qualificata, colorata da una situazione, da una condizione personale o
anche funzionale, se si ha riguardo alla res
1
”.
Ora non c’è dubbio che i Romani si interessassero soprattutto
all’aspetto politico della libertas; ma ciò non significa affatto che essi
fossero impediti di manifestare la propria libertà individuale.
Anche se è vero che lo Stato antico, concepito come emanazione
della volontà popolare e naturale rappresentante degli interessi
comuni prevalenti su quelli privati, è fonte, misura e condizione del
diritto, sia esso soggettivo che oggettivo, è vero anche che lo Stato ha
sempre segnato limiti, determinati in funzione della libera attività
degli individui.
A tal proposito possiamo riportare il pensiero di Aristotele, a
proposito della costituzione democratica fondata sulla libertà
2
: “ una
prova della libertà consiste nell’ essere governati e nel governare a
turno…un altro è di vivere ciascuno come vuole, perché questo,
dicono, è opera della libertà; in quanto che è proprio di chi è schiavo
vivere come non vuole;”
1
In primo luogo da E. Betti, “Diritto Romano” I parte generale, Padova, 1935 e successivamente
da H.Levy-Bruhl “ Les temoins de la litis contestatio”, Istanbul, 1955.
1
Aristotele, Politica., IV, 8, pag. 1294, 3.
7
Il conflitto tra i due tipi di libertà, quella politica e personale, è
onnipresente nella storia: in effetti, secondo Aristotele, il cittadino non
è definito altro che dalla partecipazione alle funzioni giuridiche e alle
cariche: ma accanto a questa libertà politica egli stesso ha riconosciuto
la libertà personale, individuale, come elemento essenziale per
qualificare l’individuo.
E questo medesimo contenuto lo ritroviamo nella realtà storica
romana, nella quale ogni manifestazione di questa libertà personale
può essere considerata esercizio di un diritto.
Si tratta insomma di un processo “antinomico”
3
di adattamento
alle condizioni sociali, derivante dal rapporto tra esigenze di libertà ed
esigenze di uguaglianza; un processo storico che anche a Roma dà alla
libertà un’estensione ed un contenuto giuridici diversi, secondo la
classe sociale e la categoria a cui appartengono gli individui, classe e
categoria per le quali è d’altronde assicurata una larga mobilità.
Non a caso la libertas, insieme alla civitas e alla familia,
rappresentava uno dei tre valori qualificanti della persona nell’antica
società romana
4
: quindi, a prescindere da altre importanti prospettive
3
G.Crifo’, “ Su alcuni aspetti della liberta’ in Roma”, Modena, 1958.
4
Paul. 2 ab Sab. D. 4, 5, II: “ tria enim sunt quae habemus, libertatem,civitatem, familiam”.
8
( potestative, politiche, economiche), essa fu intesa a Roma anche
come valore equivalente a quello moderno di capacità giuridica.
E cosi sarà trattata, sviluppando l’idea di libertas e la sua vitale
importanza nella società dell’antica Roma, soffermandosi anche sui
casi specifici e sugli istituti giuridici che prevedevano la perdita della
stessa da parte dei cittadini e non cittadini, nonché tutti casi in cui
poteva essere “riacquistata”.
9
CAPITOLO PRIMO
CARATTERISTICHE DELLA LIBERTAS
PERSONALE
10
1.2 Cittadinanza e libertà: status libertatis, civitatis,
familiae.
A proposito della libertas viene ad essere confermato il giudizio
tradizionale secondo il quale nell’antichità l’individuo veniva sempre
considerato come parte di un organismo, come insuscettibile di
un’affermata individualità che, pur non prescindendo
dall’organizzazione, si trovi accanto allo Stato per il tempo
storicamente accertabile.
E’ bene quindi iniziare la trattazione del concetto di libertas e
delle sue sfumature col parlare delle persone e della loro condizione
giuridica nella società romana arcaica.
Presupposto perchè una persona fisica potesse considerarsi punto
di riferimento di situazioni giuridiche era ovviamente la sua esistenza;
al contrario però di quanto avviene negli ordinamenti giuridici
moderni, l’esistenza di una persona fisica non era sufficiente perché
ad essa facessero necessariamente capo situazioni soggettive e
rapporti giuridici.
Fin dall’epoca arcaica infatti soltanto i soggetti che si trovassero
in particolari posizioni rispetto ai gruppi sociali di appartenenza
11
potevano essere titolari di diritti e di obblighi, avere, cioè, capacità
giuridica.
Nell’ordinamento giuridico romano si prevedeva che alcune
categorie di persone, anche dotate di capacità giuridica, non potessero
operare direttamente, ponendo in essere gli atti giuridici, non avessero
cioè quella che modernamente chiamiamo capacità di agire.
La piena capacità giuridica spettava alle origini soltanto alle
persone libere appartenenti alla comunità romana, che fossero sui
iuris, ossia non soggette all’altrui potere familiare, quali erano invece
le persone alieni iuris.
La posizione del soggetto rispetto ad un dato gruppo sociale
venne chiamata status e si distinse tra status libertatis, status civitatis
e status familiae.
Il termine status, in relazione agli uomini
5
, si trova usato nelle
fonti giuridiche in un’ampia serie di connessioni
6
, senza che risulti
mai però alcun tentativo di definizione o teorizzazione; in alcuni passi,
notissimi, status è adoperato con riferimento specifico alla condizione
di una persona in ordine ai rapporti tipici della familia (adgnatio).
5
Esistono altre applicazioni giuridiche: status aedificiorum, loci, urbis, peculii, testament, litis,
obligationis, rei Romanae, etc.
6
Ad es., status dignitatis, aetatis, liberorum, etc.
12
Status è, in sostanza, “la speciale posizione giuridica che una
persona assume per una necessità superiore al suo interesse e
indipendentemente dal suo volere, rispetto ad una data comunità di
persone organizzata ad ordinamento giuridico”
7
, oppure più
specificamente “la situazione dell’individuo di fronte all’ordinamento
giuridico come uomo libero, cittadino e padre di famiglia.”
8
In particolare lo status civitatis ha all’origine un’importanza
fondamentale, perché solo il civis può avere la piena capacità
giuridica, mentre il non-cittadino, come detto, si potrà vedere
riconosciuta solo una limitata capacità di agire.
Si tratta di un riconoscimento dipendente dall’evolversi dei tempi
e dal mutare delle condizioni sociali, che portano all’attenuazione del
rigoroso esclusivismo dell’ordine giuridico, senza che mai i diritti
riconosciuti al non cittadino gli facciano perdere la sua condizione
d’inferiorità rispetto a chi possegga lo status civitatis.
Ciò è, in definitiva, il risultato di un mutamento della concezione
di cittadinanza, non più espressione della sola capacità giuridica ma
7
E.Betti,“Diritto Romano” , I parte generale, Padova, 1935.
8
cfr. V. Arangio Ruiz, “La società in diritto romano”, Napoli,1950.
13
anche causa modificatrice di essa e condizione per l’esercizio di diritti
politici.
Difatti “quando un ordinamento giuridico statuale non contiene
alcuna forma che sia applicabile ai soli cittadini... la cittadinanza è un
istituto giuridico privo d’ importanza.”
9
A Roma dunque i diritti di qualsiasi natura ed estensione vengono
attribuiti dall’ordinamento giuridico in funzione dello status civitatis:
è probabile che il termine più antico per designare tale situazione sia
stato quello di caput ( e dei derivati capital e capitalis).
In senso proprio caput significa testa d’uomo o d’animale; ma
per quel che qui più interessa, caput è usato per indicare specialmente
l’uomo libero o servo, ma non esclusivamente parte di una collettività.
Caput, d’altra parte, è usato più in generale e più
significativamente per indicare la vita dell’uomo, soprattutto in quanto
suscettibile di soppressione a titolo di pena
10
.
Al valore già astratto di caput nel senso di vita umana, si
connette, infine, un ulteriore significato, più astratto, corrispondente
9
cfr. H.Kelsen, “Teoria generale del diritto e dello Stato”, Milano, 1966
10
Si vedano esempi alle note seguenti. Qui occorre ricordare anche espressioni letterarie
imprecative del tipo “ vae capiti atque tuae” ( “guai a te alla tua vita” ) frequenti con qualche
variante in Plauto ( ad es. Curc.314; Merc.512 e 840 ; Mil. Glor. 326; Most 1002; Rud. 375 e 885
e 1346; v.anche Ter., Hec 334; Cic. Ad Att. 8,5,1; Sen. De ben 4,31,4 ); ed il verso di Terenziano,
(Phorm. 631 ):” non capitis eius res agitur, sed pecuniae”.
14
ad una condizione personale di rilevanza giuridica tale da poter essere
comparata alla vita; massimamente la condizione di persona libera e
quella di cittadino romano: caput, quindi, indicherebbe nel linguaggio
del diritto pubblico romano l’individuo che, in qualità di possessore
della “civitas libertasque”, è dotato di capacità rispetto ai rapporti di
diritto pubblico, capacità che manca agli schiavi e agli stranieri.
Affrontando quindi il problema del concetto di libertas a Roma, è
bene dire che non bisogna identificare la libertà personale con la
libertà dello stato, quindi la libertà prevalentemente politica.
In questo caso, infatti, si rinuncerebbe a considerare la libertà
individuale come libertà giuridica: come si potrebbe pensare ad un
carattere giuridico delle manifestazioni dell’attività dell’individuo che
si abbiano in nome di tale situazione di estraneità all’ordine giuridico?
In poche parole risulta impossibile che sussistano diritti, come quello
fondamentale della libertà, fuori dall’ordinamento giuridico.
La personalità giuridica è un’attribuzione fatta all’individuo
dall’ordinamento giuridico che trova la sua espressione politica nello
Stato: perciò l’acquisto di personalità giuridica deve considerarsi
come conseguenza di un rapporto di appartenenza ad un ordine
giuridico, e per esso, ad uno Stato.
15
Comunemente si affermava che “in Roma e nell’antichità lo Stato
è tutto e l’individuo è niente”
11
.
Di contro ad una opinione così negativa della libertà individuale,
altri autori
12
sono più vicini alla realtà storica quando affermano che,
per quanto in Roma non si avesse idea di diritti individuali derivanti
dalla stessa natura dell’uomo, il cittadino ha diritti qualificabili
siccome individuali.
Non si può pertanto dire che in Roma sia mancata l’antitesi Stato-
individuo, dalla quale soltanto scaturirebbero diritti e doveri reciproci
e quindi i cosiddetti diritti essenziali della persona.
Se, infatti, questa antitesi mancasse, si avrebbe una situazione di
soggezione e non di cittadinanza.
Quindi il valore gerarchicamente più importante, la categoria più
elevata per la coscienza giuridica romana appare quella del cittadino:
inteso però come valore estrinsecamente legato a quello della libertas,
condizione senza la quale non era possibile appartenere al “populus
romanus Quiritium ”.
11
G. Abbamonte, “libertà e convivenza” , Napoli, 1954, pag. 12
12
A.Magrì, Organizzazione politica e diritto pubblico romano, Pisa, 1905, pag.14.;
M.J.Condorcet, La libertà dello Stato moderno, cit. da A.Brunialti, Biblioteca di scienza politiche,
vol.V, pag. XLI.
16