5
Prime false partenze fino a Un giorno d’impazienza
Io lavoro sempre a un unico libro, e a questo libro
sempre ritorno. Tutto quello che ho scritto, almeno
le cose maggiori, e certamente anche le post-fazioni,
fanno parte di quest’unico libro.
Raffaele La Capria
1
1.1.L’apprendista scrittore: “uomo” e “personaggio” in Una lettera del ’43
Intraprendere uno studio sull’opera di Raffaele La Capria sottopone al rischio di intraprendere
uno studio su Raffaele La Capria? Per meglio dire, pone il dubbio se l’opera di La Capria sia
un’opera su La Capria? Cedere alla tentazione di «spiegare La Capria con La Capria»
2
è
un’operazione intrigante almeno quanto è ardito proporre interpretazioni dei testi non
allineate alle versioni ufficiali. Le molteplici suggestioni della sua opera non hanno goduto
della bibliografia critica che avrebbero meritato, se non da parte di alcuni studiosi che l’hanno
seguita con costanza e ammirazione, tra i quali sono da citare almeno Silvio Perrella, curatore
dei due Meridiani a lui dedicati a distanza di dieci anni (il primo, edito nel 2003, in occasione
degli ottant’anni dello scrittore; il secondo, un decennio piø tardi, suddiviso in due volumi,
sottolineando la fertilità creativa della fase piø recente della sua carriera); Alfonso
Berardinelli, che ne celebra spesso la singolarità nel panorama nazionale e la scelta saggistica
del periodo piø recente nell’epoca della congestione del genere-romanzo
3
; e Goffredo Fofi,
conclamato ammiratore della peculiarità dello scrittore napoletano, quello «“stile dell’anatra”,
lo stile della leggerezza che non si vede e che è il piø difficile da costruire, e della sua
condivisibile impazienza […], dei suoi “umori e malumori”»
4
. Da par suo, quale loquace,
generoso e severo «esploratore delle proprie intenzioni» che sviscera «ciò che si ha in mente
1
Elisabetta Rasy, Un unico libro, “Panorama”, 22 maggio 1988, in La Capria, Me visto da lui stesso, op. cit., p.
50.
2
Eugenia Roccella, in 9 modi di leggere “Ferito a morte” di Raffaele La Capria: antologia di giudizi critici,
Fausto Fiorentino editore, Napoli 1998, p. 81.
3
Cfr. Alfonso Berardinelli, Non incoraggiate il romanzo, Marsilio, Venezia 2011. Riferendosi alla produzione
contemporanea, dominata da una logica industriale e commerciale, il critico parla dell’inesistenza del
“Romanzo” e della massiccia presenza di “romanzi” e “romanzieri”. Accanto alle esperienze di Franco Cordelli
e Walter Siti, il caso di La Capria, che ha abbandonato il genere romanzo nella sua forma classica, è considerato
singolare e interessante per la scelta di mostrarsi al mondo con una semplicità espressiva atta a comprenderne la
molteplicità nell’ambito di una saggistica narrativa che s’alimenta anche della prospettiva autobiografica.
4
Goffredo Fofi, Uno dei nostri, in “Internazionale”, 6 novembre 2004
[http://www.internazionale.it/opinione/goffredo-fofi/2013/11/06/uno-dei-nostri (ultima consultazione: 19 giugno
2016)].
6
prima durante e dopo lo scrivere» perchØ «lo scrivere aiuta esso stesso a capire»
5
, La Capria,
interrogato dall’esegeta Perrella sul rapporto tra tempo della vita e tempo della scrittura,
individua nella scrittura dei libri «lo scopo dell’esistenza» per «capire che ci sto a fare nel
mondo e perchØ ci sto»
6
. ¨ una tesi piø volte sostenuta e diversamente articolata:
tutti i miei testi, narrativi o saggistici, sono tasselli di una autobiografia […] involontaria, in cui
parlo di me parlando d’altro, e parlo d’altro parlando di me […]. Per spiegare la mia vita, devo
risalire alla storia della mia città; e per spiegare la mia città servono anche favole, ossia un
rigoroso lavoro sull’immaginazione che dia conto di certi enigmi, di certe distorsioni del pensiero
e del sentimento. […] Ciascuno dei miei libri spiega tutti gli altri, e ne è spiegato
7
.
Nato nel 1922 nel quartiere napoletano di Posillipo, figlio di un commerciante di grano e
nipote, da parte materna, di un direttore della Banca d’Italia, La Capria fa parte della tipica
borghesia liberale partenopea. Allievo del Regio Liceo-ginnasio Umberto I, istituto noto per il
preside crociano e gli insegnanti d’ispirazione laica, è compagno di classe di Giuseppe Patroni
Griffi (futuro commediografo, rinnovatore della commedia borghese teatrale del secondo
Novecento), Antonio Ghirelli (che sarebbe diventato giornalista e capoufficio stampa della
Presidenza del Consiglio durante il ministero Craxi) e Francesco Compagna (la cui carriera
accademica avrebbe raggiunto il culmine negli anni settanta con l’incarico al dicastero dei
Lavori pubblici nei governi Spadolini, Andreotti e Forlani). Nella stessa scuola studiano
Giorgio Napolitano (primo Presidente della Repubblica di estrazione comunista), Francesco
Rosi (maestro del cinema civile italiano) e Massimo Caprara (giornalista e segretario
personale del segretario comunista Palmiro Togliatti).
Come quasi tutti i suoi coetanei, La Capria matura all’interno dei Gruppi universitari fascisti
e, benchØ possa sembrare paradossale, questi collettivi permettono agli adolescenti nati e
cresciuti in una società imprescindibile dal fascismo di conoscere testi ed esperienze
alternative al regime. Quello dell’Umberto I, raccolto attorno al settimanale IX maggio, «un
vero e proprio vivaio di energie intellettuali antifasciste, mascherato e fino a un certo punto
tollerato»
8
, per certi versi il ceppo napoletano dell’Ølite culturale di sinistra del secondo
5
Raffaele Manica, La Capria si interpreta, in Raffaele La Capria, Introduzione a me stesso, Elliot, Roma 2014,
p. 7.
6
Raffaele La Capria, Da «Me visto da lui stesso». Conversazione con Silvio Perrella, in Id., Opere (Tomo
secondo), (a cura di Silvio Perrella), i Meridiani Mondadori, Milano 2013, p. 2251.
7
Paolo Virno, La vita non passa per la cruna dell’Ego, “il manifesto”, 16 maggio 2001, in Raffaele La Capria,
Me visto da lui stesso. Interviste 1970-2001 sul mestiere di scrivere, (a cura di Silvio Perrella), Manni, Lecce
2002, pp. 200-201).
8
Cfr. Edmondo Berselli, Lord Giorgio d’Italia, “l’Espresso”, 18 maggio 2006
[http://www.edmondoberselli.net/lord-giorgio-ditalia/ (ultima consultazione: 26 settembre 2016)].
7
dopoguerra, dà origine a «due filoni, quello comunista e il […] liberaldemocratico»
9
. ¨ il
primo nucleo in cui si forma La Capria, «mai dentro la chiesa del Partito comunista» nØ
«intellettuale organico» («a me del comunismo non me ne è mai importato nulla, per via di
quella che chiamo “logica elementare” che si contrappone alla “logica ideologica”»)
10
.
Nel 1945 nasce la rivista Sud, diretta da Pasquale Prunas, che oltre a Compagnone, La Capria
(vi scrive di letteratura angloamericana) e Rosi (sul fronte cinematografico), vanta anche le
firme di Anna Maria Ortese e Domenico Rea, tra le voci piø importanti della narrativa su
Napoli degli anni cinquanta. I loro nomi s’intrecciano nella storia della città e «si dilatano a
comprendere la storia di un Sud da ridisegnare e proporre come terra nuova e colta». Sono i
componenti di uno straordinario avamposto intriso d’intellettualità meridionale che, raggiunta
la maggiore età, abbandonano la città natia «senza mai dimenticarla, senza mai tradirla, senza
mai esorcizzarne il valore»
11
.
Inoltre, dopo la guerra, laureatosi frattanto in Giurisprudenza, La Capria ha l’occasione di
conoscere Alberto Moravia, già insigne romanziere, ed Elsa Morante, in procinto di dare alle
stampe Menzogna e sortilegio, ospiti nella villa a Capri di Curzio Malaparte, «uno
strapaesano fascista sulla via di un comunismo nazionale»
12
: negli ultimi anni di permanenza
napoletana, in un particolare momento storico di transizione generale, La Capria comincia ad
entrare in contatto con un mondo letterario intenzionato ad allacciare rapporti propedeutici al
lavoro creativo ed intellettuale e, talvolta, di natura anche affettiva.
Questo fermento culturale s’intensifica, infatti, quando nel ‘50, assunto alla Radio, La Capria
si trasferisce proprio nella capitale: è qui che coltiva il piacere della condivisione, del
confronto e del dialogo con i poliedrici letterati del giro romano, impegnati su piø fronti
proprio per le peculiarità di una città centro culturale, produttivo, editoriale, cinematografico
(val la pena ricordare che scrittori come Mario Soldati, Vitaliano Brancati, Giorgio Bassani,
Ennio Flaiano, Cesare Zavattini, lo stesso Moravia prestano le proprie penne al cinema), una
9
Francesco Erbani, La Capria: “Io e Rosi a passeggio insieme, così nacque le Mani sulla città”, “la
Repubblica”, 11 gennaio 2015
[http://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2015/01/12/news/la_capria_io_e_rosi_a_passeggio_insieme_cos_na
cque_le_mani_sulla_citt-104768784/ (ultima consultazione: 26 settembre 2016)].
10
Salvatore Merlo, Vita, eros, tanatos e Dudø, “Il Foglio”, 11 marzo 2016
[http://www.ilfoglio.it/cultura/2016/03/11/vita-eros-tanatos-dud___1-v-139296-rubriche_c395.htm (ultima
consultazione: 26 settembre 2016)].
11
Giulio Baffi, Napolitano, La Capria, Patroni Griffi. Quei ragazzi con il mare negli occhi, “la Repubblica”, 26
aprile 2015
[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/01/11/napolitano-la-capria-patroni-griffi-quei-
ragazzi-con-il-mare-negli-occhiNapoli02.html (ultima consultazione: 26 settembre 2016)].
12
Berselli, Lord Giorgio d’Italia, op. cit.
8
«irradiazione delle proprie capacità» che si sviluppa «nei ristoranti di via della Croce, […] nei
caffè di piazza del Popolo, oppure di via Veneto»
13
.
Nel corso del decennio, debutta come romanziere e collabora a Il Ridotto, una rubrica
radiofonica di notizie teatrali: i suoi colleghi sono Enzo Siciliano, Alberto Arbasino, Attilio
Bertolucci, Luigi Malerba, Angelo Guglielmi, Sandro De Feo, Ercole Patti, Nicola
Chiaromonte e numerosi altri. ¨ interessante osservare come la Rai garantisse, senza troppe
perifrasi, uno stipendio fisso ad una vasta schiera di intellettuali arruolati con incarichi non
eccessivamente gravosi («non ho nessuna attitudine al lavoro. L’unica cosa che so fare è, bene
o male, usare le parole») ma in grado di dettare, ognuno a proprio modo, una linea nell’alveo
della principale azienda culturale nazionale («so giudicare quello che leggo e infatti in Rai
cominciai a visionare i copioni degli sceneggiati»
14
). Questo excursus fa emergere come la
personalità del giovane scrittore si sia alimentata delle amicizie e delle frequentazioni
assicurate da una parte dal gruppo napoletano, con cui i legami sono continuati per tutta il
corso della vita, e dall’altra dai circoli romani, all’apogeo della vitalità.
Eravamo venuti a Roma senza essere niente e nessuno, e in pochi anni eravamo tutti
conosciutissimi. Certo, è tutto questo che ha generato gratitudine verso la città che ci ha dato
questa possibilità. La verità è che Roma è un luogo di passaggio, anzi un albergo in cui stai bene,
da ospite, anche se non sei romano. […] Roma non è come Napoli dove devi per forza confrontarti
con la città in blocco. […]
[Roma] era una città piacevole, e per me piena di amici; nella mia stessa condizione si trovavano
molti intellettuali venuti da tutte le parti d’Italia. Quindi si formavano naturalmente dei punti
d’incontro […] C’era il “Mondo”… c’era Visconti nel teatro, poi c’era il cinema, e tutti i grandi
maestri del neo-realismo: Rossellini, De Sica, il primo Fellini, e poi gli sceneggiatori… scrivere
sceneggiatura era una delle attività piø ambite perchØ piø remunerative di altre. Era l’epoca in cui
si scontravano, fondamentalmente, la cultura cattolica e quella marxista […] La cultura laica era
rappresentata da Pannunzio, […] io avevo sposato la nipote di Ernesto Rossi. […] Rossi era un
intellettuale […] talmente indipendente da essere quasi un anarchico. Un giornalista straordinario,
un antifascista che aveva passato una parte della sua vita in carcere. […] Inventò slogans
fulminanti come quello, famoso, degli “utili idioti”.
13
Claudio Velardi, Albergo Roma, in La Capria, Me visto da lui stesso, op. cit., p. 99.
14
Antonio Gnoli, Straparlando. Raffaele La Capria, “la Repubblica”, 1° ottobre 2012
[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/10/01/raffaele-lacapria.html
(ultima consultazione: 26 settembre 2016)].
9
[…] era una società, la nostra, un po’ alla buona ma colta, con intorno una borghesia un po’
sgangherata, non come quella francese. Non è che ci fossero poi tanti riti mondani, forse solo il
premio Strega lo era per qualche verso, e il salotto Bellonci
15
.
Per conoscere meglio l’opera di La Capria non si può, quindi, trascurare questa fertile e
stratificata formazione, culturale e al contempo umana, prima napoletana e poi romana, a sua
volta intimamente legata al clima fiducioso del dopoguerra e alla necessità di aggregarsi e di
scoprire nuove esperienze dopo il ventennio fascista
16
.
A questo punto bisogna evidenziare che l’opera di La Capria si presenta anzitutto come un
laboratorio di scrittura che, considerato nella sua completezza con un necessario sforzo di
sintesi, si divide in due parti: la prima, molto parca e al contempo densa, dedicata all’istituto
del romanzo, alle sue infinite possibilità e alla sua deflagrazione, con Un giorno d’impazienza
(1952), Ferito a morte (1961), Amore e psiche (1973); e la seconda, annunciata dalla raccolta
Fiori giapponesi (1979) e soprattutto dalla “fantasia storica” de L’armonia perduta (1986) e
sviluppata tra racconti, raccolte, saggi e riflessioni segnata dall’ambizione alla semplicità che
trova nell’anatra galleggiante nell’acqua la figura referente. ¨ una suddivisione che, per
quanto approssimativa, permette di dare un ordine ad un’opera magmatica al cui interno si
stabiliscono rapporti tra i testi apparentemente fortuiti eppure legati, perciò da interpretare in
quanto frammenti di un progetto piø complesso, un testo unico. BenchØ forse condizionata
dalla maturità artistica ed anagrafica, è una consapevolezza chiara sin dai primi lavori: questo
“libro unico” è «un libro “monstre” secondo una idea novecentesca del romanzo», sulla scia
di «Proust, Joyce, Hermann Broch», «genìa di geni» di cui La Capria si considera «l’ultimo
indegno rappresentante»
17
. Il testo accoglie una ricerca personale nei termini di un’autoanalisi
i cui strumenti sono adoperati «“en artiste” allo scopo di ricavarne suggestioni»
18
e che ha
come risultato formale la produzione di una controfigura, Candido, protagonista di False
partenze. Frammenti per una biografia letteraria (1974).
In questa antologia di saggi e scritti di varia natura che si propone come vero e proprio work
in progress per la mobilità dei testi, La Capria sperimenta una particolare via romanzesca alla
saggistica (o, viceversa, una particolare via saggistica al romanzo)
19
. La “falsa partenza”
15
Velardi, Albergo Roma, op. cit., pp. 84-91.
16
Cfr. Cronologia, in La Capria, Opere (Tomo primo), op. cit., pp. LVII-LXXIV.
17
Rasy, Un unico libro, op. cit., p. 50.
18
Grazia Cherchi, La cicala e le formiche, “Panorama”, 22 ottobre 1989, in ibidem, p. 55.
19
La prima parte della prima edizione di False partenze (Bompiani, Milano 1974) accoglie i frammenti di
Candido, che nascono nel 1957 per il Terzo Programma della Rai, compaiono in apertura della raccolta Tre
romanzi di una giornata (Einaudi, Milano 1982) e ritornano nella seconda edizione di False partenze
(Mondadori, Milano 1995). Nella seconda parte della prima edizione trovano spazio alcuni saggi sugli anni
10
proviene da Belli e dannati di Francis Scott Fitzgerald, un «ricominciare ogni volta tutto da
capo come se fosse la prima volta», subendo o cercando il fallimento, facendo collimare il
contenuto della propria scrittura con una costante messa alla prova del metodo compositivo,
nella prospettiva di un esordio che si ripete incessantemente
20
. E, almeno per quanto riguarda
la prima parte dell’opera di La Capria, le distanze temporali che intercorrono tra le edizioni
dei primi tre romanzi (nove anni tra il primo e il secondo, undici tra il secondo e il terzo)
suggeriscono l’idea di uno scrittore che debutta ogni qualvolta pubblichi un nuovo lavoro
21
.
¨ una notazione che aiuta bene a definire l’incidenza della falsa partenza nel percorso di La
Capria: per mezzo di questa evocazione, vuole alludere alla tendenza a cominciare qualcosa
«col piede sbagliato» e «in tempi di miseria politica, quando non era facile stabilire il confine
tra vero e falso, tra il dato di fatto e la sua deformazione ideologica», scoprendosi quindi
impossibilitato a «convertire qualsiasi conoscenza in saggezza» e a raggiungere «la stessa
libertà umana»
22
. PoichØ «la storia di tutti inevitabilmente si mescola alla storia personale»,
sussistono delle cause storiche che s’intrecciano alle motivazioni biografiche per cui La
Capria rappresenta con la falsa partenza un conflitto interiore indissolubilmente legato al
contesto storico ed ambientale: «da una parte il fascismo, dall’altra Napoli, una città con la
quale ha da subito instaurato un “poetico litigio”»
23
.
La prima parte di False partenze include i frammenti di Candido: la narrazione in carattere
corsivo procede in terza persona e si alterna alla voce stessa dell’autore in carattere tondo e in
prima persona. Entrambe le voci hanno una dimensione autobiografica, in un quadro come
quello italiano diffidente al genere dell’autobiografia letteraria perchØ «forse è considerato
sconveniente parlare di se stessi e delle proprie esperienze tra i libri e gli avvenimenti che ci
hanno formato» ma che si presenta in quanto «testimonianza individuale del tempo che
abbiamo attraversato» per «spingere la coscienza collettiva ad interrogarsi»
24
. Se nella
letteratura straniera i modelli sono quelli di Isherwood, Spender, Orwell, in Italia il filone è
sessanta (Il “nuovo romanzo” sta aspettando Godot, Nel labirinto con Robbe-Grillet, Considerazioni sul
romanzo, Due punti di vista) che nella seconda edizione vengono sostituiti da alcuni episodi autobiografici degli
anni, Quaranta e Cinquanta (Posillipo ’42, Napoli ’44-45, Sud ’45-47, Gli anni di Moravia, L’impazienza e le
false partenze).
20
Silvio Perrella, Il mondo come acqua, in La Capria, Opere (Tomo primo), op. cit., pp. XI-XII.
21
Curiosamente in un’intervista a La Capria del 1970, Franca Leosini dice «Lei ha debuttato clamorosamente
sulla scena letteraria con Ferito a morte» senza che lo scrittore precisi che in realtà trattasi dell’opera seconda
(Leosini, Scrivere dopo Ferito a morte, “Harper’s Bazar”, 10 ottobre 1972, in La Capria, Me visto da lui stesso,
op. cit., p. 27).
22
Raffaele La Capria, Novant’anni d’impazienza, Minimum fax, Roma 2013, pp. 69-70.
23
Perrella, Il mondo come acqua, op. cit., p. XI.
24
Raffaele La Capria, Cinquant’anni di false partenze ovvero l’apprendista scrittore, Minimum fax, Roma
2002, pp. 52-53.
11
legato ad esperienze disparate, da Italo Calvino ora saggista allusivo ora narratore evocativo
al lungo viaggio attraverso il fascismo di Ruggero Zangrandi
25
. In quest’ottica, la dinamicità
della struttura è sintomo della dinamicità della scrittura e viceversa, un «processo di continua
chiarificazione della scrittura per mezzo di un’altra scrittura che è l’opera di La Capria» e al
contempo il racconto dell’«approdo alla maturità» di «uno scrittore che ha imparato ad
abbandonarsi al flusso della prosa e sa concentrare in un’immagine tutta la sua sapienza»
26
.
Per mezzo di questa scissione tra io romanzesco e io autobiografico, con l’intenzione di
affrontare «una situazione di inadeguatezza del protagonista nei confronti di quello che gli
accade, di ciò che gli porta la vita» e che «agisce trovandosi di fronte […alla] difficoltà
dell’innocenza», La Capria costruisce il personaggio di Candido partendo dal significato
dell’aggettivo e dall’inevitabile richiamo a Voltaire (benchØ in quel caso «si tratta un po’ di
un burattino dello scrittore, piø che il suo personaggio è interessante Voltaire»), essendo
consapevole di non poter essere distaccato dall’io che parla nei suoi libri. Il «grande archetipo
del Candido, che a volte è destinato ad essere fregato dalla vita», ma anche «un Candido
perverso» le cui ingenuità e perversione appaiono le componenti fondamentali di «un
peccatore […] che riconosce i baratri della vita, ma non può fare niente per evitarli». Se il
“soggetto che viene scritto” trova terreno fertile avvalendosi di una memoria che attinge «a
dei depositi di felicità passata che in realtà non sono mai esistiti», il “soggetto scrivente” torna
«sullo stesso fatto, sullo stesso frammento di vita vissuta, per scriverne da un altro punto di
vista […] perchØ non hanno ancora smesso di agire dentro» l’autore stesso
27
.
Da subito, quella di La Capria risulta una «scrittura del dopo», la «storia di una seduzione»
che usa l’elemento intellettuale per raccontare a posteriori un apprendistato, la cui astuzia
«non va cercata nel romanzo o nei pensieri del […] protagonista, ma nel modo in cui ha dato
forma al romanzo, e ne fatto stesso di averlo scritto»
28
. Un esempio abbastanza paradigmatico
dell’artificiale equilibrio tra distacco dell’io scrivente e memoria dell’io narrato è Una lettera
del ’43, capitolo in forma di racconto di False partenze. Il testo, «che La Capria ha sempre
portato con sØ, fondendolo nelle altre sue opere, trasformandolo secondo la cavatura che il
25
Da citare almeno: Italo Calvino, L’entrata in guerra, Einaudi, Torino 1954; Ruggero Zangrandi, Il lungo
viaggio attraverso il fascismo. Contributo alla storia di una generazione, Einaudi, Torino 1962.
26
Notizie sui testi, in La Capria, Opere (Tomo secondo), op. cit., pp. 2306-2307.
27
ibidem, pp. 2285-2291.
28
Domenico Scarpa, Mente narrante in corpo vivente, in Raffaele La Capria. Letteratura, senso comune e
passione civile, (a cura di Paolo Grossi), Liguori, Napoli 2002, p. 23.
12
tempo via via imprimeva alla sua scrittura», fu scritto «in Puglia, in una zona di operazioni
militari» e dato alle stampe «solo trent’anni dopo la sua stesura»
29
.
Giunto al momento in cui «agli inizi del ’43, Candido fu chiamato alle armi», il narratore
onnisciente e il carattere corsivo cedono il passo alla prima persona e al carattere tondo:
Non capita tutti i giorni, qui, di avere carta e penna disponibili, un tavolo, sia pure improvvisato, e
una o due ore di raccoglimento. Forse perciò ho deciso di approfittare dell’occasione – o
l’occasione lo ha deciso per me – per fare una piccola indagine alla ricerca di qualcuno: in quale
altro modo potrei esprimermi quando mi riferisco a me stesso?
Una dichiarazione d’intenti o quasi: c’è un io, da connettere a Candido, colto in una
situazione di difficoltà (è in guerra), che si ritrova con carta, penna e del tempo a disposizione
e decide, attraverso la scrittura, di ragionare su di sØ.
Qualcuno che non so bene chi sia, nemmeno se è un uomo o un personaggio. Già, dovrei subito
spiegare che cosa voglio dire, e non mi è facile, io ho una difficoltà ad esporre le mie idee […].
Allora diciamo che secondo me – e proprio perchØ già cominciò a dubitarne – un uomo sarebbe chi
s’appoggia su certezze e valori che gli altri possono condividere, e un personaggio no, deve in ogni
momento inventarsi chi è. Se l’uomo è tutto in quello che è e che fa, il personaggio non è mai tutto
in quello che è e che fa
30
.
E via così, con ulteriori distinzioni tra uomo e personaggio, l’uno «portato all’azione» e l’altro
che «non sa mai bene cosa lo spinge ad agire», l’uno «reale» e l’altro «solo». Il tema della
“maschera” sembra una reminiscenza pirandelliana, sebbene negata da La Capria
31
, e in una
visione piø ampia emerge la forte consapevolezza letteraria sul tema attorno a cui si sviluppa
la letteratura del Novecento. Quando, in una riflessione della tarda maturità, La Capria
esprime l’urgenza di raccontare il primo approccio con la poesia prediletta, affiora
esplicitamente l’influenza di Eugenio Montale nella Lettera del ’43: leggendo Avrei voluto
sentirmi scabro ed essenziale
32
, il ragazzo sente che quei versi «nel modo casuale […] mi
vennero incontro, e fecero coincidere la mia autobiografia con la poesia di Montale» e il
carattere epifanico di questa lirica trova nell’immagine del «coltello che recide» (v. 18) un
29
Perrella, Il mondo come acqua, op. cit., p. XII.
30
Raffaele La Capria, Da «False partenze». Frammenti per una biografia letteraria (1938-’48), in Id., Opere
(Tomo primo), op. cit., p. 33.
31
Col senno di poi: «I due termini di uomo e personaggio, nell’antitesi di cui parlo, non avevano nulla a che fare
con Pirandello, ma riguardavano appunto uno stato d’animo mio e di una generazione […]. Uomo come ragione,
illuminismo, passione ideologica, azione. Personaggio come la pura esistenza colta in qualsiasi momento di per
sØ insignificante, anzi tanto piø vicino al vero quanto piø insignificante» (Id, Il sentimento della letteratura, in
Id., Opere (Tomo secondo), op. cit., pp. 1357-1358).
32
Eugenio Montale, Ossi di seppia, Mondadori, Milano 2003, pp. 146-148.
13
simbolo della lacerazione all’origine dell’opera di La Capria
33
. In Avrei voluto, «l’io confessa
la sua incapacità di vivere senza “guardarsi vivere”, senza meditare sul “bollore / della vita
fugace” (vv. 7-8)», aspirando «a una scomposizione del reale, a un “crollo” che potrebbe,
secondo le filosofie del contigentismo, rivelare una verità» che però «non fa altro che creare,
nell’io, una condizione di costante incertezza, di dubbio e d’impossibilità di decidere»
34
.
Lo stato d’animo scaturito dalla lettura di Ossi di seppia è quindi preliminare a Una lettera
del ’43 e spiega bene come la figura dell’io-diviso attirasse l’interesse di molti coetanei dello
scrittore. Piø che uno scrittore “generazionale”, La Capria si scopre piuttosto una voce della
sua generazione segnata, peraltro, dalla personale interpretazione storico-sociale del celebre
verso finale di Non chiederci la parola («ciò che non siamo, ciò che non vogliamo», v. 12),
sostanzialmente privo del valore politico attribuito dagli antifascisti, ma comunque affine
all’intenzione montaliana di limitare «le facoltà della poesia all’energia del no […], alla forza
del rifiuto, alla conoscenza del negativo»
35
. Nella poetica di Montale, La Capria trova le
parole per penetrare se stesso e gli altri e l’influenza si dimostra centrale nei suoi primi lavori.
Mi venne incontro questo Montale con Meriggiare pallido e assorto / presso un rovente muro
d’orto. E con quei suoni che si perdono nell’immensità del giorno: schiocchi di merli, fruscii di
serpi e scricchi di cicale dai calvi picchi… Come conoscevo bene quei suoni e la gloria del disteso
mezzogiorno, e quella sensazione: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro […] / Poi come s’uno
schermo, s’accamperanno di gitto / alberi case colli per l’inganno consueto. Tutta la mia
“poetica”, se posso osare chiamarla così, stava nascendo da questi suoni, da queste parole, da
questa metafisica, da questo austero Montale […]. Ecco, anche in questo senso non piø storico ma
esistenziale, Montale fu per me il maestro.
Ed è anche grazie a questo magistero letterario che La Capria chiarisce la dualità tra “uomo” e
“personaggio” sfuggendo, dunque, all’evocazione di Pirandello: «Uomo come ragione,
illuminismo, passione ideologica, azione. Personaggio come la pura esistenza colta in
qualsiasi momento di per sØ insignificante, anzi tanto piø vicino al vero quanto piø
insignificante»
36
. Inoltre, alla maniera del Montale di In limine
37
, l’io lacapriano «resta “qui”
a riordinare le proprie vicende e memorie» con lo scopo finale «di sfuggire alla “rete” che lo
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«Non dimentichiamo che la mia generazione fu distrutta dalla prima guerra mondiale. […] La mia generazione
si affacciava in un mondo in trasformazione, sentiva di non poggiare i piedi sul sicuro. […] Sapeva soltanto ciò
che non voleva. Non voleva retorica. Non voleva contraffazioni. Non voleva contrabbandi. Non voleva
falsificazioni. Era il rifiuto di un’arte poetica che consideravamo superata» (La Capria, Il sentimento della
letteratura, op. cit., pp. 1359-1360).
34
Alberto Casadei, Montale, Il Mulino, Bologna 2008, p. 36.
35
Montale, Ossi di seppia, op. cit., pp. 57-59.
36
La Capria, Il sentimento della letteratura, op. cit., pp. 1354-1361.
37
Montale, Ossi di seppia, op. cit., p. 5-7.