvolgendo anche
i familiari e l’equipe medica, sia a livello individuale. L’educatore deve
prestare molta attenzione ai bisogni del ragazzo che vengono
espressi non necessariamente soltanto verbalmente ma anche
attraverso gesti, comportamenti. L’educatore deve anche accettare i
conflitti che nasceranno con il ragazzo e farne tesoro, tutto il suo
lavoro deve perseguire un fine preciso: riuscire a far superare i
traumi che nasceranno nel ragazzo dall’esperienza di malattia e
soprattutto fare in modo che non perda la sua identità.
Il lavoro da effettuare con l’adolescente affetto da malattia
cronica è quello di un’assistenza globale.
“L’assistenza globale è quindi un “prendersi cura” allargato del
paziente. Infatti nell’assistenza globale, si deve affiancare, al
discorso tecnico (diagnostico, clinico e terapeutico), quello
psicologico, morale, sociale, ma anche quello scolastico, al pari degli
interessi culturali personali, compresi gli aspetti di gioco e di
divertimento che non possono mancare nelle vita di un giovane”
5
.
I due elementi che più sconvolgono la vita del bambino e del
ragazzo e dei genitori quando ci si trova davanti alla realtà di una
malattia cronica, mortale, sono : il dolore fisico che sorge dalla
malattia stessa o dalle procedure mediche e la morte che può
sopraggiungere sempre dalla malattia stessa.
5
G. Izzi, Il “prendersi cura” del ragazzo con tumore: aspetti clinici prevalenti, , in
Fabio Vanni ( a cura di), Adolescenti, corpo e malattia. Ragazzi e ragazze che si
ammalano: l’esperienza soggettiva e la cura, FrancoAngeli, Milano 2005, p. 85.
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Il dolore, con una malattia grave è quasi inevitabile e
sconvolge in modo notevole la vita del bambino, della famiglia, degli
operatori e dell’equipe sanitaria coinvolti. I bambini elaborano in
maniera diversa l’esperienza del dolore, ci sono bambini che si
esprimono con il pianto, con il rifiuto delle procedure mediche, altri
preferiscono mostrarsi coraggiosi ma il silenzio e la tranquillità che
presentano inizialmente possono essere segni che ingannano
perché magari in quel momento il bambino non vuole o non riesce ad
elaborare l’esperienza del dolore e crescerà con disturbi che si
verificheranno nel tempo. Il dolore oltre a creare uno sconvolgimento
fisico e mentale nel bambini, crea seri problemi anche a livello
familiare perché i genitori si sentono impotenti davanti alla sofferenza
del figlio e molte volte viene a rompersi anche l’equilibrio della
coppia.
Per permettere al bambino di elaborare e superare
l’esperienza del dolore senza traumi persistenti, è importante che
l’educatore aiuti il bambino a tirare fuori i pensieri e le fantasie sul
dolore anche perché è molto difficile per lui a volte trovare le parole
giuste per descrivere i sintomi. Molte volte può capitare che il
bambino si rifiuti di essere aiutato e assume un atteggiamento
passivo davanti all’educatore, alla famiglia e ai dottori perché pensa
che nessuno può capirlo e aiutarlo.
Per quanto guarda l’esperienza della morte, non deve essere
intesa come un evento unico e diretto, perché la morte ancor prima
che arrivi fisicamente, viene vissuta psicologicamente dal bambino e
dalla sua famiglia.
Quando il bambino viene messo davanti la cruda realtà della
possibilità di morire, prendono forma nella sua mente tante immagini,
fantasie e pensieri su questo evento. Comincerà a pensare a come
può arrivare la morte per lui, che ricordo lascerà nella sua famiglia e
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infine avvertirà che non ha più un’identità, che non è più parte del
suo corpo e non ci sarà più una concezione del tempo per lui, l’unica
cosa che lo farà sentire ancora presente e vivo è proprio il poter
immaginare e pensare ancora alla sua morte. Per quanto riguarda
l’adolescente invece, molto dipende dal modo in cui i suoi genitori, gli
educatori, gli hanno parlato e spiegato cos’è la morte.
La cosa più importante è di fargli capire che quando arriva non
sarà solo e che la morte fisica non cancellerà tutto il vissuto che ha
lasciato ai suoi cari.
La morte di un bambino o di un ragazzo per malattia è un
evento sconvolgente per tutti coloro che si sono occupati di lui.
Compito fondamentale degli operatori è di aiutare la famiglia.
Tecniche di intervento particolarmente efficienti per i genitori e i
fratelli e le sorelle sono il colloquio e la formazione di gruppi di auto
aiuto. Daniel Opphenaim illustra un’esperienza di gruppi di auto aiuto
per genitori colpiti dal lutto da più di due mesi e non più di due anni.
Nel gruppo vengono affrontati i temi della sofferenza, del rapporto
con gli altri che cambia perché ci si sente diversi, della ricerca di
spiegazioni sulla malattia, dei flash di immagini sulla vita del figlio.
L’esperienza di questi gruppi di auto aiuto è stata positiva perché i
genitori si sono sentiti a proprio agio, in un clima familiare dove non
hanno avuto paura di esprimere i propri pensieri pensando di essere
giudicati ma al contrario sapendo di essere capiti, hanno avuto una
durata di sei mesi con un totale di dieci incontri di circa un’ora e
mezza ciascuno
6
.
Il terzo capitolo si intitola “Uno studio sul campo: il mio tirocinio
formativo”, dove illustro appunto la mia esperienza come operatrice
6
Cfr. D. Hoppenheim, Crescere con il cancro. Esperienze vissute da bambini e
adolescenti, Edizioni Erickson, Trento 2007, pp. Crescere con il cancro.
Esperienze vissute da bambini e adolescenti, Edizioni Erickson, Trento 2007, pp.
186-195.
12
sociale tirocinante, presso la scuola ospedaliera paritaria e primaria
Casa Sollievo Della Sofferenza del reparto di pediatria oncologica del
Poliambulatorio Giovanni Paolo II a San Giovanni Rotondo.
Le strategie di intervento formativo che ho preso in
considerazione sono state: la narrazione di storie di vita con gli
adolescenti e l’espressività del disegno e la valenza terapeutica della
fiaba con i bambini.
La narrazione autobiografica sta riscontrando una notevole
importanza nella ricerca educativa poiché essa permette di
trasformare i vissuti in esperienze formative.
Gli aspetti più importanti presi in considerazione con Infantino
sono: la memoria e l’ermeneutica, la prima possiede l’importante
elemento della rimembranza, permette cioè di ricordare i vissuti, la
seconda invece di interpretarli.
Un progetto importante che ho preso in considerazione è stato
quello della Scardicchio sugli Atelier autobiografici che
rappresentano un percorso di educazione alla salute che si fonda
appunto sul modello formativo della narrazione autobiografica
dimostrando che esiste un forte legame tra le patologie e il modo di
considerarle e rappresentarle. Hanno dunque, come obbiettivo quello
di aiutare a riconsiderare il vissuto di malattia e trasformarlo da un’
esperienza negativa in un’esperienza preziosa e formativa,
utilizzando le grandi potenzialità dell’immaginario e della creatività.
Per quanto riguarda il disegno e la fiaba, sono strategie
formative più indicate per i bambini.
Il disegno è molte volte espressione dei pensieri e dei
sentimenti del bambino ecco perché è importante come attività,
fondamentale risulta la capacità dell’educatore di esaminare il
disegno del bambino ospedalizzato non solo cercando elementi di
riferimento alla malattia ma all’intera personalità e ponendo
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attenzione non solo ai contenuti ma anche alle sfumature , alle
ombre e alle luci, all’intensità di ogni tratto disegnato.
La fiaba ha mostrato una grande valenza terapeutica perché
permette di trasmettere messaggi formativi che sarebbe difficile far
capire ad un bambino anche con il discorso più accurato.
Le fiabe da presentare ai bambini devono essere scelte
accuratamente in base al fattore età e in base ai temi. Un aspetto
importante da prendere in considerazione è quello di non scegliere
fiabe che trattano solo il tema della malattia e dell’ospedalizzazione
perché i bambini potrebbero mostrare un diretto rifiuto. I temi da
affrontare sono vari: il coraggio, la paura e anche la morte, temi
ricorrenti nelle fiabe dove si parla di eroi che lottano contro il male, in
questi casi i protagonisti del racconto sono quasi sempre gli animali,
perché rendono il racconto più fantastico e il bambino non viene
preso dal timore che alcuni eventi possano accadere anche a lui. La
fiaba svolge anche l’importante funzione di dare spazio
all’immaginario, di fantasticare e sognare, concedendo così al
bambino momenti di pausa, di distrazione dai dolori della malattia e
dall’ambiente dell’ospedale, fantasticando su nuovi mondi.
Durante la mia attività di tirocinio formativo, ho presentato un
progetto intitolato: “La lettura in ospedale”, nel quale ho scelto
accuratamente un percorso di fiabe per i bambini.
Le attività che ho svolto sono state: la narrazione di storie di
vita con gli adolescenti; presentazione di libri pop-up e di fiabe scelte
per temi e per fasce di età con l’obiettivo di promuovere la lettura in
gruppo e ad alta voce, permettere lo sviluppo del linguaggio e della
memoria; drammatizzare alcune storie e interpretare le immagini con
la finalità di dare spazio all’immaginario e all’attività motoria.
Un altro importante obiettivo è stato quello di coinvolgere i
genitori nelle varie attività per potenziare appunto la funzione
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genitoriale nel contesto e per informare i genitori circa le fasi dello
sviluppo del bambino alle quali stare attenti e rispettare.
Ho effettuato con bambini e ragazzi anche un’attività sulla
quaresima, illustravo loro il tema del Vangelo di ogni Domenica di
quaresima e poi illustravano il messaggio recepito con un disegno e
con risposte scritte alle domande che io ponevo, abbiamo realizzato
così un cartellone per ogni settimana fino ad arrivare alla settimana
Santa di Pasqua.
Dopo tutto il percorso formativo sulle fiabe e sulla lettura, ho
chiesto ad ogni bambino di provare da solo ad inventare una storia
per costruire un libro tutto loro, molti bambini sono riusciti
nell’invenzione e altri hanno raccontato invece un loro sogno o un
desiderio.
L’esperienza di tirocinio ha avuto esiti positivi con la presenza
anche di qualche difficoltà, ma con un buon riconoscimento del
lavoro nel contesto di azione. Il guadagno più grande di questa
esperienza è stato quello che ho imparato dagli sguardi dei bambini.