In quest’ottica è da leggersi l’istituzione di un’apposita Autorità di garanzia,
un’istituzione “terza”, come presidio imparziale al corretto funzionamento del
complesso delle nuove regole.
Il passaggio successivo si è realizzato ed in parte si sta ancora attuando a seguito
dell’emanazione delle cosiddette direttive di seconda generazione, che ripensano la
regolazione ex-ante, ad intervento ex-post, secondo le regole del diritto antitrust.
Questo lavoro muove dall’analisi del regime pregresso, basato sulla cosiddetta
riserva originaria di impresa, di cui si tenteranno di mettere in luce tanto i presupposti
giustificativi quanto le palesi insufficienze, per poi esaminare le principali
innovazioni introdotte progressivamente dalle direttive comunitarie e di come queste
riforme siano state recepite nel nostro ordinamento.
Parallelamente all’esame dell’evoluzione del regime giuridico delle
telecomunicazioni, si dedica particolare attenzione al settore della telefonia (fissa e
mobile) e a come le norme e gli interventi regolamentari in questo mercato abbiano
affrontato le problematiche che lo caratterizzano, cercando di mettere in luce quali
sono le barriere che tuttora permangono e che ostacolano l’affermarsi di una
concorrenza priva di distorsioni.
CAPITOLO PRIMO
1. IL REGIME GIURIDICO TRADIZIONALE: MONOPOLIO LEGALE
E RISERVA ORIGINARIA.
1.1. L’assetto organizzativo delle telecomunicazioni in Italia nel regime di
monopolio legale.
La disciplina del settore delle telecomunicazioni ha subito nel corso dell’ultimo
ventennio una profonda riforma, in Italia, ma ancor prima a livello europeo, che ha
progressivamente condotto ad un’evoluzione del mercato in senso concorrenziale.
Al fine della comprensione della portata di questo processo e prima di passare ad
esaminare gli interventi giuridici che hanno disegnato l’attuale quadro di governo del
mercato, occorre preliminarmente muovere dall’osservazione della disciplina
normativa che regolava la materia nel nostro paese prima della svolta verso la
liberalizzazione, in altre parole dall’analisi del regime giuridico tradizionale di
monopolio legale.
Anzitutto è opportuno fornire una chiara descrizione di ciò che si intende per
“telecomunicazioni”
1
, servendosi della definizione convenzionalmente utilizzata,
(risalente alla Convenzione Internazionale delle telecomunicazioni di Nairobi del
1982) la quale individua in questo termine:
“ogni trasmissione, emissione o ricezione
di segni, segnali, scritti, immagini, suoni o informazioni di qualsivoglia natura, per
filo, radioelettrico, ottico o a mezzo di altri sistemi elettromagnetici”.
Analizzando le forme che possono assumere i messaggi e i mezzi con i quali
questi possono essere trasmessi, si può desumere che rientrano nell’ ambito di questa
1
Adottato ufficialmente per la prima volta nel 1932 alla convenzione internazionale delle telecomunicazioni di
Madrid.
definizione i settori: della telefonia, della telegrafia e delle radiocomunicazioni
2
.
Da questa descrizione è facile evincere come i servizi di telecomunicazione
rientrino tra i cosiddetti servizi pubblici essenziali, ai sensi dell’ art. 43 della
Costituzione
3
, rivolti alla soddisfazione di esigenze fondamentali della comunità e
come, tra questi, ricoprano un ruolo di primaria importanza data la posizione
strategica che occupano nei rapporti economici e sociali di uno Stato.
La nozione di servizio pubblico essenziale, elaborata dalla Corte Costituzionale
in svariate pronunce sulla legittimità dello sciopero in questi settori, è stata codificata
solo nel 1990 dalla legge 146, le cui disposizioni sono dirette a regolare proprio
questa materia, ma ciò nonostante la definizione che se ne ricava esprime principi di
carattere generale, utilizzabili, quindi, anche a fini diversi.
La suddetta norma, all’art. 1 comma 1, definisce i servizi pubblici essenziali
come quei servizi volti a garantire il godimento di diritti della persona
costituzionalmente tutelati come quello alla vita, alla salute, alla libertà di
circolazione, all’assistenza ed alla previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di
comunicazione; il secondo comma dello stesso articolo, poi, fornisce un elenco, con
finalità meramente esemplificativa e di conseguenza non esaustivo, in cui sono
inseriti alla lettera e): le poste, le telecomunicazioni e l’informazione radiotelevisiva
pubblica.
Nel nostro paese fin dai primi anni del secolo scorso il mercato delle
telecomunicazioni è stato sottoposto ad un regime giuridico che escludeva, tramite
legge, ogni forma d’iniziativa privata non solo dall’esercizio, ma anche dalla titolarità
del diritto d’impresa il quale, sia per ciò che concerne le reti che per ciò che riguarda
l’erogazione dei servizi, era riservato esclusivamente ed originariamente allo Stato.
2
Per quanto riguarda la telegrafia e la telefonia (ad esclusione di quella mobile rientrante tra le
radiocomunicazioni), esse sono caratterizzate dall’utilizzo di un conduttore fisico e da una comunicazione point to
point, che permettono a due soggetti di comunicare tra loro da un singolo punto di trasmissione ad un singolo punto di
ricezione, mentre le radiocomunicazioni sfruttano le proprietà dei campi elettrici che possono diffondere onde nell’etere
senza richiedere l’uso di conduttori artificiali ed essenzialmente consistono in comunicazioni di tipo point to multipoint,
vale a dire che offrono la possibilità al segnale, trasmesso da un singolo soggetto attivo, di essere ricevuto da una
pluralità indeterminata di soggetti passivi, purché dotati di un apparecchio ricettore. CHIAPPETTA F. Legislazione
delle telecomunicazioni e telematica, Giuffrè, Milano, 1990 pag. 19-23; PIASCO S. Telecomunicazioni, voce Grande
Dizionario Enciclopedico UTET, vol. XIX, pag. 843ss.
3
In merito vedi infra.
Per questo motivo, alle sue origini la telefonia in Italia era gestita da una pluralità
di aziende che operavano attraverso concessione governativa.
Nel 1925 questa frammentazione venne ridotta e la copertura nazionale del
servizio fu affidata a 5 concessionari privati (STIPEL, TELVE, TIMO, TETI, SET)
che gestivano altrettante zone in cui era stato suddiviso il paese.
A queste imprese venne affiancata l’Azienda di Stato per i Servizi Telefonici
(ASST), un’azienda autonoma pubblica facente capo al Ministero delle Poste e
Telecomunicazioni, che aveva il compito di occuparsi delle più importanti linee
interurbane e internazionali, oltre a svolgere compiti di sorveglianza e di controllo
sull’attività delle concessionarie.
La crisi economica che nel 1929 coinvolse il mondo intero non risparmiò l’Italia
ed il gruppo SIP, che nel frattempo aveva assunto il controllo di STIPEL, TIMO e
TELVE e di conseguenza, quello del 60% del servizio telefonico nazionale.
Decisivo fu l’intervento dell’IRI, che istituì la STET, una società per azioni a
capitale misto (ma a prevalenza pubblico), tramite la quale assunse il controllo delle
concessionarie appena citate.
Gli operatori rimanenti (TETI e SET) rimasero a prevalenza di capitale privato
fino al 1958, anno in cui la STET ne acquisì il controllo.
Infine nel 1964 i concessionari, ormai tutti sotto il controllo indiretto dello Stato,
si fusero dando vita ad un’unica società: la SIP, società italiana per il controllo
telefonico.
Fino a questo momento, la diffusione dell’apparecchio telefonico era ancora
molto limitata, le linee fisse erano passate da 130.000 nel 1925 a 5 milioni nel 1967;
la loro espansione ebbe una forte accelerazione solo a partire dagli anni ‘70 che portò
a raggiungere quasi 20 milioni di utenti nel 1988, dati che ponevano l’Italia in una
posizione di arretratezza rispetto ai paesi europei più industrializzati.
Per quanto riguarda la telefonia mobile, il primo servizio di questo tipo fu
lanciato, in Italia, nel 1973 dalla Sip con il Radio Telefono Mobile Integrato a 160
Mhz (RTMS di prima generazione), che consentiva di servire un numero ridotto di
utenti e raggiunse presto la saturazione; per questo motivo venne sostituito da un
sistema RTMS a 450 Mhz, il quale, a sua volta, fu rimpiazzato da uno operante nella
banda di frequenza dei 900 Mhz (TACS) attivo dal 1990, fino ad arrivare
all’introduzione del sistema radiomobile pubblico paneuropeo (GSM), che portò ad
un’importante svolta nel settore in questione.
In questo mercato che era stato gestito in monopolio dalla SIP prima, e da
Telecom Italia poi, si inserì un nuovo gestore: il consorzio Omnitel Pronto Italia, che
nel dicembre 1994 si aggiudicò la gara per introdurre un secondo operatore per il
servizio GSM, commercializzato poi a partire dal 1995.
Il GSM permette l’utilizzo del telefono cellulare senza frontiere consentendo agli
utenti europei di qualsiasi nazionalità, in qualsiasi luogo si trovassero, di utilizzare il
proprio terminale per parlare, inviare dati, fax, brevi messaggi di testo e utilizzare
tutti gli altri servizi che la tecnologia digitale era in grado di offrire.
Le maggiori possibilità offerte dalla tecnologia TACS prima e da quella GSM
poi, causarono un sensibile aumento nella diffusione del servizio portando, negli
ultimi anni, il numero di telefoni cellulari a superare quello delle linee fisse
4
.
In sintesi nel mercato della telefonia, fino ai primi anni novanta, la titolarità del
diritto d’impresa è rimasta ben salda nelle mani dello Stato, che l’ha gestito tramite
un sistema organizzativo misto comportante la gestione diretta di alcuni servizi ed
indiretta di altri.
4
DI NARDO A. Profili della liberalizzazione nel settore delle telecomunicazioni. In particolare il settore della
telefonia mobile. In I Tribunali amministrativi regionali, 2001, pag. 273.
1.2. Origini e giustificazioni della riserva originaria.
Il regime di riserva originaria, come si è accennato, si è formato nei primi anni
del 1900 ed il suo primo assetto normativo, risalente al codice postale del 1936
5
, è
stato giuridicamente consolidato dalla Costituzione del 1948, in particolare dall’art.
43
6
, ed infine ribadito nel DPR 156/1973
7
, che ha rappresentato la norma di
riferimento per il settore delle telecomunicazioni fino ai rivoluzionari sviluppi degli
anni 90. Gli aspetti fondamentali dell’ articolo 43 Cost. riguardano i soggetti ai quali
la legge può riservare l’attività d’impresa in determinati settori e l’ambito nel quale
questa riserva può operare.
Dal primo punto di vista, i soggetti elencati come beneficiari della riserva sono
lo Stato e gli enti pubblici (a parte il caso di comunità di lavoratori o utenti che nel
nostro ordinamento non ha trovato espressione), ossia persone giuridiche pubbliche,
che utilizzano i poteri autoritativi di cui sono dotati al fine di perseguire interessi
collettivi.
Il concetto di utilità generale è di fondamentale importanza anche per
l’individuazione dell’ambito di applicazione della riserva.
Nel caso in cui un’ attività d’impresa riguardasse l’erogazione di servizi pubblici
essenziali e, quindi, si legasse ad un interesse generale, questa avrebbe dovuto essere
gestita nel modo più consono al raggiungimento dei fini che l’articolo in questione
definisce testualmente di “utilità generale” e, secondo l’opinione dell’epoca, questo
era possibile solamente tramite lo strumento della riserva originaria.
5
R.d. n. 645/1936. 1936, approvazione del codice postale e delle telecomunicazioni pubblicato nella G.U. n. 99
del 29 aprile 1936.
6
L’art. 43 Cost. recita “Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante
espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate
categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed
abbiano carattere di preminente interesse generale”.
7
DPR 156 del 29 marzo 1973, approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di
bancoposta e di telecomunicazioni, Pubblicata in: G.U. del 3 maggio 1973 n. 113 Suppl. Ord. In particolare dall’ art. 1
il quale stabiliva che i servizi di telecomunicazioni “appartengono in esclusiva allo Stato”, al secondo comma, poi, lo
stesso articolo sottraeva a tale regime una serie di servizi riguardanti l’installazione e l’esercizio di alcuni tipi di
impianti per la ripetizione e la diffusione di programmi sonori e televisivi, che erano sottoposti al rilascio di un
provvedimento amministrativo di autorizzazione.
La riserva dell’articolo 43 della Costituzione, dunque, una volta attuata per il
tramite di una disposizione legislativa, escludeva da un determinato settore produttivo
di beni o di servizi, nel nostro caso quello delle telecomunicazioni, qualsiasi forma di
impresa privata. A questo atto di esclusione potevano seguire due opzioni: la prima
prevedeva la gestione del servizio da parte della stessa Pubblica Amministrazione, in
questo caso si parla, appunto, di gestione diretta (in cui lo Stato conservava sia la
titolarità che l’esercizio del diritto d’impresa, operando per mezzo di aziende
autonome che costituivano una sua articolazione strutturale)
8
; la seconda, invece,
comportava che il soggetto pubblico mantenesse la titolarità del diritto d’impresa,
affidandone l’esercizio ad un gestore privato tramite concessione
9
, in questo caso si
parla di gestione indiretta.
Come accennato, il regime monopolistico nel settore delle telecomunicazioni
aveva trovato il proprio assetto definitivo con l’approvazione del DPR 156 del 29
marzo 1973, il quale, all’art. 1, statuiva l’esclusiva appartenenza allo Stato dei servizi
di telecomunicazione, e con l’art. 183, di portata più ampia, imponeva il divieto
d’installazione ed esercizio di infrastrutture senza aver ottenuto la relativa
concessione; tale proibizione si applicava non solo agli impianti destinati
all’erogazione dei servizi e terzi ma a qualsiasi installazione, anche a quelle ad uso
privato.
Le uniche eccezioni al principio enunciato dal primo comma art 183
riguardavano:
ξ Gli impianti stabiliti da un privato “per proprio uso esclusivo, per
collegamenti a filo nell’ambito del proprio fondo o di più fondi di sua
proprietà purché contigui, ovvero nell'ambito dello stesso edificio per
collegare una parte di proprietà del privato con altra comune, purché‚ non
8
Al Ministero delle poste e delle telecomunicazioni facevano capo due aziende autonome: l’ASST, Azienda di
Stato per i Servizi Telefonici (istituita con r.d.l. 14 giugno 1925 e trasformata in società per azioni ,IRITEL, nel 1992),
che aveva il compito di occuparsi delle più importanti linee interurbane e internazionali non attribuite in concessione, la
realizzazione di nuovi collegamenti per l’istituzione della rete, oltre a svolgere compiti di sorveglianza e di controllo
sull’attività delle concessionarie; l’ Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, che gestiva i servizi di telex,
radiomobile marittimo e trasmissione dati a commutazione di circuito. R. CALABRIA , Telecomunicazioni (servizi di),
cit.; e CLARICH M.- CARTEI G. Il codice delle telecomunicazioni elettroniche, 2004 Milano, Giuffrè, pag. 4-5.
9
Per lo più, a società a partecipazione pubblica necessaria: ad esempio, in campo telefonico, la SIP.
connessi alle reti di telecomunicazione destinate a pubblico servizio”(art.
183 c 2), per cui è necessaria l’approvazione del progetto da parte
dell’Amministrazione delle poste e telecomunicazioni;
ξ La costruzione e l’esercizio di impianti di telecomunicazioni da parte delle
Amministrazioni dello Stato nell’interesse esclusivo dei propri servizi,
anche in questo caso l’Amministrazione delle poste e telecomunicazioni
doveva dare il proprio consenso ed autorizzare il collegamento alla rete
pubblica (art. 184 c. 1);
ξ La costruzione e l’esercizio di impianti di telecomunicazioni da parte di
esercenti di mezzi adibiti al pubblico servizio di trasporto di persone o
cose, se necessari alla sicurezza, regolarità e funzionalità del servizio da
essi gestito, anche qui previa autorizzazione dell’ l’Amministrazione delle
poste e telecomunicazioni (art. 184 c. 2).
Il regime concessorio includeva le concessioni per uso privato (per l’esercizio di
attività di pertinenza del concessionario, con il divieto di traffico a terzi o per conto
terzi) e quelle per uso pubblico (per i servizi resi a terzi).
La concessione ad uso privato veniva rilasciata dal Ministro delle Poste e delle
Telecomunicazioni o dagli organi designati con decreto del Ministro stesso, sentito il
consiglio d’amministrazione
10
, mentre, nel caso di impianti che rispondessero a
necessità di amministrazioni dello Stato era richiesto solamente il consenso
dell’amministrazione competente.
Per quanto riguarda il rilascio di concessioni ad uso pubblico
11
, la riserva
originaria di fatto non avrebbe escluso la concessione dei servizi a qualsiasi operatore
privato; infatti, mentre tramite le convenzioni
12
stipulate tra Ministero delle Poste e
Telecomunicazioni e gestore, i concessionari del vecchio regime avevano ricevuto
10
art. 213 DPR 156/1973.
11
Le più importanti concessioni sd uso pubblico per i servizi di telecomunicazione sono state rilasciate a favore
di società sotto il pubblico controllo: la SIP (società italiana per l’esercizio telefonico), la TELESPAZIO (per le
comunicazioni spaziali), la ITALCABLE (servizi cablografici, radioelettrici e radiotelegrafici), la SIRM (società
italiana radio marittima), la TELEMAR (per l’impianto e l’esercizio di stazioni radioelettriche a bordo di navi
mercantili), la RAI-TV (radio televisione italiana):
12
vedi infra.
una conformazione sia in merito allo scopo sociale, che doveva essere quello della
prestazione del servizio pubblico, sia per quello che riguarda la composizione
azionaria, la quale doveva permettere il comando pubblico della società, nel disposto
normativo non vi era alcun riferimento alla necessità di queste caratteristiche.
Il testo del Codice Postale, con il quarto comma dell’art. 198, si limitava a
prevedere una procedura semplificata per l’assegnazione delle concessioni alle
“società per azioni, il cui capitale sia direttamente o indirettamente controllato dallo
Stato”
13
; i primi tre commi del suddetto articolo, prevedevano una complessa
procedura per cui l’amministrazione doveva preparare un capitolato d’oneri, invitare
enti, società e ditte specializzate a presentare offerte in cui indicassero le condizioni
alle quali sarebbero state disposte ad assumere il servizio e, una volta esaminate, il
Ministero assumeva la decisione finale, prassi alla quale non era necessario ricorrere
nel caso in cui il concessionario fosse stata una società a partecipazione statale.
Almeno in linea teorica, quindi, il disposto del Codice non avrebbe impedito
l’affidamento del servizio in concessione ad un’impresa privata, anche se ciò, di fatto,
non è mai avvenuto.
Dal rapporto concessorio derivavano una serie di obblighi per il concessionario
tra cui il pagamento di un canone
14
, la costruzione di infrastrutture di rete, i cui
progetti erano sottoposti all’approvazione dell’amministrazione concedente, e dei
poteri sanzionatori e di controllo in capo al concedente, tra cui una serie di verifiche
contabili
15
, la possibilità di imporre il pagamento di una penale
16
in caso di violazione
degli obblighi assunti e nei casi più gravi di reiterazione nelle inosservanze, la
possibilità di disporre la decadenza del rapporto
17
.
13
In merito PARMIGGIANI F. Il lento processo di liberalizzazione della telefonia in Italia, in Contratto e
Impresa/Europa 1999 pag. 349-350.
14
art. 188 DPR 156/1973.
15
art. 210 DPR 156/1973.
16
art. 212 DPR 156/1973.
17
Oltre che per decadenza i rapporti concessori hanno fine per scadenza del termine, revoca o riscatto art. 190 e
191 DPR 156/1973.. DE SANCTIS G. e MOLTENI F. Poste e Telecomunicazioni in Enciclopedia del Diritto, Milano,
Giuffrè, 1985 pag. 589.
Ulteriori imposizioni per i concessionari derivavano dalle convenzioni stipulate
tra questi e l’amministrazione, queste comprendevano un contenuto negoziale, in cui
si disciplinavano i rapporti patrimoniali tra le parti, ed un contenuto normativo, in cui
si inserivano precetti che regolavano una serie di atti e rapporti non determinati che
costituivano diritti ed obblighi per i terzi
18
.
Vi era, infine, una parte dedicata ai controlli che consistevano nella facoltà, per il
concedente, di richiedere qualsiasi verifica tecnica sugli impianti, la qualità del
servizio e gestione contabile oltre all’obbligo del concessionario di trasmettere il
proprio bilancio al Ministro delle Poste e Telecomunicazioni.
Dalla lettura di questo quadro d’insieme emerge una ulteriore peculiarità del
regime tradizionale, ovvero la commistione tra regolazione, controllo e gestione, dato
che la Pubblica Amministrazione da un lato erogava direttamente o indirettamente i
servizi, tramite società a controllo statale, mentre dall’altro dettava le regole
19
e
vigilava sugli operatori sia tramite lo strumento concessorio ed i mezzi ad esso
connessi, sia tramite la partecipazione al capitale azionario, dato che la maggior parte
dei servizi era affidata a società a partecipazione pubblica necessaria.
18
Precostituendo anche il contenuto del contratto di utenza e di abbonamento telefonico. RANGONE N., Le
telecomunicazioni in Trattato di diritto amministrativo a cura di CASSESE S. 2002, pag. 2400.
19
Ad esempio il Ministero partecipa alla determinazione delle tariffe (infra), attribuisce le concessioni, esercita
poteri di controllo, adotta le “dichiarazioni di monopolio” con le quali sono stati introdotti tra i servizi di
telecomunicazione il videotel, il servizio facsimile, telefax ecc., RANGONE N., Le telecomunicazioni cit., pag. 2397.
1.3. Tariffe e rapporti con gli utenti nel regime tradizionale.
Un altro aspetto di sicuro interesse del regime di riserva originaria è quello della
determinazione delle tariffe, la cui disciplina si poteva ricavare dall’esame congiunto
del Codice Postale e delle convenzioni.
L’art. 7 del DPR 156/1973 regolava i meccanismi di fissazione delle tariffe per i
servizi interni, prevedendo che il loro ammontare fosse stabilito con un decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro delle Poste e telecomunicazioni
di concerto con il Ministro del Tesoro e sentito il Consiglio dei Ministri, inoltre
spettava al CIP (Comitato Interministeriale Prezzi) coadiuvare i suddetti Ministeri in
un’indagine tecnica annuale per la verifica che i prezzi praticati fossero congrui
rispetto ai profitti dei gestori.
Le tariffe dei collegamenti internazionali erano disciplinate dall’art. 8 del
Codice, il quale prevedeva che le stesse venissero decise con provvedimento del
Ministro delle Poste e Telecomunicazioni dopo aver ricevuto l’assenso del Ministro
del Tesoro e tenendo in considerazione le convenzioni internazionali del settore e gli
accordi con le amministrazioni straniere.
Le convenzioni tra amministrazione e gestori, arricchivano lo scarno disposto del
DPR 156/1973, introducendo una serie di criteri di indirizzo e procedurali, come
l’adeguamento dei prezzi “alle esigenze di una gestione dei servizi secondo modelli
di efficienza, economicità ed equilibrio”
20
, o la già citata procedura d’istruttoria del
CIP.
La determinazione delle tariffe nel regime pregresso, quindi, data l’esclusione di
qualsiasi forma di concorrenza dal mercato in questione, non competeva ai gestori ma
avveniva tramite meccanismi di carattere pubblicistico, in cui era lo Stato,
unilateralmente, a fissare i corrispettivi delle prestazioni offerte all’utenza, tramite
provvedimenti amministrativi, nonostante la giurisprudenza, ancor prima della svolta
20
Art. 50 della convenzione con la SIP approvata con DPR 523 del 13 agosto 1984. pubblicato nella G U., n. 239
del 30 agosto 1984, suppl. ord.
in senso concorrenziale, avesse più volte affermato la natura negoziale del rapporto
tra esercente ed utente
21
.
Per favorire la massima diffusione della telefonia, inoltre, l’attenzione
dell’amministrazione era rivolta a garantire la copertura dei costi complessivi
dell’operatore, il quale, senza rigidi vincoli in merito all’orientamento dei prezzi dei
servizi ai rispettivi costi, spesso ricorreva a sussidi incrociati, fornendo alcuni servizi
in perdita (chiamate urbane ed accesso) ed alzando i corrispettivi di altre prestazioni,
con una domanda maggiormente rigida (chiamate a lunga distanza) o rivolti ad utenti
con maggiori capacità di spesa, prescindendo, quindi, dai costi effettivi del servizio.
Infine, un elemento caratterizzante il superato regime, che è stato oggetto di una
profonda revisione nella recente riforma del settore, è quello del rapporto con
l’utenza, che era caratterizzato da una condizione di assoluto privilegio per
l’esercente.
L’art. 6 del Codice del 1973, infatti, statuiva che “l’amministrazione non
incontra alcuna responsabilità per i servizi postali, di bancoposta e delle
telecomunicazioni fuori dei casi e dei limiti espressamente, stabiliti dalla legge”,
principio che, al secondo comma, lo stesso articolo estende anche ai gestori
concessionari dei servizi.
L’unica disposizione riguardante la responsabilità del gestore, presente nel DPR
156/1973, era l’art. 10, in cui si rendevano responsabili i funzionari e gli agenti
dell'Amministrazione per l’eventuale venuta meno delle condizioni di libertà e
segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, garantite
Costituzionalmente
22
.
21
Si veda, in particolare, la sentenza della Corte di Cassazione S.U. n. 5620 del 29 novembre 1978, in merito ad
una controversia tra la SIP ed un privato in materia di tariffe, in cui si afferma che il rapporto tra utente e concessionaria
deriva da un contratto per adesione ed anche se alcune sue parti sono definite tramite provvedimenti legislativi o
amministrativi (come le tariffe), ciò non ne modifica la natura privatistica dalla quale derivano diritti soggettivi ed
obblighi per entrambe le parti.
22
L’art. 15 Cost. statuisce che la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di
comunicazione sono inviolabili e possono essere limitate solamente per atto motivato dell’ autorità giudiziaria con le
garanzie stabilita dalla legge.
Per quanto riguarda i rapporti con l’utenza del servizio telefonico, il Codice
rinviava al regolamento di servizio
23
e, pertanto fino all’adozione del DM 484 del 8
settembre 1988
24
, le condizioni di abbonamento sono state regolate da disposizioni
risalenti al 1930.
Il regolamento in questione è stato emanato per dare attuazione alla citata
convenzione tra SIP e Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, la quale, all’art. 28,
prevede che la concessionaria debba offrire all’utente precise garanzie in ordine alla
regolarità ed efficienza del servizio, ponendo a proprio carico le conseguenze di
eventuali disservizi
25
.
Nonostante queste premesse, però, il regolamento in questione non contribuì in
misura significativa allo sviluppo di una vera e propria tutela dell’utente, dato che si
manteneva una posizione di sostanziale privilegio a favore del gestore
26
.
Egli, infatti, in caso di inadempienze dell’utente aveva facoltà di sospendere
l’erogazione del servizio con atto unilaterale, mentre rischiava solamente di perdere il
canone o parte di esso in caso di propri disservizi, i quali, in alcuni casi, potevano
essere giustificati dal gestore dall’indisponibilità di risorse tecniche, la cui reale
esistenza era difficilmente verificabile da parte dell’utente
27
.
A partire dalla fine degli anni ottanta, il principio dell’irresponsabilità del
gestore di telecomunicazioni è stato materia di importanti decisioni giurisprudenziali
che hanno contribuito al suo ripensamento, prima tra tutte una sentenza della Corte
costituzionale, la n. 1104 del 20 dicembre 1988 che ha sancito l’illegittimità del già
citato art. 6 DPR 156/1973, nella parte in cui limita la responsabilità del
23
Art. 283 DPR 156/1973.
24
DM 484 del 8 settembre 1988, approvazione del regolamento di servizio per l’abbonamento telefonico,
pubblicato in G.U. del 15 novembre 1988, n. 268. Che sostituisce il D.M. 11 novembre 1930.
25
Inoltre la suddetta convenzione contiene ulteriori disposizioni a garanzia degli utenti, anche se si tratta di
garanzie indirette, come: obblighi di costruire e provvedere alla manutenzione di impianti funzionali ed efficienti in
tutte le aree del territorio, adottare tutte le misure necessarie ad assicurare la segretezza nelle comunicazioni.
26
MAZZIA N. Il nuovo regolamento del servizio telefonico. Dove va la tutela dei diritti degli utenti? In Il foro
italiano 1989 pag. 270.
27
L’articolo 4 del DM 484/1988 cit. imponeva al gestore la fissazione di un termine massimo, in ordine alla
attivazione di impianti di comunicazione telefonica (termine, che veniva ripreso anche dal successivo articolo 10, in
materia di trasloco di impianti telefonici). Ebbene, tale termine risultava facilmente aggirabile dal gestore che poteva
fare affidamento sul semplice onere di dover fornire una fondata motivazione della sua mancata fissazione basata sulla
“indisponibilità delle risorse tecniche”
27
MAZZIA N. Il nuovo regolamento del servizio telefonico. Dove va la tutela
dei diritti degli utenti? cit. pag
concessionario del servizio telefonico per le interruzioni dovute a colpe del
medesimo
28
.
Nella sentenza in questione la Corte afferma che i servizi pubblici essenziali, tra i
quali sono compresi quelli di telecomunicazione, debbono essere gestiti ed
organizzati in forma d’impresa e secondo criteri di economicità e che, di
conseguenza, i rapporti con l’utenza devono considerarsi di natura contrattuale e
sottoposti sostanzialmente al diritto privato; per cui se da un lato il mantenimento di
una disciplina di responsabilità più restrittiva può essere giustificato sia dalla
complessità tecnica della gestione, che dall'esigenza del contenimento dei costi,
dall’altro non è più ragionevole conservare deroghe così profonde al diritto comune,
per quanto concerne la responsabilità per danni dovuti a colpa del gestore, che
alterano l’equilibrio degli interessi in gioco
29
.
La Corte, infine, prima di dichiarare il giudizio d’ illegittimità, affermò
l’opportunità che tali restrizioni alla responsabilità del concessionario dovessero
trovare supporto in specifiche disposizioni di fonti primarie ed essere tali da garantire
un ristoro non fittizio del danno subito dall'utente.
In questo modo anticiperà quello che sarà uno dei punti cardine del futuro
processo di liberalizzazione, ovvero il diritto ad un servizio pubblico efficiente e di
qualità.
28
Assieme all’ art. 89 del R.D. 19 luglio 1941 n. 1198, modificazioni all’ordinamento degli uffici e del personale
dell’Azienda di Stato per i servizi telefonici. Pubblicato in G.U. del 15 settembre 1941, n. 218., che prevedeva
un’indennità puramente simbolica a favore dell’utente.
29
Interessi del singolo utente ed interessi del gestore e quindi dell’amministrazione e della collettività.
1.4. Le giustificazioni alla base del regime di monopolio legale
Per ciò che concerne le ragioni che furono alla base della scelta del monopolio
legale e che portarono il legislatore ad escludere i soggetti privati dalla titolarità dei
servizi di telecomunicazioni, queste sono state diverse e di natura eterogenea.
Come è stato accennato, una giustificazione era fornita dall’essenzialità dei
servizi di telecomunicazione, i quali sono rivolti a garantire il godimento di diritti
della persona costituzionalmente tutelati e quindi la soddisfazione di bisogni primari
della collettività, essendo fondamentali per consentire a tutti i cittadini la
partecipazione alla vita culturale, sociale, politica ed economica.
Un’importanza di grande rilievo ebbero anche motivi di ordine economico, dato
che molti servizi (tra cui sicuramente le telecomunicazioni) comportano costi di
entrata e costi fissi, soprattutto legati alla costruzione di reti e infrastrutture, talmente
alti da costituire un ostacolo proibitivo all’ingresso di privati nel mercato, ma il cui
impatto può essere ridotto con un’organizzazione del servizio su vasta scala
30
; dal
punto di vista fiscale, inoltre, la riserva comportava una rilevante fonte di entrate per
l’erario.
Dal punto di vista politico, il regime tradizionale era giustificato dal fatto che i
servizi di telecomunicazione permettono collegamenti rapidi sia interni che verso
l’estero, e per lo Stato, quindi, rappresentavano da un lato un mezzo utilissimo nello
svolgimento di attività militari, di polizia e di sicurezza in generale, dall’altro uno
strumento da tenere sotto controllo affinché non venisse usato per finalità sovversive
o contrastanti con l’ordine pubblico
31
.
30
AMENDOLA V. - MOGLIA G., La liberalizzazione delle telecomunicazioni, in Giornale di diritto
amministrativo, 1995, pag. 136-137; PICOZZA E. - CARDARELLI F., La politica delle telecomunicazioni: profili
amministrativi, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997, pag. 92, CALABRIA R. Telecomunicazioni
(servizi di) cit. pag. 1.
31
F. CARDARELLI - E. PICOZZA, La politica delle telecomunicazioni: profili amministrativi, cit. pag. 92.
Infine, un altro ordine di motivazioni di notevole rilievo è quello sociale: con il
tramite dell’esclusività infatti, lo Stato poteva rendere il servizio accessibile a tutti i
cittadini anche nei settori e nelle aree che non garantivano un profitto.
Questo era reso possibile attraverso sovvenzioni incrociate tra zone
maggiormente redditizie e zone deficitarie in cui l’impresa privata non avrebbe avuto
alcun interesse ad intervenire, garantendo così una vasta diffusione del servizio ed
incrementando così l’utilità per i suoi fruitori, che a sua volta cresce con l’aumentare
del numero degli utenti, dato che in questo modo aumentano anche i soggetti con i
quali si può comunicare (“effetto di club”).
Con queste premesse la riserva a favore di un unico operatore pubblico appariva
addirittura necessaria, essendo la sola in grado di consentire all’organismo incaricato
della gestione di raggiungere quelle dimensioni strutturali che garantissero
l’espletamento del servizio in modo uniforme ed equo su tutto il territorio
32
.
32
V. AMENDOLA - G. MOGLIA, La liberalizzazione delle telecomunicazioni, cit. pag. 136-137.