VI
italiane del settore alberghiero e di particolari forme di turismo, come il turismo congressuale
e quello di crociera.
Il primo capitolo del presente lavoro affronta il tema della variabilità linguistica in
generale con alcuni spunti di riflessione sulle caratteristiche delle lingue speciali. L’attenzione
è rivolta, in special modo, alle caratteristiche lessicali di queste varietà diafasiche, ai tratti
morfosintattici, all’organizzazione testuale propria delle lingue speciali e al rapporto di
osmosi tra queste e la lingua comune nonché tra le varie lingue speciali.
Nel secondo capitolo l’indagine si sposta sul versante della lingua speciale italiana del
turismo, al fine di individuarne le caratteristiche linguistiche ai vari livelli di analisi con
particolare attenzione per i fenomeni di interferenza linguistica e di formazione delle parole.
Il corpus delle voci schedate, che costituisce il terzo capitolo del lavoro, riunisce le
formazioni ritenute più significative ed interessanti della lingua speciale italiana del turismo.
Per ogni scheda si è cercato di fornire una definizione del lemma basata su quelle fornite dai
repertori lessicografici o dai dizionari di neologismi italiani, o ricavata dalla stampa di settore.
Ogni voce è stata classificata dal punto di vista tipologico e sono state indicate le possibili
mediazioni francesi o tedesche. Sono stati, infine, forniti alcuni spunti di riflessione sugli
eventuali fenomeni di integrazione ai quali gli anglicismi sono andati incontro nel loro
ingresso in italiano.
Per la raccolta di materiale mi sono servita dei dizionari di neologismi e dei principali
repertori lessicografici italiani, che riporto di seguito, indicando l’abbreviazione adottata nella
compilazione delle schede:
ADLI = G. DEVOTO–G. C. OLI, Aggiornamento al Dizionario della Lingua Italiana
(Firenze 1985).
DELI = M. Cortelazzo–P. Zolli, DIZIONARIO ETIMOLOGICO DELLA LINGUA ITALIANA
(BOLOGNA 1979).
Devoto–Oli = G. Devoto–G. C. Oli, VOCABOLARIO ILLUSTRATO DELLA LINGUA ITALIANA
(MILANO 1981).
DISC = F. Sabatini–V. Coletti, DIZIONARIO ITALIANO SABATINI COLETTI (FIRENZE 1997).
DNI = C. QUARANTOTTO, Dizionario del nuovo italiano (Roma 1987).
DNPI = A. FORCONI, Dizionario delle nuove parole italiane (Milano 1990).
DPN2 = M. CORTELAZZO– U. CARDINALE, Dizionario delle parole nuove 1964-1987
(Torino 1989).
VII
DPS = G. S. CARPITANO–G. CASOLE, Dizionario delle parole straniere (in uso nella
lingua italiana) (Milano 1989).
GDLI = S. BATTAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana (Torino 1961-).
I. I. = G. MINI, L’Italiano Integrato. L’apporto di voci straniere nel nostro linguaggio
(Padova 1990).
LIO = G. PITTANO, La lingua italiana oggi (Milano 1988).
NEOIT = S. VASSALLI, Il Neoitaliano. Le parole degli anni ottanta (Bologna 1989).
NEOL = O. LURATI, La neologia negli anni 1980-90 (Bologna 1990).
NWNT = B. SCHMID, New Words New Trends. Le parole nuovissime del Villaggio
globale (Firenze 1997).
PAN = A. BENCINI–E. CITERNESI, Parole degli anni novanta (Firenze 1992).
PS = P. ZOLLI, Le parole straniere (Bologna 1991).
RANDO = G. RANDO, Dizionario degli anglicismi nell’italiano postunitario (Firenze
1987).
WOR = B. SCHMID, Words. Guida ai termini inglesi d’uso corrente e al loro giusto
impiego (Firenze 1989).
ZING 95 = NUOVO ZINGARELLI. VOCABOLARIO DELLA LINGUA ITALIANA (BOLOGNA 1995).
ZING 97 = Nuovo Zingarelli. Vocabolario della lingua italiana (Bologna 1997).
Ho inoltre utilizzato:
Annali del lessico contemporaneo, a cura di M. A. CORTELAZZO (Padova 1995).
Lessico Universale Italiano (Roma 1968-1981) con i Supplementi A–H (Roma 1985) e
I–Z (Roma 1986).
G. MINI, Parole senza frontiere (Bologna 1994).
A. PANZINI, Dizionario Moderno (Milano 1923).
Per quanto riguarda i modelli inglesi sono stati consultati i seguenti lessici inglesi, per i
quali segnalo, altresì, la relativa eventuale abbreviazione utilizzata nelle schede:
BAR3 = R. BARNHART–S. STEINMETZ–C. BARNHART, The Third Barnhart Dictionary of
New English (Bronxville 1990)
COLL2 = The Collins English Dictionary (Glasgow 1986)
FYANW = J. ALGEO, Fifty Years Among New Words (New York 1991)
VIII
LONG = J. AYTO, The Longman Register of New Words (Great Britain 1989)
ODNW = S. TULLOCH, The Oxford Dictionary of New Words (New York 1991)
OED2 = The Oxford English Dictionary (Oxford 1989)
Cambridge International Dictionary of English (Great Britain 1995)
Dictionary of American Slang and Colloquial Expressions (Bologna 1989)
New Shorter Oxford English Dictionary, 2 voll. (Oxford 1993)
Oxford English Dictionary, Additions Series, 3 voll. (Oxford 1997)
Webster’s Third New International Dictionary (Springfield 1967)
6,000 Words. A supplement to Webster’s Third New International Dictionary (Springfield
Massachusetts 1976)
Per quanto riguarda la mutuazione di voci ed espressioni inglesi nella costituzione del
lessico della lingua speciale italiana del turismo, non è stata trascurata l’ipotesi che si fosse
verificata una mediazione francese o tedesca. Sono stati, pertanto, presi in esame i seguenti
strumenti lessicografici:
DMC = P. GILBERT, Dictionnaire des Mots Contemporains (Paris 1980).
DdA = M. HÖFLER, Dictionnaire des Anglicismes (Paris 1982).
TLF = Trésor de la langue française. Dictionnaire de la langue du XIX et du XX siècle
(1789-1960) (Paris 1971)
Grand Larousse de la langue française (Paris 1972)
G. MERLE–R. PERRET–J. VINCE–C. JULLIARD, Les Mots Nouveaux apparus depuis 1985
(Paris 1989)
B. CARSTENSEN, Englische Einflüsse auf die deutsche Sprache nach 1945. Behefte zum
Jahrbuch für Amerika studien (Heidelberg 1965)
B. CARSTENSEN, Anglizismen Wörterbuch (Berlin–New York 1993).
Inoltre, per reperire alcuni tecnicismi mi sono servita di fonti quali riviste e cataloghi
turistici che rappresentano per alcune voci la sola testimonianza del loro uso effettivo. Il
campione di pubblicazioni utilizzato è stato il seguente:
IX
RIVISTE
«Bell’Europa»: Maggio 1993, Giugno 1993, Dicembre 1993;
«Dove»: Agosto 1991, Giugno 1992, Giugno 1993, Aprile 1994, Settembre 1995, Novembre
1995, Maggio 1997;
«E’ soprattutto viaggi» (Supplemento del «Gazzettino»): 14-21 Giugno 1997,19-26 Aprile
1997, 12-19 Luglio 1997, 9-16 Agosto 1997;
«Gente Viaggi»: Agosto 1993, Agosto 1997, Novembre 1997, Aprile 1998, Luglio 1998;
«Gulliver»: Agosto 1993, Settembre 1993, Ottobre 1993, Novembre 1993, Gennaio 1994,
Giugno 1996, Luglio 1996, Maggio 1997, Agosto 1997, Settembre 1997;
«In viaggio»: Ottobre 1997;
«Panorama Travel»: Aprile 1998, Maggio1998, Giugno 1998, Luglio 1998, Agosto 1998,
Settembre 1998;
«Tutto Turismo»: Febbraio 1990, Maggio 1992, Dicembre 1993, Luglio 1994;
«Viaggiare»: Luglio 1996, Agosto 1998;
«Weekend Viaggi»: Dicembre 1993, Gennaio 1994, Giugno 1995, Settembre 1997;
CATALOGHI TURISTICI
«1998» VIAGGI DELL’ELEFANTE;
«Club in Tunisia» FRANCOROSSO;
«Giugno–Settembre 1997» VIAGGI DELL’ELEFANTE;
«Isola d’Elba e Mare Italia» ANASTASI;
«Italia Mare e Corsica (aprile–ottobre 1997)» FRANCOROSSO;
«Jeans 1997» ALPITOUR;
«Mare Estero» ALPITOUR;
«Mare Italia» ALPITOUR;
«Mare Italia» EDEN;
«Mari e Paesi Lontani 1997» ALPITOUR;
«Mari e Paesi Lontani 1998» ALPITOUR;
«Mediterraneo» COMITOURS;
«Messico, Sud America» TURISANDA;
«Noi, la Grecia» EUROTRAVEL;
X
«Sicilia Estate 1997» JET TOURS;
«Speciale Italia Mare» EDEN;
«Villaggi Estate 1997» GOING-ONE;
«Villaggi» MARE NEVE;
Sono state, altresì, consultate le seguenti riviste, non propriamente turistiche, ma in
grado di fornire utili indicazioni per l’analisi di alcune voci della lingua speciale italiana del
turismo:
• «Le Ali» 25 (1997-1998) Air Dolomite In-flight Magazine
• «Auto» maggio 1998
• «Autocaravan» marzo 1998.
1
–Capitolo Primo–
LE LINGUE SPECIALI ALL’INTERNO DEL MODELLO DELLA VARIABILITA’
LINGUISTICA.
1.1. INTRODUZIONE.
Ritengo utile premettere all’analisi delle caratteristiche specifiche della lingua speciale
del turismo una serie di considerazioni sulle lingue speciali all’interno del modello della
variabilità per dare un inquadramento e uno spessore teorico ai fenomeni che mi accingo ad
illustrare.
I fenomeni della variabilità linguistica sono oggetto di interesse da parte dei linguisti
solo da pochi decenni ma già agli inizi del Novecento si sono create le condizioni favorevoli
per un’analisi orientata verso specifici segmenti dei sistemi linguistici.
Entrata infatti in crisi la linguistica storico–comparativa dell’Ottocento che vedeva la
lingua come entità omogenea e monolitica incomincia a farsi strada un interesse sia verso le
lingue storicamente attestate sia verso le lingue non letterarie.
Tradizionalmente la cultura occidentale ha sempre privilegiato lo studio della lingua
dei testi letterari, relegando gli altri tipi di linguaggio in secondo piano. Generalmente
l’attenzione verso una lingua era rivolta unicamente alla varietà letteraria, alla grammatica e
al vocabolario dei “buoni autori”, con l’esclusione dunque di tutti i linguaggi non letterari,
ossia di tutte quelle varietà con caratteristiche proprie a vari livelli di analisi. L’interesse verso
questi linguaggi risale agli inizi del Novecento. Se già Ferdinand de Saussure, infatti,
osservava che «la materia della linguistica è costituita anzitutto dalla totalità delle
manifestazioni del linguaggio umano, si tratti di popoli selvaggi o di nazioni civili, di epoche
arcaiche o classiche o di decadenza, tenendo conto che per ciascun periodo non solo del
linguaggio corretto e della “buona lingua”, ma delle espressioni di ogni forma»1, si dovranno
attendere alcuni anni perché si faccia strada il principio della lingua come sistema funzionale
con una sua articolazione interna. Sarà proprio con la scuola di Praga che si affermerà il
1
Cfr. F. DE SAUSSURE , Corso di linguistica generale (Roma-Bari 1993).
2
principio che «lo studio di una lingua esige che si tenga conto rigorosamente della varietà
delle funzioni linguistiche e dei loro modi di realizzazione nel caso desiderato»2.
Si deve riconoscere al Dardano3, nella sua approfondita analisi della situazione
linguistica italiana dall’ultimo dopoguerra, il merito di aver evidenziato alcuni aspetti degni di
interesse:
1. una progressiva e graduata sostituzione dei dialetti da parte degli italiani regionali;
2. la formazione di una lingua media, capace di esprimere contenuti e rapporti della
società contemporanea;
3. la penetrazione di lessemi tecnico-scientifici nei livelli medio-alti della lingua;
4. l’adozione di elementi linguistici.
Per effetto di questa evoluzione, si manifesta un interesse verso la letteratura tecnico–
scientifica, affermatasi grazie allo sviluppo delle società: in ambito italiano, dunque, anche il
lessico si è adeguato al progresso sociale e allo sviluppo tecnologico, che hanno contribuito
all’affievolirsi delle barriere tra vocabolario tecnico e lingua comune.
Lo spostamento dell’interesse dall’italiano dei testi letterari a quello dei testi tecnico
scientifici è stato accompagnato dallo studio in sociolinguistica delle diverse modalità d’uso
di una lingua e più in generale da un interesse verso tutte le diverse varietà che compongono il
diasistema delle lingue.
Messo quindi in crisi il concetto di omogeneità linguistica si apre la strada agli studi di
sociolinguistica e di variabilità linguistica a partire dai quali le lingue sono viste come il
prodotto di più varietà, come dei polisistemi.
Con varietà di lingua intendiamo un sottoinsieme omogeneo di modi di utilizzare una
lingua il cui uso sia in correlazione con un particolare tipo di condizionamento geografico,
sociale e situazionale4.
Sono state prese in esame alcune varietà definite in base a proprietà linguistiche
interne e contraddistinte dal rapporto tra le varietà e la distribuzione geografica dei parlanti, la
stratificazione sociale e gli ambiti d’uso. Queste varietà possono essere anche definite
2
Cfr. Il circolo linguistico di Praga. Le tesi del ’29. Introduzione di E. GARRONI, traduzione italiana di S.
PAUTASSO (Milano 1966), la citazione è tratta da T. BOLELLI, Linguistica generale, strutturalismo, linguistica
storica (Pisa 1971), p.10.
3
Cfr. M. DARDANO, in «Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture», a cura di A. A. SOBRERO
(Roma-Bari 1993), pp. 291-370.
4
Cfr. G. BERRUTO, La sociolinguistica (Bologna 1974).
3
diatopiche, diastratiche e diafasiche, tipi terminologici proposti nel primo caso da Flydal5,
mentre a Coseriu6 si devono i tecnicismi diastratico e diafasico.
Le varietà diatopiche sono legate alla distribuzione territoriale dei parlanti e
comprendono, ad esempio, le lingue regionali ed i dialetti.
Le varietà diastratiche sono le varietà impiegate da determinati gruppi sociali o classi
socio–economiche di una comunità; vengono, pertanto, considerate come segno di identità di
un gruppo o di una classe rispetto alle altre. Fanno parte delle varietà diastratiche le lingue
popolari ed i gerghi, che hanno principalmente un fine criptico, ossia di consentire ai membri
di un gruppo di comunicare fra loro senza farsi capire da altre persone.
Per quanto concerne le varietà diafasiche, queste si riferiscono a varietà funzionali di
lingua condizionate dalla situazione comunicativa o dall’argomento della comunicazione.
Sono individuabili, infatti, due tipi di varietà diafasiche: le lingue speciali ed i registri, «i
primi varietà propriamente funzionali anche in senso referenziale, i secondi varietà
propriamente contestuali»7.
L’attenzione specifica verso le lingue speciali, nella tradizione italiana, risale agli anni
Trenta. Nel 1935 Migliorini8, forse influenzato nella sua scelta dal sintagma francese langue
spéciale9, utilizza per la prima volta l’espressione lingue speciali, per denominare le varietà
impiegate in settori specifici della vita sociale e professionale e caratterizzate da terminologie
speciali.
È invece del 1939 il primo studio dedicato alle lingue speciali, analizzate da Devoto10
in due diversi articoli apparsi sulla rivista «Lingua Nostra», nei quali l’autore delinea le
caratteristiche di tali lingue:
“… la lingua di queste cronache ha qualcosa in comune che le deriva sia
dall’argomento ben definito che tratta (ed è dunque lingua tecnica), sia dalle emozioni
che procura alle masse (ed è dunque lingua ricca di espressività, di popolarismi), sia
5
Cfr. L. FLYDAL, in «Norsk Tidsskrift vor Sprogvidenskap» 16 (1952), pp. 241-258: ricavo questi dati dal
contributo di R. Bombi–L. Innocente, in «Lingue Speciali e Interferenza . Atti del Convegno Seminariale. Udine,
16-17 maggio 1994» , a cura di R. BOMBI (Roma 1995), pp. 55-69.
6
Cfr. E. COSERIU, in «Actes du premier Colloque International de Linguistique appliqueé, Nancy 1966» (Nancy
1966), pp. 175-252.
7
Cfr. G. BERRUTO, La sociolinguistica cit., p. 68.
8
Alla voce Prestito dell’Enciclopedia Italiana Treccani (Roma 1935) redatta da B. MIGLIORINI.
9
L’espressione francese langue spéciale è documentata dal 1933 nel Trésor de la langue française, che cita
come fonte l’opera di J. MAROUZEAU, Lexique de la terminologie linguistique (Paris 1933). Per quanto riguarda
la tradizione francese, segnalo, inoltre, che il Trésor de la langue française (s.v. spécialité) registra anche, a
partire dal 1976, la variante langue de spécialité
10
G. DEVOTO, in «Lingua Nostra» 17/1 (1939), pp. 17-21 e 114-121. La citazione è tratta da Lingue speciali. Le
cronache del calcio, p. 17.
4
dalla sua breve storia (e riflette dunque con maggiore immediatezza le correnti e le
forze che affrettano il corso della lingua senza sentire il freno della tradizione).”
Le lingue speciali sono dunque caratterizzate principalmente da un patrimonio
lessicale specialistico e sebbene siano impiegate da specifici gruppi di parlanti, il loro tratto
peculiare è tematico e non sociale, pertanto sono classificabili come varietà diafasiche e non
diastratiche11.
In conformità a quanto appena detto, non è più possibile parificare le lingue speciali ai
gerghi. Le differenze tra tali varietà sono evidenziate già dal Beccaria12, che puntualizza la
necessità di «distinguere tra lessico tecnico (ted. Fachsprache) e gergo propriamente detto
(Sondersprache)». Come osserva Beccaria entrambe le varietà sono contraddistinte da una
certa oscurità: questa caratteristica, nelle lingue speciali, è dovuta all’impiego di tecnicismi e
dunque alla necessità di massima precisione, mentre nei gerghi, l’oscurità è impiegata come
strumento di differenziazione dalla lingua comune e di coesione all’interno di un gruppo.
Negli studi italiani sulle lingue speciali degli ultimi decenni si riscontra un problema
terminologico: vengono, infatti, impiegate diverse espressioni per designare questa varietà
diafasica.
Se Bruno Migliorini adotta fin dal 1935 l’etichetta di lingue speciali, negli anni
successivi si sono tuttavia affermati tipi terminologici alternativi.
Nel 1973 Beccaria13 impiegò, quale titolo dello studio dedicato a questo tema, il
sintagma linguaggi settoriali, espressione che mette in luce la caratteristica diafasica di questa
varietà di lingua. Questa scelta terminologica, com’è stato rilevato da alcuni autori (cfr. le
opere di Sobrero e Gotti14) presenta lo svantaggio di essere un termine piuttosto vago: nel
volume curato da Beccaria, infatti, il tecnicismo linguaggi settoriali viene riferito a diverse
varietà di lingua, collegate a settori eterogenei quali la pubblicità, la politica, lo sport, la
televisione.
11
La caratterizzazione tematica e non sociale delle lingue speciali è stata riconosciuta solo da poco tempo. In
passato, infatti, le lingue speciali erano viste non come varietà diafasiche, bensì come varietà diastratiche, come
ancora risulta dalla definizione proposta nell’opera di G. R. CARDONA, Introduzione alla sociolinguistica
(Torino 1987), p. 72: “Può essere utile raggruppare sotto il nome di lingue speciali (ted. Sondersprachen, fr.
langues spéciales) certe varietà linguistiche di distribuzione circoscritta e riconosciute come tali, proprie di un
gruppo all’interno della comunità” .
12
Cfr. G. L. BECCARIA, in I linguaggi settoriali in Italia, a cura di G. L. BECCARIA (Milano 1973), pp. 7-59. La
citazione è tratta da pag. 34.
13
Cfr. G. L. BECCARIA, op. cit., p. 7.
14
Cfr. A. A. SOBRERO, in «Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi», a cura di A. A.
SOBRERO (Roma-Bari 1993), pp. 237-277 (d’ora in poi abbreviato SOBRERO 1993) e M. GOTTI, I linguaggi
specialistici (Firenze 1991).
5
Risale invece al 1974 il termine sottocodice, utilizzato da Berruto15 per designare:
«una varietà del codice lingua caratterizzata da una serie di corrispondenze aggiuntive, che
cioè si aggiungono a quelle comuni e generali del codice (soprattutto a livello lessicale), ed
usata in corrispondenza a sfere e settori definiti di attività all’interno della società e in
dipendenza dall’argomento di cui si parla». Con questa etichetta viene rimarcato il possesso di
tratti aggiuntivi da parte delle lingue speciali, rispetto alla lingua standard.
Nel saggio del 1971 di Wandruszka, rielaborato in italiano da Paccagnella16 nel 1974,
viene adottato il termine tecnoletto, che rimanda al rigoroso tecnicismo di questa varietà di
lingua. Nella creazione di quest’espressione sono stati sfruttati sia il prefissoide tecno- (che
rientra nella serie formativa rappresentata da tecnocrazia, tecnopoli), sia il suffissoide –letto
(ricollegabile alla serie formativa di dialetto, idioletto e mesoletto). Entrambi gli affissoidi
contribuiscono a rendere quest’espressione trasparente agli occhi dei parlanti.
Minor fortuna ha avuto il tipo terminologico microlingua, impiegato da Balboni17 nel
1982. Questa denominazione suggerisce “delle limitazioni o semplificazioni rispetto alla
lingua comune, che non si riscontrano nella realtà” (SOBRERO 1993, p. 238). Inoltre
microlingua appare inadeguato perché implica una minore capacità espressiva delle lingue
speciali, mentre queste sono dotate di tutte le potenzialità lessicali, fonetiche, morfosintattiche
e testuali della lingua standard.
Più recente è, invece, la variante linguaggi specialistici, proposta da Gotti18 nel 1991.
Tuttavia, nel suo contributo, Sobrero evidenzia il carattere restrittivo di questo sintagma, in
quanto si riferisce all’utilizzo di queste varietà da parte di specialisti che si rivolgono ad altri
tecnici, escludendo altri livelli d’uso come l’ambito didattico e quello divulgativo (SOBRERO
1993, p. 238).
Alcuni studiosi, inoltre, attuano un’ulteriore suddivisione all’interno delle lingue
speciali che rispecchia i diversi gradi di specializzazione di queste varietà. Sobrero, infatti,
distingue tra linguaggi settoriali e linguaggi specialistici: i primi sono caratterizzati
dall’assenza di un lessico specifico, o dalla sua ridotta presenza, e dalla mancanza di regole
convenzionali, sono diffusi attraverso i mass media e hanno un’ampia utenza; i secondi hanno
invece un lessico specifico e regole peculiari a cui corrisponde una circolazione più limitata e
mirata ad un pubblico di specialisti in un determinato settore (SOBRERO 1993, p. 239).
15
Cfr. G. BERRUTO, La sociolinguistica cit., p. 68.
16
Cfr. M. WANDRUSZKA–I. PACCAGNELLA, Introduzione all’interlinguistica (Palermo 1974).
17
Cfr. P.E. BALBONI, in «Scuola e lingue moderne» 20 (1982), pp. 107-111 e 136-148.
18
Cfr. M. GOTTI, op. cit., p. 1.
6
Un’analoga posizione è sostenuta anche da Berruto19, che distingue le ‘lingue speciali in
senso stretto (Fachsprachen)’ dai ‘linguaggi settoriali’.
Nonostante le numerose proposte nomenclatorie italiane, un recente studio su questa
varietà di lingua20, mette in luce la tendenza verso la codificazione della locuzione lingue
speciali, che rispecchia i tipi terminologici adottati da alcuni paesi europei, tra i quali ricordo
il francese langue spéciale e l’inglese special language. Sempre in merito all’inglese sembra,
tuttavia, che la locuzione special language non sia riuscita ad imporsi e che al suo posto si
siano affermate le espressioni language for specific purposes e language for special
purposes21. Per quanto concerne spagnolo e il portoghese il «Lexikon der Romanistichen
Linguistik»22 registra, invece, la scelta per il tipo terminologico tecnolectos. Più problematico
è la situazione terminologica tedesca, dove Sondersprachen è stata per lungo tempo etichetta
delle lingue speciali, mentre sembra oggi stabilita una netta differenziazione di statuto fra
Sondersprachen, utilizzato in riferimento a “i linguaggi a polarizzazione sociale, i gerghi”23 e
Fachsprachen il cui uso è riservato per indicare le varietà diafasiche.
1.2. LO STATUS DELLE LINGUE SPECIALI NEL MODELLO DELLA VARIABILITÀ.
Lo studio delle lingue speciali è stato per lungo tempo limitato all’analisi delle
caratteristiche lessicali; si è privilegiato questo livello di analisi ritenendolo l’unico in grado
di distinguere tali varietà dalla lingua comune.
Negli ultimi anni, tuttavia, è stata riconosciuta l’impossibilità di ricondurre le lingue
speciali unicamente al loro lessico; è, infatti, innegabile come le lingue speciali siano dotate,
oltre che di una rigida organizzazione testuale, anche di tratti morfologici e sintattici. Questi
ultimi sono gli stessi utilizzati dalla lingua standard; tuttavia alcuni di essi costituiscono un
19
Cfr. G. BERRUTO, in «Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi» ., a cura di A. A.
SOBRERO (Roma-Bari), pp. 37-92.
20
Cfr. R. BOMBI , in «Lingue speciali e interferenza. Atti del Convegno Seminariale, Udine 16-17 maggio 1994»,
a cura di R. BOMBI (Roma 1995), pp. 9–20.
21
Cfr. per l’espressione language for specific purposes sia l’International Encyclopedia of Linguistics, ed. by W.
BRIGHT , 5 voll. (New York–Oxford 1992), s.v. sia The Encyclopedia of Language and Linguistics, ed. by R. E.
ASHER, 10 voll. (Oxford–New York–Seul–Tokyo 1994), s.v. mentre per la locuzione language for special
purposes si veda D. CRYSTAL, The Cambridge Encyclopedia of Language (Cambridge–New York–Melbourne
1987), s.v. e R. H. MATTHEWS, The Concise Oxford English Dictionary of Linguistics (Oxford–New York
1997), s.v.
22
Cfr. «Lexikon der Romanistischen Linguistik» G. HOLTOS–M. METZELIN–C. SCHMITT (ed.), vol. VI, 1 pp.
276-295 (Tübingen 1992) per lo spagnolo e vol. VI, 2 pp. 339-355 (Tübingen 1994) per il portoghese.
23
Cfr. R. BOMBI , op. cit., p. 16.
7
tratto distintivo delle lingue speciali, in quanto ricorrono con una maggiore frequenza in
queste varietà diafasiche.
Le caratteristiche lessicali e morfosintattiche, nonché l’organizzazione testuale si
riscontrano generalmente nella comunicazione tra esperti di uno specifico settore e non sono
documentabili in modo uniforme in ogni testo specialistico. Ciò ha portato alcuni studiosi ad
analizzare le diverse varietà presenti all’interno delle lingue speciali.
E’ stata così delineata un’articolazione orizzontale delle lingue speciali, che prefigura
secondo Cortelazzo24, «l’analisi in relazione alla varietà dei contenuti (quindi lingua della
fisica vs. lingua della chimica vs. lingua dell’economia) e procedendo anche
all’individuazione di sotto–settori (ad es. distinguendo nel campo dell’economia la lingua
delle scienze economiche, quella delle transazioni economiche, quella della borsa, quella del
diritto economico, ecc.;)». Lo stesso autore ha anche riconosciuto l’esistenza di una
dimensione verticale, di tipo sociolinguistico, che analizza l’impiego di una lingua speciale
sia tra specialisti, sia tra questi ultimi e chi non ha una perfetta padronanza della lingua di un
determinato settore.
Nel “livello scientifico” (SOBRERO 1993, p. 241), ovvero nella comunicazione tra
esperti, si ha un massimo grado di specializzazione per quanto riguarda le scelte linguistiche,
che marcano una massima distanza dalla lingua comune. Non si può non notare come è
proprio grazie alla massima distanza dalla lingua standard che la lingua speciale risponde
all’esigenza di evitare possibili fraintendimenti o associazioni con dei termini impiegati dalla
lingua comune.
Il livello scientifico si manifesta sia nei testi scritti, sia in forme orali di tipo altamente
formale e prepianificate. La comunicazione si basa su conoscenze comuni ai diversi esperti e
ciò rende possibile il ricorso a formulazioni linguistiche abbreviate, con un ampio uso di sigle
e, a volte, la produzione di enunciati mistilingui.
Il livello sociolinguistico “divulgativo”, così designato secondo il tipo terminologico
adottato da Sobrero è caratterizzato, nelle scelte linguistiche, da un grado di specializzazione
minimo, in quanto lo scopo delle lingue speciali è quello di portare alcuni loro temi o aspetti a
conoscenza di un vasto pubblico (SOBRERO 1993, p. 242). Questo ambito comunicativo si
realizza sia nella divulgazione attraverso i mass-media, sia nella didattica, quando, dunque, un
esperto si trova ad interagire con parlanti che non dominano perfettamente una terminologia
specialistica.
24
Cfr. M. A. CORTELAZZO, in «Lexikon der Romanistischen Linguistik» G. HOLTOS–M. METZELIN–C. SCHMITT
(ed.) vol. IV (Tübingen 1988), pp. 246-255 (d’ora innanzi abbreviato CORTELAZZO 1988).
8
La lingua speciale, in questo caso, si avvicina alla lingua comune, perdendo alcuni dei
suoi tratti caratteristici. Dal punto di vista lessicale si verifica una sostituzione di tecnicismi
con parole comuni o con perifrasi oppure, se necessario, si accompagna la parola tecnica con
la sua definizione o se ne spiega il significato attraverso analogie e metafore. Sul piano
morfosintattico è presente un uso più variegato delle forme verbali, con una minore densità
lessicale. Infine, è stata notata una minor rigidità e prevedibilità dell’organizzazione testuale.
Una più approfondita classificazione dei livelli di specificità d’uso del linguaggio è
formulata da Gotti25, che nel suo contributo distingue tre ambiti comunicativi, nei quali uno
specialista interviene su un argomento di carattere professionale.
Un primo livello comunicativo riguarda la situazione in cui uno specialista si rivolge
ad un altro esperto, ad esempio per confrontarsi su problematiche inerenti il proprio ambito
disciplinare, o per esporre dei progetti di ricerca e riferirne i risultati. Vista la condivisione del
bagaglio di conoscenze in questo ambito comunicativo, si nota un ampio utilizzo di termini
specialistici.
Se lo specialista si rivolge a non specialisti, impiegherà dei termini tecnici,
spiegandone però il significato. Le lingue speciali mantengono le loro caratteristiche, ma in
parte si avvicinano alla lingua comune. Appartengono a questo livello sociolinguistico sia i
testi per studenti universitari, sia i manuali di istruzioni.
Infine, se prevale l’intento comunicativo, lo specialista userà il più possibile il lessico
comune, cercando così di divulgare informazioni su un argomento tecnico ad un’ampia
utenza. Testi di questo tipo sono gli articoli di riviste e giornali di carattere generale, che si
occupano di argomenti tecnici.
1.3. CARATTERISTICHE LESSICALI E PROCEDIMENTI DI WORTBILDUNG.
Tra i livelli di analisi non c’è alcun dubbio che è il lessico ad offrire i tratti
caratterizzanti delle lingue speciali sia rispetto ad altre lingue speciali sia rispetto alla lingua
comune, ma è anche innegabile come i procedimenti di Wortbildung costituiscano anch’essi
un tratto distintivo e peculiare delle lingue speciali.
A livello lessicale, una lingua speciale presenta una serie di segni aggiuntivi, rispetto a
quelli della lingua standard, che si rendono necessari per far fronte alle esigenze di
denominazione del settore di attività a cui ci si riferisce. Queste necessità derivano sia
25
Cfr. M. GOTTI, op. cit., p. 10.
9
dall’avere a che fare con oggetti o nozioni estranei all’esperienza comune (per esempio i
termini dell’informatica software, hardware, file, microprocessore o quelli della chimica
elettrone, protone, neutrone), sia dalla richiesta, presente in alcuni settori, di un’analisi più
elaborata di una porzione della realtà, che pure è di dominio comune (si pensi ad esempio alle
denominazioni mediche di diverse malattie, faringite, tracheite, laringite, etichettate dalla
lingua comune con un’unica espressione, mal di gola). Data l’ampiezza dei bisogni lessicali di
una lingua speciale, si può anche verificare l’ipotesi in cui il lessico specialistico sia più
esteso di quello standard (come ad esempio nel caso della lingua speciale della medicina o
della chimica).
Le principali caratteristiche lessicali delle lingue speciali sono la monoreferenzialità,
la precisione referenziale, la trasparenza e la sinteticità
26
.
L’elemento che maggiormente caratterizza le lingue speciali rispetto alla lingua
comune è la monoreferenzialità, ovvero il rapporto biunivoco fra significato e significante
assunto dai termini specialistici. Questo alto potere referenziale del lessico rende spesso
impossibile la sostituzione di un termine con un suo sinonimo. Benché questo possa portare a
una certa reiterazione di lessemi all’interno di un testo specialistico, alla quale si può
sopperire a volte utilizzando la definizione del tecnicismo o una sua perifrasi, la
monoreferenzialità è indispensabile per il mondo scientifico.
Non tutte le lingue speciali rispettano questa caratteristica: in alcune di esse sono
presenti serie di sinonimi, come nel caso della lingua del calcio, analizzata da Cortelazzo,
nella quale è evidente «la compresenza (storicamente ben spiegabile) di serie di sinonimi,
denotativamente identici, l’una di base inglese, l’altra di base italiana (corner vs. (calcio d’)
angolo, dribbling vs. palleggio…)» (CORTELAZZO 1988, p. 248).
26
In merito alle caratteristiche della monoreferenzialità e della precisione referenziale cfr. W. BELARDI, in
«Ethnos Lingua e Cultura. Scritti in memoria di Giorgio Raimondo Cardona», a cura di W. BELARDI (Roma
1993), pp. 379-403, dove l’Autore osserva come non si possa parlare di tratti caratteristici del lessico
specialistico. Per quanto riguarda la monoreferenzialità, stando al Belardi “il nome comune, tanto del lessico
usuale quanto dello specialistico, è sempre e soltanto un simbolo che si riporta non a un particolare e individuale
segmento della natura oggettiva, segmentato ed individuato a priori, ma a una classe nozionale, costruita dalla
mente umana e su questa proiettata”, mentre per quanto concerne la caratteristica della precisione referenziale,
l’Autore rileva come “il fattore tempo possa intervenire a depotenziare tali sue caratteristiche”. Le citazioni sono
tratte rispettivamente da p. 392 e da p. 395.