5
Scrive Nicola Bottiglieri (2000: 1513) che gli intellettuali non amano il cal-
cio perché non è razionale. Ma:
Ora che gli intellettuali hanno cominciato a capire che l’irrazionale, l’infantile,
l’imprevisto, la beffa sono parte essenziale della realtà contemporanea, si rivolgono
al calcio come al gran teatro del mondo. Lo stadio è il mondo, dove ogni domenica
si gioca il gran teatro della vita, quei novanta minuti di gioco sintetizzano le fasi più
importanti di una esistenza: la nascita, la crescita, la fine.
Non a caso, specialmente nel nostro Paese, il calcio è entrato e fa ormai par-
te integrante della vita e dei discorsi di tutti i giorni: è infatti il cerimoniale più
importante dei nostri tempi e probabilmente il più globale, grazie alla sua innata
capacità di unire le culture più diverse. Desmond Morris (1990: 13) ricorda i se-
greti del successo di questo gioco:
Innanzi tutto è semplice nel disegno e facile da capire. Può essere apprezzato a tutti i
livelli dal più primitivo al più sofisticato. […] È il gioco per tutti, sia da giocare che
da guardare. In secondo luogo può essere giocato da tutti i tipi di persone. […] Ter-
zo, è un gioco veloce e scorrevole che comprende un numero di azioni perfetto per
tenere gli occhi degli spettatori incollati al gioco. Ogni insieme di novanta minuti è
costituito da circa 2200 colpi al pallone. […] È l’equilibrio perfetto per rendere il
gioco interessante. E per tutto il tempo c’è un elevato livello di imprevedibilità ri-
guardo alla squadra che entrerà successivamente in possesso del pallone. […] Come
gioco di squadra comprende tantissimi elementi: progettazione e strategia, pensiero
rapido e tattica, velocità atletica e cesellatura, vigore fisico e robustezza, determina-
zione e astuzia, rischio e pericolo. […] Come eroi tribali, i giocatori creano intensa
fedeltà ed eccitazione.
In questo modo, conclude lo studioso (1990: 13-14), «l’incontro di calcio
diventa il simbolo della nostra ricerca di appagamento e successo. Diviene la me-
tafora delle nostre speranze e aspirazioni nella vita comune».
Il nostro obiettivo è un confronto empirico tra due edizioni de La Gazzetta
dello Sport del 1954 e del 2004, analizzando gli articoli sulla squadra vincitrice
dello scudetto nella giornata successiva alla conquista matematica del titolo.
Con l’analisi e il confronto intendiamo validare la seguente ipotesi: il gior-
nalismo sportivo è tra i più “scritti” (meno vicino al parlato degli altri giornalismi)
e difficili. È nostra opinione, infatti, che la scrittura di calcio sia molto creativa e
si contraddistingua per la sua originalità, in particolare nei titoli, spesso spiazzanti
e con solo mezza verità per incuriosire il lettore. Al contrario della credenza co-
mune, secondo noi si tratterebbe di un giornalismo sofisticato: potremmo addirit-
tura parlare di una sorta di “splendido isolamento” del cronista sportivo.
6
Capitolo 1
Come cambia la scrittura dei quotidiani
nella seconda metà del Novecento
1.1 Il giornale si trasforma
È opportuno affrontare brevemente i cambiamenti generali che hanno inve-
stito la lingua dei quotidiani italiani, non solo sportivi, nell’ultimo mezzo secolo, e
ricordare con Beccaria (1973: 85) «il gran bene che ha fatto il giornale […], oltre
che per la diffusione della cultura, anche per la diffusione dell’italiano», grazie al-
la sua «funzione decisiva di unificazione linguistica».
Naturalmente come prima cosa bisognerà prendere in considerazione alcuni
importanti fenomeni che hanno trasformato il mondo della carta stampata e dei
mass media in genere: si tratta dell’influenza della televisione, della settimanaliz-
zazione della notizia, della tendenza al sensazionalismo e della formula omnibus
1
.
Nel fare questo non bisognerà perdere di vista alcuni dati fondamentali: il primo è
che la lettura dei quotidiani resta sempre poco diffusa
2
e in tale triste quadro di
1
Quest’ultima, tuttavia, per ovvi motivi di settorialità ha influenzato solo in minima parte i quoti-
diani sportivi.
2
Secondo i dati 2002 della Wan, la World Association of Newspaper che raggruppa le maggiori
associazioni di editori di giornali quotidiani nel mondo, è aumentato «da 102 a 128 il numero di
copie di quotidiani diffuse ogni giorno in Italia ogni 1.000 abitanti, ma il nostro Paese arretra nella
classifica internazionale sugli indici di lettura, dove occupa adesso un misero 33° posto, alle spalle
di nazioni come Croazia, Slovenia, Cina, Turchia e Malesia!» (la citazione è tratta da un articolo di
Attilio De Pascalis, pubblicato sul sito dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia). A dominare la
classifica è la Norvegia con 705 copie, seguita da Giappone (664), Finlandia (544) e Svezia (543);
ma «Il divario dell’Italia è in ogni caso impressionante soprattutto con gli altri maggiori partner
europei: Gran Bretagna (383) e Germania (371) che in pratica hanno una diffusione tripla rispetto
a noi. Considerevole anche la distanza fra la Penisola e gli Stati Uniti, che vantano una diffusione
di 274 copie di quotidiani ogni 1.000 abitanti. Più vicina alla situazione italiana è la Francia, con
181 copie». Passando alla rilevazione Audipress 2002, e quindi all’indice di lettura dei quotidiani,
dei loro supplementi e dei periodici italiani, scopriamo che la stampa si consolida come mezzo di
massa: la percentuale di lettori sale al 78% dell’intera popolazione. La concentrazione maggiore di
lettori si registra tra le seguenti categorie: maschi, condizione socio-economica elevata, abitanti nel
Nord Italia, fasce d’età 14-54 anni. Quanto alla piramide dei media che risulta il Secondo Rappor-
to Censis/Ucsi sulla comunicazione in Italia realizzato sempre nel 2002, «Fatto salvo il successo di
massa di radio e televisione, gli altri mezzi di comunicazione non si dispongono più in un modo
lineare e tecnologicamente ordinato». In particolare: «Tra i mezzi ad alto livello di consumo tro-
viamo la conferma della diffusione capillare della televisione tra tutti gli italiani che hanno dai
quattordici anni in su, ma subito dopo scopriamo che il cellulare è familiare al 75,3% della popola-
7
scarsa propensione alla lettura dei fogli una felice eccezione è rappresentata pro-
prio dai giornali sportivi. Il secondo, come spiega Ilaria Bonomi (2003: 127), è
che nonostante questa situazione
il panorama dei quotidiani italiani è molto ricco, contando, oltre alle importanti te-
state nazionali, un elevato numero di testate regionali e locali, che contraddistinguo-
no il nostro giornalismo rispetto a quello della maggior parte degli altri paesi.
Tale pluralità costituisce uno dei fattori di variazione non solo tipologica ma anche
linguistica all’interno della categoria dei quotidiani.
Poi non bisogna dimenticare il ruolo sempre più modellizzante delle notizie
d’agenzia, nonché l’introduzione delle tecnologie e dei sistemi informatici per de-
finire la veste grafica dei giornali, che vengono quindi confezionati elettronica-
mente. Ricorda sempre la studiosa (2003: 128) che
i giornalisti compongono i pezzi direttamente al loro PC, in parte, appunto, ripren-
dendo e rielaborando dispacci d’agenzia, in parte scrivendo autonomamente i loro
articoli, soprattutto quelli di commento. L’impaginazione viene fatta automatica-
mente dai programmi di fotocomposizione. […] non esistono più quelle [le figure]
del correttore di bozze e del tipografo, il che rende più facile la presenza di refusi,
che i programmi di correzione automatica, strumenti molto imperfetti, troppo spesso
lasciano passare. Alcuni di questi errori tipografici, poi, […] possono portare, giorno
dopo giorno, a imporre usi errati: si pensi, ad esempio, […] all’uso impreciso della
virgola, che frequentemente, per refuso ma anche per un suo impiego linguistico po-
co sicuro, trova posto dove non dovrebbe o manca dove sarebbe necessaria.
zione, contro il 65,4% di utenti della radio». In particolare il livello di consumo del computer «con
il suo 36,4% comincia ad insidiare il 42,5% dei libri, mentre il 27,8% di Internet sorpassa il 24%
dei mensili. È proprio la sovrapposizione di mezzi a stampa e media informatici nella fascia cen-
trale dei consumi a rappresentare la grande novità nelle abitudini mediatiche degli italiani. Questo
risultato è determinato, sostanzialmente, da due processi contemporanei: da una parte aumenta
l’impiego di computer e Internet; dall’altra rimangono sostanzialmente stabili i consumi dei mezzi
a stampa. […] la Tv risulta l’unico vero collante culturale del nostro paese, visto che è seguita co-
stantemente dal 95,8% degli italiani. Circa la metà della popolazione ha molta confidenza con un
altro mezzo elettronico (la radio, che si colloca al 56,6%), con uno informatizzato (il cellulare al
47,6%) e uno a stampa (il quotidiano al 43,2%)».
8
1.1.1 L’effetto televisione
La televisione è sicuramente il mezzo che più ha contribuito e contribuisce a
cambiare la lingua dei quotidiani. Nota Alberto Papuzzi (1998: 89):
Si raccontano gli avvenimenti che alimentano le cronache, trasformando la realtà
quotidiana in un palcoscenico su cui si esibisce una folla di personaggi, importanti e
minuscoli, internazionali e provinciali, veri o fasulli, di una vita o di un’ora, della
cronaca e della politica, della cultura o dello sport, partoriti dai media ogni giorno e
dai media oggigiorno divorati. Il confine tra informazione e intrattenimento non è
più visibile. Si tende a mescolare informazione alta e bassa, in un pot-pourri i cui
ingredienti essenziali sono la brillantezza, il glamour, la frivolezza, il pettegolezzo.
La notizia come informazione ancorata a fatti e dati – la notizia costruita sul celebre
schema delle cinque W – sembra spesso scolorare e svaporare.
In questo modo, continua lo studioso, i mezzi di comunicazione di massa
diventano «piuttosto che strumenti per conoscere la realtà spiegandone i fenome-
ni, lo spazio simbolico in cui la realtà, con il suo groviglio di frammentazioni e
contraddizioni, è resa visibile e viene percepita in quanto visibile». Tra gli esempi
più eclatanti di tecniche giornalistiche mutuate dalla televisione c’è innanzitutto il
«domandismo», vale a dire il «collage di opinioni, che ricalca il modello del talk-
show televisivo».
Sempre Papuzzi (1998: 90) sottolinea che è in atto da tempo un processo di
osmosi dal video alla carta, perfettamente istituzionalizzato:
«L’attenzione alla televisione ha sicuramente avuto effetto sui giornali – ha dichiara-
to infatti Giulio Anselmi, direttore dell’Ansa – non fosse che per l’abitudine di tutte
le direzioni di sintonizzarsi la sera sui Tg, il che provoca una certa omologazione
delle prime pagine. E poi tutte le trasmissioni sempre più collegate alla carta stampa-
ta provocano un avvitarsi dei giornali nel rincorrere se stessi e la tv».
Il rischio della teledipendenza e del costante inseguimento al potere delle
immagini (e alle emozioni), che in realtà riguarda il sistema dell’informazione in
generale, è quello di «vedere sostituita alla diffusione di informazioni reali
l’illusione di un’informazione spettacolare, come Alberto Cavallari ha scritto a
proposito dei servizi sulla guerra del Golfo».
Oltre alla crescente spettacolarizzazione della notizia, che affronteremo nei
due prossimi paragrafi, cambia anche il modo di porgere le notizie. Nota in propo-
sito Bonomi (2003: 133) come
9
nella presentazione delle notizie al lettore appaia spesso il riflesso della loro scontata
precedente acquisizione attraverso la televisione, il che induce i giornalisti a sovrap-
porre alla pura e diretta informazione, spesso già nota al lettore, elementi di contor-
no esornativi; anche la mescolanza tra notizia e commento può essere in parte ricon-
dotta al fatto che il quotidiano ha in parte perso, e ceduto alla televisione, il suo ruo-
lo di primario o unico mezzo di informazione.
1.1.2 La settimanalizzazione della notizia
Altro tratto televisivo presente nella carta stampata italiana è la cosiddetta
settimanalizzazione della notizia. Così la spiega Papuzzi (1998: 91): «per fronteg-
giare la concorrenza televisiva i quotidiani prendono esempio dal modo di trattare
le notizie che hanno fatto il successo di testate settimanali come “L’Espresso” e
“Panorama”». Tale fenomeno, ricorda sempre il giornalista (1998: 91-92), è dovu-
to alla necessità dei quotidiani di trasformarsi in un
mix «informativo-spettacolare» in grado di soddisfare le esigenze dei lettori per
quanto riguarda vita quotidiana e tempo libero, capace di contrastare la concorrenza
televisiva con una «progressiva periodizzazione del quotidiano di ogni tipo, per
quanto attiene ai temi, al linguaggio, alla formula, con sviluppo dei supplementi e
degli inserti appunto periodici».
Settimanalizzazione dei quotidiani, dunque: aumentano le pagine e le illu-
strazioni, si aggiungono supplementi, nascono nuovi inserti e argomenti di intrat-
tenimento trovano pieno diritto di cittadinanza nell’informazione.
Si ha inoltre una vera e propria dilatazione della notizia, in un duplice senso.
Spiega Papuzzi (1998: 92):
1) ogni evento di un certo rilievo si spezzetta e si rifrange in una serie di eventi, mi-
nori e specifici, ciascuno dei quali ne rispecchia un’immagine; 2) l’evento è conside-
rato da una molteplicità di punti di vista a cui corrisponde una gamma sempre più
ampia di specializzazioni professionali.
La settimanalizzazione della notizia, quindi, diventa la «tecnica per rendere
rilevante l’avvenimento», e «ha il potere di rendere quotidiana l’eccezionalità».
Parole, queste, che rispecchiano efficacemente la realtà dei quotidiani sportivi,
come vedremo in seguito.
10
Scrive Bonomi (2003: 133):
appare evidente a tutti come nei giornali sia in aumento l’elemento visivo, con illu-
strazioni, schemi, tabelle, insomma con l’aumento della componente grafico-
illustrativa sulla parola; meno percepibile, forse, al lettore comune quella componen-
te di ‘animazione’ che caratterizza sempre di più l’informazione sui giornali, e che
spiega il crescente peso del descrittivismo e di molti fenomeni linguistici che rendo-
no la notizia più ‘visibile’ (per fare solo un esempio, l’uso del presente storico in
luogo dei tempi passati, che conferisce immediatezza e ‘visibilità’ al fatto).
1.1.3 Il sensazionalismo
Il sensazionalismo altro non è che un modo “gridato” di concepire la notizia,
spesso forzandola per cercare l’effetto a tutti i costi, anche quando gli scoop in re-
altà sono falsi. Tale concezione, in particolare, si avvale di due metodi, come ben
illustra Papuzzi (1998: 96):
Il primo è l’impiego di una scrittura letteraria o para-letteraria, che diventa prevalen-
te rispetto all’informazione. […] Il secondo metodo è la produzione di notizie a
mezzo di notizie […] o la circolazione autoreferenziale dell’informazione […] per
cui l’avvenimento da cui ha origine la notizia è un’altra notizia.
Pure questo aspetto, come è facile intuire, è prevalente nel giornalismo spor-
tivo contemporaneo: pensiamo al titolone di apertura nella prima pagina de La
Gazzetta dello Sport, che in poche battute deve dare l’impressione ogni giorno di
un nuovo scoop. Compito, questo, davvero non facile, specie quando non ci sono
le partite di calcio e bisogna comunque riempire le colonne della “rosea”, come
viene comunemente chiamata La Gazzetta dello Sport per il colore della carta su
cui viene stampata.
11
1.1.4 La formula omnibus
Ai nostri giorni vi sono diversi modelli di quotidiano. C’è quello, afferma
Papuzzi (1998: 98), «che si sforza di riprodurre la struttura e il linguaggio
dell’informazione televisiva – formato tabloid, articoli brevi, [..] numerose rubri-
che, notizie grafiche, flusso d’immagini –, valorizzando tuttavia il linguaggio vi-
sivo in alternativa alla televisione». C’è poi, prosegue il giornalista (1998: 99) il
modello d’élite, che si contrappone all’informazione di massa televisiva e vede il
quotidiano come uno
strumento delle classi colte, valorizzando con le nuove tecnologie elementi antago-
nisti alla televisione: foliazione ponderosa, distribuita in fascicoli, con supplementi
illustrati, soprattutto la domenica, servizi e reportages di ampie dimensioni, grandi
fotografie, spesso d’autore, raffinato uso dei grafici d’informazione.
Non bisogna dimenticare, inoltre, il giornale popolare, erede di un’antica
tradizione anglosassone, che in realtà non è mai decollato in Italia, sostituito dai
settimanali scandalistici e dagli stessi quotidiani sportivi, che si devono considera-
re a tutti gli effetti nazionali per la loro grandissima diffusione. C’è da citare, infi-
ne, la formula omnibus, nata negli anni Novanta e attualmente la più seguita dai
quotidiani italiani (ma solo in minima parte da quelli sportivi). Come spiega Pa-
puzzi (1998: 1000), essa
tiene insieme informazione alta e bassa, notizie internazionali e popolari, le opinioni
degli intellettuali e dei teledivi, il mondo della finanza e del cabaret, in un mix dove
la politica si mescola con il pettegolezzo, gli affari s’intrecciano con la cultura, la
cronaca gronda sangue e sesso, il costume si nutre di scandali e confidenze, mentre
la televisione è il grande collante.
12
1.2 L’oralità nella scrittura dei quotidiani
Veniamo ora alla vera e propria questione linguistica nei fogli italiani, ri-
prendendo le parole di Andrea Masini (2003: 19):
Il parlato pervade […] – ed è una novità diacronica che si può far risalire all’ultimo
quarto del secolo XX – anche il più antico fra i mass media, il giornale quotidiano.
Esso è promosso da un lato dall’incremento delle interviste, pur realizzate spesso in
forme ibride che sovrappongono il testo raccolto dall’intervistatore con i suoi com-
menti, ma che vincolano comunque il redattore a uno sforzo di mimesi dell’oralità,
di riproduzione del discorso diretto; dall’altro da un intendimento espressivo, come
mostrano i frequenti inserimenti di andamenti del parlato (focalizzazioni, frasi scis-
se, colloquialismi lessicali) in cronaca e anche in articoli di alto impegno formativo
o di riflessione politica e sociale: tutti questi tratti sono in aumento nei quotidiani
contemporanei e costituiscono il pimento fondamentale del cosiddetto stile brillante,
uno dei tratti costitutivi del linguaggio giornalistico oggi.
Tuttavia ciò non toglie il fatto che in molte sezioni della stampa quotidiana,
continua Masini (2003: 20),
le marche dell’oralità sono molto contenute, diciamo pure controllate. In questa di-
rezione convergono, fra altri, due tratti sintattici significativi […]: la penetrazione
molto modesta del che polivalente, […] rappresentato nella maggior parte dei casi in
proposizioni temporali (divenne tifoso che aveva appena sei anni), cioè nel tipo me-
glio accettato dalla norma grammaticale e ben acclimatato anche nella tradizione
della lingua letteraria. Il secondo è la complessiva resistenza del congiuntivo, insi-
diato sì dall’indicativo nel parlato della televisione e nei testi delle canzoni, ma an-
cora solido nella scrittura dei giornali, […] molto spesso additati come i principali
imputati della crisi del congiuntivo nell’italiano contemporaneo.
In proposito Cortelazzo (2000: 48) rileva che
il giornale è oggi, tra i mass-media, quello che meno si pone come specchio della re-
altà linguistica italiana (cfr. Simone 1987: 56): basti vedere la difficoltà con cui vie-
ne reso il parlato, che nella pagina giornalistica perde gran parte delle sue peculiari-
tà, più di quanto sia comunque inevitabile nel passaggio al mezzo scritto (per non
parlare delle interviste che tradiscono spesso, nelle domande come nelle risposte, la
loro origine scritta)».
La lingua dei giornali si contraddistingue, logicamente, per una pluralità di
codici e di registri, dovuti ai vari argomenti nei diversi settori trattati, dalla crona-
ca alla politica, dall’economia alla cultura, dagli spettacoli allo sport. Tratti comu-
ni, comunque, sono la presenza di stranierismi, in particolare dell’inglese
d’America; di neologismi; e infine, ma solo in minima parte, di regionalismi, con-
centrati in particolare nei fogli locali e in quelli del Centro-Sud (mentre sono pra-
ticamente scomparsi nei grandi quotidiani nazionali).
13
Ormai il dialetto, spiega sempre Masini (2003: 23-24), «vive soprattutto
come un dato di cultura» e viene esibito «più come elemento ai limiti del folclore
che per l’effettiva diffusione negli usi linguistici, e ciò non fa che rispecchiare il
loro declino negli assetti contemporanei del sistema linguistico e della società».
Come ben illustra Bonomi (2003: 131): «La componente oralizzante rappre-
senta uno degli elementi più rilevanti e vistosi del linguaggio giornalistico di oggi,
secondo una linea di tendenza iniziata negli anni settanta del secolo scorso». È
questo un periodo di rottura in cui vedono la luce nuovi giornali che si vogliono
differenziare, tra i quali la Repubblica
3
«che dalla sua nascita, nel 1976, ha im-
presso al linguaggio giornalistico una forte spinta innovativa, avvicinandolo alla
lingua comune e allontanandolo dal ‘giornalese’ che certo contribuiva, insieme ad
altre cause, alla scarsa leggibilità e popolarità dei quotidiani» (Bonomi 2003:
128).
Una delle due spinte in direzione oralizzante individuate da Bonomi (2003:
131) è una tendenza generale: infatti «l’apertura verso il parlato rappresenta la li-
nea evolutiva ‘normale’ della lingua, nello svecchiamento degli elementi gramma-
ticali, nella semplificazione sintattica, nella preferenza per voci più comuni rispet-
to a quelle letterarie ed elevate, e nell’accoglimento di voci colloquiali». Ma vi è
pure, dall’altra parte,
la volontà di vivacizzare la scrittura accogliendo voci e costrutti tipici della lingua
parlata, non soltanto nel piano del discorso diretto, che pervade largamente il quoti-
diano, ma anche in quello della scrittura del giornalista: così possiamo dire che
l’influsso dell’oralità investe sia il livello situazionale, sia quello referenziale.
3
Ricorda Papuzzi (1998: 72-73) che questo «primo grande quotidiano nazionale nel formato
tabloid dei giornali popolari inglesi e americani (47 x 32), con la tendenza a creare pagine mono-
grafiche» è la seconda grande rottura stilistica nella stampa italiana, dopo quella de «“Il Giorno”,
nel 1956, con il passaggio da nove a otto colonne, la dinamica impressa ai titoli, l’abolizione della
terza pagina, l’introduzione del colore».
14
1.3 Caratterizzazione linguistica complessiva
Oltre trent’anni fa Beccaria (1973: 71) notava che la lingua dei giornali è
«all’insegna della brevità e della rapidità» ed «essi sono stati ad esempio i mag-
giori diffusori di aggettivi diventati attraverso l’ellissi veri e propri sostantivi au-
tonomi».
Ai nostri giorni Masini (2003: 26) sostiene che
Le espressioni linguistiche dei mass media sono orientate […] in diafasia verso usi
che si situano, in linea di tendenza, nella zona centrale della scala, non troppo sbi-
lanciati verso l’italiano trascurato e alieni al tempo stesso da pretenziosi paludamenti
formali; anche in diastratia si tendono a evitare gli estremi, sia dell’italiano popolare,
sia di quello che è appannaggio solo delle classi sociali più avanzate; in diamesia si
oscilla […] fra i due poli dello scritto-scritto e del parlato-parlato, ma le strade più
battute sono in direzione di tipologie intermedie, che mescolano i due principali trat-
ti diamesici: da un lato l’italiano trasmesso, una realizzazione orale che non può pre-
scindere del tutto dalla scrittura; dall’altro, nei media scritti, una scrittura che am-
micca volentieri all’oralità, simulandone molti andamenti ma senza riprodurre tutte
le caratteristiche. Le lingue dei mass media, insomma, nascono come uno specchio
che riflette l’italiano contemporaneo nelle varietà più diffuse fra la popolazione, at-
tento a non sconfinare, se non in modo occasionale e con precisi intendimenti e-
spressivi, nelle zone di eccessiva marcatezza sociolinguistica.
Vi sono essenzialmente due fatti di ordine strutturale in costante aumento e
che risultano determinanti per la caratterizzazione della lingua dei giornali attuali:
la scarsa separazione tra notizia e commento, e l’invadenza del discorso diretto.
Riguardo a quest’ultima, emblematica è l’intervista, sempre più diffusa in tutti
settori dei quotidiani. Si tratta di un genere testuale particolare, che richiede una
buona capacità di strutturazione, oltre ad un uso consapevole della lingua. Scrive
in proposito Bonomi (2003: 129) che essa
Alterna con sequenza regolare le battute del giornalista e le risposte dell’intervistato,
mentre l’inserimento di battute all’interno del pezzo, altrettanto diffuso, ne determi-
na talvolta un andamento non lineare, con possibilità di squilibri e sconnessioni sul
piano sintattico, e con un’accentuazione della componente impressiva, brillante.
Ovviamente l’accentuato uso del discorso diretto, continua la studiosa,
riduce drasticamente l’operazione di riformulazione da parte del giornalista, sempli-
ficando la struttura sintattica; un’altra conseguenza sul piano linguistico riguarda la
crescente apertura verso la componente colloquiale, che invade naturalmente il di-
scorso diretto ma si estende anche al di fuori di esso.
15
Già il 10 febbraio 1984 Tullio De Mauro, intervistato da Oliviero Beha per
la Repubblica, affermava che il cronista sportivo «mette ormai quasi tutto tra vir-
golette. Non si raccontano fatti, ma solo opinioni a condizione che siano opinioni
di un nome noto». Tale fenomeno comporta quindi profonde modificazioni anche
nel modo di fare giornalismo. Sempre De Mauro, infatti, proseguiva affermando
che
siccome gira e rigira gli intervistati sono sempre gli stessi, si abbassa il livello di in-
teresse e di significato delle loro dichiarazioni. Diventa la routine più nera. E il letto-
re, in politica come nello sport, si abitua a pensare che la realtà sia questa, il resto
non sia reale, non esista.
Riguardo alla scarsa separazione tra notizia e commento, invece, essa si al-
lontana dalla migliore tradizione giornalistica anglosassone, che distingue netta-
mente i due piani con articoli prettamente informativi da una parte, e di opinione e
commento dall’altra
4
. Secondo Bonomi (2003: 129-130): «La mescolanza tra i
due piani, oltre a non orientare l’attenzione e l’interesse del lettore, conduce ad
una minore funzionalità informativa e anche ad una sovrapposizione di tipi testua-
li differenti».
Per Cortelazzo (2000: 49) il nucleo centrale della lingua dei giornali è una
scrittura costituitasi per
esigenze inerenti al medium quali la leggibilità (intesa non solo come chiarezza, ma
anche come corrispondenza delle attese e alle abitudini del lettore) e l’economia –
due fattori non sempre conciliabili –, quanto la funzione ideologica del giornale nel
contesto italiano […]. I caratteri peculiari e più stabili della scrittura giornalistica
sono riscontrabili a livello sintattico piuttosto che a livello lessicale; in quest’ultimo
sono dominanti l’apporto dei sottocodici, legati agli ambienti da cui proviene la no-
tizia, o l’immissione di innovazioni, anche individuali o di effetto, che però si bru-
ciano presto, scomparendo o istituzionalizzandosi nel lessico comune.
4
Papuzzi (1998: 55) ricorda che «La cronaca, o reporting, è la forma di esposizione della notizia
per eccellenza. […] È ciò che intende Walter Lippmann quando afferma che la notizia è la cronaca
di un aspetto della realtà che si è imposto all’attenzione, attraverso atti precisi e manifesti che pos-
sono dunque essere registrati». Mentre, continua il giornalista (1998: 56), il commento «è la forma
giornalistica di esposizione delle opinioni. Presenta e sviluppa giudizi di parte […] Si tratta di
views, punti di vista, contrapposti alle news».
16
Nell’elenco delle caratteristiche della lingua dei giornali, inoltre, bisogna far
rientrare l’espressività: ad essa, sottolinea Bonomi (2003: 130),
si devono ricondurre certe punte estreme della componente oralizzante, esibite come
segno di disinvoltura e disinibizione (lessico triviale); certe modalità testuali miranti
a creare attesa e a colpire; l’eccessiva frammentazione sintattica, che accanto ad una
finalità di chiarezza risponde anche ad una spinta impressiva; l’uso ‘marcato’ e con-
notativo della punteggiatura. Tutti fenomeni [… da] gli effetti spesso negativi sul
piano dell’informatività e della denotatività, prerogative essenziali dell’informazione
giornalistica.
La componente espressiva o connotativa sarebbe fondamentalmente da ricollegare
alla situazionalità, cioè all’incidenza del contesto situazionale dell’espressione lin-
guistica, mentre il contenuto informativo in sé riporta alla componente referenziale
della scrittura giornalistica, quella che fa riferimento alla funzione strettamente co-
municativa del messaggio. In realtà nella scrittura giornalistica è arduo separare i
due piani e le due funzioni, che si mescolano di continuo.
A caratterizzare la scrittura situazionale o stile brillante sono il lessico con-
notato, ma anche le metafore (che come vedremo sono usatissime negli articoli di
calcio), i costrutti sintattici topicalizzanti, l’ordine delle parole marcato e vari e-
lementi tipici del parlato come i segnali discorsivi. Bonomi (2003: 130) segnala in
particolare le “animazioni”, vale a dire
quegli elementi che, con finalità espressiva, mirano a rendere vivace e impressiva la
rappresentazione degli eventi, a creare effetti speciali: per esempio, i verbi didasca-
lici di effetto al posto di quelli neutri (invece di dice, afferma, risponde ecc.: lamen-
ta, rimbecca, sbotta, esplode, butta là). Nell’uso di voci come queste, alla volontà di
ottenere una finalità impressiva si associano evidentemente la tendenza alla variatio,
che costituisce tradizionalmente un impegno delle redazioni, e il persistente, anche
se ridotto rispetto al passato, ricorso al sinonimo ricercato e letterario.
Se l’influenza della lingua parlata è sempre più evidente nei giornali, la
componente burocratica e quella letteraria diminuiscono vistosamente. Riporta
Bonomi (2003: 132) che «Oggi, la componente letteraria, tutto sommato trascura-
bile, appare più evidente nella cronaca, con metafore e stereotipi miranti ad eleva-
re il dettato, e nello sport, settore in cui la fantasia creativa del giornalista è lascia-
ta più libera di intessere tessere provenienti dal linguaggio letterario, oltre che da
diverse risorse della lingua».
17
1.4 Gli articoli di giornale: analisi linguistica
1.4.1 Tipologia
Premesso con Bonomi (2003: 137) che gli articoli di giornale «appartengo-
no per definizione alla grande categoria dei testi pragmatici, cioè che si propon-
gono di conseguire scopi pratici (informare, descrivere, convincere), opponendosi
in ciò ai testi letterari», generalmente per quanto riguarda la tipologia testuale
la maggior parte degli articoli di giornale è da ascrivere al tipo informativo, mentre
testo squisitamente argomentativo può essere un articolo di fondo o un articolo di
contenuto scientifico o comunque strettamente culturale.
Al tipo descrittivo e al tipo narrativo possono appartenere parti di articoli, difficil-
mente articoli interi.
In ogni caso bisogna sottolineare (sempre con Bonomi 2003: 138) che «i di-
versi tipi di articoli che compongono il quotidiano di oggi sono molto meno defi-
niti e differenziati tra loro rispetto a qualche decennio fa: assistiamo infatti ad un
progressivo mescolamento dei tipi testuali», con la conseguenza di «una progres-
siva incertezza di confini», tanto che si parla di “informazione di confine” per in-
dicare quegli articoli, per esempio di moda, che stanno a metà tra la pubblicità e
l’informazione vera e propria.
1.4.2 L’impaginazione e il paratesto
È opportuno soffermarsi sull’impaginazione. Lo facciamo con la spiegazio-
ne di Papuzzi (1998: 72):
La composizione della pagina gioca soprattutto sul numero delle colonne (fra sette e
nove, secondo i vari modelli nazionali), sulla loro larghezza, sulla lunghezza dei te-
sti, sull’ampiezza dei titoli, sul peso dei corpi, sullo stile dei caratteri, sulla giustezza
delle colonne, sulla collocazione delle illustrazioni. Ogni giornale tende a un suo sti-
le, che dovrebbe garantirgli l’attaccamento del lettore, e per questa ragione i muta-
menti formali sono rari, e spesso seguono processi lentissimi; in questo senso si ri-
conoscono all’impaginazione due funzioni: esplicitare le scelte informative del gior-
nale e trasmettere al lettore una carica emotiva (Murialdi 1975).
[…] Divisa la pagina in quattro quadranti, secondo la forza di attrazione che eserci-
tano sull’occhio del lettore, si ottiene una gerarchia del valore degli spazi: il punto di
maggiore evidenza risulta essere l’angolo in alto a destra. Questa zona della pagina è
detta spalla, l’angolo in alto a sinistra è detto apertura, mentre nella metà inferiore
della pagina trovano posto il taglio e il piede.
18
Sempre Papuzzi (1998: 73) ricorda che vi sono quattro modelli della rappre-
sentazione visiva delle notizie:
a) la valorizzazione della fotografia, come testo che possiede un’autonoma capacità
informativa, secondo la migliore tradizione del fotogiornalismo; b) l’impiego della
fotografia come sequenza di immagini che tende a riprodurre il flusso di fotogrammi
tipico del linguaggio televisivo; c) l’adozione di testi schematici e sintetici – schede
informative o selezioni di opinioni – che sostituiscono l’esposizione classica della
notizia (servizio o resoconto); d) la creazione di grafici d’informazione o infogra-
phics, che possono esporre i contenuti salienti d’un avvenimento e d’una notizia in
forma visiva. La formula articolo e titolo continua ad essere prevalente, ma una quo-
ta sempre maggiore di notizie, soprattutto su quotidiani di nuova ideazione, passa at-
traverso la rappresentazione visiva.
A proposito degli infografici, sottolinea lo studioso (1998: 155), essi aiutano
a spiegare questioni complesse. Queste illustrazioni combinano informazioni fattuali
con tecniche visuali, come grafici, carte, mappe o diagrammi per raccontare una sto-
ria (Garrison 1994).
Ma nei quotidiani italiani queste novità grafiche hanno assunto per lo più una fun-
zione ancillare.
Concludendo, il linguaggio grafico nella sua totalità ha un’influenza sui
contenuti delle notizie. Papuzzi (1998: 156) individua due esiti principali: «Il pri-
mo riguarda l’inevitabile preponderanza dei dati quantitativi implicati nella noti-
zia, che non costituisce di per sé un aspetto negativo, anzi combatte gli eccessi let-
terari», e «Il secondo è l’appiattimento della notizia sul fatto in sé, o meglio
sull’apparenza del fatto, che non lascia spazio ad alcun approfondimento».
Nell’analisi degli articoli di giornale, soprattutto ai nostri giorni, non si può
prescindere dalla crescente importanza del paratesto, cioè «della parte esterna
all’articolo vero e proprio, che lo introduce e lo completa», come puntualizza Bo-
nomi (2003: 139). Innanzitutto il titolo, completo di occhiello e sottotitolo
5
, e
quando c’è anche di catenaccio
6
, a volte presente su una o due righe per dare rilie-
vo a un particolare importante o per introdurre una notizia secondaria; ma anche i
rimandi interni al pezzo,
5
Si veda § 4.5.9.
6
Papuzzi (1998: 77) spiega che il catenaccio, che «chiude lo spazio del titolo nella parte inferiore,
come una sbarra […], non è tanto un elemento esplicativo ma aggiuntivo, quasi un secondo titolo».