5
ricerca (Work in progress)
2
, anche col supporto dell’ IMO
(International Maritime Organisation), sui metodi di implementazione
della Convenzione di Londra del 1976 condotta con strumenti
coordinati a sistema : questionari destinati agli Stati membri, raccolta
dati sullo stato di ratifica e sui modelli di tecnica legislativa utilizzati
singolarmente per l’enforcement, casistica giudiziaria e studio
dell’effettiva uniformità interpretativa. Il riferimento ai lavori
preparatori della Convenzione piuttosto che ai principi generali dei
singoli ordinamenti giuridici è il segnale della reale implementazione
del regime uniforme nei singoli Stati. Il lavoro pubblicato con
aggiornamenti continui sul sito internet del CMI, attualmente ha
prodotto un resoconto piuttosto circostanziato, riservando uno spazio
notevole alla comparazione delle tecniche di legislazione per
implementazione della Convenzione e al modulo “interattivo”
realizzato con la tecnica della domanda-risposta ai singoli paesi
membri. I dati raccolti ed elaborati fungono da strumento di verifica e
aggiornamento, anche per la predisposizione di risposte a questioni in
ordine alla eventuale rivalutazione automatica dei limiti già prevista
dal Protocollo del 1996 (di aggiornamento alla LLMC), che introduce
parziali modifiche soprattutto in termini di variazioni tariffarie, in
relazione all’inflazione e alle coperture assicurative. In occasione della
Conferenza CMI di Singapore 2001 sono stati presentati, discussi e
approvati i primi documenti del Working Group . In tale sede è stata
altresì avanzata la proposta di considerare l’eventualità di riconoscere,
sotto il profilo processuale, la giurisdizione in ordine alla limitazione
di responsabilità alla Corte Europea di Giustizia su questioni di Diritto
Europeo. Fra le finalità del Working Group figura anche l’assistenza
per un’adeguata implementazione e una corretta interpretazione della
Convenzione, in armonia con le linee guida tratteggiate nei Lavori
Preparatori elaborati dall’IMCO (ora IMO) che costituiscono il
necessario riferimento per l’attribuzione del più corretto significato
alle espressioni e ai concetti contenuti negli articoli del testo
normativo. L’attenzione prestata ai metodi individuati dai singoli Stati
per l’attuazione normativa della LLMC segnala la rilevanza attribuita
2
Il Working Group del CMI è costituito dal Professor Francesco Berlingieri (in veste di chairman), dal Dottor
Panaghiotis Sotiropoulus e dal Sig. Richard Shaw. I lavori sono pubblicati sul sito internet :
http:/www.comitemaritime.org.
6
alle tecniche di redazione legislativa potenziata dall’utilizzo di
strumenti di supporto informatico-tecnologico e dall’evoluzione degli
studi di carattere sistemico (più attenti alle complesse interrelazioni
inter e intradisciplinari), destinati a delineare scenari futuri in base
all’analisi, rielaborazione e organizzazione dei dati reali acquisiti,
idonei alla progettazione di discipline normative vincenti, predisposte
per avere successo. Il realismo giuridico
3
ha insegnato che un metodo
di misurazione dell’efficacia (dunque del successo) di una legge - così
come di un sistema giuridico-normativo - si costruisce monitorando l’
effettiva sua ricezione, applicazione e adeguata interpretazione in sede
giurisdizionale. Anche in quest’ottica l’impianto lineare, scarno,
pragmatico del testo approvato a Londra il 19 novembre 1976
costituisce un’interessante modello di disciplina uniforme, che
stabilisce regole generali applicabili in termini di practicability,
lasciando la definizione dei profili procedimentali, di natura più
complessa e variabile, alla differente sensibilità giuridico-legislativa
dei singoli paesi contraenti, portatori di modelli processuali alquanto
distanti, le cui differenze non sono certo colmabili rapidamente, se non
a prezzo di distorsioni, contraddizioni, antinomie e lacune, nonché
rischio di illegittimità costituzionali. Si noti che, a differenza della
Convenzione del 1957 di Bruxelles, la LLMC è stata approvata e
ratificata anche da molti più Stati di common law, a cominciare dal
Regno Unito. Ciò richiede a maggior ragione una normazione di
carattere alquanto generale che lasci margini di spazio per eventuali
specificità (opzioni facoltative invocabili) apportabili dai singoli Stati
nelle disposizioni relative agli ambiti giuridici più eterogenei sul piano
attuativo come quello propriamente processuale. L’approccio della
Convenzione di Londra alla questione della limitazione della
responsabilità è premiato e premiante perché, ben lungi dal perdersi in
sottili disquisizioni dottrinali, mira a proporre una soluzione praticabile
per la gestione di una materia in evoluzione correlata a molteplici
fattori economici, di mercato, monetari, giuridico-assicurativi. Il
merito dei redattori sta dunque nel aver prodotto uno standard generale
uniforme di normazione, realizzato in un testo normativo costituito da
pochi articoli piuttosto chiari, che prevede ab origine opzioni
3
Sul realismo giuridico si vedano gli studi di E.Pattaro, Lineamenti per una teoria del diritto, Bologna, Clueb, 1990; K.
Olivecrona, La struttura dell’ordinamento giuridico, Trad.it. a cura di E. Pattaro, Milano, 1972.
7
facoltative per i singoli stati aderenti. La decisione di eliminare il
riferimento alla persona responsabile, utilizzando espressioni
generiche individuanti categorie ampie del tipo “operazioni necessarie
per rendere innocuo il carico della nave” , “perdita o
danno…verificatisi…in diretta relazione con l’esercizio della nave”
4
,
consente, con una soluzione pragmatica, di gestire una situazione
fluida, aperta, soggetta alla moltiplicazione dei soggetti coinvolti.
Analogamente la scelta del superamento delle due classiche categorie
dei crediti di fonte contrattuale ed extracontrattuale permette un
computo unitario dei limiti, a fronte della già rammentata
frammentazione delle funzioni e dei servizi: si attribuisce in tal modo
priorità alla previsione di limiti distinti per classi di stazza di nave
(siamo in un sistema tariffario) e per tipologie di soggetti/oggetti
lesi/persi. L’obiettivo, che si ritiene centrato, è: 1) garantire, sul piano
della responsabilità, rapidità di soluzione nel calcolo delle somme da
depositare per la costituzione del fondo di garanzia; 2) ridurre le
questioni conflittuali fra soggetti responsabili, soggetti debitori e
soggetti creditori; 3) circoscrivere i crediti per i quali è consentito il
ricorso al beneficio della limitazione; 4) riconoscere ai creditori
somme più proporzionate, aumentando le soglie di limite via
innalzamento delle coperture assicurative (il che si traduce anche in un
incremento di capitale economico investito), onde promuovere
l’affidamento e quindi la fiducia negli operatori del settore armatoriale.
Esiste peraltro un dato di riferimento per il bilancio del successo della
Convenzione che non transita per via di implementazione-
interpretazione giurisprudenziale, ma per via convenzionale mediante
preventiva previsione di clausole contrattuali e indennitarie,
conseguenti all’adozione legislativa del regime uniforme. Un fattore
tanto più rilevante nel settore marittimo-armatoriale, maggiormente
incline a ragionare in termini di strategie preconflittuali. Il che spiega
anche il limitato utilizzo delle procedure di limitazione della
responsabilità e lo scarso materiale giurisprudenziale. I criteri guida
della Convenzione di Londra in termini di limiti massimi, di condotta
4
Cfr. LLMC, art.2 lett.d e a. Della Convenzione di Londra 1976, redatta nelle due lingue ufficiali adottate, inglese e
francese, esiste una sola traduzione italiana a cura di Riccardo Cammarota , pubblicata in Studi marittimi, 28/86,
pp.105-109, cui si fa riferimento.
8
preclusiva del beneficio, di parametri di calcolo del limite
costituiscono la griglia per la costruzione di modelli standard di
clausole convenzionali che, a partire dalla fine degli anni 70, si
ritrovano nelle fattispecie contrattuali del settore. E del pari i contratti
di assicurazione posteriori alla LLMC risentono della disciplina
delineata da quella.
Intento di questo studio pertanto sarà, previa una rapida ricostruzione
dell’origine storica dell’istituto della limitazione, riflettere
sull’evoluzione del concetto di credito marittimo delineatasi nella
disciplina uniforme sulla limitazione di responsabilità, quindi
analizzare gli elementi di maggiore portata innovativa configurati nella
LLMC, considerando altresì le ragioni che hanno finora portato l’Italia
ad astenersi dalla ratifica della Convenzione di Londra, senza
tralasciare una breve analisi del Protocollo del 1996. Si cercherà
altresì, anche alla luce dello studio redatto da F.Berlingieri, di
ipotizzare la struttura e il modello di normazione eventualmente
proponibile per la futura, forse inevitabile, ritardata ratifica della
LLMC nel nostro ordinamento, che dovrà necessariamente
configurarsi utilizzando un modello di incorporazione del regime
uniforme nella legge. Da ultimo si vuole esaminare la documentazione
elaborata dal CMI in materia, che costruisce per il futuro
un’imprescindibie riferimento per le ricerche sul regime uniforme,
sulla sua efficacia ed effettiva practicability.
9
Capitolo I
Origini dell’istituto di limitazione della responsabilità armatoriale:
cenni storici.
La responsabilità che grava sull’armatore per i danni accorsi
nell’esercizio della nave e la tutela dei soggetti ivi coinvolti, sono
state, fin da epoca romana, oggetto di attenta considerazione giuridica:
l’istituto di diritto romano giustinianeo della noxae deditio che,
applicato al proprietario di vascello, prevedeva la consegna dello
strumentum offendendi ai creditori, può considerarsi, secondo
autorevole dottrina, una prima forma di limitazione del debito
armatoriale
5
. L’abbandono della nave ai creditori configura la più
antica forma di liberazione del proprietario da ogni responsabilità
correlata all’esercizio della nave. A prescindere dal già menzionato
istituto di fonte romana della noxae deditio, non afferente come
disciplina speciale al diritto marittimo, ma strumento di diritto
generale per la liberazione del debitore nei confronti dei creditori, sulla
cui applicazione al settore marittimo la dottrina è divisa
6
, si prevedono
forme certe di limitazione della responsabilità armatoriale a partire dal
XV secolo nella Lex mercatoria
7
. L’abbandono della nave ai creditori
5
In questo senso cfr. Zunarelli, Lezioni di diritto della navigazione, Bologna, Libreria Bonomo, 2001, p.56. Nel diritto
giustizianeo l’actio noxalis si configura come un risarcimento danni, perdendo la funzione punitiva che in precedenza
comportava per diventare una speciale azione di indennizzo: noxa è il corpus quod nocuit la cui consegna funge da
modalità risarcitoria. L’actio noxalis , secondo un principio identico a quello dell’actio in rem (ereditata
dall’ordinamento anglosassone e tuttora in applicazione), che si esperisce contro il possessor, ne consente la liberazione
vincolando il bene strumento dell’offesa.
6
L’istituto è menzionato da Zunarelli (cfr. Lezioni di diritto della navigazione, già cit.,.p.56) come “una delle
testimonianze più remote” proveniente dal diritto romano che permetteva al proprietario del vascello di limitare la
propria responsabilità consegnando lo strumentum offendendi ai creditori ; in questo senso anche De Robertis in Rivista
di diritto della navigazione, 1953, I, p,13. Diversamente Righetti (cfr. Trattato Vol.I tomo II, p.277) nega recisamente
che detto istituto fosse conosciuto alle fonti romanistiche che a suo dire “non prevedevano alcuna forma di limitazione
della responsabilità”, e sostiene che al contrario in epoca romana vigesse il principio opposto dell’irresponsabilità
dell’exercitor navis per le obbligazioni riconducibili al comandante e all’equipaggio.
7
Cfr. sul tema Galgano, Lex mercatoria, Bologna, Il Mulino, 1998. Si indica con questa espressione il sistema
consuetudinario, dottrinario, giurisdizionale considerato all’origine del diritto commerciale che compare e si consolida a
partire dal XII-XIII fino al XVI secolo in concomitanza e in stretta correlazione con il fiorire e lo sviluppo del
commercio. L’evoluzione economico-sociale che ne consegue assume un carattere rivoluzionario anche nella sfera
giuridica dove si costruisce un sistema consuetudinario a carattere internazionale, in relazione all’ampliarsi delle reti
commerciali, fortemente caratterizzato da fattori corporativi. La normativa consuetudinaria che costituisce il nucleo
10
è stato per secoli lo strumento giuridico capace di offrire da un lato ai
creditori una prima, anche se di frequente magra, soddisfazione, e
dall’altro agli armatori il vantaggio di liberarsi dall’onere gravoso del
risarcimento in ordine a fatti o atti di comandante e/o equipaggio,
nonché dalle obbligazioni direttamente correlate alla nave e al viaggio.
Le ragioni giuridiche, e prima ancora politiche, di questo privilegio,
garantito a tale categoria imprenditoriale, vanno individuate in alcuni
fattori peculiari fortemente caratterizzanti l’esercizio della nave che,
almeno fino a un passato relativamente recente, hanno contribuito
sostanzialmente alla connotazione “speciale” della disciplina giuridica
marittima: l’inevitabile soggezione a fenomeni naturali incontrollabili
e sovente imprevedibili e ineluttabili, nonché gli elevatissimi
investimenti necessari per sostenere i costi dell’impresa di
navigazione. La volontà e la necessità politico-strategica di sostenere
lo sviluppo dell’imprenditoria armatoriale a monte dell’espansione
economica-territoriale conseguente, sono all’origine del radicarsi
dell’istituto della limitazione di responsabilità dell’armatore, nel corso
dei secoli, contemplato in varie modulazioni dalla lex mercatoria ,
all’Ordonnance di Colbert del 1681, fino ai Responsability of
Shipowners Act e Merchant Shipping Act rispettivamente del 1734 e
del 1854
8
. L’istituto si ritrova almeno dal XV secolo in poi nelle
Compilazioni amburghesi, nello Statuto di Danzica, nel Codice
marittimo svedese, nel Code de Commmerce francese: l’armatore non
risponde delle obbligazioni contrattuali o extracontrattuali con tutti i
suoi beni, ma limitatamente al bene coinvolto nel fatto o atto
direttamente connesso al credito insorto. Negli ordinamenti giuridici
degli Stati si conoscono disposizioni legislative che contemplano la
limitazione nel Codice amburghese del 1497, nello Statuto di
Amburgo del 1603, nello Statuto di Danzica, nel Codice Marittimo
Svedese del 1667, nell’Ordinanza Reale francese del 1415, fino alla
originario del diritto commerciale, costituisce il riferimento giuridico sostanziale per l’esercizio delle funzioni
giurisdizionali poste in essere dai consoli delle corporazioni. Peculiarità del sistema è la sua natura soggettiva che lo
qualifica come diritto commerciale, proprio in quanto applicabile e applicato a una determinate classe di soggetti: i
mercanti.
8
Cfr. su questo Righetti, Trattato di diritto marittimo, vol. I tomo II Milano, Giuffré, 1985, p.277; Scialoya, Origini
della limitazione della responsabilità dell’armatore, in Saggi di Storia del diritto marittimo, Roma, 1946, p.314 e seg.;
Berlingieri, Il regime uniforme della responsabilità per danni risultanti dall’esercizio della nave, in Diritto marittimo
1999, pp.275-276.
11
piena “consacrazione normativa” contenuta nella Ordonnance di
Colbert del 1681
9
. “Les propriétaires des navires – si legge nel testo
francese - seront responsables des faits du maitre, mais ils en
demeuront déchargés en abandonant leurs navires et le fret ». Gli stessi
concetti si trovano espressi nel Code de Commerce del 1807 con
successiva esplicita estensione della limitazione per le obbligazioni
contratte dal comandante. In Francia pertanto l’abbandono, nota
Righetti, inerisce esclusivamente al proprietario, secondo un modello
che sarà adottato nel corso dell’800 dalle legislazioni spagnola,
portoghese, italiana, messicana, brasiliana, venezuelana. Il Codice di
Commercio del 1882, riproponendo un dettato già contenuto nei
precedenti Codice del Commercio Albertino (1842) e Codice di
Commercio Italiano (1865), pur estendendo la responsabilità ai fatti
dell’equipaggio, così prevedeva all’art.491: “Il proprietario della nave
è responsabile dei fatti del capitano e delle altre persone
dell’equipaggio ed è tenuto per le obbligazioni contratte dal capitano
per ciò che concerne la nave e la spedizione”. Il dettato della loi del
12.08.1885, sostanzialmente analogo, accoglieva però come principio
di temperamento del beneficio della limitazione globale la condotta
colpevole del responsabile, configurata come preclusiva-interdittiva. Il
fondamento dell’istituto dell’abbandono sarebbe da ravvisarsi nel
criterio della separazione del patrimonio di mare da quello di terra, e la
sua giustificazione andrebbe ancorata sia alle peculiari condizioni di
rischio elevato caratterizzanti il viaggio in mare, almeno fino all’800,
sia al modello “partecipativo”-associativo del viaggio stesso.
L’espressione fortune de mer indica la concezione diffusa del viaggio
in mare come di un’ “avventura comune” cui partecipano proprietario
dell’imbarcazione, comandante ed equipaggio con differente, ma
comunque per tutti ingente, investimento di capitale umano e
patrimoniale. A fronte dei costi rappresentati dalla necessità di
riattrezzare e rifornire la nave, le persone a bordo variavano sovente da
viaggio a viaggio, configurandosi così ciascuno in termini di “separata
avventura”. Il riferimento, per la definizione del limite di
responsabilità, nel regime interno del nostro ordinamento, al “viaggio”,
si configura come un retaggio, benché in largo senso anacronistico,
9
Cfr. Righetti, Trattato vol.I tomo II, pp.1562-1563.
12
non scevro di ambiguità interpretative, di questa speciale situazione.
Dunque la separazione netta fra il patrimonio di mare e il patrimonio di
terra, la specialità caratterizzante il primo, rispetto al secondo, in
termini di condizioni ambientali, tipologie di investimenti,
organizzazione del lavoro, possono a buon diritto considerarsi i
precursori reali della forma di privilegio concessa ai proprietari di navi
(ma che correlativamente concerneva seppur indirettamente tutti i
soggetti coinvolti nell’operazione di viaggio, condizionati nel loro
status dalla sopravvivenza e dallo sviluppo economico del
proprietario-armatore). A differenze di tutte le altre categorie
mercantili e imprenditoriali, l’armatore proprietario di nave non
rispondeva con tutti i suoi beni alle pretese dei creditori, ma solo
limitatamente al bene strumento del danno. Già sul finire del secolo
XIX si delineano sostanzialmente due modelli di limitazione di
responsabilità: il sistema dell’abbandono puro, classico, e il cosiddetto
sistema ad valorem (preferito in ambito anglosassone) che si affianca
al primo, sostituendolo poi integralmente. Per i creditori si elimina il
rischio del venir meno della garanzia costituita dal bene-nave, il loro
credito è garantito anche in caso di perdita della nave, da una somma
equivalente al valore dei beni originariamente menzionati a rischio
10
.
Il successo di questo sistema sarebbe dovuto alla trasformazione
conseguente alla rivoluzione industriale che segna la scomparsa del
modello partecipativo-associativo dell’esercizio della nave, riferito
essenzialmente al viaggio, inteso come “comune avventura”, e la
prevalenza di un modello proprietario non più soggetto alla
temporaneità dell’avventura, ma “permanente”. L’impiego della nave
si effettua su rotte conosciute, linee regolari, a frequenze ravvicinate
con relativa riduzione dell’indipendenza del comandante e
dell’autonomia di bordo. In questo nuovo contesto il sistema
dell’abbandono risulta perdente, inadeguato, troppo sproporzionato: il
rischio dei creditori di ricevere in consegna un’imbarcazione di scarso
valore, a fronte del vantaggio riconosciuto all’esercente che gode del
beneficio della limitazione, conservando inalterato il restante suo
10
Come nota Righetti nel suo Trattato, già cit. vol.I tomo II, paragrafo 277, cui rimando su questo tema, all’interno
della categoria dei sistemi ad valorem, si delinearono ben presto dei sistemi misti , come quello statunitense, accanto ad
altri più o meno sofisticati, che nel computo del limite consideravano anche il nolo e i proventi del viaggio (così quello
italiano).
13
patrimonio, si configura in termini di iniquità per la sensibilità
britannica. Il Regno Unito adotta nel 1854, in consonanza con la rapida
trasformazione dei traffici marittimi improntati sempre più su scala
industriale, il sistema ad valorem eliminando il sistema
dell’abbandono: il nuovo sistema utilizza però un criterio di calcolo
semplificato, rispetto a quello puro ad valorem, tariffario che prevede
una limitazione in un minimo di 15 sterline per tonnellata, in caso di
perdita di vite umane o lesioni corporali. Il Merchant Shipping Act
riformava il precedente sistema introdotto nel 1734 con il
Responsibility of Shipowners Act che garantiva agli armatori inglesi un
beneficio già accordato ai concorrenti continentali, limitandone la
responsabilità al valore della nave e del nolo per i furti messi a segno
dall’equipaggio. Nel 1862 un’emedamento al Merchant Shipping Act
estende il limite per tonnellata anche per i danni alle cose, fissato nella
somma di 8 sterline (restando a 15 il limite per le persone), con
seguente sostituzione del limite minimo con un limite massimo, e
implicita eliminazione di qualsiasi riferimento al valore complessivo
della nave. Ma l’altra innovazione di portata rivoluzionaria, già
contenuta nel MSA 1854, è la sostituzione del riferimento al viaggio
con il riferimento alla distinct occasion (singolo evento)
11
per
l’applicazione del limite. L’adozione del riferimento all’evento,
successivamente fatta propria dal regime uniforme, costituisce ancor
oggi uno dei punti di discrimine fra il nostro regime interno e il regime
uniforme, nonostante sia venuta meno ogni ragione di riferire il rischio
al singolo viaggio, luogo di concentrazione ed esaurimento del
pericolo di perdita.
Sempre a metà del XIX secolo la limitazione viene introdotta anche
negli Stati Uniti con il Limitation Act del 1851 che prevede un sistema
misto ad valorem e tariffario, modificato poi nel 1935 con il Limited
Liability of Shipowners Act, innovativo sotto il profilo soggettivo in
quanto estende da subito la concessione del beneficio al charterer by
demise, (conduttore a scafo nudo), ma soltanto a questo, non ad altri
noleggiatori od operatori, il che vale anche attualmente. Vi si prevede
11
L’art.506 del MSA 1854 disponeva: “The owner of every sea-going ship or share therein shall be liable in respect of
every such loss of life, personal injury, loss of or demage to goods as aforsaid arising on distinct occasion to the same
extent as if no other loss, injury or damage had arisen”.
14
che, in via generale, la responsabilità per ogni danno, malversazione,
perdita, anche derivante da collisione o altri fatti o atti , purché sia
esclusa la conoscenza del proprietario, si risolve in un risarcimento
non eccedente il valore dell’interesse del proprietario della nave e del
nolo. In via speciale che nei casi di morti o lesioni personali, il
proprietario deve risarcire una somma pari alla stazza lorda della nave
moltiplicata per 420$ e riservata agli aventi diritto delle vittime,
costituendo un fondo separato. La somma-limite è peraltro riferita non
al viaggio ma al singolo evento originante il credito.
Con l’avvento del XX secolo si tracciano opportune modifiche
dell’istituto in corrispondenza dello sviluppo di nuove forme di
esercizio della nave e dell’evoluzione del concetto economico-
giuridico di imprenditore in un settore che quasi costituzionalmente,
per lo spazio operativo in cui si colloca, incrocia prima di altri le
coordinate del sistema giuridico internazionale. Non è un caso, ma
andrebbe inquadrato in una più ampia prospettiva sistemica, il fatto
che un primo approccio di normativa uniforme sulla limitazione della
responsabilità nell’esercizio della nave risalga alla Convenzione di
Bruxelles 1924. L’ “ibrido”, secondo le parole di Berlingieri
12
,
prodotto è un compromesso fra il sistema dell’abbandono, entrato già
in crisi alla fine del XIX secolo, anche in relazione ai mutamenti
organizzativi e logistici del trasporto marittimo, e il sistema della
limitazione per cifra fissa di tonnellata, ampiamente adottato nei paesi
di common law.
L’opportunità di costruire una disciplina di diritto uniforme dei
sistemi di limitazione fu dibattuta già a partire dal 1897 nel corso della
prima conferenza del CMI. Prima di pervenire al testo definitivo,
trascorsero anni di ricerche, proposte e varie elaborazioni, cadenzate
da successive risoluzioni e conferenze internazionali (Anversa 1898,
Londra 1899, Amsterdam 1904, Venezia 1907, Bruxelles 1910), fino
alla Conferenza diplomatica di Bruxelles del 1922. Nel 1910 erano
stati presentati due avanprogetti che si ispiravano l’uno, siglato con la
lettera A, al sistema dell’abbandono continentale, l’altro, siglato con la
lettera B, modellato sul sistema tariffario invalso in ambito
12
Cfr.Berlingieri, Il regime uniforme della responsabilità per danni risultanti dall’esercizio della nave, in Diritto
marittimo 1999, p.277.
15
anglosassone. Solo nel 1924 la prima Convenzione internazionale sulla
responsabilità dei proprietari di nave, come già accennato, di scarso
successo, poiché ratificata da soli 15 Stati, tutti peraltro di civil law,
vede la luce, e propone un sistema misto, un’ “ibrido”, secondo le
parole di Berlingieri. Fra gli Stati membri figurano Francia, Spagna,
Belgio, Danimarca. La Convenzione fu in vigore, ma per breve tempo,
anche in Italia, dal 1939, a seguito della legge 25 maggio n.868 che la
ratificò in Italia, al 1942, anno dell’entrata in vigore del Codice della
navigazione che abrogò la legge n.868/39. L’introduzione del regime
uniforme, seppur di breve durata, nell’ordinamento giuridico italiano,
segnava comunque la sostituzione definitiva del sistema
dell’abbandono con il sistema ad valorem. Nonostante la sfortuna della
disciplina uniforme delineata nel 1924, la stessa risulta attualmente
ancora in vigore in tre Stati: Brasile, Ungheria e Turchia. Quest’ultima
tuttavia, avendo ratificato nel 1998 la Convenzione di Londra sulla
limitazione di responsabilità per crediti marittimi, non può applicarla
in quanto la LLMC, per sua stessa previsione, è prevalente su ogni
altra precedente disciplina concorrente. Le ragioni dell’insuccesso
della Convenzione del 1924 sono da individuare sia nel duplice
sistema ivi proposto, risultato di una miopia che non teneva conto del
superamento ormai diffuso del sistema dell’abbandono,
oggettivamente inadeguato, sia, ma le due ragioni si tengono in stretta
correlazione, nell’insufficiente ricezione del modello predominante in
common law. Come rileva in una sua recente ricerca William Tetley
13
il diritto marittimo, parte integrante e ad un tempo prodotto della lex
mercatoria, di cui condivide la struttura internazionalistica, si è
sviluppato in tutte le aree dell’Occidente ereditando i principi giuridici
avanzati e più evoluti delle fonti romane a partire dalla Legge Rodia.
Sulla comune radice propria di una tradizione di modello civil law, si è
però, in tempi molto rapidi, innestata, si potrebbe dire, ha ben cespito,
l’influenza del modello common law, sviluppatosi ampiamente e
celermente in una “moderna” lex mercatoria. Se questa analisi è
13
William Tetley insegna alla McGill University canadese ed è consigliere del Langlois Gaudreau O’Connor di
Montreal, ha elaborato una ricerca sulle Convenzioni internazionali marittime e sulla loro effettiva funzione di
strumenti giuridici di uniformazione del diritto, dal titolo: Uniformity of International Private Marittime Law – The
Pros, Cons and Alternatives to International Convention – How to Adopt an International Convention, pubblicata su
internet sul sito: http://tetley.law.mcgill.ca/uniformlaw.
16
corretta, ne segue che una Convenzione internazionale di diritto
marittimo che non sappia recepire a sufficienza le istanze provenienti
dal modello anglosassone, e gestirle in una equilibrata redazione
filtrata rispetto alle ragioni del modello anglosassone e continentale,
non può non fallire. D’altronde la necessità e l’opportunità di
individuare regole giuridiche uniformi derivano dalla stessa
costruzione del diritto marittimo strutturato su un modello molto
concreto di mercato internazionale molto aperto. “Navi, operatori
marittimi, passeggeri, merci, carichi di tutti gli Stati transitano sugli
stessi mari, sono soggetti alle stesse tempeste, allo stesso clima, agli
stessi fattori naturali, agli stessi pericoli, alle stesse rotte oceaniche”.
E’ dunque naturale e ragionevole, nonché utile – prosegue Tetley – che
per risolvere i conflitti giuridici insorti in tali circostanze comuni, si
individuino regole uniformi, applicabili in qualsiasi contratto, in
qualsiasi foro, a prescindere dal luogo di residenza o domicilio, dalla
nazionalità delle parti, dalla bandiera della nave. “Navi, armatori,
noleggiatori, equipaggio e passeggeri, benché di diversa cittadinanza,
sono sovente coinvolti in un’avventura comune tutti insieme nello
stesso viaggio internazionale”. I diversi contratti di trasporto, noleggio,
garanzia, così come le polizze, sono funzionalmente strutturati in
modelli standard uniformi di natura internazionale per poter essere
applicati, con eventuali clausole pattuibili da attivare nei singoli casi,
anche in base agli usi convenzionali. Gli standard uniformi si prestano
così ad essere adattati alle singole realtà, mantenendo però una
tipologia uniforme globalmente conoscibile e riconoscibile. Sul piano
logistico-organizzativo emerge una realtà, ancora in parte scarsamente
conosciuta in certi paesi membri della Convenzione, in cui orbitano
nuove figure prodotte dalla scissione della gestione diretta della nave
dalla proprietà e dall’impresa amatoriale: il charterer, lo shipowners,
la shipping company non proprietaria, il charterer by demise (il
conduttore a scafo nudo). Questa sostituzione evoluzionistica nel
sistema organizzativo e imprenditoriale marittimo è un’ineludibile
precursore reale e sostanziale dell’evoluzione dell’istituto oggetto di
questo studio, che si concretizza nella successiva sostituzione integrale
del sistema dell’abbandono con il sistema della limitazione in base al
tonnage della nave, sancito dalle Convenzioni di Bruxelles 1957 e di
Londra 1976.
17
La Convenzione di Bruxelles del 1957, entrata in vigore nel 1968,
ratificata da 33 Stati, quindi modificata con il Protocollo del 1979, in
vigore dal 1984, è, sotto il profilo della integrazione fra modello
anglosassone e continentale, un indubitabile progresso, ma altre sono
le ragioni del suo deficit. Un primo motivo di insoddisfazione che
portò nel 1973 il CMI ad elaborare da un lato una sua modifica,
sfociata nel Protocollo del 1979, e dall’altro una nuova Convenzione
(la LLMC 1976), sono i limiti stabiliti, rivelatasi subito inadeguati, e
l’utilizzo del franco oro Poincaré
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come unità di conto di riferimento.
Il Protocollo del 1979, ha corretto parzialmente l’inadeguatezza
riscontrata, soprattutto in seguito al disallineamento delle valute
dall’oro, sostituendo al franco oro i Diritti Speciali di Prelievo, con
relativa conversione. Restava comunque l’inadeguatezza delle soglie
dei limiti, rispetto all’inflazione, e la mancata estensione del benefico
a tutti i soggetti coimplicati nella responsabilità dell’esercizio della
nave. La Convenzione di Londra del 1976 pone rimedio a entrambe le
questioni dell’unità di conto e dell’adeguatezza dei limiti,
prevedendosi altresì nel successivo Protocollo alla stessa del 1996 (non
ancora in vigore) un meccanismo automatico di rivalutazione
monetaria.
La frammentazione dei ruoli conseguente alla riorganizzazione e
suddivisione degli assetti imprenditoriali moltiplica da un lato i
soggetti partecipanti alla responsabilità per crediti marittimi, e
dall’altro decreta la morte del sistema dell’abbandono (in termini
sistemici il sistema dell’abbandono è selezionato negativamente,
incapace di resistere nella “nuova” realtà che premia la specificità del
servizio, in una logica di mercato di crescita esponenziale di operatori
attivi nel settore terziario con conseguente riassetto dell’istituto
proprietario). In una realtà ove per il danno è sovente immediatamente
obbligato come debitore il conduttore a scafo nudo, l’abbandono ai
creditori della nave, di proprietà di un soggetto diverso dal debitore
(responsabile solo in qualità di garante), si rivela ben presto una
soluzione quanto meno incerta, tortuosa e di scarsa soddisfazione per
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Il franco oro Poincaré è un’unità di conto che ha per contenuto 65,5 mgr. di oro fino a 900 millesimi. Ai sensi della
Convenzione del 1957, la somma computata in siffatta unità di conto va poi convertita in valuta nazionale dello Stato in
cui si chiede la limitazione, al valore di cambio fissato al momento in cui il richiedente ha effettuato il pagamento, o
costituito il fondo, o depositato la garanzia.
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tutti, a cominciare dai creditori che spesso non hanno ex ante un
rapporto col proprietario della nave. L’opportunità di offrire una
maggiore garanzia e tutela ai creditori
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è certo una delle ragioni a
monte dell’esigenza di uniformità della disciplina tracciata dalla
Convenzione di Londra del 1976 sulla limitazione di responsabilità,
insieme alla necessità di individuare regole uniformemente applicabili
alla realtà globalizzata del sistema economico-giuridico marittimo.
Rispetto alla Convenzione di Bruxelles del 1924, di scarso successo,
stante la sua mancata ratifica di tutti i paesi di common law (poco
interessati a una disciplina uniforme che riproponeva anche
l’abbandono), la Convenzione di Bruxelles del 1957 benché eliminasse
l’ibrido precedente stabilendo il limite per cifra fissa di tonnellata, si
rivelava subito inadeguata. Per due ragioni principalmente: la mancata
estensione soggettiva del beneficio della limitazione e il sistema rigido
di computo riferito al franco oro Poincaré (si noti che nel 1971 cessava
de facto il sistema di gold-dollar standard stabilito da Bretton Woods
dopo l’introduzione nel 1969, come nuova unità di conto, dei Diritti
Speciali di Prelievo, previsti dagli accordi del Fondo Monetario
Internazionale
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). A ciò si aggiunga l’evoluzione del concetto di
credito marittimo e il delinearsi di un differente parametro di condotta
preclusiva del beneficio, anche in relazione ai tetti di copertura
assicurativa. Caratteristica comune delle tre Convenzioni è invece la
“separata elencazione dei crediti soggetti a limitazione e quindi di una
serie di crediti ai quali il beneficio della limitazione non si applica”. Il
regime uniforme pertanto, già a partire dal 1924, fa cadere la generalità
del beneficio della limitazione esteso a tutti i crediti, optando per un
sistema tassativo senza norma di chiusura, discostandosi così dal
sistema adottato dal regime interno dell’Ordinamento giuridico
italiano, tuttora difforme (per ragioni politiche e giuridiche che si
vedranno)
17
.
15
cfr. Draft International Convention on limitation of liability for maritime claims , pubblicati in Diritto marittimo
1976, p.99; Berlingieri,Considerazioni sull’introduzione nell’Ordinamento Italiano della Convenzione di Londra 19
novembre1976 sulla limitazione di responsabilità per crediti marittimi, in Dirtto marittimo, 1980, pp.555-574; Righetti,
Trattato di diritto marittimo, già cit.,pp.1597-1603.
16
Per un rapido ragguaglio sul punto si veda la voce “Oro” , a cura di Alberto Quadrio Curzio, in Enciclopedia delle
scienze sociali, Istituto Enciclopedia Treccani, Roma, 1996, vol.VI
17
Cfr. Berlingieri, Il regime uniforme di responsabilità per danni risultanti dall’esercizio della nave, già cit., p.277;
Righetti, Trattato di diritto marittimo, già cit.,p.1599-1598