I film scelti per la ricerca possono essere divisi in due blocchi
principali ed unitari: al primo gruppo appartengono il film di
Biancaneve e i sette nani, di cui è stato analizzato sia il doppiaggio
italiano originale del 1938 che il ridoppiaggio del 1972, Pinocchio
del 1940, La Bella Addormenta nel Bosco del 1952 e Cenerentola del
1966; questi film sono stati infatti quando Walt Disney era ancora in
vita, e quando era lui a visionare tutti i doppiaggi internazionali. Al
secondo gruppo appartengono invece: La Bella e la Bestia del 1991, il
Gobbo di Notre Dame del 1996 ed Hercules del 1997; questi film
fanno parte di quella che viene definita Disney’s renaissance degli
anni ’90 e in un certo qual modo cercano di accattivarsi, oltre ai soliti
giovanissimi, anche i segmenti di pubblico che si qualificano come i
più appassionati consumatori dei film d’animazione.
Quello che sostanzialmente si è voluto verificare è quindi se il parlato
cinematografico, dei prodotti destinati ai giovanissimi, funzioni da
specchio della realtà linguistica. Attraverso l’analisi del nostro corpus
si tenterà di ottenere una risposta alla domanda che si è posti.
II
CAPITOLO I
WALT DISNEY E IL CINEMA
D’ANIMAZIONE
1.1 LE ORIGINI DEL CARTONE ANIMATO
I cartoni animati ormai da più di un secolo allietano ed affascinano con i loro
colori, la loro musica, il loro divertimento il mondo cinematografico e televisivo.
Purtroppo sono da sempre considerati un sottoprodotto del cinema, poiché troppo
spesso si commette l’errore di non considerarli dei prodotti culturali, ma destinati
solo per il divertimento di un pubblico infantile.
Iniziando, dunque, un viaggio nel mondo dell’animazione - ed in seguito nel
mondo Disney - bisogna cercare di dare una definizione proprio all’espressione
“cartone animato”. Nel corso dei secoli l’evoluzione di tale tecnica si è
modificata radicalmente, per questo è necessario tracciare un excursus storico per
capire come e quando nascono queste particolari creazioni cinematografiche e
studiarne la variazione nel tempo.
Secondo lo statuto dell’ASIFA (Association Internationale du Film D’Animation),
ogni creazione cinematografica che utilizza particolari tecniche di animazione che
permettono di dare ai disegni l’illusione del movimento al momento della
proiezione dell’immagine grazie all’applicazione di un principio elementare del
cinema, ovvero la fotografia immagine per immagine è considerata un cartone
animato
1
.
Come dice Bendazzi, l’espressione cartone animato è la corruzione dell’inglese
animated cartoons che letteralmente significa “disegni caricaturali animati”
2
.
Quindi si dovrebbe parlare di disegni animati o tutt’al più di film d’animazione;
ma la storpiatura cartone animato, come afferma Luca Raffaelli
3
, è di così largo
uso oggi in Italia che la battaglia per la dicitura corretta risulterebbe vana.
Le origini e le basi per creare delle “immagini in movimento”
4
si perdono nella
notte dei tempi. Si possono far risalire, indubbiamente, agli spettacoli di ombre
dell’antico Egitto e di Babilonia o, con maggiore precisione storica, della Cina,
del Medio Oriente e dell’India; passando per le speculazioni teoriche di Aristotele,
1
G. Bendazzi, Topolino e poi, Il Formichiere, Milano, 1978, pg. 12 .
2
Ivi, pg. 13.
3
L. Raffaelli, Le anime disegnate, Minimum fax, Roma 2005, pg. 8.
4
G. Bendazzi, op. cit., pg 11.
2
degli arabi, degli umanisti italiani o ancora di padre Athanasius Kircher e al suo
libro Ars magna luci et umbrae (1646), che è il primo vero trattato organico sui
problemi ottici relativi alla proiezione delle immagini.
La lanterna magica, introdotta nel XV secolo dallo scienziato olandese Christiaan
Huygens, era il primo vero strumento che permetteva alle immagini di muoversi,
ed era anche particolarmente semplice da utilizzare. Le immagini, infatti, dipinte
su vetro, erano fatte scorrere una dietro l’altra e proiettate su di una parete
appositamente predisposta.
È comunque soltanto nel 1736 che la lanterna magica, dopo una serie di
perfezionamenti tecnici apportati da varie parti al modello originale del Seicento,
si arricchisce di un dispositivo introdotto dal fisico olandese Pieter Van
Munschenbroeck, con il quale è possibile ottenere il movimento dell’immagine
per mezzo della sovrapposizione di due pezzi di vetro. Lo spettacolo però che si
otteneva era ancora limitato alla successione di immagini statiche, indipendenti
l’una dall’altra, seppure parzialmente semimoventi, e quindi le possibilità
espressive di questo nuovo apparecchio di proiezione erano ancora notevolmente
ridotte.
Intorno alla fine del Settecento, il Fantascopio
5
, brevettato dal fisico belga
Etienne-Gaspard Robert (conosciuto con lo pseudonimo di Robertson) nel 1799,
migliorò notevolmente la lanterna magica permettendo nuove possibilità
spettacolari nell’animazione delle immagini. Si trattava in sostanza di una lanterna
fornita di otturatori speciali, ma la sua attrezzatura tecnica per realizzare spettacoli
consisteva in un insieme di varie lanterne, di numerose lastre disegnate, di leve e
carrucole che permettevano di avvicinare o di allontanare sullo schermo le singole
lanterne, nonché di variare apparecchiature per ottenere suoni e rumori. Lo
spettacolo realizzato era estremamente composito e suggestivo, e a volte anche
spaventevole, se si tiene conto del fatto che queste apparecchiature consentivano
l’apparizione e la sparizione di immagini (spesso fantasmi), nonché
l’ingrandimento e l’immediato rimpicciolimento delle figure. Erano comunque
5
G. Rondolino, Storia del cinema d’animazione, Einuadi, Torino, 1974, pg. 5.
3
ancora spettacoli basati sulla successione di immagini statiche o solo parzialmente
dinamiche e non ancora fissati su particolari supporti inalterabili.
All’inizio dell’Ottocento risalgono invece due invenzioni che introdussero a poco
a poco la rappresentazione del movimento animato, basandosi sul principio fisico
della persistenza delle immagini sulla retina dell’occhio umano: il
Thaumautropio
6
, descritto nel 1827 in un libro del dottor John Ayrton Paris a cui
viene attribuita l’invenzione, e il Fenakistiscopio
7
del fisico belga Joseph-Antoine
Plateau. Il fenomeno della persistenza retinica era già conosciuto considerando
che era stato dibattuto per la prima volta da Tolomeo, matematico greco vissuto
nel II secolo a.C.
Il Fenakistiscopio, un giocattolo ottico, consisteva in un cerchio di cartone rotante,
su cui erano disegnate un certo numero di figure (in genere sedici) che
rappresentano il movimento nelle sue varie fasi. Facendo roteare il cerchio attorno
al suo centro davanti ad uno specchio, è possibile vedere attraverso apposite
finestrelle praticate sulla superficie del cerchio stesso la figura disegnata
muoversi.
Non dissimili al Fenakistiscopio e non meno diffusi in questo periodo furono il
Daedalum dell’inglese Willian George Corner, e lo Zootropio.
Nel corso dell’Ottocento, si susseguirono una serie di tentativi, esperimenti,
brevetti e ricerche, tutti rivolti ad ottenere l’illusione del movimento, sia
modificando e perfezionando la lanterna magica, sia inventando nuove
apparecchiature. E se il cinema «dal vero» avrà bisogno delle contemporanee
ricerche nel campo della fotografia per tendere alla perfezione, il cinema
d’animazione prende le mosse per migliorarsi proprio dalla lanterna magica e da
questi giocattoli meccanici ottocenteschi, in cui la ricerca del movimento è
strettamente collegata al disegno ed all’illustrazione.
In concomitanza con le ricerche e le sperimentazioni dei fisici e dei tecnici nel
campo della riproduzione del movimento, anche le arti figurative nella seconda
metà dell’Ottocento tentarono di trovare una loro strada per la conquista del
movimento; sullo sfondo di una cultura che andava sempre più trasformandosi da
6
Ivi, pg. 6.
7
Ibidem.
4
una mentalità classica verso una concezione più dinamica dell’uomo e dell’intero
universo.
L’arte cinetica, come il cinematografo d’altronde, era alle porte e non pochi
scultori e pittori seguirono con estremo interesse l’evolversi delle ricerche e delle
sperimentazioni nel campo dell’ottica e delle sue applicazioni per quanto concerne
le leggi fisiche della luce, la persistenza delle immagini ecc...
Tra gli artisti, che per primi trovarono il mezzo per realizzare la nuova esigenza di
dare alla pittura e al disegno il movimento della vita, portando avanti un discorso
unitario, che al tempo stesso si basava su una rigorosa sperimentazione tecnica e
su un’autentica necessità poetica, bisogna annoverare il fisico francese Emil
Reynaud (1844-1941), che a buon diritto può essere considerato il vero creatore
del cinema d’animazione. Il Prassinoscopio fu brevettato nel 1877 e due anni
dopo Reynaud creò il Prassinoscopio-teatro, che migliorava considerevolmente le
condizioni di rappresentazione del movimento e della sua fruizione da parte
dell’osservatore, consentendo la realizzazione di un vero e proprio piccolo
spettacolo teatrale. Il passaggio allo spettacolo popolare avviene con l’invenzione
del Teatro Ottico, basato sullo stesso principio tecnico del Prassinoscopio, ma
aggiornato e ampliato sulla base di nuove ricerche e di nuove applicazioni, tra le
quali la pellicola a scorrimento, cioè una striscia di materiale trasparente di
lunghezza indefinita opportunamente forata ai margini per consentirne lo
scorrimento davanti alla fonte luminosa per mezzo di particolari ruote dentate. Il
brevetto del Teatro ottico è del 1888. La prima rappresentazione delle pantomimes
lumineuses
8
(ovvero pantomime luminose così egli aveva chiamato le sue piccole
opere) ebbe luogo il 28 ottobre 1892. Le piccole favole a disegni animati, la cui
durata variava dai sei ai quindici minuti, che Reynaud pazientemente disegnava,
immagine per immagine, sulla pellicola erano storie semplici, elementari con
pochissimi personaggi che si muovevano con grazia in ambienti colorati con i toni
delicati e leggeri delle illustrazioni per l’infanzia, un po’ naïves, ma ricche di una
sincera e originale vena poetica.
8
G. Bendazzi, op. cit., pg. 17.
5