Introduzione
Si è scelto di concentrare l’attenzione del presente lavoro sul tema della libertà
di espressione ed in particolare dell’analisi che tale libertà riflette sul settore
della stampa.
Nei secoli un freno all’evoluzione sociale è stato determinato dal tentativo dei
vari governi di porre un bavaglio alla possibilità di informazione. Nello Stato
Pontificio, con i libri messi all’Indice, non solo veniva punita la stampa di ciò
che era ritenuto contenente contenuto di carattere eretico ma anche il semplice
dibattito veniva soppresso.
Di quale portata la libertà di stampa è stata capace di influenzare lo sviluppo di
una società è difficile calcolarlo. Certo non si può negare l’importanza che il
dibattito pubblico e la circolazione delle idee hanno nello sviluppo di una
Nazione, imponendosi negli ambienti culturali, sociali e legislativi.
Diceva bene il filosofo francese Benjamin Constant che tra le libertà
fondamentali forse la libertà della stampa assume un’importanza determinante
nella società democratica, essendo questa valvola di sfogo delle pubbliche
denunce. Funzioni tipiche, ancor oggi riconosciute, quando si attribuisce in
sede internazionale la funzione di cane da guardia della democrazia e di utile,
se non indispensabile, strumento di denuncia contro i barbari atti, come i
crimini di guerra o i crimini contro l’umanità, che la Comunità internazionale
si prefigge di combattere.
Il presente lavoro si distribuisce in quattro capitoli.
Nel primo capitolo si analizzano le fonti nazionali ed in primis l’articolo 21
della Carta Costituzionale quando afferma che tutti hanno il diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero utilizzando qualsiasi strumento di
diffusione nel tempo accessibile. Particolare attenzione sarà prestata
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all’individuazione dei principi costituzionali in materia di stampa, e alla
giurisprudenza che si è formata intorno ai limiti alla libertà di espressione, con
la consapevolezza che nella Carta Costituzionale non esistono diritti assoluti
ma tutti vanno bilanciati quando contrastino con altre disposizioni
costituzionali.
Sarà, inoltre, analizzata la condizione della stampa nel nostro Paese così come
vista da parte di varie organizzazioni non governative, e i progetti di legge di
modifica sul reato di diffamazione, criticati da tutti, anche dagli stessi
giornalisti, che arriveranno ad affermare addirittura che forse è meglio la
legislazione attuale che prevede la reclusione in luogo di sanzioni pecuniarie
talmente esose da determinare un evidente chilling effect soprattutto per i
piccoli editori e i giornalisti freelance.
Nel secondo capitolo ci occuperemo dell’analisi delle fonti internazionali, con
particolare attenzione alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti
dell’Uomo, analizzeremo alcuni leading cases e nel particolare, per quanto
riguarda l’Italia il caso Belpietro nel quale la Corte riafferma un principio
fondamentale e mai rivisto ossia che la carcerazione per gli articoli
giornalistici è possibile solo in rarissimi casi.
A livello dell’Unione europea, dopo il silenzio dei Trattati istitutivi in merito
alla tutela dei diritti fondamentali e all’intervento della giurisprudenza della
Corte di Giustizia, a colmare tale lacuna, la nascita della Carta di Nizza,
divenuta fonte primaria del diritto dell’Unione con il Trattato di Lisbona
riconosce un’importanza fondamentale alla libertà di espressione facendo
propria l’interpretazione che ne è data dalla Corte di Strasburgo.
Libertà di espressione sancita anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo che al momento della proclamazione non assurgeva, come invece
lo è oggi, a diritto internazionale generalmente riconosciuto e quindi
vincolante e che le Nazioni Unite, dopo lunghi dibattiti, hanno cercato di
rendere vincolante attraverso la predisposizione di Trattati che videro la luce
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nel 1966 e a cui oggi aderiscono più di centosessanta Stati (il Patto
internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti
economici, sociali e culturali).
Si analizzeranno poi alcune risoluzioni promosse dagli organi delle Nazioni
Unite, e dal Consiglio d’Europa in merito agli attori dell’informazione e alla
loro sicurezza, i giornalisti.
Il capitolo si chiude poi con una nota di colore, ossia il riconoscimento di due
importanti premi assegnati a personalità che si sono contraddistinte per la loro
attività in materia di tutela della libertà di stampa, nel caso del Premio Unesco
Guillermo Cano, e della libertà di pensiero, nel caso del Premio dell’Unione
Europea Andreij Sakharov.
Il terzo capitolo è incentrato su un’analisi comparatistica e che vede eletti
come Paesi di indagine gli Stati Uniti d’America e la Turchia. Si analizzerà la
giurisprudenza intorno al Primo emendamento e intorno all’articolo 28 della
Costituzione turca. Si vedrà come questi due Paesi si distingueranno per la
libertà di espressione e di stampa costituendo una pura democrazia la prima ed
una democrazia protetta la seconda. L’eccezionalità del Primo Emendamento,
che determinerà la legittimazione in quel Paese di atti al limite del
condivisibile, come nel caso Snyder o della burning flag comparata alla forte
protezione dell’ordinamento e soprattutto dell’integrità nazionale in Turchia
che si spingerà, negli ultimi anni, al limite della democrazia, eliminando di
fatto i possibili contrappesi ad un potere forte dell’esecutivo faranno riflettere
su quale sia la via migliore da intraprendere facendo, forse, ritornare alla
mente una vecchia locuzione latina ossia che “in medio stat virtus”.
L’ultimo capitolo di questo lavoro cercherà di analizzare la questione
dell’assimilabilità del giornale online ( o altrimenti detto telematico) al
giornale cartaceo. Dinanzi alla consueta pigrizia del legislatore è stata la
giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione a risolvere annose
problematiche attraverso l’enunciazione da parte delle Sezioni Unite, sia della
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Cassazione Penale che della Cassazione Civile, di due principi di diritto.
L’applicabilità dell’articolo 57 del codice penale al direttore o vice-direttore
responsabile per la funzione di garanzia a loro attribuita invece sarà oggetto di
critica in quanto, al momento in cui si scrive, sembra non esserci una piena
aderenza al revirement intrapreso.
In ultimo ci si soffermerà sulla differenza che a livello giuridico si fa tra i
giornali telematici, e la sequestrabilità del sito che lo ospita, da altre tipologie
di siti in cui si manifesta la libertà di espressione, come i blog, in cui la
possibilità di sequestro è disciplinata diversamente.
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Capitolo I
Le fonti nazionali
Sommario: 1.1. Evoluzione storica della libertà di stampa – 1.2 L’avvento
della Carta Costituzionale: l’articolo 21 – 1.3 I principi costituzionali in
materia di stampa – 1.4 La giurisprudenza della Corte Costituzionale e della
Suprema Corte di Cassazione sui limiti alla libertà di stampa – 1.5 La
condizione della stampa secondo vari osservatori internazionali
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1.1 Evoluzione storica della libertà di stampa in Italia
All’interno del panorama delle libertà, quella della stampa è una conquista
abbastanza recente.
Non quindi come l’habeas corpus che già nella Magna Charta inglese del
1215 veniva riconosciuta.
Una prima forma di rivendicazione del diritto a diffondere le proprie opinioni
l’abbiamo avuta con l’Aeropagitica di Milton
1
.
Benjamin Constant arrivava ad affermare che mentre la libertà di stampa evita
che la sospensione dell’habeas corpus possa condurre ad abusi, la sospensione
delle garanzie della stampa fa sì che la stessa garanzia dell’habeas corpus si
riduca a ben poca cosa.
Infatti, notava il filosofo, se la sospensione dell’habeas corpus poteva essere
denunciata pubblicamente, attirando l’attenzione del popolo, un’eventuale
sospensione delle garanzie sulla stampa avrebbero determinato la possibilità
del potere di limitare la libertà personale degli individui senza che nessuno lo
potesse denunciare.
Nel mondo molte Carte Costituzionali già verso la fine del 1700 avevano
riconosciuto tale libertà come con la Costituzione della Pennsylvania nel 1776
dove si affermava che il “popolo ha il diritto alla libertà di parola perciò la
libertà di stampa non può essere limitata” o come quella del New Hampshire
del 1784 quando affermava che “la libertà della stampa è essenziale per la
sicurezza della libertà nello Stato; essa deve essere perciò garantita
inviolabilmente”.
In Italia il riconoscimento della libertà di stampa nello Statuto Albertino del
1848 sarà sottoposta a una formulazione che incontrerà immediatamente dei
1 John Milton era molto critico nei confronti della Corona ( ed infatti diverrà segretario di
Cromwell) agli albori della Guerra Civile in Inghilterra e nella sua Aeropagitica nel 1644 scriveva
in maniera energica contro il sistema del Licensing Act, che subordinava la pubblicazione di tutti
gli stampati alla bolla di licenza rilasciata dal Governo. Scriveva infatti: “mentre sia debitori che
delinquenti possono camminare liberamente senza essere vigilati, dei libri inoffensivi non
possono essere stampati senza un bollo-secondino ben visibile sotto il loro titolo”.
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limiti infatti stabilirà che:
“la stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le Bibbie, i
catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il
preventivo permesso del Vescovo.”.
Ciò non stupisce se si guarda al come è stata raggiunta la formulazione di una
Carta Costituzionale, conquistata negli Stati Uniti d’America con il Preambolo
alla Costituzione che apre con “Noi, popolo degli Stati Uniti”, e concessa in
Italia con un Preambolo dello Statuto che apre con “Noi, Carlo Alberto per la
grazia di Dio [...]”
2
.
Ma procediamo con ordine.
Spesso le cose inaspettate, e meglio riuscite, vengono da coloro che sono
meno indicati per il loro accadimento e così è stato nella Penisola quando le
prime riforme, nel 1847, provennero dallo Stato Pontificio
3
.
Fu Pio IX il 15 marzo del 1847 ad emanare un editto sulla stampa che allarga,
ma non abolisce, le maglie della censura.
L’editto intitolato “Disposizioni sulla revisione delle opere da pubblicare colla
stampa” prevedeva che a causa delle enorme mole di richieste per essere
autorizzati a stampare “ si autorizza la pubblicazione di stampati che trattano
la storia contemporanea (ossia l’attualità e la politica) purché non si arrechino
offese alla religione, alla Chiesa, ai magistrati, ai cittadini, agli Stati e ai
governi esteri, e non si alimentino le fazioni, o si eccitino popolari movimenti
contro la legge”.
La notizia dell’attività posta in essere dallo Stato Pontificio si diffuse
immediatamente negli altri Stati della Penisola e così fu che il 6 maggio del
1847 anche Leopoldo II, Granduca di Toscana, approvò un nuovo editto sulla
stampa che, come per la legislazione pontificia, non abbandonerà la censura
preventiva ma allargherà le maglie della censura, permettendo la costituzione
2 R.BOGGIANI (2012), Storia della libertà di stampa in Italia, il Segnalibro, Roma, p.7
3 Così R.BOGGIANI, op.cit. p.32 , ma anche C.PICCA (2005), Senza bavaglio: l’evoluzione del
concetto di libertà di stampa.Pendragon, Bologna p.21
9
di nuovi giornali che trattavano di questioni politiche come l’Alba nel 14
giugno
4
.
Siamo nel 1847 e il clima che avrebbe portato a moti rivoluzionari in Europa
da lì a poco, nel 1848, era avvertito anche da parte del Re Carlo Alberto.
Il timore di scontri spingerà il Re a emanare le cd. Lettere Patenti il 30 ottobre
del 1847, disposizioni sulla stampa, che metteranno la legislazione sabauda al
passo con quella che Pio IX aveva concesso nello Stato Pontificio e con quella
di Leopoldo II nel Granducato di Toscana.
Ma è con lo Statuto Albertino che viene costituzionalizzata la libertà di stampa
nell’art.28.
Il 17 gennaio del 1848 il Segretario di Stato per gli Affari Interni Conte
Borrelli presentò a Sua Maestà una lettera arrivata al suo Segretariato firmato
da un certo Avv. Bofferio e altri tre individui che presentandosi come
rappresentanti della Nazione chiedevano la trasformazione in un regime
costituzionale dello Stato
5
.
A Palermo già erano insorti, a Napoli si preparavano.
Dinanzi al Re si poneva la scelta tra una Costituzione o il rischio di un
intervento straniero a sorreggere le eventuali istanze rivoluzionarie dentro lo
Stato.
Non senza remore il 4 marzo del 1848 il Re appone la firma sullo Statuto
Albertino
6
.
A pochi giorni dalla promulgazione dello Statuto datata il 5 marzo viene
approvato l’Editto Albertino.
4 R.BOGGIANI, op.cit.p.34
5 Ivi, p.36
6 Interessante notare il clima politico che si respirava all’atto della firma da parte del Re descritto
dal primo segretario di Stato Des Ambrois “Fu un momento solenne. Tutti i ministri muti,
commossi, guardavano il Re che apponeva la sua firma, tutto raccolto, ma calmo e sereno come
un uomo che adempie coscienziosamente un grande dovere. La seduta era stata lunga e faticosa.
Il Re si levò. Allora il vecchio conte Borelli, con un movimento spontaneo si avvicinò,pose a terra
un ginocchio e baciò la mano che aveva firmato lo Statuto. Ciascuno dei ministri baciò quella
mano: era l’ultimo addio all’antico ordine. Il Re, commosso,rialzava i suoi ministri e li
abbracciava con effusione” così in R.BOGGIANI, op.cit. pp.40-41
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Nella sua formulazione, grazie al contributo del conte, nonché magistrato,
Ferruccio Sclopis, viene definitivamente abbandonata la censura preventiva e
si determina che gli illeciti vadano colpiti con altri mezzi.
Costituito da 88 articoli più le disposizioni transitorie l’Editto resisterà dal
1848 al 1948, per un secolo quindi, resistendo, con delle modifiche, anche
all’avvento del fascismo
7
.
Solo nel 1948 l’Editto sarà sostituito dalla legge sulla stampa, legge che darà
attuazione all’art.21 della Costituzione Repubblicana.
L’Editto era caratterizzato dall’istituzione della figura del gerente
responsabile, e forse questa è la pecca più grande della normativa, perché
questo era concepito come centro di imputazione della responsabilità per tutti i
reati commessi a mezzo della stampa periodica
8
.
Spesso per aggirare la legge e garantire l’impunità a chi scrive, veniva pagato
un disgraziato senza arte né parte, che per poche lire rivestiva tale carica
assumendosi tutte le responsabilità
9
.
Veniva rifiutata l’idea della censura preventiva e per reprimere gli abusi lo
strumento d’elezione diveniva il sequestro. Sequestro che poteva essere
disposto solo dall’autorità giudiziaria. Non erano previste autorizzazioni per la
pubblicazione sottoponendo gli editori ad una disciplina differenziata tra
stampa periodica e non, prevedendo per i primi il solo obbligo di registrazione
presso la Segreteria di Stato per gli Affari interni del nome della testata, della
data di inizio delle pubblicazioni, della natura di tali pubblicazioni, della
periodicità, delle generalità dell’editore, dello stampatore e del gerente
responsabile.
Per i non periodici era previsto il solo obbligo di deposito dello stampato
presso l’autorità giudiziaria
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.
7 C.PICCA, op.cit. p.26
8 R. ZACCARIA, A. V ALASTRO, E. ALBANESI (2013), Diritto dell’informazione e della
comunicazione, Cedam, Padova, p.455
9 Così C.PICCA, op.cit p.27
10 M. ROMANA ALLEGRI (2012), Informazione e comunicazione nell’ordinamento giuridico
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Nonostante sia previsto il solo sequestro i limiti penali alla libertà di stampa
erano molti se si tiene conto che l’art.22 dell’Editto puniva chi criticava la
forma di governo o l’istituto monarchico e l’art.24 che sanzionava le offese
contro l’inviolabilità della proprietà, la santità del giuramento, il rispetto
dovuto alle leggi, ogni apologia di fatti qualificati crimini dalla legge penale,
ogni provocazione all’odio fra le varie condizioni sociali e contro
l’ordinamento della famiglia.
La situazione però era destinata a cambiare perché dopo l’Unità d’Italia, e a
seguito degli scontri sociali che si erano avuti in molte parti d’Italia, il
legislatore sabaudo approvò tre leggi di polizia (legge n.3720\1859; legge
n.2248\1865; legge n.6144\1889) con le quali l’Editto subì alcune modifiche,
allontanandolo dai principi liberali.
Con tali norme si assoggettava l’attività di tipografia e di affissione ad una
licenza, la responsabilità penale venne estesa anche all’editore, la
comunicazione al segretariato di Stato delle pubblicazioni periodiche ad un
placet dell’autorità stessa trasformando di fatto quella che era una semplice
comunicazione in un regime autorizzativo, si autorizza l’autorità di pubblica
sicurezza a disporre il sequestro in via preventiva e in via amministrativa degli
stampati quando ritenuti offensivi della pubblica decenza, del buon costume,
della morale e dei privati cittadini
11
.
Agli inizi del ‘900 con Giovanni Giolitti alla guida del Paese le cose sembrano
cambiare. La stampa riscopre una nuova ventata di libertà, le piccole imprese
giornalistiche acquistano una dimensione aziendale rilevante. Le grandi firme
del giornalismo passate alla storia come Luigi Albertini del Corriere della Sera
muoveranno in questi anni i loro passi. Tutto ciò grazie alla nuova legislazione
inaugurata da Giolitti che nel 1906 elimina il sequestro preventivo,
mantenendolo solo per pubblicazioni contrarie al buon costume e per le
pubblicazioni non depositate in tribunale, si elimina, anche, la licenza per
italiano, Giappichelli Editore, Torino, p.48
11 Ivi, p.49
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l’attività di tipografia.
Le cose però non rimarranno a lungo così.
Con l’avvento della Grande Guerra le tensioni politiche e sociali si acuirono, i
soldati in battaglia che perivano non venivano nemmeno menzionati sui
giornali perché vi era il divieto di rilasciare informazioni in merito, per il
sentimento nazionale è necessario che si pubblichino notizie tranquillizzanti si
diceva.
Questo stato di cose certamente non andava migliorando. Nel 1922 dopo la
marcia su Roma e il conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio a
Benito Mussolini, a distanza di meno di un anno dall’insediamento, con il d.l.
n.3288\1923 convertito in legge n.2309\1924 il Governo riformava la figura
del gerente responsabile stabilendo che egli fosse il direttore o uno dei
principali redattori e che rispondesse per responsabilità oggettiva per fatto
altrui, che non potesse essere un senatore o un deputato, e che la sua nomina
dovesse essere riconosciuta dal prefetto.
Con il d.l n. 1081\1924 convertito in legge n. 2307\1925 si stabiliva che il
gerente responsabile fosse sostituito dalla figura del direttore responsabile,
sottoposto al riconoscimento del prefetto, che di fatto non riconoscendolo
poteva determinare la chiusura del giornale. Veniva confermata la
responsabilità oggettiva per fatto altrui in capo al direttore responsabile, norma
che troverà riconoscimento anche nel redigendo nuovo codice penale
all’art.57.
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12 R. ZACCARIA, A. V ALASTRO, E. ALBANESI, op. cit. p.457, M. ROMANA ALLEGRI,
op.cit.p. 51.
L’art. 57 cod.pen. nella sua formulazione originaria aveva dato adito a sospetti di legittimità
costituzionale poiché si temeva che la norma indicasse un caso di responsabilità oggettiva in
contrasto con l’art. 27 della Carta Costituzionale. La Corte Costituzionale con sent. 3 del 1956
rigetta tale tesi e con un’interpretativa di rigetto salva la denunciata norma interpretandola nel
senso di responsabilità colposa a carico del direttore del periodico per omesso controllo.
Per evitare ulteriori difficoltà interpretative la legge 127 del 1958 (modificazioni alle disposizioni del
Codice penale relative ai reati commessi col mezzo della stampa) è andata a modificare
l’originario art. 57 nella formulazione che oggi conosciamo nel quale la responsabilità del
direttore può articolarsi : a titolo di concorso (per aver approvato, e quindi voluto, la
pubblicazione), a titolo proprio (per aver omesso di esercitare il dovuto controllo). La stessa legge
introduce nell’ordinamento l’art. 57 bis che estende le disposizione dell’art. 57 anche ai reati
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