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implicano un complesso di doveri degli uomini verso Dio, loro Creatore e Padre. I
mezzi per realizzare tali doveri sono principalmente l'orazione, i sacramenti,
considerati come mezzi di grazia, e l'osservanza della legge divina. La gerarchia
ecclesiastica, che è costituita direttamente da Gesù Cristo, è imperniata sul Vescovo di
Roma, il Pontefice, che esercita funzioni di guida (magistero, disciplina e
giurisdizione) sui vescovi delle Chiese locali. Ci sono poi gli arcivescovi, i primati, i
metropoliti, i cardinali, i legati ed i nunzi. Scopo del Pontefice, che è Vicario di Cristo
ed opera in unione coi ministri del culto, è diffondere il verbo di Dio tra le genti per la
salvezza delle anime. Dopo aver esaminato le caratteristiche essenziali della religione
cattolica, vediamo come si articola questo volume.
Il primo capitolo parla dell' evoluzione storica della libertà religiosa in Italia dal 1848
ad oggi: dallo Statuto albertino alla Costituzione repubblicana, passando per
le leggi più importanti in materia che si succedono nel corso di questi cento anni. Una
particolare attenzione è dedicata, ovviamente, ai Patti lateranensi del 1929 ed alla loro
revisione avvenuta negli anni ottanta. Il secondo capitolo si occupa invece della
situazione attuale. Si guarda cos' è la libertà di religione nel nostro ordinamento, come si
inserisce nell' ambito della problematica dei diritti e delle libertà fondamentali, in cosa
consiste. Viene evidenziato anche il suo aspetto negativo, cioè l'ateismo. L'ultimo
paragrafo tratta di tre fondamentali sentenze della Corte Costituzionale in materia di
giuramento, con cui essa interviene a proteggere la libertà di coscienza (art. 21 Cost.).
Nel terzo capitolo si parla delle confessioni di minoranza presenti sul territorio italiano:
quali sono e la loro organizzazione, quanto sono diffuse. Importantissimo è l'aspetto
delle intese, visto che è con esse che tali confessioni regolano i loro rapporti con lo Stato
(art. 8 Cost.). Vedremo come sono strutturate e cosa prevedono. Il quarto ed ultimo
capitolo analizza quali sono e come si giustificano le differenze di trattamento esistenti
nel nostro ordinamento tra la religione cattolica e gli altri culti. E' qui che assume rilievo
centrale la giurisprudenza costituzionale: sono numerose infatti le sentenze della
Consulta in materia. Esse vanno a toccare in particolar modo il
3
codice penale: vedremo come la Corte interviene a proposito del vilipendio della
religione, della bestemmia e del vilipendio degli oggetti di culto e, soprattutto, come
si giustifica la sua inversione di tendenza rispetto alle prime pronunce.
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CAPITOLO PRIMO
LA RELIGIONE NELLA STORIA
DELL'ITALIA UNITA
1- DALLO STATUTO ALBERTINO ALLA
COSTITUZIONE DEL 1948
Lo Statuto albertino dell' 8 marzo 1848 prende il nome dal cattolicissimo Re di
Sardegna Carlo Alberto, che lo emana sotto la pressione dei moti popolari. La grande
importanza data alla religione è testimoniata dal fatto che essa è subito presente nel
primo articolo della Carta, secondo cui la religione cattolica, apostolica e romana è la
sola religione dello Stato. Per quanto riguarda gli altri culti esistenti, si dice
semplicemente che sono tollerati conformemente alle leggi. Mentre in campo politico
fa notevoli concessioni alle idee liberali, come la creazione di una Camera dei deputati
che si affianca al Senato di nomina regia nell' esercizio del potere legislativo, in
materia religiosa il sovrano piemontese, come d'altronde gli altri principi dell'Italia
preunitaria, rimane rigorosamente attaccato alla tradizione cattolica del popolo
italiano, come si vede anche dalla formula del preambolo. Dopo questa solenne
affermazione del carattere confessionale dello Stato sabaudo e dell'esistenza di una
religione di Stato, che durerà fino alla riforma concordataria del 1984, il Re deve
affrontare le richieste dei liberali che vogliono la fine delle anacronistiche situazioni di
emarginazione in cui vivono le minoranze religiose in Piemonte. Già un mese prima
della promulgazione dello Statuto, con le Lettere Parenti i valdesi vengono parificati ai
cattolici per quanto riguarda il godimento dei diritti civili e politici ed il
5
7
conseguimento dei gradi accademici. Lo stesso avviene poco dopo anche per gli ebrei.
Con la legge n. 735 del 1848 si vogliono principalmente allargare tali benefici ai
protestanti, almeno per quello che riguarda gli Stati sardi, ma la tolleranza verso questi
è molto ristretta, soprattutto per la severità del codice penale albertino nelle norme in
cui protegge la religione cattolica. Anche la conservatrice magistratura piemontese
segue questa tendenza, finchè nel 1859 viene emanato il codice penale per gli Stati
sardi che, pur continuando a privilegiare il cattolicesimo, protegge anche i culti
"tollerati", sia pure solo per l'oltraggio. Tale preminenza si ha anche nel campo della
pubblica istruzione, dato che la legge Casati mantiene l'insegnamento della religione
cattolica nelle scuole pubbliche, tuttavia cresce lo spazio dato alle garanzie del cittadino
e alle minoranze religiose, che tra l'altro non sono sottoposte ai pesanti controlli che lo
Stato esercita sulla Chiesa cattolica, attraverso l'exequatur ed il "placet". Non c'è
neanche tra tali confessioni e lo Stato quel pesante contenzioso che, postosi con le leggi
Siccardi del 1850, recanti oltre a misure di tipo liberale e laicizzante come l'abolizione
di quanto resta del foro ecclesiastico anche nuovi controlli in materia di acquisti degli
enti, si aggrava poi con le "leggi eversive" dell' asse ecclesiastico (1855-67) che
finiranno per sopprimere gran parte degli enti della Chiesa, senza contare la lacerante
tensione derivante dalle vicende della "questione romana". Essa conosce come punto
nodale l'occupazione di Roma da parte delle truppe italiane il 20 settembre 1870 che
pone il gravissimo problema del trattamento da farsi al Pontefice così privato del suo
Stato, problema risolto in modo unilaterale dall'Italia dalla cosiddetta "legge delle
Guarentigie" del 1871. In occasione di esse si awia nel Paese un vivace ed interessante
dibattito che riguarda il problema della libertà della Chiesa in Italia, che già sta a cuore
a Cavour ed all'ambito cattolico liberale. E se Pio IX, il Papa spogliato del regno,
ragiona solo in termini di usurpazione e sovranità perduta, nei suoi successori, a partire
da Leone XIII, compare un tema più moderno, quello della "Libertas Ecclesiae" come
istituzione dietro la quale sta un'imponente massa di credenti, tematica indubbiamente
6
connessa alla libertà religiosa e che inizia a muovere i suoi primi passi. Mentre
s'inaspriscono le relazioni tra la monarchia e la S. Sede, tra gli anni '60 ed '80
dell'Ottocento si ha un forte processo di sec~larizzazione e laicizzazione della società
italiana e del suo ordinamento. Scompare infatti l'insegnamento delle materie
teologiche nelle Università e della religione nelle scuole pubbliche (legge Coppino del
1877), infine vengono parificati tutti i culti dal punto di vista della tutela penale col
codice Zanardelli del 1889. Nonostante l'art. l dello Statuto rimanga formalmente in
vigore, a fine Ottocento l'Italia può dirsi sostanzialmente una nazione laica dove è
pienamente rispettata la libertà religiosa e di culto degli acattolici. Tale situazione dura
fino all'awento del fascismo, quando si assiste ad una riconfessionalizzazione
dell'ordinamento ed una forte compressione di tale libertà per i non cattolici,
soprattutto per i protestanti. Il momento indubbiamente più importante di questo
processo è costituito indubbiamente dalla stipulazione dei Patti Lateranensi (Trattato e
Concordato) dell'Il febbraio 1929. Con essi viene solennemente riconfermato il
principio della religione dello Stato, viene riconosciuta la giurisdizione ecclesiastica, e
non solo in campo matrimoniale. E' proibito a Roma tutto ciò che è contrario al
carattere sacro dell'Urbe ed interdetto, ai sacerdoti apostati, l'accesso ad uffici ed
impieghi che comportano "un contatto immediato col pubblico" nonché
l'insegnamento. Inoltre vengono dati privilegi in materia economica, i riti religiosi
dello Stato devono essere celebrati secondo il culto cattolico e vengono riconosciuti i
giorni festivi stabiliti dalla Chiesa cattolica. Il fascismo erode quindi notevolmente lo
spessore assunto in precedenza dal diritto di libertà religiosa. Con una legge, sempre
del '29, prowede a disciplinare quelli che già da tempo la dottrina chiama "culti
ammessi" nello Stato, eredi di quelli "tollerati" di cui parla, come abbiamo visto, l'art. l
dello Statuto albertino. A tale legge, non particolarmente illiberale che condiziona l'
ammissibilità di una religione al rispetto dell'ordine pubblico e del buon costume e
sancisce nel suo art. 5 la libertà di discussione in materia religiosa, fanno però seguito
le norme decisamente repressive e restrittive del regio decreto n. 289 del 1930. Esse
prescrivono per la
7
legittimità di un culto acattolico la presenza di un ministro di culto approvato dal Governo
all'interno di un tempio per la cui apertura è necessaria l'autorizzazione dell'autorità. Poco
dopo il Testo Unico di Pubblica Sicurezza (Llli. 773 del 1931) restringe ulteriormente la
libertà di riunione e culto delle minoranze. Il codice penale Rocco del 1930-31 accorda
una certa protezione anche ai culti ammessi, ma ne riconosce una maggiore per il
cattolicesimo per quanto riguarda i reati di vilipendio (art. 402) e bestemmia (art. 724).
Approfittando di ciò, le autorità di polizia iniziano e portano avanti una dura campagna
contro alcune denominazioni protestanti (ad esempio pentecostali) rendendo in pratica
quasi impossibile l'esercizio del loro culto e costringendo parecchi fedeli ad emigrare per
professare in pace il proprio credo. A questo non sono estranee ragioni politiche visto che,
dopo la conquista dell'Etiopia, si crea una certa esaltazione contro le sanzioni imposte
dalla Società delle Nazioni che porta a quella mostruosità giuridica costituita dalle leggi
razziali. Esse privano gli ebrei anche dei più elementari diritti umani, ed i protestanti,
aventi le loro sedi di origine negli Stati Uniti, vengono spesso visti come spie o comunque
elementi pericolosi e perturbatori dell'unità politica e religiosa dell'Italia.
Già poco dopo la caduta del fascismo la piena e completa libertà di coscienza e di
religione e l'assoluta indipendenza di tutte le Chiese dallo Stato vengono chieste dai
protestanti italiani e tale richiesta viene in seguito ribadita nei confronti dell' Assemblea
Costituente. Da parte loro, i non molti ebrei soprawissuti alla deportazione nazista,
chiedono la parificazione di tutti i culti. Anche se questi messaggi non vengono recepiti in
pieno, va rilevato come essi contribuiscano a focalizzare l'attenzione sull'importanza dei
diritti di libertà religiosa. l Il progetto Dossetti ricalca a grandi linee quello che sarà il
futuro art. 19 della Carta costituzionale, sia pure con notevoli ampliamenti. In esso si parla
di "libera e piena esplicazione della propria vita religiosa interiore ed esteriore" e si
garantisce la
8
libertà di culto e l'assistenza religiosa sul luogo di lavoro, nell'esercito, nei luoghi di
cura e nelle carceri. In tale progetto sono più estesi i limiti posti all' esercizio del culto
("purchè non si tratti di religione o di culto implicante principi o riti contrari all'ordine
pubblico ed al buon costume"), rifacendosi alla legge del 1929 sui culti ammessi. Il
testo presentato all' Assemblea non contiene più, per una modifica apportata, l'accenno
al diritto all' esplicazione della propria vita religiosa. Il testo in questione viene unito
all' art. 5, il futuro art. 7, dove si parla dei rapporti tra Stato e Chiesa. In seguito ad una
proposta di emendamento sui limiti dell' ordine pubblico
e del buon costume, fu deciso di tenere in piedi solo quest'ultimo per tutelarsi dall'
eventualità di "culti stravaganti" e questo col consenso anche delle Chiese protestanti.
Non ha invece successo la proposta dell'onorevole Labriola di sancire "la libertà delle
opinioni e delle organizzazioni dirette a dichiarare il pensiero laico o estraneo a
credenze religiose". Per quanto riguarda la libertà delle singole confessioni, l'art. 8 che
oggi la tutela, ha origine da un emendamento all'art. 5, come già detto futuro 7, dell'
allora presidente della Costituente Terracini: "le altre Chiese sono regolate dalle proprie
norme, che lo Stato riconosce in quanto non contengano disposizioni contrarie alla
legge. I rapporti tra lo Stato e le altre Chiese sono regolati per via legislativa d'intesa
con le loro rappresentanze legittime." Il testo viene quasi subito modificato tanto che
viene a presentarsi in forma quasi identica a quella definitiva; il deputato Lucifero
propone di trasferire questa parte nell' art. 14, dedicato ancora alla tutela della libertà
religiosa. Occorre però riformulare l'inizio dell'articolo, che non essendo più parte del 5
non può iniziare
con la forma "le altre confessioni".
Alla fine, dopo l'assemblea plenaria della commissione dei 75 del 23 gennaio 1947,
si arriva alla formula "Tutte le confessioni religiose sono uguali davanti alla legge",
sostenuta da costituenti d'estrazione laica. Essa diventa poi "Tutte le confessioni
religiose sono egualmente libere davanti alla legge" grazie ad un emendamento dei
democristiani Cappi e Gronchi, passato con un esiguo margine di voti. La norma
9
viene staccata dall'art. 14 (poi 19) e viene posta col numero 8 subito dopo l'articolo
che concerne i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica. La tormentata vicenda di
questa norma è finalmente giunta al termine. Significativo è il fatto che, durante i
lavori dell' Assemblea costituente, nella seduta del 25 marzo 1947, viene respinto un
emendamento all' art. 7 presentato dall' onorevole Patricolo che voleva introdurre in
tale norma la frase: "La religione cattolica è la religione ufficiale della Repubblica
italiana". Tale principio, anche se non incompatibile con le massime degli artt. 8 e 19,
è indubbiamente ispirato a valutazioni ben lontane da quelle che ispirano tali norme;
quindi non può ammettersi il suo attuale vigore.
La Costituzione repubblicana entra in vigore il 1 gennaio 1948: dei suoi 139 articoli,
alcuni vanno a toccare la materia religiosa. Oltre agli artt. 2 e 3 come principi generali
(rispettivamente il riconoscimento dei diritti umani inviolabili ed il principio
d'uguaglianza sia formale che sostanziale), c'è l'art. 20 e il primo comma del 21, ma su
tutti spiccano per importanza gli artt. 7, 8 e 19. La prima di tali norme prevede che "lo
Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I
loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate
dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. "La
disposizione successiva stabilisce che tutte le confessioni religiose sono egualmente
libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di
organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento
giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese
con le relative rappresentanze. Per l'art. 19 "tutti hanno diritto di professare liberamente
la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di fame propaganda
e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al
buon costume". Nella Costituzione non sono menzionate le libertà di fede, credenza e
coscienza ma le stesse sono ugualmente protette dall' ampio ambito di espansione e
tutela della libertà di professione che implica la facoltà di
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appartenere ad una religione od almeno aderire ad un credo religioso
2
.
11
CAPITOLO SECONDO LA
LIBERTA' RELIGIOSA
NELL'ORDINAMENTO ATTUALE
1- LA LIBERTA' DI RELIGIONE NELL'AMBITO DEI
DIRITTI E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI
L'art. 3 comma l della Costituzione stabilisce che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale
e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". E' la solenne riaffermazione, in
sede di princìpi fondamentali, del classico postulato dell' égalité risalente alla Rivoluzione
francese ed ancor prima a quella cristiana: "ama il prossimo tuo come te stesso". Tale
principio è tuttora cardine delle democrazie contemporanee ma anche, peraltro, fonte di
controversie, implicazioni e corollari di vivissima attualità. Le due regole della pari dignità
sociale e di quella giuridica fra gli uomini nonostante le differenti condizioni personali e
sociali descrivono lo sfondo sociale della normativa in esame. Esse non enunciano
astrazioni, ma princìpi concreti, che si convertono in quella che viene chiamata la regola
della parità di tutti gli individui, da considerare potenzialmente titolari di uguali situazioni
giuridiche sia attive (diritti, poteri, facoltà) che passive (doveri, obblighi, soggezioni), con
la sola discriminante della capacità, che solo per motivi ragionevoli il legislatore può
differenziare. Un esempio significativo è dato dalla XIII disposizione transitoria della
Costituzione: le norme restrittive della capacità dei Savoia discendono dalla condanna
politica della monarchia, e dalla conseguente necessità dell' emarginazione dell' ex casa
regnante, voluta legittimamente
12
dall' Assemblea costituente. Solo la pari dignità sociale, imponendo un eguale rispetto
per tutti, non può essere vulnerata da condizioni di capacità (età, capacità d'intendere e
di volere). La tendenziale cancellazione delle disparità delle condizioni personali e
sociali è confermata dalle norme che non riconoscono i titoli nobiliari (art. XIV
disposizioni finali), in base alle quali la Corte costituzionale nel 1967 cancella dall'
ordinamento leggi che regolano il contenzioso sulle pretese relative a quei titoli
5
. Può
considerarsi come pacifica l'affermazione secondo cui l'uguaglianza investe non solo i
"cittadini", come dice l'art. 3, ma anche gli stranieri e le formazioni sociali. Per i primi,
il principio viene affermato dalla Corte nel '67 a proposito del rispetto dei diritti
fondamentali; per le seconde si cerca soprattutto di evitare ripercussioni
discriminatorie sulla sfera giuridica degli iscritti. Bisogna precisare che l'uguaglianza
vale in seno a ciascuna categoria delle formazioni sociali (pubbliche, private,
confessionali, politiche, sindacali e via dicendo), restando libero il legislatore di porre
discriminazioni tra le diverse categorie, in omaggio alla diversità dei fini che esse
perseguono. Sulla base dell'art. 3, la legge deve trattare in modo uguale le fattispecie
uguali, o molto simili, ed in modo razionalmente diverso quelle fra loro diverse: solo
in tal modo si realizza una giustizia sostanziale. Si abbandona così la tesi dei primi
commentatori
6
, che svalutano il principio centrando lo appunto sull'eguaglianza
davanti alla legge, che al massimo vieta al legislatore di porre privilegi, cioè leggi
singolari (perciò anche quelle retro attive ), e si pongono le basi di un divieto, ben più
pregnante, che è quello di creare leggi irrazionali, che pongono ingiustificate disparità
di trattamento tra i soggetti. Tale divieto costituirà in futuro la base di tutta la
giurisprudenza della Corte italiana, sulla scia del resto di quella di altre Corti che
svolgono in altri Paesi funzioni analoghe. Dall'eguaglianza vista come pari soggezione
dei cittadini davanti alla legge, idea liberale, si passa all' eguaglianza come vincolo al
contenuto della legislazione. Il pensiero democratico critica quello liberale per la sua
evidente
13
insufficienza e porta avanti il "diritto alla vita" nei vari postulati dei diritti sociali.
L'eguaglianza formale d'altronde rimane, e la generalità e l'astrattezza della legge
costituiscono suoi corollari, anche nel momento in cui la legge, in società non omogenee,
assume il compito nuovo di dirimere i contrasti tra i gruppi, le categorie, le classi. Essa
assume l'obbligo di prescrivere la tendenziale universalità del precetto di legge, che deve
collegare conseguenze uguali a fattispecie analoghe e ragionevolmente diverse a
fattispecie diverse, avendo riguardo al fine perseguito. Uguaglianza e diritti di libertà, pur
nella loro diversa natura ed essenza, svolgono funzioni complementari. Infatti, nello Stato
di diritto avviene il contemperamento della libertà del singolo con le uguali libertà degli
altri. Un ordinamento tendenzialmente egualitario al cento per cento è senz' altro
tendenzialmente autoritario, e quindi negatore delle libertà; ma negli ordinamenti
democratici i due princìpi non solo si limitano e si condizionano l'un l'altro, ma
l'uguaglianza diventa il modo di essere delle libertà, ne configura il principio d'espansione
e lo adatta a quello di comparazione. Nella trasformazione dello Stato di diritto in sociale,
in breve, l'uguaglianza formale resta ancora un cardine che si proietta nel nuovo
ordinamento, che non intende cancellare le conquiste liberai democratiche, ma solo
aggiungere quei diritti sociali compatibili con esse.
Il secondo comma dell'art. 3 allarga il principio d'uguaglianza trasformandolo da
"formale" in "sostanziale". Esso può scomporsi in tre princìpi fra loro complementari: il
primo assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli che la persona umana
incontra nella sua vita. Si parla di ostacoli di ordine economico e sociale, quindi non solo
giuridici, che limitano di fatto libertà ed eguaglianza, giungendo fino ad impedire il pieno
sviluppo della persona umana. Il secondo principio riguarda la partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione del Paese: come peraltro si desume dai lavori preparatori, il
termine lavoratori è qui sinonimo di cittadini, se non di individui. Terzo ed ultimo
principio è quello della tutela degli interessi collettivi e diffusi che non si personalizzano,
ma tuttavia sono finalizzati anch'essi al pieno sviluppo ed alla protezione dell'ambiente
che circonda
14
la persona. L'interpretazione tradizionale dell'art. 3 secondo comma ne sottolinea la
natura di norma programmatica o di semplice indirizzo. Nell' Assemblea costituente
viene criticata con una certa ironia: "per compensare le forze di sinistra della
rivoluzione mancata, quelle di destra non si oppongono ad accogliere nella
Costituzione una rivoluzione promessa,,7. E infatti di un' autentica rivoluzione la
norma, se attuata, sarebbe stata portatrice; ma ciò avviene solo in parte, visto che essa
trova sul cammino della sua etfettività ostacoli enormi.
Quindi da supernorma costituzionale essa si riduce al rango di norma ridotta al
beneplacito delle forze politiche, ancor di più delle altre norme costituzionali
d'indirizzo. Nonostante questo essa rivela con schiettezza la gravità della situazione
economico-sociale italiana, ammettendo infatti che la nostra società è fondata sulla
diseguaglianza di fatto. La pretesa d'intervento della Repubblica, cioè di tutta la
società politica e culturale italiana, tendente a capovolgere tale situazione costituisce il
vero grande nodo della Costituzione
8
.
E' proprio in questo quadro dei diritti e delle libertà fondamentali che s'inserisce quello
che ci interessa, cioè la libertà di religione. Essa, nell' ordinamento della Repubblica
italiana, dà vita ad uno specifico diritto soggettivo pubblico, inviolabile ed
indisponibile, riconosciuto e garantito, sotto molteplici aspetti, non solo da norme
costituzionali ma anche da leggi ordinarie. Il regime accennato è frutto di un'
evoluzione per niente lineare e non priva di ritorni e contraddizioni, riscontrabile anche
presso altri Stati appartenenti all' area dei Paesi le cui istituzioni si sono sviluppate
seguendo, in misura più o meno ampia, le indicazioni dell' area liberale. La libertà
religiosa costituisce indubbiamente un diritto inviolabile, ai sensi dell'art. 2 Cost.: esso
non può essere ridotto dal legislatore ordinario, né limitato da provvedimenti
governativi e non può essere oggetto di rinunce o transazioni, perché l'inviolabilità del
diritto, sotto il profilo privatistico, ne importa
15
l'indisponibilità. Nel rapporto fra lo Stato ed i singoli cittadini e di questi fra loro, una
norma fondamentale è quella che garantisce a tutti, come abbiamo visto, la pari dignità
sociale e l'eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di religione (art. 3 co. 1 Cost.).
L'esigenza della libertà di cui stiamo parlando, nell'ambito delle comunità civili, postula
quella dell'uguaglianza giuridica dei cittadini, anch' essa appartenente al bene comune
della società e che deve essere garantita dalla potestà civile. Questa è tenuta ad evitare che
l'uguaglianza sia lesa, in forma aperta od occulta, e che fra i cittadini si facciano
discriminazioni. Infatti, se tutti gli uomini hanno diritto alla libertà, perché tutti sono
titolari della medesima dignità, di conseguenza tutti devono godere delle stesse
opportunità per esercitare il loro diritto ed adempiere i loro doveri in materia di religione.
E' perciò illecito che il potere civile imponga ai cittadini con la violenza, col timore o con
altri mezzi la professione di una religione qualsivoglia o la sua negazione, o di impedire
che aderiscano ad una comunità religiosa o che vi recedano. E' ancora più contraria al
diritto divino la violenza usata per distruggere o per comprimere la stessa religione, in
tutto il mondo, in qualche regione o in un determinato cet0
9
. Tale fenomeno è imponente
in buona parte del mondo, tanto da essere oggetto di normative non solo di diritto interno,
ma anche di quello internazionale, generale e pattizio. Nel dopoguerra si ricorda l'obbligo
imposto all'Italia nel 1947 dall'art. 15 del trattato di pace di rispettare la libertà di
religione. Il principio viene poi riaffermato all'ONU nella Dichiarazione universale dei
diritti dell'uomo del dicembre 1948. Due anni dopo forma oggetto di una specifica e
dettagliata affermazione nell'art. 9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dove però ci sono limitazioni a tale diritto,
soprattutto di carattere pubblico. Dopo il 1950, altri atti internazionali trattano anche di
libertà religiosa: i Patti internazionali sui diritti economici, sociali e culturali (1966) e sui
diritti civili e politici dello stesso anno; le Convenzioni contro
16
la discriminazione nell'insegnamento (1960), sull'eliminazione delle discriminazioni
razziali (1965), l'Atto finale della conferenza di Helsinki (1975), la Dichiarazione
dell'ONU sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione o intolleranza religiosa
(1981) dove finalmente scompaiono le limitazioni della Convenzione del '5010.