Complessivamente, il lavoro è una sorta di «esercizio di lettura» del rapporto fra problematica
logica e filosofia critica in un triplice ambito: storico, teorico e in relazione alle finalità da assegnare
alla filosofia.
L’oggetto della tesi. Per «filosofia critica», o «criticismo» bisogna qui intendere la filosofia di Kant
propria della Critica della ragion pura. Tale termine non dovrebbe fare problema. Al contrario,
l'altro termine del rapporto posto ad oggetto della tesi, va precisato. La «logica» è intesa in un senso
ampio, non strettamente tecnico, né matematico, né formal-sillogistico. La logica tedesca
settecentesca, Kant compreso, escludeva questi tre ambiti. La logica era intesa come ‘dottrina della
ragione’. Una propedeutica agli studi successivi (diritto, medicina, letteratura, filosofia), che mirava
alla pratica quotidiana del ‘corretto uso della ragione’. Essa fungeva da strumento di purificazione
del ragionamento comune dai pregiudizi. Il tutto era ottenuto a spese del trattamento ‘tecnico-
sillogistico’.
Questo è lo sfondo su cui collocare le riflessioni kantiane sulla logica. Notevole è la distanza che le
separa dalla logica matematica del Novecento, di chiara ispirazione leibniziana e, in alcuni aspetti,
decisamente antikantiana. Per questo motivo sono stati esclusi dal lavoro gli aspetti legati alla
matematizzazione e alla simbolizzazione della logica.
In questo modo, il rapporto tra Kant e la logica formale è ad un tempo chiaro e complesso. Chiaro
perché è abbastanza agevole rintracciare le opere in cui Kant ne parla. Complesso perché meno
agevole è valutare queste dottrine, dal momento che portano ad affrontare i nodi essenziali del
pensiero kantiano, ad esempio tutto ciò che è legato alla logica trascendentale. Come si parlerà
della logica? Se ne parlerà «al plurale». In altre parole si è affrontato il problema della logica
attraverso l’analisi di tutta una serie di questioni particolari: scientifiche, gnoseologiche,
metafisiche. Tutti temi comunque dominanti nelle preoccupazioni kantiane. Il materiale classificato
come ‘logica’ include: le riflessioni sul metodo, gli sforzi legati alla «deduzione», le esigenze
sistematiche, i confronti fra una scienza e un’altra (geometria, metafisica, fisica); il rilevamento dei
modus cognoscendi delle scienze particolari. Tutti temi che non sono «logici» in senso stretto ma
che mantengono con la logica una profonda affinità.
Il rapporto tra logica formale e criticismo è considerato sotto i tre punti di vista menzionati: storico,
teorico e in relazione alle finalità.
Logica e filosofia critica: confronto storico. È opinione comune che confrontando la logica formale
con la logica trascendentale, si concluda che mentre quella rimane per lo più invariata negli anni,
nel periodo «precritico» e in quello «critico», questa invece rappresenti il centro della rivoluzione
copernicana. Vi sarebbe una costanza di alcune tesi di fondo per la logica formale e una sostanziale
innovazione per la logica trascendentale. Kant, che per molti aspetti è stato considerato
rivoluzionario in filosofia, in tema di logica non avrebbe mai cambiato idea e non avrebbe
rivoluzionato nessuna concezione logica. Questo è proprio il pregiudizio che si vuole scalzare, o
quanto meno sfumare. Pregiudizio ‘autorizzato’ dalle stesse parole di Kant, per il quale la logica era
da considerarsi «chiusa e completa», secondo la celebre espressione della Prefazione alla Critica
della ragion pura. Affermazione che ogni buon storico della logica, quasi per una regola di galateo
scientifico, ha citato e deplorato.
Ora quest’immagine sta cambiando e le stesse valutazioni storiche si dimostrano disposte a dare
giudizi meno severi. Grazie agli strumenti informatici e al lavoro filologico
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si è giunti a una
conoscenza più precisa dell’insegnamento del Kant professore di logica. Non è più proibito parlare
di un’«evoluzione» delle dottrine logiche, di precise e consapevoli scelte tecniche di Kant fra le
logiche del tempo. Si è cioè abbandonata l’immagine di un Kant passivo fruitore di dottrine altrui,
ignorante di logica e fermo per quarant’anni sulle stesse idee.
Per questo motivo il lavoro prende le mosse da un'analisi del corpus logico kantiano, al fine di: (i)
descrivere le dottrine logiche attraverso l’analisi di alcuni scritti precritici; (ii) dimostrare
l’evoluzione delle problematiche logiche kantiane. Il senso di quest’evoluzione si è colto in un
duplice affrancamento: dall’ontologia e dalla dialettica. Kant arriva a intendere la logica formale
separandola consapevolmente da questi due ambiti.
Nella sistemazione definitiva, quella della Critica della ragion pura (1781-1787), la logica è una
dottrina pura, in cui tutto deve essere dimostrato a priori; una dottrina che, in quanto pura, deve
essere massimamente distinta dalla psicologia (scienza empirica e a posteriori); in definitiva una
dottrina che è una «pietra di paragone solo negativa della verità», è cioè condizione necessaria ma
non sufficiente per la conoscenza. Viceversa nei primi scritti (fino al 1760) la logica era configurata
come un organo di produzione dei contenuti, perciò una disciplina non formale ma ‘reale’; dunque
come una condizione non solo negativa della verità ma anche sufficiente.
Nella separazione della logica dall’ontologia si riscontra la distanza che separa Kant dal tradizionale
razionalismo, il cui programma imponeva di: i) ridurre tutte le strutture deduttive del pensiero ai
soli sillogismi, cristallizzati in forme naturali della mente umana; ii) fondare sulla naturalità di
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Cfr. nota 3, le opere relative al Kant-Index.
queste forme l’oggettività della conoscenza. In altre parole questa prospettiva consegnava alla
logica una capacità produttiva reale di contenuti.
Kant si leverà contro questo duplice dogmatismo: non solo egli insisterà sulla vanità di una
trascrizione ontologica delle strutture logiche non preceduta da una valutazione delle possibilità
della ragione umana a cui quelle strutture logiche ineriscono, ma denuncerà la vuotezza delle stesse
strutture logiche su un piano autenticamente formale (Nello scritto del 1762 sulla Falsa sottigliezza
delle quattro figure sillogistiche).
Il punto d’arrivo di questa analisi sincronica è una logica generale definita come scienza meramente
formale (= teoria della dimostrazione). La teoria kantiana intorno alla logica generale esclude che
questa possa essere una ‘logica dell’essere’, o una ‘logica della conoscenza’, o una ‘logica della
scienza’, oppure – antileibnizianamente – una logica matematica (nel senso della mathesis
universalis).
La logica generale è determinata da Kant come condizione necessaria ma non sufficiente del
conoscere, della verità scientifica. Questo punto è il decisivo, questo è il fondamentale limite
costitutivo della logica: è necessaria ma non sufficiente. Con ciò Kant si distingue dal
convenzionalismo, dall’empirismo, dal positivismo, dall’idealismo della filosofia classica tedesca, e
infine dalle tendenze del logicismo e del formalismo del programma leibniziano.
Nel caso dell’affrancamento dalla dialettica è evidente come l’elaborazione del concetto nell’ambito
della logica formale abbia contribuito a determinarne il significato e la portata nella filosofia critica:
il parallelo fra una dialettica ‘formale’ come critica della parvenza e la dialettica ‘trascendentale’
come catartico dell’intelletto non è una mera analogia: tra i due termini esiste un vero e proprio
rapporto genetico.
Il quadro che la logica formale impone alla logica trascendentale non è qualcosa di precostituito,
un’ossatura che Kant ha ricevuto dalla tradizione e ha lasciato immutata, ma è il risultato di una
costruzione graduale e meditata.
Il rovesciamento del significato del termine ‘dialettica’ lo testimonia in modo esemplare: da logica
del probabile a logica dell’apparenza.
Oltre a mettere in luce tale ‘schema evolutivo’ l’analisi di alcuni scritti precritici intende
sottolineare questo fatto: Kant ha insegnato logica lungo tutto l’arco della sua carriera universitaria,
dal 1755 al 1796, per oltre quarant’anni. Eppure questo fatto è stato molto trascurato dalla Kant-
Literatur
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.
Da ciò l’ipotesi che l’attività di insegnante di logica, vera costante della didattica kantiana, sia
rilevante ai fini dell’elaborazione del problema critico. Il continuo impegno delle lezioni costituiva
una specie di collaudo continuo delle nuove problematiche trascendentali. La didattica non era
sganciata, per così dire, dalla ricerca: piuttosto costituiva un laboratorio in cui le problematiche
tradizionali (razionalismo) venivano soppesate e misurate.
In particolare, l’«attrito» delle lezioni di logica ha costretto Kant a riflettere sui rapporti tra logica,
ontologia, psicologia. Riflettere sulla «base» della metafisica, cioè sui ‘primi principi’ della
conoscenza, lo ha condotto a rifiutare la prospettiva di una «logica reale», che superasse quella
formale astratta.
Non sarà un caso che egli abbia continuato a insistere sull’autosufficienza, sull’autonomia della
logica formale, contro l’idealismo nascente di Fichte, che tentava di trasfigurare la logica formale (il
«pensiero astratto») in una logica della realtà.
Logica e filosofia critica: confronto teorico. Sul piano teorico invece l’importanza soprattutto
strutturale dell’apparato della prima Critica e l’elaborazione di alcuni nuclei dottrinali caratteristici
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dimostrano lo stretto legame tra il progetto critico e le forme della logica, legame che è stato per lo
più sempre avvertito poco analizzato dalla critica.
Con i problemi teorici che investono la logica si confronta la Parte II. Nel primo capitolo, di taglio
esegetico, si commentano le pagine della Critica della ragion pura (quelle in cui si insiste sulla
simmetria fra logica formale e logica trascendentale); nel secondo capitolo, di taglio più
interpretativo, viene tentata una definizione del ‘trascendentale’, considerato nella sua derivazione
dal concetto di logica formale.
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Se ne trova un curioso segno nella quarta pagina di copertina dell’edizione laterziana [Immanuel Kant, Logica, a cura
di Leonardo Amoroso, Laterza, Roma-Bari, 1995]: «Questo volume raccoglie in forma di manuale le lezioni di Logica
dei corsi tenuti da Kant negli ultimi cinquant’anni del suo insegnamento». L’espressione «negli ultimi cinquant’anni del
suo insegnamento», vorrebbe delegare tale fatto nel trascurabile, come se cinquant’anni di insegnamento fossero un
dettaglio da inserire in un inciso.
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La distinzione fra una «Dottrina degli elementi» da una «Dottrina del metodo», e la bipartizione della prima in una
«Analitica» e una «Dialettica»; la costruzione della «Tavola della categorie» in base al ‘filo conduttore’ della «Tavola
dei giudizi», e la tripartizione delle «idee della ragione» secondo le tre forme del sillogismo.
La ‘chiusura’ della logica formale, simmetrica rispetto a quella della logica trascendentale, fonda e
costituisce quel particolare aspetto del criticismo che è l’antipsicologismo. Si afferma in particolare
che l’antipsicologismo della Critica derivi dalla difesa dell’autonomia della logica come scienza
normativa, contro le commistioni della psicologia, che la ridurrebbero a una scienza descrittiva.
Da semplice caratteristica della logica, l’antipsicologismo viene ora a costituire il tratto di ogni
analisi critica della conoscenza, del criticismo in quanto fatto filosofico, ed in questo senso esso
acquista una nuova e decisiva portata filosofica generale. Ciò contro le letture ‘fisiologizzanti’ e
‘psicologistiche’ del kantismo.
Lo psicologismo che viene respinto («anti») è quello che consiste nel ritener giustificata nella sua
validità una conoscenza quando se ne sia descritto il modo del suo darsi nella sfera psichica del
soggetto. Di contro, l’antipsicologismo introduce la separazione più netta fra l’ordine della
psicologia (la «fisiologia») e l’ordine logico-oggettivo della conoscenza, ordine nel quale soltanto
trova posto la questione de jure della validità della conoscenza: questione che è irrisolvibile sul
terreno psicologico o de facto.
È quanto si ricava dal duplice paradosso in ambito formale e in ambito trascendentale. Come le
forme logiche dei giudizi si realizzano in accadimenti psicologici ma sono originari, indipendenti e
costituenti rispetto a questi; così i concetti a priori, pur applicandosi a, e ‘realizzandosi’ in eventi
psichici, non sono assolutamente risolvibili a questi. La natura dell'attività del pensiero, le
operazioni che esso compie, benché inevitabilmente condizionate da limiti empirici, psicologici,
storici, producono idealità logiche che valgono oltre quei limiti.
Logica e scopi della filosofia. Infine, nelle conclusioni, più che tirare le somme del lavoro, che si è
invece sintetizzato in quest’introduzione, è fatto cenno alla relazione fra gli obiettivi della logica e
quelli della filosofia. Sono proprio le pagine della Logica a gettare luce sull’unità etica del
criticismo: la filosofia intesa in senso cosmico. Il parallelo con la logica potrebbe non essere
evidente. Lo riscontriamo in due punti. Primo. Il fatto che Kant abbia trattato quest’argomento
proprio nelle lezioni di logica è significativo in se stesso. Secondo, tale fine cosmopolitico della
filosofia è solidale proprio con gli scopi che Kant assegnava alla logica: disciplina didattica,
introduttiva e formativa.
Il parallelo su cui abbiamo richiamato l’attenzione è fra una disciplina preparatoria alla scienza vera
e propria ma anche, contemporaneamente, ad un intelletto pronto, educato a «pensare da sé», in
vista della partecipazione alla comune vita civile, e una filosofia intesa in senso cosmopolitico. Una
tale filosofia vede come tutte le cognizioni siano tra loro connesse in una costruzione di fini tali da
risultare adeguati all’umanità. Proprio la declinazione etica del criticismo testimonia quell’ampiezza
d’orizzonte in cui si muovono le dottrine logico-formali, orizzonte che si riverbera sul complesso
della filosofia kantiana.