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INTRODUZIONE
Parlare di libertà religiosa non è cosa facile, non per l’assenza di fonti o
documentazioni, ma principalmente perché è un tema che abbraccia i più svariati
aspetti della vita sociale, politica e storica dell’uomo. La libertà religiosa, infatti, non
viene presa in considerazione solo da un punto di vista teologico e confessionale, ma
anche e soprattutto da un punto di vista antropologico e politico: da un lato, il
concetto di fede, di sacralità, di simbolismo e del rapporto che tutto ciò ha creato – e
crea – con l’uomo, sin dalle sue origini; dall’altro quello di libertà di fede e di pensiero
che ogni Stato, per dirsi civile, deve garantire ai propri cittadini in ambito religioso.
Forse è proprio per questo suo aspetto estremamente variegato e frammentato che
nessuna Costituzione, benché la tuteli più o meno apertamente, ha mai dato una
nozione giuridica di “religione”. Si aggiunga, poi, che il credo religioso è qualcosa di
talmente intrinseco, profondo e personale che difficilmente può essere sindacato e
racchiuso in rigidi e generici schemi dogmatici.
Da un lato la libertà, quindi, dall’altro il credo religioso: la libertà religiosa,
allora, è quella sottilissima linea che sta in mezzo e che si propone di tutelare, non il
bene della fede in sé, che in quanto tale è personalissima e legata ai propri
convincimenti verso il trascendente, ma bensì il diritto del singolo o dei gruppi di
assumere gli orientamenti che ritengano più consoni ai propri convincimenti, in
relazione alla manifestazione esterna di quella personalissima fede religiosa.
L’assunto trova conferma, anche storicamente, in uno dei massimi studiosi
italiani dell’argomento, Luciano Guerzoni. Sin dai tempi più antichi, infatti, è stato
affermato con forza il «diritto intangibile della coscienza individuale alla dulcissima libertas
[…] di professare quella fede, in cui effettivamente si creda e che spontaneamente si sia eletta al di
fuori di ogni ingerenza e pressione della autorità e senza incontrare alcuna coartazione o repressione
10
da parte dello Stato»
1
. Ecco, allora, che viene fuori prorompente l’idea che la libertà
religiosa sia qualcosa di diverso da un concetto prettamente giuridico dotato di
autonomia e specificità proprie, laddove «per autonomia s’intenda una definizione categoriale
che possa prescindere, nel procedimento della sua elaborazione, dal ricorso ai valori extragiuridici che
storicamente hanno presieduto alla genesi […] degli istituti e regole di diritto attinenti alla libertà
religiosa»
2
. È impossibile, dunque, concettualizzare formalmente la libertà religiosa,
così come è impossibile – prosegue il Guerzoni – definire «come propriamente giuridica
l’essenza della libertà religiosa»
3
. Si dovrà convenire, dunque, che la libertà religiosa «si
presenta sempre, anzitutto ed essenzialmente, non come un istituto ontologicamente giuridico, ma
propriamente come un valore»
4
: un valore religioso, indubbiamente, filosofico, etico e al
contempo politico che «si riconnette, geneticamente e strutturalmente, alla concezione dell’uomo e
della società che ha accompagnato»
5
; un valore che «non è di per se stesso né assoluto, né
universale, ma si rivela essenzialmente come valore storico, relativo ad una cultura data, analizzabile
e intelligibile unicamente nella sua connessione col sistema di valori proprio di ogni cultura»
6
.
Si approda così, in tempi più recenti, all’attuale dettato costituzionale – ex art.
19 – secondo il quale «tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in
qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico
il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».
Parlare di libertà religiosa del minore, titolo di questo studio, è per quanto
possibile, ancora più difficile: l’aspetto già delicato e intimo che contraddistingue la
1
L. GUERZONI, Libertà religiosa ed esperienza liberal-democratica, in AA.VV., Teoria e prassi delle libertà di
religione, Il Mulino, Bologna, 1975, p. 219.
2
Ivi, p. 233.
3
Ibidem.
4
Ivi, p. 234; cfr. F. RUFFINI, La libertà religiosa. Storia dell’idea, introduzione di ARTURO CARLO
JEMOLO, Feltrinelli, Milano, 1967.
5
Ivi, p. 243.
6
Ivi, p. 241.
11
religione, è accresciuto da quello, forse più delicato, dell’influsso che quella religione
– qualunque essa sia – esercita sulla mente, in crescita, dei futuri uomini di domani. È
assodato, poi, che nella stragrande maggioranza dei casi, la religione, nei minori e
soprattutto nei più piccoli, non è quasi mai una libera scelta ma il frutto di
un’impostazione familiare che resta comunque tale nonostante sia, quasi sempre,
un’imposizione amorevole, tipica del ruolo “guida” della famiglia italiana e cattolica.
Del resto, il potere dei genitori di educare religiosamente – o “areligiosamente”
– i propri figli secondo l’orientamento che preferiscono, è al contempo un dovere
che si desume dal combinato disposto degli art. 2 e 30 Cost. e dell’art. 147 c. c.,
purché venga comunque rispettato l’interesse del minore ad una crescita sana ed
equilibrata e «tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli».
Ed è un diritto-dovere che troviamo sancito anche in ambito internazionale: l’art. 18
del Patto internazionale dei diritti civili e politici, ad esempio, sancisce con forza che
«gli Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà dei genitori e, ove del caso, dei
tutori legali di curare l’educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni».
Il problema, allora, è proprio quello di individuare un limite tra «la funzione educativa dei
genitori (o del genitore) ed i diritti inviolabili della persona umana, e quindi anche della persona del
minore, verso cui si espleta la richiamata funzione»
7
. Nell’esercizio del diritto-dovere di
educare la propria prole, allora, i genitori potranno dare ai figli solo un avviamento ad
un determinato indirizzo religioso
8
– o a nessun indirizzo religioso – senza che tale
avviamento possa mai trasformarsi in qualsiasi forma di coercizione, dovendosi
ritenere che il minore, tranne che nei primissimi anni di vita, sia comunque dotato di
una propria autodeterminazione. A questo problema generale, poi, se ne aggiunge
7
L. SPINELLI, Diritto ecclesiastico, Utet, Torino, 1987, p. 292.
8
D. DURISOTTO, Educazione e libertà religiosa del minore, Jovene Editore, Napoli, 2011, p. 75.
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uno particolare e delicatissimo quando, in presenza di forti contrasti non solo tra
genitori ma anche tra genitori e figli in relazione alla scelta dell’indirizzo religioso,
quell’avviamento ad un determinato credo, è imposto con forza, se non addirittura
con violenza, fino a sfociare, nei casi più drammatici, in una lesione di diritti
personalissimi di rilevanza penale.
Partendo da queste premesse, questo studio vuole essere una disamina del
fenomeno religioso nei minori, di come oggi i giovani, nonostante la giovane età,
abbiano assunto una capacità di autodeterminazione, anche in ambito religioso, quale
frutto di un loro ruolo ormai mutato in tutti i contesti sociali e soprattutto in ambito
familiare. Allo stesso tempo, però, lo studio parte dal ruolo fondamentale che gioca la
famiglia, nella crescita e nell’insegnamento dei minori, anche in ambito religioso. La
nostra Costituzione, infatti, all’art. 30 comma 1, dispone che «è dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio». Tale norma, letta in
combinato disposto con l’art. 147 del codice civile, individua il contenuto
fondamentale del dovere dei genitori di «mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto
delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli». Vero è che entrambe le
norme non parlano di fede o credo religioso; ma altrettanto vero è che negare
l’evidente rapporto tra il dovere di educare i propri figli e l’orientamento di
quell’educazione verso questa o quell’altra religione o anche vero l’ateismo, appare
una grande forzatura.
La dissertazione, pertanto, si compone di quattro capitoli: il primo è dedicato
alle fonti normative, costituzionali e internazionali, della libertà religiosa, in quanto
risulterebbe impensabile esaminare un fenomeno complesso, come quella della
libertà di fede, se non inquadrato in un contesto giuridico ben preciso e delineato e
rapportandolo, al contempo, ad alcune pronunce non solo delle nostre Corti ma
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anche di quelle in campo internazionale. La trattazione continua, poi, esaminando il
ruolo della famiglia nell’insegnamento di una fede religiosa: famiglia che, alla luce del
multiculturalismo che anima, ormai, la nostra società, non può più essere intesa come
canonico modello tradizionale di unione coniugale, ma che deve necessariamente
prendere in esame anche le “nuove” famiglie di oggi, quali le coppie di fatto, quelle
multiculturali e quelle omosessuali. Il terzo capitolo approda al ruolo della religione
nella vita e nelle scelte del minore all’interno della famiglia esaminando, per ultimo,
l’aspetto più delicato del rapporto tra credo religioso e imposizione familiare: i
comportamenti pregiudizievoli di rilevanza penale nonché i trattamenti sanitari a
danno del minore. L’ultimo capitolo, infine, effettua una breve indagine comparativa
tra due paesi a confronto, l’Italia e la Gran Bretagna: due paesi europei, baluardi della
civiltà e dei diritti umani che, nonostante la vicinanza geografica e, per certi versi,
anche culturale, sul piano religioso – o areligioso – si pongono decisamente agli
antipodi. La riflessione conclusiva, infatti, nasce da una particolare attenzione verso la
tutela dei diritti fondamentali dell’uomo e in particolare dei minori, alla luce della
recente apertura che l’ordinamento inglese – nell’aprile di quest’anno – ha effettuato
verso la legge islamica (la c.d. “Sharia”) e, di conseguenza, verso le pratiche disumane
– come l’infibulazione delle bambine – da questa perpetrate in nome di una religione
che lede totalmente il diritto all’integrità fisica dei bambini. Una lesione assurda e
gravissima che appare ancora più incomprensibile se effettuate all’interno di un paese
europeo come la Gran Bretagna che, tra l’altro, è anche sede di una delle
organizzazioni più importanti al mondo per la difesa dei diritti umani: Amnesty
International.
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CAPITOLO I
LE FONTI GIURIDICHE DELLA LIBERTA ’ RELIGIOSA
SOMMARIO: 1. La libertà di religione: cenni storici – 2. La libertà religiosa in Italia – 2.1.
L’art. 19 Costituzione: attuazione e limiti. La Giurisprudenza Costituzionale in materia di tutela penale
del sentimento religioso – 2.2. Libertà religiosa e libertà di manifestazione del pensiero: la connessione tra
l’art. 19 e l’art. 21 Cost. – 3. La libertà religiosa nel diritto internazionale e comunitario – 3.1.
La dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e l’art. 18 in tema di libertà religiosa – 3.2. La
convenzione Europea dei diritti dell’Uomo: l’art. 9 e la giurisprudenza della Corte Europea – 3.3. Il Patto
internazionale sui diritti civili e politici: l’art. 18.
1. La libertà di religione: cenni storici
La libertà religiosa – secondo una celebre definizione del primo e più
importante studioso sul tema, Francesco Ruffini – è la «facoltà spettante all’individuo di
credere quello che più gli piace, o di non credere, se più gli piace, a nulla»
1
. Partendo da questa,
seppur remota, definizione è possibile tracciare un quadro storico della libertà in
esame per giungere, poi, al contesto delle fonti che la regolano dettagliatamente. La
storia della libertà di religione, infatti, è probabilmente antica e travagliata come
quella delle religioni stesse. Già nell’anno 212, ad esempio, lo scrittore e apologeta
cristiano Tertulliano, seppur non incline al riconoscimento di una vera e propria
libertà di religione, sosteneva che «è un diritto umano ed una esigenza naturale che ciascuno
veneri la divinità di cui è convinto; le convinzioni religiose di uno non portano ad altri né danni né
vantaggi. Inoltre la religione esige di per sé il rifiuto di ogni coazione […] la religione deve essere
accettata con spontaneità e non per violenza»
2
. Già nei tempi più antichi, quindi, si poneva –
e riconosceva – il problema della libertà di religione, così come già negli scritti dei più
antichi Padri della Chiesa, si affermava con forza il «diritto intangibile della coscienza
individuale alla dulcissima libertas […] di professare quella fede, in cui effettivamente si creda e che
spontaneamente si sia eletta al di fuori di ogni ingerenza e pressione della autorità e senza incontrare
1
F. RUFFINI, La libertà religiosa: storia dell’idea, Torino 1911, rist. Bologna 1992, p. 7.
2
TERTULLIANO, Ad Scapulam, anno 212.
15
alcuna coartazione o repressione da parte dello Stato»
3
. Il concetto e il contenuto della libertà
religiosa, quindi, affondano le loro radici in un passato ricco di esperienze e valori
che vanno di pari passo con la storia stessa dell’uomo e della società, senza possibilità
che essi vengano separati dai relativi contesti socio-culturali da cui prendono vita. È
probabilmente per questo suo aspetto profondamente antropologico, che la libertà
religiosa è stata definita come la prima libertà affermatasi nello stato moderno, nella
società civile italiana
4
.
In tema di diritti di libertà, quindi, assume particolare importanza il periodo
storico che va dallo stato liberale all’attuale assetto costituzionale. Le prime
costituzioni liberali, infatti, cominciano a plasmare il principio di neutralità dello Stato
nei confronti delle varie confessioni religiose, soppiantando il vecchio principio
“Cuius regio eius et religio”
5
, in virtù del quale tutti i sudditi erano tenuti a professare
rispettivamente la religione del re, del principe o dell’imperatore, cui erano
sottomessi. Lo stesso Statuto Albertino, nonostante all’art. 1 recitasse che «La
Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti
sono tollerati conformemente alle leggi», si apriva successivamente a un’impronta liberale e
di forte laicizzazione del proprio ordinamento giuridico: basti pensare, ad esempio,
che la Legge Sineo del 19.6.1848, in un unico articolo, disponeva che «la differenza di
culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici ed all’ammissibilità alle cariche civili
e militari». Tuttavia è da dire che, nonostante queste apparenti aperture verso la libertà
di religione, nel periodo storico di riferimento il fenomeno religioso veniva
comunque concepito come un problema individuale, come mera sfera di autonomia
3
L. GUERZONI, Libertà religiosa ed esperienza liberal-democratica, in AA.VV., Teoria e prassi delle libertà di
religione, Il Mulino, Bologna, 1975, p. 219.
4
S. LARICCIA, La libertà religiosa nella società italiana, in AA.VV., Teoria e prassi delle libertà di religione, Il
Mulino, Bologna, 1975, pp. 315.
5
Formula inserita tra le clausole della pace di Augusta del 1555, il cui significato letterale è “la sovranità
sia di colui del quale è la religione”.
16
del singolo nei confronti dello Stato. La libertà della persona umana, in quanto
singolo individuo, costituiva, quindi, il valore centrale oggetto di tutela
dell’ordinamento, mentre decisamente inferiore era l’interesse e la tutela delle libertà
dei gruppi sociali nei quali il singolo era inserito. La tolleranza verso le minoranze
religiose, i loro ministri e i loro fedeli, pertanto, era decisamente molto ristretta anche
per la persistenza in vigore delle norme del Codice penale Albertino che miravano a
proteggere, in maniera molto severa, la religione cattolica da ogni possibile offesa o
attacco. Veniva, quindi, disconosciuto uno dei profili più importanti della libertà
religiosa: quello collettivo-istituzionale.
Con l’avvento del regime fascista, la situazione si capovolge perché viene
limitata ogni espressione di libertà in virtù della superiorità dello Stato nei confronti
degli individui e dei corpi sociali (soprattutto dei gruppi acattolici e protestanti).
L’ascesa del fascismo segna, infatti, la c.d. svolta concordataria, culminata con la
conclusione dei Patti Lateranensi l’11 febbraio 1929 e con la successiva legge n. 1159
del 24 giugno dello stesso anno «sull’esercizio dei culti ammessi e sul matrimonio celebrato
davanti ai ministri dei culti medesimi». Significativo, al riguardo, è il fatto che il titolo della
legge si riferisca ai “culti ammessi” soppiantando la locuzione di “culti tollerati”, usata
dal previgente Statuto Albertino. Il fine principale della legge, infatti, era formalmente
quello di “consentire” – nonostante il ruolo fondamentale riconosciuto alla religione
cattolica quale religione di Stato – il libero esercizio di tutti i culti, richiamando,
quindi, implicitamente, il rispetto della libertà religiosa. Tuttavia, nonostante il titolo
della legge, si trattava comunque di una disciplina fortemente restrittiva e per niente
tollerante, dettata sia dalla scelta confessionistica operata con la stipula dei Patti, sia
dalla concezione della libertà come “concessione statale”, tipica degli ordinamenti
totalitari. La legge sui culti ammessi, infatti, stabiliva il principio dell’ammissibilità
17
nello Stato di culti diversi da quello cattolico, «purché non contrari all’ordine pubblico o al
buon costume». Ne derivava, pertanto, il potere discrezionale delle pubbliche autorità di
limitare o interdire l’esercizio di un culto sulla base di valutazioni di merito
6
: nei
confronti dei pentecostali, ad esempio, si giunse ad una vera e propria persecuzione
con lo scioglimento delle loro associazioni, la chiusura dei luoghi di culto e il divieto
di svolgere pratiche religiose ritenute «contrarie all’ordine sociale e nocive dell’integrità fisica e
psichica della razza»
7
. Quella stessa “razza” che da lì a qualche anno avrebbe
tristemente acquisito tragica importanza con le leggi razziali
8
.
Sono questi gli anni “delle speranze e degli auspici”
9
, gli anni nei quali, tra aperture e
altrettante chiusure politiche in tema di libertà di religione, si delinea la
configurazione costituzionale della libertà religiosa e si tracciano, al contempo, i
futuri rapporti tra lo Stato democratico e la Chiesa Cattolica. Si arriva, così, all’1
gennaio 1948, giorno in cui entra in vigore la Costituzione Italiana, nella quale il
grado di libertà religiosa formalmente riconosciuto è espresso da quelle norme che
contemplano il principio di sovranità popolare e «le garanzie per i diritti inviolabili
dell’uomo come singolo e come membro delle varie formazioni sociali, per l’eguaglianza dei cittadini,
per la libertà delle associazioni religiose, per la libertà dell’esercizio di culto, per la libertà di riunione
religiosa, per la libertà di propaganda, per la posizione giuridica dei ministri di culto, per la libertà
di formazione e di informazione in materia religiosa»
10
.
Lo Stato che viene delineato dalla Costituzione del 1948 è, pertanto, uno Stato
nuovo che si oppone sia a quello moderno che a quello fascista, e che deve reagire
6
C. CARDIA, Libertà di credenza, in Enc. giur., Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1990, p. 3.
7
Testo della circolare Buffarini Guidi dell’aprile 1935.
8
In http://www.treccani.it/enciclopedia/breve-storia-della-liberta-religiosa-in-italia-aspetti-giuridici-e-problemi-
pratici_%28Cristiani-d%27Italia%29/ (ultima consultazione 31 luglio 2012).
9
S. LARICCIA, op. cit.
10
Ibidem.
18
all’indirizzo confessionista del 1929 gettando le basi per una laicità e un pluralismo
che diano nuova rilevanza sociale al fenomeno religioso. In questo nuovo quadro,
pertanto, la Chiesa Cattolica viene considerata parte della convivenza democratica e
la libertà di tutte le confessioni religiose diventa principio costituzionale: l’art. 7 della
Costituzione, infatti, accetta senza modifiche i Patti Lateranensi ma l’art. 8 afferma
con forza l’uguaglianza di tutte le religioni di fronte allo Stato e la completa libertà di
culto e propaganda. Si afferma, così, il principio del pluralismo religioso quale aspetto
della libertà di religione che si affianca a quello individuale e collettivo contemplato
dall’art. 19 della Costituzione.
2. La libertà religiosa in Italia
Per comprendere il modo in cui la libertà religiosa è garantita nel nostro
ordinamento, occorre prendere le mosse dal fatto che l’Italia «favorisce il dialogo
interreligioso e interculturale per far crescere il rispetto della dignità umana e contribuire al
superamento di pregiudizi e intolleranza»
11
. Ciò significa, in pratica, che lo Stato
democratico si fonda sull’idea che l’insieme delle libertà riconosciute all’essere umano
costituisce il fondamento e, al contempo, la finalità dell’ordinamento statale. I diritti
di libertà, pertanto, sono concepiti non solo come libertà negative, ossia sottratte
all’ingerenza pubblica, ma anche e soprattutto come libertà positive con le quali, cioè,
l’uomo realizza se stesso e sviluppa la propria personalità.
La libertà religiosa, che «è stata la prima ad essere rivendicata in forme prossime a ciò che
intendiamo oggi per libertà tout court ed ha costituito, in vari sensi, il prototipo delle libertà
11
Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione, aprile 2007.