Nella terza parte, infine, l’indagine comparata si concentrerà sul lavoro
delle organizzazioni regionali. Per quel che riguarda il blocco europeo, si presterà
maggiore attenzione al Consiglio d’Europa e alla NATO, per quello americano
all’Organizzazione degli Stati Americani, per l’Africa all’Unione Africana (ex
Organizzazione per l’Unità Africana) e, per i Paesi islamici, alla Lega Araba e
all’Organizzazione della Conferenza Islamica.
Un discorso a parte sarà infine dedicato all’Unione europea, non solo in
virtù dell’impegno dimostrato dall’Organizzazione nel combattere il terrorismo
internazionale, ma anche alla luce dell’esperienza di stage svolta presso la
Direzione generale “Giustizia Libertà e Sicurezza” della Commissione europea a
Bruxelles che, grazie al reperimento di materiale altrimenti non disponibile, ha
consentito un approfondimento e arricchimento del lavoro di tesi che,
diversamente, non sarebbe stato possibile.
Come ulteriore contributo in questo senso, nell’appendice dell’elaborato
saranno riportate tre interviste rilasciate dal Direttore generale, dal Capo Unità
“Lotta contro il terrorismo” e dal Capo Unità “Relazioni esterne”, finalizzate a
fornire un quadro più chiaro e completo del fenomeno e una migliore
comprensione dell’attuale scenario internazionale.
9
CAPITOLO PRIMO
DEFINIZIONE ED EVOLUZIONE
DEL TERRORISMO INTERNAZIONALE
10
1. Tentativo di definizione del fenomeno
Da decenni la questione del terrorismo e della sua definizione divide e fa
discutere gli attori della scena internazionale; infatti, la maggioranza degli studiosi
del settore concorda sull’assenza, nel diritto consuetudinario, di una definizione di
tale fenomeno
1
.
Sul piano del diritto internazionale, il punto è cruciale: stabilire che cosa si
intenda per terrorismo significa individuare i confini del fenomeno, vale a dire il
presupposto di qualsiasi analisi di diritto internazionale condotta in questo
settore
2
.
1
Uno dei motivi di divisione sulla questione è la distinzione tra questo fenomeno e le guerre di
liberazione nazionale. Secondo alcuni autori, infatti, quello che viene generalmente percepito a
livello internazionale come un disaccordo sulla definizione di terrorismo, deve essere considerato
in realtà un disaccordo su “un’eccezione” a tale definizione o, più esattamente, sull’esclusione
degli atti compiuti dai movimenti di liberazione nazionale dal novero degli atti terroristici.
Dal punto di vista giuridico, l’eccezione è motivata in relazione all’estensione, prevista dal
Protocollo I alle Convenzioni di Ginevra, dello status giuridico caratterizzante le forze armate di
uno Stato impegnate in un conflitto armato internazionale, alle forze armate che, nell’esercizio del
loro diritto all’autodeterminazione, combattono una guerra di liberazione nazionale.
Tale questione ha visto dapprima schierati i Paesi in via di sviluppo e quelli socialisti, favorevoli
all’eccezione, contro quelli occidentali, contrari. Ultimato il processo di decolonizzazione e con la
fine della guerra fredda, i suoi maggiori sostenitori sono rimasti i Paesi dell’area islamica.
Tra l’ampia bibliografia in materia, cfr. soprattutto BARBERINI, La definizione di terrorismo
internazionale e gli strumenti giuridici per contrastarlo, in Per Aspera ad veritatem, n. 28, 2004,
CERQUA L. D., La definizione di “terrorismo internazionale” alla luce delle fonti internazionali
e della normativa interna, in Giurisprudenza penale, n. 3, 2007, pp. 788-801, DE SANCTIS F.,
Problematiche legate alla definizione di terrorismo nel diritto internazionale, in SAULLE M. R.,
MANCA L. (a cura di), Migrazione e terrorismo: due fenomeni impropriamente abbinati, Napoli,
2006, LAQUEUR, Terrorism, Boston, 1977, LIM C. L., A generic definition of terrorism, in
Global anti-terrorism law and policy, Cambridge, 2005, MANI, International Terrorism. Is a
Definition Possibile?, in Indian Journal of International Law, 1978, p. 206 ss., PANZERA,
Terrorismo internazionale, in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV, Milano, 1992 e
QUADARELLA, Il nuovo terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità, Napoli,
2006.
2
Si può affermare che il raggiungimento di un accordo su una definizione universale costituirebbe
un elemento importante e, forse, imprescindibile, per un’effettiva cooperazione interstatale nella
lotta al terrorismo; a tal proposito, si deve notare che attualmente non esiste alcuna convenzione
realmente universale volta a reprimere questo fenomeno in maniera globale.
L’adozione sul piano internazionale di una siffatta convenzione avrebbe principalmente l’effetto di
obbligare gli stati contraenti a:
a. Sanzionare penalmente nei loro ordinamenti interni qualsiasi atto terroristico;
b. Sottoporre a procedimento penale, o consegnare ad uno stato richiedente il sospetto
terrorista che si trovi sul suo territorio;
c. Non negare l’eventuale richiesta di estradizione sulla base della natura politica del reato
in questione.
11
Astrattamente, non è difficile costruire una definizione di terrorismo, che
dovrebbe includere tre elementi essenziali:
• Violenza (attuale o minacciata)
• Obiettivo politico
• Risonanza, non necessariamente vasta
La definizione di “atto di terrorismo” potrebbe, quindi, essere più o meno
la seguente: “ minaccia o uso di violenza con l’intento di causare timore in un
determinato gruppo di persone, al fine di conseguire un obiettivo politico”.
Tuttavia, secondo alcuni, il dibattito necessita di un ancoraggio al diritto,
ossia ad elementi che siano in grado di individuare un criterio di valutazione che
non segua sensibilità politiche del momento e che tragga ispirazione, piuttosto,
dalla finalità di proteggere e contemperare beni giuridici primari e intangibili:
sicurezza pubblica, status quo, libertà di manifestazione del pensiero,
autodeterminazione dei popoli, legittima difesa anche da attacchi sistematici e
diffusi.
Dottrina e giurisprudenza si sono adoperate nella ricerca di una definizione
che potesse fissare dei punti fermi nella nozione di terrorismo
3
.
Esaminiamone alcune. Secondo Laqueur, “il terrorismo costituisce
l’illegittimo uso della forza per conseguire un fine politico attraverso la scelta,
come obiettivi, di persone innocenti”.
Per Sottile, “l’atto terroristico è un atto criminale perpetrato spargendo
terrore, violenza, nonché provocando una generale intimidazione per un fine
politico determinato”.
Uno studio del 1988, condotto dall’esercito americano, individua oltre 100
definizioni di terrorismo utilizzate, tra le quali ricordiamo quella del “United
States Department of Defense”, che definisce il terrorismo“l’uso calcolato della
violenza illegale capace di incutere paura al fine di coartare o intimidire i
3
La difficoltà di formulare una definizione globalmente valida è dovuta anche al fatto che il
terrorismo è un fenomeno influenzato da fattori storici, politici, culturali ed ideologici; non a caso,
un atto violento che un ordinamento giuridico può qualificare come terroristico, può essere
considerato da un altro ordinamento atto fondante di un nuovo patto costituzionale. Infatti,
secondo il pensiero di molti studiosi, la nozione di terrorismo appartiene alle società democratiche
occidentali, mentre non si ricorre a questo tipo di qualificazione quando forme violente di
opposizione politica si manifestino in sistemi non democratici.
12
governi o le società nel perseguimento di obiettivi che generalmente sono politici,
religiosi o ideologici”.
Il quadro che ne deriva è quello nel quale il terrorismo internazionale si
connota congiuntamente per le modalità della condotta, per la valenza dei soggetti
o delle strutture prese di mira, in relazione alla dimensione potenziale del danno
arrecato e alla capacità intimidatoria rispetto alle persone direttamente o
indirettamente coinvolte.
Ne consegue che “il terrorismo propriamente detto non sarebbe
semplicemente l’uso della violenza per fini politici, non solo la violenza eccessiva,
non solo la violenza armata contro gli inermi, ma una strategia politica
autonoma, autosufficiente e risolutiva”
4
.
Un discorso a parte, infine, merita la Convenzione del 1999 sulla
repressione del finanziamento del terrorismo
5
(art. 2 par. 1 lett. b), che fornisce
una definizione generale di terrorismo come qualsiasi atto “intended to cause
death or serious bodily injury to a civilian, or to any other person not taking an
active part in the hostilities in a situation of armed conflict, when the purpose of
such act, by its nature or context, is to intimidate a population, or to compel a
government or an international organization to do or to abstain from doing any
act”
6
.
In base a questa definizione, l’elemento soggettivo del reato è composto,
oltre che dal dolo generico di voler causare la morte o il grave danno fisico, dal
dolo specifico dello scopo politico dell’atto.
Questo particolare scopo è ciò che, in sostanza, contraddistingue un reato
“generico”, per quanto efferato, da un atto terroristico considerato quale crimine
internazionale.
Per concludere con una riflessione che aiuti a contestualizzare il fenomeno
e a evidenziarne anche gli elementi contraddittori che lo caratterizzano, può valere
la parabola di due giovani nobili ateniesi, vissuti nel VI secolo a.C., Armodio e
4
TOWNSCHEND, La minaccia del terrorismo, Bologna, 2004
5
La definizione contenuta nella Convenzione costituisce un utile punto di riferimento nel contesto
dei lavori del Comitato ad hoc istituito nel 2000 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con
la ris. 51/210 del 17 dicembre 1996
6
International Convention for the Suppression of the Financing of Terrorism
13
Aristogitone, passati alla storia come due tirannicidi, ideatori di un progetto per
uccidere il tiranno Ippia.
I due riuscirono ad uccidere solo Ipparco, fratello di Ippia, associato da
loro al governo di Atene; catturati, vennero processati e condannati a morte come
tirannicidi, destabilizzatori, nemici dello Stato. Il giudizio della Polis fu severo e
la loro morte fu accompagnata dalla riprovazione collettiva. Alla morte di Ippia,
però, il giudizio della collettività mutò improvvisamente: il governo di Ippia,
considerato ora dall’opinione pubblica una tirannide, fece sì che Armodio e
Aristogitone fossero celebrati come eroi. Pertanto la Polis si affrettò ad emendarsi
della terribile punizione riservata ai due giovani, ripagando i loro eredi con
vantaggi e onori. I due tirannicidi, il cui gesto era stato oggetto di riprovazione,
diventano il simbolo della liberazione dal tiranno.
L’atto di Armodio e Aristogitone è, a ben vedere, un atto di violenza
politica, ma di certo Ippia è un modello di tiranno che trova, anche nella storia
contemporanea, repliche eloquenti.
Rispetto a tali contesti, è lecito chiedersi quale sia, oggi, il giudizio morale
e la configurazione giuridica appropriata da dare ad essi.
L’assassinio di un tiranno del XXI secolo è un atto di terrorismo?
La domanda è tuttavia parziale, perché il terrorismo si sviluppa anche
attraverso dinamiche violente, che spesso nulla hanno a che fare con una visione
idealistica e romantica; il nodo più difficile da sciogliere, dunque, è stabilire
secondo quale criterio un atto violento sia da ascrivere alla prima categoria o alla
seconda e se, addirittura, sia legittimo distinguere tra terrorismo e terrorismi, tra
atto violento nobile e atto violento ignobile.
2. L’evoluzione del terrorismo: da fenomeno statale a fenomeno
individuale
Con il termine terrorismo, che viene dal latino terrere e che fu utilizzato
per la prima volta durante la Rivoluzione francese per indicare i violenti e
sanguinari metodi repressivi utilizzati nel periodo del “Terrore”, si intende, in una
14
prima approssimazione, l’intimidazione o la costrizione con l’uso della violenza
in vista del conseguimento di un determinato obiettivo illegale.
Quando si intende affrontare il fenomeno del terrorismo e cercare di darne
una definizione, ci si imbatte nella difficoltà del distinguere tra i due diversi
fenomeni del terrorismo, come mezzo di coercizione politica adoperata dallo Stato
nei confronti dei propri cittadini, e come uso della violenza illegittima finalizzata
ad incutere terrore nei membri di una collettività. Storicamente il terrorismo è
nato come un fenomeno a rilevanza interna e per secoli è stato perseguito a livello
statale anche quando presentava elementi di estraneità rispetto allo Stato
7
.
a) La posizione della Comunità internazionale nei confronti del terrorismo
Questa situazione è rimasta immutata fino a quando, nella seconda metà
del XIX secolo, iniziò ad emergere l’interesse della Comunità internazionale per
la repressione del terrorismo in seguito ad un attentato a Napoleone III ed al
problema legato alla non applicabilità dell’istituto dell’estradizione ai reati
politici, tra cui il terrorismo era annoverato.
Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, si sviluppò in dottrina la
consapevolezza dell’impossibilità di uno Stato di combattere da solo il terrorismo
internazionale; tuttavia, si deve aspettare l’attentato di Marsiglia del 9 ottobre
1934, che costò la vita ad Alessandro di Jugoslavia ed al Ministro degli esteri
francese Barthou, per vedere l’inizio dei lavori per la stesura di un progetto di
convenzione internazionale contro il terrorismo, ad opera della Società delle
Nazioni.
Tra i numerosi attentati contro Napoleone III, quello che diede vita ad un
notissimo caso internazionale e fece nascere l’interesse della Comunità
internazionale per i fenomeni terroristici, venne compiuto nel settembre del 1854
7
Per un’analisi più approfondita sul terrorismo internazionale in una prospettiva storica, cfr., su
tutti, QUADARELLA, Il nuovo terrorismo internazionale come crimine contro l’umanità, op. cit.,
p. 1 ss.
Per quel che riguarda, invece, l’evoluzione del terrorismo da fenomeno statale a fenomeno
individuale, cfr. CICIRIELLO, Aggressione in diritto internazionale. Da “crimine” di Stato a
crimine dell’individuo, Napoli, 2002
15
da Celestino e Giulio Jacquin, che misero una bomba sui binari ferroviari e fecero
deragliare il treno su cui viaggiavano l’imperatore ed il suo seguito.
All’attentato seguì una lunga vicenda giudiziaria tra la Francia ed il
Belgio, dove i due terroristi si rifugiarono; la Francia ne chiese l’estradizione ma
il Belgio, applicando la legge 1 ottobre 1833 che vietava l’estradizione per reati
politici, si vide costretto a rispondere negativamente.
Per evitare altri “incidenti diplomatici” nacque la c.d. Clausola belga che,
introdotta dalla legge belga 22 marzo 1856, previde la restrizione della nozione
dei delitti politici escludendo da essi gli attentati contro i capi di Stato o i membri
delle loro famiglie.
L’enorme importanza storico-giuridica di tale principio, che segna il primo
passo del diritto internazionale contro il fenomeno del terrorismo ed al tempo
stesso, in un certo senso, la prima limitazione di un diritto dovuta alla lotta contro
il terrorismo, non può esimerci dal rilevare che fu al centro di numerose critiche. I
rilievi maggiori che si possono muovere contro la Clausola belga riguardano
essenzialmente due aspetti: quello della sua insufficiente limitazione al divieto
d’estradizione e quello dell’insoddisfacente formulazione letterale, che apparve da
subito come una vera e propria forzatura.
8
Successivamente, il problema della punizione dei terroristi si pose a livello
internazionale soprattutto in seguito alla lunga scia di attentati anarchici che
ebbero luogo a cavallo tra il XIX ed il XX secolo e che presentavano, in numerosi
casi, rilevanti profili per il diritto internazionale a causa della fuga all’estero degli
8
La Clausola belga disponeva l’estradabilità degli autori dei delitti di attentato contro capi di Stato
e loro familiari perché tali delitti non dovevano essere ricompresi tra quelli politici, ma è evidente
che un attentato del genere ha indubbia qualità politica e si sarebbe potuta prevedere una
formulazione diversa; tra quelle proposte merita menzione soprattutto quella di Cochard, che
suggerì che “malgré le caractère politique d’un tel crime, il pourra donner lieu à l’extradition”
(COCHARD, Le terrorisme et l’extradition en droit belge, in Réflexions sur la définition et la
répression du terrorisme, Bruxelles, 1974, p. 205)
Sul punto cfr. anche, tra gli altri, BONANTE, Terrorismo internazionale, Firenze, 2001, p. 52,
BONANTE (a cura di), Dimensioni del terrorismo politico. Aspetti interni e internazionali, politici
e giuridici, Milano, 1979, p. 301, PANZERA, Attività terroristiche e diritto internazionale,
Napoli, 1978, p. 9, QUADARELLA, Il nuovo terrorismo internazionale come crimine contro
l’umanità, op. cit., p. 13, SOTTILE, Le terrorisme international, in Recueil des cours de
l’Académie de droit international de la Haye, 1938, p. 107.
16
autori o della diversa nazionalità tra i soggetti attivi ed i soggetti passivi del
delitto.
9
Riaccesosi il dibattito in dottrina, si giunse ad una soluzione teorica del
problema distinguendo tra reati puramente politici e reati sociali. Mentre per reati
politici si dovevano intendere tutti quelli diretti contro singoli Stati o forme di
governo, nella nuova categoria dei reati sociali erano ricompresi quelli diretti
contro ogni forma di organizzazione politica e sociale.
Malgrado il terrorismo internazionale fosse al centro dell’attenzione della
Comunità internazionale, restò ancora per diversi anni un problema affrontato
giuridicamente solo a livello nazionale, se si escludono alcune clausole di trattati
bilaterali ed il Trattato d’estradizione firmato il 6 febbraio 1930 tra Portogallo e
Romania, che consacrò il principio “Aut dedere aut judicare”.
10
L’azione della Romania, teatro nei primi decenni del secolo scorso di
numerosi attentati, si concretizzò a livello internazionale nel 1926 con la richiesta
alla Società delle Nazioni dell’elaborazione di una convenzione contro il
terrorismo internazionale; ma la Società delle Nazioni ritardò lo studio della
questione fino a quando, dopo l’attentato di Marsiglia del 1934, si vide costretta
ad occuparsi attivamente del problema.
Nell’inerzia della Società delle Nazioni, il terrorismo fu invece al centro
dei lavori delle Conferenze per l’unificazione del diritto penale che si tennero a
partire dal 1927 e inserirono pian piano il terrorismo tra i crimina juris gentium al
termine di un lungo processo elaborativo iniziato muovendo dalla categoria dei
reati di pericolo comune, dai quali, passo dopo passo, Conferenza dopo
Conferenza, venne scorporato il terrorismo.
Svolta radicale in questo lungo processo storico-giuridico fu l’attentato di
Marsiglia che, come già detto, ebbe la conseguenza di obbligare la Società delle
Nazioni ad affrontare il problema dell’elaborazione del primo progetto di
convenzione globale contro il terrorismo internazionale.
9
Tra i numerosi attentati che presentarono tali problemi si possono, ad esempio, ricordare gli
omicidi del Presidente francese Carnet nel 1894, dell’imperatrice Elisabetta d’Austria nel 1898,
del re d’Italia Umberto I nel 1900 e del Presidente degli Stati Uniti McKinley nel 1901.
10
In tale trattato si prevedeva che in casi di impossibilità a consegnare l’autore di un atto di
terrorismo, lo si doveva giudicare davanti ai propri tribunali.
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