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Introduzione
Oggi noi intendiamo per "libertà religiosa" la legittima e perciò legale
rivendicazione del diritto di scegliere in ogni istante - senza incorrere
in alcuno svantaggio - la propria convinzione religiosa, di potere, cioè,
pubblicamente dichiarare di vivere secondo il credo religioso per il
quale si è optato. Normalmente, questa rivendicazione è garantita
dalla costituzione, dal momento che essa è rivolta allo stato. Perciò, la
maggior parte delle costituzioni moderne e/o delle amministrazioni
giudiziarie limita altrettanto severamente il diritto del governo ad
intromettersi negli affari interni di una religione riconosciuta. Possono
esistere comunità politiche o sociali prive di una costituzione
formalizzata; in questo caso, la rivendicazione è rivolta alla comunità
e a qualsiasi istituzione essa abbia sviluppato, in particolare i tribunali.
E' importante vedere che questa rivendicazione o diritto ha dei limiti,
alcuni dei quali sono oggi animatamente dibattuti nel mondo
occidentale e possono differire da paese a paese. Una ragione è che
nessuna costituzione definisce la nozione di religione, la libertà
religiosa è considerata un diritto umano fondamentale solo nella
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misura in cui essa non turba apertamente l'ordine pubblico così come
definito dalla costituzione.
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La storia della libertà religiosa è lunga quanto la stessa storia delle
religioni pertanto qui ci si limita a trasmettere pensieri, idee e principi
fondamentali che hanno contribuito a sviluppare fino ai nostri giorni il
diritto in questione.
Ventitré secoli fa il re buddista Asoka predicava la tolleranza
asserendo tra l’altro : “ chi esalta la propria fede discretando tutte le
altre, certamente non obbedisce alla propria religione né la mostra
quale è. Agendo così, vi reca il più grande danno”
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.E già prima la
Bibbia aveva raccomandato rispetto per lo straniero (Lev. 19 34) e
rilevato la responsabilità individuale in campo etico. E poi Gesù
Cristo riprovava i suoi discepoli che volevano usare la spada (Mt.
26,51-53), oppure desideravano invocare il fuoco dal cielo sopra chi
non riceveva la nuova dottrina (Lc. 9, 53-55).
Quindi i suoi discepoli affermarono la priorità della coscienza sulla
legge esterna, sia in dichiarazioni (cfr. Act. 4, 19s), sia pagando con la
propria vita tale posizione. Verso l’anno 212 Tertulliano, di fronte
all’impero romano tollerante per una certa libertà di coscienza, ma
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Prof. Nikolaus Lobkowicz, Direttore dell’Istituto per gli studi sull’Europa Orientale di Eichstätt
(Baviera), in occasione dell'incontro Comitato scientifico del Centro Internazionale Studi e
Ricerche “Oasis” sul tema “La libertà religiosa: un bene per ogni società”.
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Krishnaswami A., Study of discrimination
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non rispettoso di una vera libertà religiosa, scriveva: “ Tuttavia è un
diritto umano ed una esigenza naturale che ciascuno veneri la divinità
di cui è convinto; le convinzioni religiose di uno non portano ad altri
né danni né vantaggi. Inoltre la religione esige di per sé il rifiuto di
ogni coazione in materia religiosa ; la religione deve essere accettata
con spontaneità e non per violenza, dal momento che anche le vittime
da offrire in sacrificio si pretende che vengano presentate con sincerità
e di buon grado”
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. Nel 313 l’imperatore romano Costantino proclama
il celebre editto di Milano:“ Già da molto tempo,considerando che non
si deve rifiutare la libertà di religione, ma che è necessario accordare
alla religione e alla volontà di ognuno la facoltà di occuparsi delle
cose divine, ognuno secondo quanto desidera, noi avevamo invitato i
cristiani a conservare la fede della loro setta.. abbiamo deciso di
concedere ai cristiani e a tutti gli altri la libera scelta di seguire la
religione che vorranno…”
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Pertanto nel mondo antico un certo rispetto della libertà in argomento
esisteva ed un simile atteggiamento si ritrova spesso, in gradi diversi,
in Europa, per cui i non cristiani erano tollerati, seppur non integrati.
Col passare del tempo teologi e studiosi si divisero tra chi riconosceva
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Tertulliano. Ad Scapulam, II, 2
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Eusebio, HIst. Eccl., 10,5,4s
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la libertà di religione come i grandi teologi del cristianesimo S.
Agostino e S. Tommaso d’Aquino e quelli che non ammettevano tale
tipo di libertà; a queste due correnti di pensiero se ne aggiunse una
terza che identificava questa libertà soltanto per determinati gruppi o
per determinate correnti religiose. La cronaca di questo tema si
intreccia inevitabilmente con le vicende del potere temporale dei
principi europei che con la Pace di Westfalia del 1648 promulgarono
un’importante principio per lo sviluppo di siffatta libertà. Con la
regola “cuius regio eius religio” contemplata nell’articolo 17 par. 5 del
sopra citato trattato di pace il re, il duca o chiunque fosse al potere
poteva dichiarare la loro personale denominazione religiosa come
quella ufficiale, cioè come religione di stato del loro regno. Non era
lecito perseguitare fedeli di altre denominazioni, ma in generale a
questi fedeli sarebbe stato proibito di manifestare il loro credo
pubblicamente. Vi furono un certo numero di eccezioni, per esempio
quella per cui se al governo si trovava un'autorità ecclesiastica (per
esempio un vescovo), questa era costretta a cedere il potere nel caso
avesse cambiato la propria confessione. Certo, si trattava di un trattato
di pace, che non aveva più a che fare con la verità. Una delle sue
implicazioni fu che gli aderenti delle denominazioni non ufficiali
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potevano lasciare il paese portando con sé le loro proprietà, per andare
a vivere in un territorio governato da un correligionario.
Tradizionalmente i cattolici considerarono la Pace di Westfalia uno
scandalo perché consegnava grandi regioni d'Europa agli eretici.
Tuttavia non dobbiamo trascurare che essa fu un primo passo da una
parte verso la democrazia, e dall'altra verso la libertà religiosa. Essa
riorganizzò il Sacro Romano Impero senza far riferimento a un unico
credo. La religione non era più e in ogni caso cessò presto di essere
una fonte di legittimazione del potere politico. Se non gli individui,
almeno i paesi potevano cooperare pacificamente nonostante la
diversità del loro credo. Chi era al potere poteva decidere liberamente
quale credo e quale religione avrebbero tollerato e in quale misura.
Più tardi un altro importante sviluppo ebbe luogo in Gran Bretagna nel
1689 con John Locke con la sua “Lettera sulla Tolleranza” ; questi
poiché era preoccupato che i cattolici intolleranti potessero riprendere
la Gran Bretagna, dichiarò che un governo deve considerare la
religione un affare privato dei suoi cittadini. Secondo lui il compito di
un governo consisteva nella protezione della vita, della libertà e della
proprietà, dei cittadini. Esso non aveva competenze in materia
religiosa e d'altronde la bibbia non diceva da nessuna parte che le
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persone dovessero essere costrette ad accettare un credo religioso. Egli
spiegò di non aver esteso questa difesa della libertà religiosa ai
cattolici per il fatto che l'obbedienza al papa minava l'obbedienza al
potere politico. Che una comunità politica debba essere governata da
qualcuno è ovvio; ma i cittadini non devono confrontarsi con due
autorità potenzialmente suscettibili di contraddirsi a vicenda. Né un
governo dovrebbe, tuttavia, tollerare gli atei, dal momento che senza
la fede in un Creatore le convinzioni morali presupposte da un stato
ordinato non sopravvivrebbero a lungo. Questa lettera influenzò molto
i Padri fondatori degli Stati Uniti d’America, persone che avevano
lasciato la Gran Bretagna per una parte del mondo prevalentemente
disabitata, così da poter professare liberamente la propria fede e vivere
secondo i propri principi per il solo fatto di ritenerli giusti. A questo
riguardo è interessante paragonare la Dichiarazione francese dei
Diritti dell'Uomo del 1789 e il Bill of Rights della Virginia del 1776.
La Dichiarazione francese dice nel suo articolo 10 che nessuno può
essere molestato per le sue opinioni, incluse quelle religiose, finché
non turba l'ordine pubblico così come stabilito dalle leggi. L'articolo
16 del Bill of Rights della Virginia si riferisce, al contrario, al rispetto
per il Creatore, dichiara che tutte le persone hanno pari diritto di
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professare la propria religione secondo la voce della loro coscienza e
che sono chiamate a condividere il dovere comune della pazienza,
dell'amore e della compassione cristiana. Questa differenza illustra
bene la diversa ispirazione della rivoluzione francese e di quella
americana, nonostante la loro contemporaneità. La rivoluzione
francese è rivolta contro qualcosa: il vecchio ordine, il re, la Chiesa.
La rivoluzione americana, al contrario, garantisce la libertà in un
mondo nuovo, come se la storia dell'umanità potesse ricominciare da
capo e il suo spirito è profondamente cristiano. Successivamente a
queste date pensatori come Karl Marx che si rifacevano alla sinistra
hegeliana consideravano la religione una perversione che sarebbe
scomparsa soltanto quando fosse scomparso il male alla base di tutti
gli altri, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo reso possibile dalla
proprietà privata. Contrariamente ai marxisti sovietici successivi,
Marx ed Engels erano quindi contrari all'abolizione forzata della
religione. Essi credevano che la religione sarebbe scomparsa non
appena la rivoluzione proletaria avesse avuto successo. Proibire la
religione avrebbe soltanto avuto l'effetto di prolungarne l'agonia.
Tutte le religioni erano superstizioni che sarebbero scomparse quando
l'umanità fosse stata illuminata dall'accettazione di tutto ciò che la
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scienza insegnava. Queste ultime asserzioni non sono mai divenute
principi di ordine internazionale in materia religiosa, al contrario i
primi sodalizi internazionali successivi a queste teorie propugnavano
nelle loro dichiarazioni l’importanza che riveste la convinzione in una
religione per la vita dell’uomo difendendo la libertà ad adottare il
credo di cui si è persuasi. Oggi il principio della libera
autodeterminazione religiosa lo troviamo sancito in maniera solenne
innanzitutto in riferimenti a carattere universale, in primo luogo l’art
18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 che
recita: “ Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza
e di religione: tale diritto include la libertà di cambiare religione o
credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in
pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo
nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”.
Tale Dichiarazione, sebbene fosse priva di forza vincolante, ha avuto
un’importanza fondamentale non solo perché per la prima volta ha
introdotto un catalogo dettagliato dei diritti umani – materia rientrante
fino ad allora nel dominio riservato degli Stati – nelle relazioni
interstatali, ma anche perché ha ispirato le successive codificazioni
internazionali della materia. La norma dell’art. 18 è stata trasfusa in
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termini pressoché identici nell’art. 18 del Patto delle Nazioni Unite sui
diritti civili e politici, Patto ratificato da quasi tutti gli stati del mondo.
Passando dal piano universale a quello regionale, conformi nella
sostanza all’art 18 della Dichiarazione Universale sono sia l’art. 9
della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, sia l’art. 12 della Convenzione americana sui diritti
dell’uomo. Patto delle Nazioni Unite e Convenzione europea e
americana costituiscono gli atti internazionali fondamentali in tema di
libertà religiosa. A parte le norme citate, essi contengono riferimenti
alla libertà di religione in altre norme a carattere più generale, come
quelle che sanciscono il principio di non discriminazione, il diritto dei
genitori di curare l’educazione dei figli in conformità alle proprie
convinzioni. Una serie di corollari del principio della libertà religiosa
sono infine contenuti in un altro atto – peraltro non vincolante –
dell’Assemblea generale della Nazioni Unite, la Dichiarazione
sull’eliminazione di ogni forma d’intolleranza e di discriminazione
fondate sulla religione o le convinzioni, adottata dall’Assemblea
all’unanimità il 25 novembre 1981 (ris. N. 36/55). Dopo la
Dichiarazione del ’48 anche la Chiesa Cattolica fece delle aperture in
tema di libertà religiosa accettando una molteplicità di percorsi
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paralleli per la ricerca della verità. Ricordiamo due documenti
importanti: la lettera enciclica di Papa Giovanni XXIII del 1963,
“pacem in terrris” in cui si dà una valutazione positiva della
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, e soprattutto
la Dignitatis Humanae , ovvero il documento sulla libertà religiosa
elaborato nell’ambito del Concilio Vaticano II (7 dicembre 1965), ove
è definito il collegamento tra la dignità della persona e la libertà della
scelta religiosa, che quindi non tollera alcuna forma di coercizione. Il
che non significa ovviamente neutralità della di fronte alle diverse
verità, ma riconoscimento della libertà religiosa, anche a chi non
aderisce alla verità o non la ricerca. Anche il mondo islamico ideò dei
documenti che contemplano la libertà di religione anche se con
importanti distinguo dalle dichiarazioni occidentali. Due tra i
documenti islamici più importanti in materia dei diritti umani sono la
Dichiarazione universale islamica dei diritti dell’uomo, proclamata dal
Consiglio islamico d’Europa (Parigi, 1981), e la Dichiarazione dei
diritti dell’uomo nell’Islam (Cairo, 1990), proveniente dalla
organizzazione della Conferenza Islamica. Queste prevedono una
libertà dello spirito subordinata alla legge islamica. Sono previste
anche forme limitate di tolleranza nei confronti di altre minoranze
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religiose (in quanto tale limitata tolleranza è prevista dal Libro e non
scaturente dal riconoscimento delle potenzialità che esprimono la
dignità umana e le libertà culturali ad essa connesse
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). In ogni caso la
tolleranza verso i diversi non comporta il riconoscimento della libertà
di coscienza dei musulmani, che non possono cambiare religione
(art.10 della Dichiarazione del Cairo) né legittima l’attività di
proselitismo verso i musulmani che è perseguita penalmente.
Con tali atti internazionali proclamati nel corso ‘900 il sistema
internazionale di protezione dei diritti umani ha scalfito la secolare
concezione positivista del “dominio riservato” agli stati nel campo dei
diritti umani, facendo leva sul principio per cui il riconoscimento e la
tutela delle libertà fondamentali esulano dall’area della domestic
jurisdiction e si impongono come jus cogens nel diritto internazionale
6
.
Quindi possiamo dire che oggi una sensibile tutela della libertà
religiosa la troviamo condivisa dalla maggior parte degli stati che
hanno sottoscritto la convenzioni sopra citate ma dobbiamo constatare
pure tante violazioni di siffatta libertà all’interno di questi stessi stati,
infrazioni che non vengono adeguatamente sanzionate.
5
Catalano, Libertà religiosa e diritti fondamentali nelle società pluraliste, Diritto Eccl. 1997, I,
608.
6
A. Cassese, I diritti Umani oggi, 2005 cit., 49 s.
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A dirla al modo di Norberto Bobbio che scriveva : “Il problema di
fondo relativo ai diritti dell’uomo è oggi non tanto quello di
giustificarli, quanto quello di proteggerli. E’ un problema non
filosofico ma politico
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”.
7
N. Bobbio, L’età dei diritti, Torino, Einaudi,1997,16.