La liberalizzazione del trasporto ferroviario in Italia
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Nel primo capitolo, si descrive il percorso storico di come il rapporto tra la
pubblica amministrazione e il Sistema Ferroviario Italiano si sia evoluto,
progredendo fino alla costituzione di “Ferrovie dello Stato s.p.a.”, e quali politiche
economiche si sono avvicendate nella gestione del sistema dei trasporti nazionali.
Nel secondo capitolo, il richiamo è alle esperienze della politica economica e
delle scelte strategiche adottate in alcuni paesi; specificatamente, si analizza la
privatizzazione e la ristrutturazione del sistema ferroviario britannico. Inoltre,
vengono definiti i motivi per i quali una nazione opta per la privatizzazione dei
servizi e di come l’Italia sia giunta a concretizzare questo processo evolutivo, che
investe ormai la maggior parte degli stati membri dell’Unione Europea.
Nel terzo capitolo, centrale è la questione della liberalizzazione del mercato
come modello per porre rimedio al generale declino dei sistemi di trasporto
ferroviario. In particolare viene analizzata la fase iniziale della liberalizzazione in
Italia, ancora oggi ai suoi albori, e delle sue difficoltà nell’instaurare un mercato
concorrenziale basato sulla separazione tra infrastruttura (RFI) e attività di
trasporto (TRENITALIA e altre società).
Infine, nel quarto ed ultimo capitolo, si delineano gli aspetti positivi dello
sviluppo delle reti di trasporto in termini di prosperità e crescita economica del
paese e ciò che ci aspetta nell’immediato futuro.
Molto resta ancora da fare, tecnicamente e culturalmente, se l’Europa e
l’Italia vogliono migliorare ed armonizzare il proprio sistema ferroviario,
attualmente così frammentato a causa della eterogeneità del quadro normativo e di
esercizio. Tuttavia, ci sono buone prospettive future, basate sul miglioramento
della qualità del servizio e sulla competitività, cioè sulla dimensione europea e su
una corrispondente trasparenza della struttura regolamentare. Le potenzialità ci
sono.
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CAPITOLO PRIMO
La politica economica e l’evoluzione dei rapporti con la pubblica
amministrazione nel sistema ferroviario italiano dalle origini fino
alla costituzione di “Ferrovie dello Stato s.p.a.”
1.1 Le ferrovie preunitarie
Il treno è un’invenzione britannica e il primo viaggio su rotaia venne
effettuato il 27 settembre 1825 sul percorso Stockton – Darlington. La
protagonista, “Locomotion n° 1” di George Sthephenson, percorse 39 chilometri in
poco meno di quattro ore.
La storia delle ferrovie in Italia cominciò a Napoli il 03/10/1839 con
l’inaugurazione della Napoli Portici nel Regno delle Due Sicilie.
Le finalità erano quelle di fornire, alle popolazioni e all’economia gravitanti
sulla capitale, un moderno mezzo di trasporto che stava dando nelle più evolute
potenze europee, ottimi risultati. A questi motivi puramente economici si
aggiunsero opportunità collegate ad una migliore difesa militare del paese. Dopo
20 anni, nel 1859, il regno contava appena 100 km di ferrovie: fu la geografia a
condannare il meridione alla stasi ferroviaria; privo di estese pianure, lontano dai
centri economici e commerciali europei, carente di materie prime non poté
eguagliare il fervore ferroviario estesosi di lì a poco nel Piemonte e nord Italia
1
.
Pochi anni dopo la nascita, l’estensione delle linee italiane raggiungeva 609
km, mentre quelle del Regno Unito ne contava più di 10.000. I motivi di questa
differenza, erano in parte dovuti alla frammentaria situazione politica e
istituzionale della penisola italiana.
Alla vigilia dell’unificazione, nel 1859, erano aperti 2.322 km di linea, quasi
tutta al nord. Il regime utilizzato per la costruzione delle linee era quello, tranne
rare eccezioni, della concessione alle imprese private.
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Guadagno W., Sintesi sull’evoluzione ferroviaria italiana, pro manu scriptu, 1999
Capitolo primo
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Possiamo osservare tre caratteristiche nel nascente sistema ferroviario
italiano.
Innanzitutto notiamo che al generalizzato sviluppo economico fece da freno
l’esistente suddivisione del Paese in piccoli stati che, o per malgoverno o per
contrasti politici e di confine, non contribuirono a rendere efficiente la nascente
rete, costruita senza orientamento unitario, ma secondo ristretti interessi locali,
non inseriti in vasto disegno nazionale.
Inoltre notiamo una profonda diversità di posizionamento dei diversi stati
italiani in termine di dotazione per abitante e per estensione territoriale. Da un lato
Regno di Sardegna e Lombardo - Veneto sono già in possesso di un sistema
ferroviario che si avvicina a quello degli stati europei più avanzati, dall’altro la
dotazione ferroviaria del resto d’Italia è decisamente arretrata, con l’eccezione del
Granducato di Toscana. In sostanza l’Italia è spaccata in due.
Tabella 1.1: “La lunghezza della rete ferroviaria italiana al momento
dell’unificazione”.(Fonte: Le Ferrovie italiane tra Stato e Mercato).
Stati Km di linee
Stati Sardi 1.060
Lombardo - Veneto 669
Stato Pontificio 101
Toscana 305
Due Sicilie 187
Infine vi era il gap infrastrutturale non soltanto per gli squilibri tra le diverse
regioni del paese ma anche per il divario esistente tra le regioni del centro – nord
rispetto agli altri Stati Europei, dove era già stata costruita una ampia infrastruttura
ferroviaria che rappresentava uno strumento per lo sviluppo della industrializzazione e
un fattore di integrazione di mercati a livello nazionale.
Capitolo primo
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Tabella 1.2: “La lunghezza delle reti ferroviarie nei principali Paesi europei al
momento della unificazione italiana”(km di linea in esercizio). (Fonte: Le Ferrovie
italiane tra Stato e Mercato).
Stati Km di linee in esercizio
Gran Bretagna 14.600
Germania 11.000
Francia 9.000
Austria 3000
Italia 2330
L’Italia giungeva all’unificazione politica quando le altre nazioni avevano già
compiuto progressi determinanti nella dotazione infrastrutturale. Occorreva costruire un
sistema di rete partendo da una debolezza strutturale e dalla mancanza di connessioni
tra le diverse reti di carattere regionale
2
.
1.2 Le grandi reti: ruolo dell’unificazione politica
Con la proclamazione dell’unità d’Italia (1861) comincia una effettiva
politica ferroviaria italiana
Il divario di estensione delle linee italiane alla metà dell’ottocento era
diventato incolmabile rispetto alle altre realtà europee, collocando l’Italia tra i
paesi più arretrati. Questi motivi convinsero la classe politica all’adozione di una
serie di provvedimenti legislativi ed allo stanziamento di massicci investimenti
destinati alla realizzazione di una capillare rete di trasporto, cui erano legati i
destini economici del paese.
La rete ferroviaria non rappresentava un sistema organico: infatti accanto a
linee di proprietà e di esercizio statale vi erano linee di proprietà ed esercizio
2
Spirito P.-De Lazzari S., Le Ferrovie italiane tra Stato e Mercato, Roma, Funzioni Strategia, Studi e
Mercati, 1996, pag.10.
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privato ed anche di proprietà privata, ma con esercizio affidato allo Stato
3
; inoltre
ciascuna concessionaria aveva contratto con i diversi stati preunitari concedenti
patti molto differenti basati principalmente sulla garanzia di un reddito minimo
chilometrico (per invogliare i risparmiatori a sottoscrivere i titoli senza correre
rischi)
4
.
La prima preoccupazione del nuovo Parlamento unitario fu di raccogliere
non solo le successioni delle società concessionarie preesistenti al 1859, ma anche
quelle che si erano create fra il 1859 e il 1861 le quali, essendo tutte più o meno
improvvisate, gestivano in modo caotico le linee e si apprestavano a costruirne di
nuove, la maggior parte delle quali approvate senza progetti accurati e senza aver
prestato attenzione agli aspetti tecnici, per non parlare dei futuri assetti di traffico
e bilancio. Si trattava, insomma di dover prendere in mano un gran numero di
società sull’orlo di una crisi economica; il fallimento di società italiane non era
una peculiarità italiana. Nel caso italiano è peculiare lo squilibrio tra i desideri e
l’ampiezza dei disegni, da una parte, e le prospettive della domanda e i mezzi
finanziari di cui si disponeva dall’altra: in questo fatto va ravvisata la
caratteristica fondamentale dell’originario sistema ferroviario nazionale nonché
una fra le principali cause del tracollo del sistema concessionale dell’esercizio e
delle gravi difficoltà tecniche che hanno sempre caratterizzato le nostre ferrovie
5
.
Gli obiettivi della politica di riordino della struttura ferroviaria erano di varia
natura.
Lo stato si proponeva di effettuare una “cucitura” geografica e sociale tra
nord e sud, due realtà socialmente e economicamente molto distanti; si proponeva
di eliminare il brigantaggio; inoltre per un paese agricolo come l’Italia , si voleva
creare un mercato nazionale agricolo integrandolo in un più esteso mercato di
sbocco europeo; infine, e soprattutto, si voleva dotare la nascente industria di una
infrastruttura fondamentale che avrebbe spinto e sostenuto la produzione
industriale attraverso due canali: quello delle commesse pubbliche, determinando
3
Coletti G., Storia di una riforma, Roma, CAFI, 1985, pag. 22.
4
Basti pensare che per andare da Bologna a Roma si dovevano attraversare linee di 4 società diverse.
Buratta R., “I risultati di gestione economica delle ferrovie dal 1906 al 1998”, Roma, Coordinamento,
Strategia e Finanza, Ferrovie dello Stato s.p.a. ,1998, pag. 10.
5
Del Viscovo M., Economia dei trasporti, Torino, UTET, pag. 32, 1990.
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lo sviluppo e la crescita della filiera tecnologica, e quello di un abbassamento dei
costi di trasporto.
Quindi nel 1865 vi fu l’adozione di due provvedimenti legislativi che
riordinavano l’intera materia e si proponevano il duplice obiettivo di: semplificare
la gestione dell’esercizio riducendo la pletora delle società concessionarie; dare
attuazione al programma delle nuove costruzioni da affidare alle stesse società.
Il primo provvedimento fu la legge 20/03/1865 n° 2248 “Per l’unificazione
amministrativa del Regno d’Italia”, con l’obiettivo di dare un primo definitivo
assetto generale al sistema di trasporto su ferro. Essa disciplinava il rapporto tra
Stato e i concessionari. Tale legge preparava il terreno giuridico sul quale nei
successivi anni si sarebbe edificata la riforma dell’industria ferroviaria improntata
ad un rapporto sinergico tra lo Stato, “regolatore e tutore dell’interesse pubblico”,
e l’iniziativa privata che, adeguatamente incentivata, avrebbe dovuto contribuire
allo sviluppo dell’intero settore secondo i criteri di efficienza ed economicità
6
.
Il secondo provvedimento fu la legge 14/05/1865 n° 2279 “Pel riordinamento
ed ampliazione delle strade ferrate del regno con la cessione di quelle
governative”, detta anche “Legge dei grandi gruppi”, con la quale si decise per la
cessione delle ferrovie all’industria privata, includendo nei contratti anche
l’affidamento agli stessi soggetti della costruzione di nuove linee.
Le società concessionarie, attraverso una serie di fusioni si ridussero da 22 a
4, ma di dimensioni e capacità finanziarie di gran lunga più consistenti. Tali
società, oltre che esercenti del servizio di trasporto, sarebbero state anche
proprietarie delle reti rispettivamente esercitate.
La scelta del suddetto modello organizzativo privatistico, garantito dalle
risorse pubbliche, fu dettata dalle precarie condizioni della finanza pubblica degli
anni subito successivi alla unificazione: infatti vi furono effetti a breve termine
per l’erario pubblico molto positivi, non solo per gli introiti da dismissione, ma
anche per i mancati flussi negativi per il finanziamento diretto degli investimenti.
Purtroppo questo modello parzialmente fallì. Lo Stato aveva cercato di
finanziare la costruzione di una estesa rete infrastrutturale mediante il capitale
privato (nazionale e straniero) remunerato tramite i ricavi da traffico e sussidi
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Buratta R., “I risultati di gestione economica delle ferrovie dal 1906 al 1998”, Roma, Coordinamento
Strategia e Finanza, Ferrovie dello Stato s.p.a. , 1998.