INTRODUZIONE
Nel 2008 si è tenuta a palazzo Medici-Riccardi, a Firenze, la conferenza di
presentazione della Madonna del Cardellino di Raffaello Sanzio (1483-1520), dopo
il lungo restauro che ha interessato il capolavoro e in occasione della relativa mostra,
tenutasi prima del suo definitivo rientro nella sala 26 della Galleria degli Uffizi,
intitolata “L'amore, l'arte e la grazia. Raffaello: la Madonna del Cardellino
restaurata” (23 novembre 2008-1 marzo 2009), curata da Marco Ciatti,
soprintendente dell'Opificio delle Pietre Dure (OPD) e Antonio Natali, direttore della
Galleria degli Uffizi, con la collaborazione della restauratrice Patrizia Riitano.
Prendendo spunto dalle peculiarità che contraddistinguono quest'opera, ho deciso di
approfondirne le vicende storico-artistiche e conservative.
La mia tesi, infatti, si articola in due parti, nella prima ho intrapreso un'indagine
iconografica sull'opera, andando anche ad indagare sulle travagliate vicende storiche
che l'hanno vista protagonista; successivamente ho analizzato il tema della Madonna
con Bambino, tipologia figurativa conosciuta e apprezzata in tutta l'arte sacra
cristiana e ampiamente trattata dall'artista nella propria carriera; nella seconda,
invece, ho posto l'attenzione sui vari restauri che l'hanno coinvolta in epoche passate,
per poi finire con un'approfondita analisi del recente restauro. Nel 1999 è iniziata la
fase di studio della tavola, con il suo trasferimento nei laboratori della Fortezza da
Basso (Opificio delle Pietre Dure), luogo in cui è avvenuto il delicato e difficile
restauro, che, nonostante le condizioni critiche in cui verteva sia il supporto ligneo
che lo strato pittorico del dipinto, ha avuto dei risvolti inaspettati.
Pertanto lo scopo di questo lavoro è quello di ripercorrere la storia della tavola dalle
sue origini fino all'incidente del 1547, in seguito al quale l'opera si è fratturata in
varie parti, per poi terminare, dopo aver analizzato gli elementi stilistici e
compositivi che hanno ispirato e influenzato la produzione artistica di Raffaello, con
il più recente intervento di restauro, che ha liberato il dipinto dall'ingiallimento
dovuto ad una pesante patina che vi era stata stesa sopra durante uno dei due
interventi di restauro ottocenteschi e dalle ridipinture accumulatesi sulla superficie
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nel corso dei secoli.
Nel primo capitolo, ho raccontato la storia del dipinto, commissionato, secondo il
racconto di Giorgio Vasari, dal ricco mercante Lorenzo Nasi in occasione delle sue
nozze con Sandra di Matteo Canigiani fino al tragico evento del 1547, in cui, a causa
di una frana, Palazzo Nasi crolla e il dipinto si rompe in vari pezzi, che vengono
raccolti da Giovanbattista, figlio di Lorenzo, e fatti restaurare, secondo le notizie
pervenute ma non certe, da Ridolfo del Ghirlandaio. Successivamente l'opera, rimane
proprietà della famiglia Nasi fino all'estinzione di quest'ultima e dopo alcuni
passaggi di proprietà, viene accolta tra i capolavori della Tribuna degli Uffizi (1704).
In seguito mi sono concentrata sull'indagine iconografica e sul significato simbolico
degli oggetti e delle figure rappresentate, quali la Madonna con il Bambino e San
Giovannino immersi in un prato fiorito, all'interno di un paesaggio pastorale. Dietro
l'immagine di una tranquilla scena familiare, si nascondono precisi significati
simbolici, come il cardellino, che allude al futuro sacrificio di Cristo; da qui ho
istituito un confronto con le altre due coeve Madonne a figura intera, eseguite
durante il periodo fiorentino, la Madonna del Belvedere o del Prato e la Bella
Giardiniera, che con essa condividono, oltre ai medesimi simbolismi, anche la
struttura piramidale, i personaggi e l'ambientazione campestre. Delle tre tavole, la
cosiddetta Bella Giardiniera, che è al Louvre, è la più tarda; mentre la Madonna del
Prato, che è a Vienna e fu commissionata da Taddeo Taddei, e quella del Cardellino,
sono talmente vicine tra loro, dal punto di vista cronologico, che risulta difficile
stabile quale delle due sia stata compiuta per prima. Infine ho evidenziato le grandi
capacità elaborative dell'artista che, partendo dallo studio dei due michelangioleschi
tondi Pitti e Taddei, ne sfrutta il formato circolare e le possibilità compositive da esso
offerte, sperimentandolo e adattandolo in alcune proprie raffigurazioni, quali la
Madonna d'Alba e la Madonna della Seggiola.
Nel secondo capitolo, tramite lo studio degli esordi artistici di Raffaello, ho voluto
seguire le fasi evolutive della sua arte, partendo dalla formazione nella bottega
paterna, fino alle proficue collaborazioni con artisti quali Perugino, Pinturicchio e
Signorelli. Nel 1504, durante il breve soggiorno a Firenze, centro propulsore della
“maniera moderna”, Raffaello ha modo di ammirare le novità introdotte da Leonardo
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e Michelangelo, nelle opere eseguite a Palazzo Vecchio e di collaborare con Fra
Bartolomeo; in quei quattro anni il pittore mostra la propria innata attitudine
nell'assimilare forme e tecniche di altri artisti e di rielaborarle, sfruttando la propria
capacità disegnativa, in uno stile del tutto personale in cui i personaggi si distinguono
per l'armonia e la grazia delle fisionomie, dei gesti e degli sguardi. In particolare,
nelle tre Madonne del periodo fiorentino, Raffaello dimostra di aver messo a frutto le
proprie conoscenze riguardo alle innovazioni di Leonardo, Michelangelo e Fra
Bartolomeo. Dal primo, e dal suo cartone della Sant'Anna, riprende la disposizione
piramidale del gruppo delle figure, la morbidezza degli incarnati e la varietà dei moti
dell'animo che in Raffaello si traducono in un approccio più umano nei legami
affettivi tra i personaggi sacri. Dal secondo, in particolare dal Tondo Doni e dalla
Madonna di Bruges, la torsione dei corpi e la consistenza plastica delle anatomie,
così come l'invenzione del piede del Bambino poggiato su quello della Madre. Dal
terzo, la sensibilità coloristica nella resa del chiaroscuro, la varietà naturalistica e la
fusione atmosferica degli sfondi paesaggistici. In seguito ho analizzato il rapporto di
reciproca ispirazione esistente tra Raffaello ed alcuni esponenti della famiglia Della
Robbia, Luca e Girolamo in particolare, il quale esegue una scultura nella quale
riprende il tema e la composizione della Bella Giardinera raffaellesca, a
testimonianza dell'influenza esercitata dall'arte di Raffaello sulla coeva scultura
fiorentina.
Infine, nel terzo capitolo, ho descritto i restauri effettuati dopo il primo intervento
del 1548 , in particolare quelli del 1804 e del 1821 ad opera di Vittorio Sampieri e
di Domenico Del Podestà; successivamente ho affrontato le varie fasi del lungo
restauro moderno.
Il lavoro di quest'ultimo restauro si è articolato in diverse fasi, il primo obiettivo è
stato quello di individuare quali fossero i materiali pittorici usati da Raffaello, quali
da Ridolfo del Ghirlandaio e quali dai restauratori successivi; infatti la pesante
stratificazione di materiale, depositata sul dipinto, nel tempo si era alterata a tal punto
da nascondere la policromia raffaellesca che, nonostante ciò, manteneva un discreto
stato di conservazione. Al fine di avere maggiori conoscenze riguardo alle tecniche
adoperate dall'artista e di comprendere quale fosse il reale stato di conservazione del
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dipinto sono state eseguite una serie di indagini diagnostiche quali RX, TAC, IR ecc.
privilegiando quelle meno invasive, con lo scopo di riconsegnare al dipinto una
corretta lettura dei suoi valori espressivi. Al termine di questo lungo processo di
restauro, la tavola è stata inserita all'interno di una cornice-teca climatizzata, in modo
da salvaguardarne l'integrità e la conservazione nel tempo e da favorirne un continuo
monitoraggio per attuare, qualora se ne presenti la necessità, ulteriori interventi di
manutenzione.
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1. INDAGINE STORICO-ARTISTICA DELL'OPERA
Il dipinto rappresenta la Vergine seduta con il figlio fra le ginocchia mentre accarezza
un cardellino che gli viene proteso da san Giovannino (fig. 1).
1.1. Storia
Il più antico riferimento dell'opera proviene dalle Vite di Giorgio Vasari che,
nell'edizione del 1568, ne fa' una descrizione dettagliata, così da consentirne
l'identificazione con il dipinto presente agli Uffizi. Dallo stesso manoscritto si evince
che l'opera venne eseguita da Raffaello Sanzio per l'amico Lorenzo Nasi, il quale
aveva “preso donna in que' giorni”
1
e che casa Nasi, a seguito della frana della costa
a San Giorgio, aveva subìto un crollo, e sempre secondo lo scrittore aretino, tale
evento era da collocare al 17 novembre del 1548. Tuttavia, successivamente il
Milanesi, in una nota alla vita vasariana dell'edizione del 1879
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, anticipa la data del
crollo al 12 novembre 1547, basandosi sulle testimonianze di Domenico Maria
Manni
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. A causa di quell'evento l'opera rimase sotto le rovine subendo considerevoli
danni, ma la passione per l'arte di Giovanbattista, figlio di Lorenzo, lo portò al
recupero e alla ricomposizione dei frammenti “in quel miglior modo che si potette”
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.
Secondo il Gamba
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, invece, l'opera fortemente danneggiata, sarebbe stata affidata a
Michele di Ridolfo del Ghirlandaio per restaurarla, ma tale ipotesi, essendo stata
avanzata solo in base a considerazioni puramente stilistiche è da ritenersi non
attendibile ai fini della ricostruzione storica del dipinto. Dall'analisi delle radiografie
eseguite sull'opera, in occasione della mostra del 1984, le sue condizioni dovevano
essere preoccupanti: infatti il supporto ligneo era diviso in lunghe schegge verticali,
1 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori ed architettori, Firenze 1568, ed. 1878-1885, IV
(1879), pp. 321-322.
2 Ivi, p. 322, nota 1.
3 D.M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi de' secoli bassi, 1739-1784, XXI (1770),
pp. 29-38.
4 G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori ed architettori, Firenze 1568, ed. 1966-1987, IV,
p. 61.
5 C. Gamba, Pittura umbra del Rinascimento. Raffaello, Novara 1949, p. 51.
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