II
L’organo autonomo responsabile di tale regolazione è l’Autorità
per l’energia elettrica ed il gas, introdotto dal Governo italiano nel 1996
con il compito di rispondere a tutte le funzioni di regolazione e controllo in
materia di: tariffe, qualità, forme di mercato, trasparenza, concorrenza,
risoluzione delle controversie delle parti, controversie.
All’interno della direttiva europea oltre ad essere indicati gli aspetti
caratterizzanti della liberalizzazione dei mercati, vengono anche indicate le
soglie minime di apertura dei singoli mercati europei nei successivi anni
dall’entrata in vigore della direttiva: 26% nel primo anno dall’entrata in
vigore del 28%, 33% entro il primo gennaio 2003. Al di là di quelle che
sono le soglie minime di apertura del mercato dei singoli stati, la direttiva
ha introdotto altri aspetti caratterizzanti del nuovo mercato atti a facilitare
il processo di apertura dello stesso, quali una minore concentrazione in
un’unica società delle funzioni dell’intera filiera elettrica e l’introduzione
della borsa elettrica di contrattazione.
Con il processo di divisione dell’Enel , l’ente ha perduto
completamente la funzione regolatrice del mercato a favore dell’Autorità e
di una maggiore concorrenza nel settore.
Gli Aspetti fondamentali della liberalizzazione del mercato sono
stati essenzialmente due: la privatizzazione dell’Ente, divenuta società per
azione ed il processo di undumbling del settore che ha visto l’imposizione
da parte del Governo con il decreto Bersani, la divisione societaria e la
creazione di tetti unti-trust sulla capacità di produzione ed importazione
dell’energia elettrica, che non deve essere superiore al 50% dell’energia
elettrica prodotta o importata in Italia.
III
La costituzione di tali tetti ha fatto sì che l’Enel Spa cedesse non
meno di 15.000 MGW di capacità produttiva attraverso la dismissione di
varie centrali facenti capo a società ad hoc, Eurogen, Elettrogen, Interpower
costituite proprio per l’occasione, facendo sì che Enel perdesse la propria
posizione dominante a favore delle principali società concorrenti: Endesa ed
Edison fra tutte.
Finalità di tale processo di liberalizzazione era ed è essenzialmente
quello di favorire la creazione del prezzo di scambio nel modo più limpido
e trasparente possibile e non secondario, di abbassare notevolmente i prezzi
delle bollette elettriche. L’Italia infatti è tra i paesi appartenenti alla
comunità europea ad avere il più alto prezzo in Euro per KWh. Tale dato è
dovuto alla reale impossibilità da parte del nostro stato di bilanciare il
proprio fabbisogno nazionale attraverso la produzione di energia da fonti
presenti nel territorio italiano. La mancanza di centrali, e i tempi
lunghissimi per ottenere le autorizzazioni necessarie per la costruzione di
nuove, ha fatto sì che l’Italia dipenda notevolmente dall’estero per
rispondere al proprio fabbisogno.
Scopo di tale lavoro è quello di analizzare gli effetti di tale
liberalizzazione, di osservare le possibili evoluzioni del mercato e di vedere
quali saranno le opportunità di business e quali reali cambiamenti ai clienti
finali tale liberalizzazione comporterà.
Capitolo I
RAPIDO PANORAMA DEL MERCATO DELL’ENERGIA
ELETTRICA E BILANCIO ENERGETICO.
L’evoluzione del mercato dell’energia elettrica in Italia fin dai primi
anni di costituzione è stato caratterizzato da un interesse particolare da
parte di molti dei paesi confinanti.
Questi, sulla scia dei problemi nazionali di deficit energetico,
hanno fatto sì che il nostro paese diventasse territorio strategico per le loro
aziende.
Così, ancora oggi dal lontano 1883, anno in cui entrò in funzione a
Milano la prima centrale italiana, l’Italia non ha ancora risolto il problema
del pareggio del fabbisogno energetico. Molti sono stati i cambiamenti in
questi anni, come del resto andremo a vedere, ma ancora oggi, alle soglie
del terzo millennio l’Italia si vede costretta ad importare energia elettrica,
in mancanza di centrali di generazione e di altre strutture necessarie.
Anzi a parere di molti, leggendo le polemiche e le osservazioni sui
giornali fatte al nostro sistema elettrico nazionale, infatti sembrerebbe che
l’Italia rischi, come già avvenuto in California, un prossimo black out
energetico
1
Nell'esaminare l'evoluzione che il mercato dell'energia elettrica ha
subito nel corso dei tempo è necessario distinguere due periodi: primo va
dalle origini dell'industria elettrica alla nascita del- 'ENEL; il secondo è
quello successivo. Con la nazionalizzazione, avvenuta nel 1962, infatti,,
l'aspetto dei settore cambia profondanente e cambiano inevitabilmente
1
Cfr. Verdicchi, Nuove reti contro il rischio di black out, Il Giornale del 30 Maggio 2002.
2
anche i criteri che regolano il funzionamento del mercato, in quanto si
passa da una situazione di Concorrenza fra diverse imprese produttrici
private ad una in cui ,attività di produzione e fornitura all'utenza
dell'energia elettrica
I.1 Panorama elettrico italiano.
In Italia i primi impieghi di energia elettrica si verificano nel 1883,
con l'entrata in funzione, a Mílano, della prima centrale elettrica d'Europa,
destinata essenzialmente all'illuminazione pubblica e privata. La
produzione, nell’'anno in questione, è di 0,7 GWh, ed è interamente
termoelettrica di tipo tradizionale. La domanda non supera la produzione
nazionale, sia perché gli impieghi di energia elettrica sono ancora piuttosto
limitati, sia perché, in ogni caso, la tecnologia non consente di fare ricorso
alla produzione di altri Paesi per soddisfare una eventuale richiesta
superiore all'offerta.
Nel 1887 si ha l'avvio della produzione idroelettrica, che si svi-
luppà subito in misura rilevante e supera quella termoelettrica già a partire
dal 1897, con 44 GWh contro 3 1, e rimarrà la principale forma produttiva
fino agli anni Sessanta. Già nei primi anni di vita dell'industria elettrica,
infatti, la povertà di combustibili fossili e la ricchezza di risorse idriche nel
Paese rendono inevitabile la scelta di concentrarsi su questa forma di
produzione.
In particolare la cosiddetta legge sull'elettrodotto, del 1894,
incentiva la realizzazione di impianti idroelettrici stabilendo il principio
che lo Stato può delegare a un industriale privato l'esercizio del diritto di
3
occupazione di beni privati per ragioni di pubblica utilità. li periodo dei
grandi sfruttamenti idroelettrici ha inizio- fra il 1898 e il 1899 con la
realizzazione di due importanti centrali rispettivarnente a Paderno
sull'Adda e a Tivoli.
Tuttavia questo non comporta mai il totale abbandono della
produzione termoelettrica, che ha una importante funzione di regolazione
per adeguare l'offerta alla domanda - dal momento che la fonte idrica è più
vincolante –, e che diventerà quella principale intorno alla metà degli anni
Sessanta in seguito al vertiginoso aumento dei consumi e all'esaurimento
delle disponibilità idriche dei Paese.
Se si va ad esaminare il regime di concorrenza che caratterizza
questo mercato prima della nazionalizzazione, si osserva che molto presto
in esso si viene a creare una situazione di forte oligopolio, e ciò aiuta a
spiegare perché già nel 1898 si comincia a discutere di nazionalizzazione.
Due o tre anni più tardi viene presentato un piano preciso, basato sull'idea
che l'industria elettrica italiana dovrebbe concentrarsi sulle risorse idriche,
data la loro abbondanza.
La proposta, comunque, rimane essenzialmente senza seguito,
anche perché in questa prima fase della sua storia l'industria elettrica
italiana cresce con una rapidità elevatissima per una industria di così
recente formazione. Questa crescita è resa possibile non solo dagli indubbi
progressi tecnologici, ma anche dal rafforzamento dei gran di gruppi, a sua
volta consentito dall'appoggio fornito da alcune banche miste come: la
Banca Commerciale e il Credito Italiano; questa combinazione di forze
porta ad un oligopolio industriale finanziario che si instaura
sostanzialmente senza problemi su un monopolio naturale.
In questa espansione rapida di pochi grandi gruppi in concorrenza tra
loro, si può notare la manifestazione nel settore elettrico di una tendenza
4
che, dall'inizio del secolo, comincia a diffondersi sostanzialmente in tutti i
settori industriali in seguito alle concezioni sviluppatesi negli studi teorici
di economia manageriale intorno al modello della cosiddetta impresa
fordista, cioè l'organizzazione caratterizzata dalle grandi dimensioni e da
una spiccata tendenza all'accentramento e all'isolamento rispetto alle altre
imprese operanti nello stesso settore.
Nel 1903 viene approvata una legge sulla assunzione diretta dei
pubblici servizi da parte dei comuni. Si tratta di una legge che raccoglie la
tendenza verso la municipalizzazione, sviluppatasi progressivamente in
Italia essenzialmente a causa di tre fattori che vengono ad interessare parte
dell'Europa nel secolo scorso e nella prima metà.
A causa dell’enorme aumento dei prezzi del carbone verificatosi
dopo l'inizio della guerra, a partire dal 1916 alle due produzioni già in atto
si affianca quella geotermica, che tuttavia riveste, allora come in seguito,
una importanza limitata in termini quantitativi.
Per la stessa ragione, inoltre, torna ad essere auspicata da molti la
nazionalizzazione. Ma anche in questa fase l'idea viene abbandonata dopo
pochi anni, non solo a seguito del contrasto di interessi fra le parti
coinvolte, ma anche perché alla fine della guerra gli industriali siderurgici, i
più interessati a misure per la diffusione dell'energia elettrica volte a
neutralizzare o compensare l'aumento dei prezzi del carbone, si trovano
nella necessità di affrontare problemi di altra natura.
Gli effetti della guerra, del resto, sono resi coincidenti anche
dall'andamento della domanda, che nel 1919 subisce una diminuzione, del
7 % rispetto all'anno precedente, dopo la crescita ininterrotta registrata fin
dalle origini.
Dopo la prima guerra mondiale si verifica la seconda fase di gran- di
investimenti nel settore: fra il 1921 e il 1931 la potenza installata sale da
5
1.840.000 a 5.180.000 KW. Questo sviluppo, consentito da un forte
afflusso di capitali americani e da consistenti contributi statali, è necessario
per fronteggiare la crescita della domanda, che tuttavia è tale da
comportare, a partire dal 1926, l'avvio di scambi con l'estero, resi ormai
possibili dai rapidi progressi della tecnologia nel campo del trasporto
dell'elettricità. Nel 1926 si manifesta una richiesta pari a 8.552 GWh, con
un incremento di quasi il 19% rispetto all'anno precedente, e si ricorre alle
importazioni che risultano in saldo netto rispetto alle esportazioni per 223
GWh.
. L'ultima fase del dibattito sulla nazionalizzazione ha inizio verso la
fine della seconda guerra mondiale; se inizialmente si tratta di proposte
generiche ispirate dal desiderio di combattere l'oligopolio, poco dopo
queste proposte divengono più concrete ed appare chiaro che l'orientamento
verso la proprietà pubblica dell'industria elettrica è ormai alquanto diffuso:
si può in sostanza ritenere che questa fase sia quella che porterà, di lì a
qualche anno, alla nascita dell'ENEL.
Alla vigilia della nazionalizzazione, in Italia A mercato dell'ener- gia
elettrica è caratterizzato sostanzialmente dalla compresenza di quattro
gruppi di operatori: i grandi raggruppamenti di tipo industriale-finanziario;
le imprese private minori; le aziende municipalizzate; gli autoproduttori. 'E
con particolare riferimento al primo che risulta evidente la concentrazione
dell'offerta nelle mani di pochi gruppi
2
.
2
Questi gruppi sono l’Edison nella zona sud ovest del paese, il gruppo Adriatica nella zona veneta, il
gruppo Centrale, la società Elettrica Sarda e la società elettrica Sicilia.
6
I.2 La nascita dell’ENEL e il bilancio energetico dell’Italia.
La nascita dell'ENEL è il punto d'arrivo dell'ultima fase del di-
battito sulla nazionalizzazione, che, come si è visto, ritorna periodicamente
nelle discussioni di politica economica italiana fin dalla fine del secolo
scorso.
Quest'ultima fase è inevitabilmente influenzata dalla situazione
esistente, in Italia come altrove, nel secondo dopoguerra. Tutti i Paesi
coinvolti nel conflitto mondiale si trovano a dover porre rime- dio a
distruzioni materiali, alla forte diminuzione del reddito nazionale e al
dissesto della finanza pubblica, e si diffonde rapidamente la convinzione
che sia indispensabile un intervento pubblico, che, dalla maggior parte dei
governi europei, viene attuato con due tipi simultanei di interventi:
• una programmazione economica volta
all'eliminazione di squilibri settoriali e regionali;
• l'estensione della proprietà pubblica sia per
ridimensionare posizioni monopolistiche che per favorire lo
sviluppo di attività infrastrutturale e di interesse collettivo.
Questa tendenza risulta particolarmente evidente e porta alla
nazionalizza- zione in Francia e in Inghilterra, rispettivamente nel 1945-46
e nel 1948, episodi che naturalmente contribuiscono ad orientare il dibattito
in Italia.
Se alla base di questi eventi si trovano, non solo in Italia,
innanzitutto ragioni di politica economica, non si può però negare che in
7
questa fase e con un'ottica sicuramente influenzata dalle concezioni
della teoria economico aziendale, che vede ancora nella grande impresa
il modello più vantaggioso per le economie di scala dimensionale e
tecnologica; questo fatto viene infatti, all'epoca, espressamente
sottolineato dai sostenitori della proprietà Pubblica.
Con la nascita del nuovo Ente si viene a creare una situazione di
mercato del tutto nuova sotto il profilo della concorrenza. La legge 1643
del 1962 prevede il trasferimento all'ENEL delle attività di produzione,
importazione ed esportazione, trasporto e vendita dell’energia elettrica;
nel corso degli anni, a partire dal 1962 l'ENEL ha acquisito e integrato in
un'unica struttura oltre 1.200 imprese elettriche preesistenti.
La stessa legge fa salve alcune situazioni particolari: si tratta delle
imprese degli enti locali. Ma ciò non modifica la sostanza di una
situazione di netta centralità riservata all'ENEL.
Sebbene questa situazione abbia iniziato a subire modifiche di un
certo rilievo solo in anni molto recenti, nel periodo successivo alla
nazionalizzazione si sono verificate importanti vicende che hanno
influenzato profondamente l'assetto del sistema elettrico italiano e delle
quali occorre perciò tenere conto.
In particolare va ricordato che nel periodo in questione si sono poste
alcune alternative relative alle fonti da sviluppare, analoghe a quella
dell'inizio del secolo fra produzione idroelettrica e produzione
termoelettrica. La prima alternativa è quella relativa al nucleare, e si
colloca a cavallo dei due periodi.
Fra il 1960 e il 1962 entrano, o stanno per entrare in funzione, le
prime tre centrali elettronucleari: quella del Garigliano (Finelettrica-IRI),
quella di Latina (Agip nuclearc-ENI) e quella di Trino Vercellese (Edison-
8
Volta). Si tratta di un momento in cui, a causa del prossimo esaurimento
delle fonti idriche, il nucleare è considerato come la fonte. che consente di
ridurre fortemente il ricorso al petrolio e quindi la dipendenza del settore
energetico dall'estero; il costo di questo tipo di fonte è ancora superiore a
quella dei combustibili fossili di importazione, ma il raggiungimento della
competitività economica è previsto per gli anni fra 9 1960 e il 1963.
Ma nel 1963 la crisi dei CNEN porta ad abbandonare lo sviluppo di
questa fonte, e l'Italia passa così dal terzo al tredicesimo posto al mondo fra
i Paesi produttori di energia termonucleare.
Un'altra opportunità che si ritiene non sia stata adeguatamente
sfruttata è quella relativa alla fonte geotermica. Sebbene, come si è visto,
l'avvio della produzione di energia elettrica da questo tipo di fonte nel
nostro Paese risalga addirittura al 1916, successivamente essa non è stata
sviluppata come era possibile, ed i programmi studiati sono poi rimasti
inattuali.
La mancanza di un’adeguata politica di diversificazione delle fonti
volta a ridurre la dipendenza dai prodotti petroliferi fa sentire i suoi effetti
in modo improvviso nel 1973, con la prima crisi energetica.
La guerra di Kippur determina una riduzione della disponibilità di
petrolio e quindi un forte aumento dei costi di produzione dell’energia. in
questo periodo che ci si rende conto, in Italia come nel resto dei Paesi
industrializzati, dell'importanza dell'energia e quindi di una adeguata
politica energetica.
Se fino al 1973 l'aumento dei con- sumi di energia veniva visto
come un fatto genericamente positivo, si comincia ora a comprendere
l'importanza di un corretto impiego dell'energia nei processi produttivi e,
parallelamente, si percepisce che la-dipendenza energetica dall'estero è un
fattore di vulnerabilità economica e politica.
9
Viene attuato allora per la prima volta, anche in Italia, un tenta- tivo
di programmazione energetica, attraverso la realizzazione, nel 1975, del
primo Piano Energetíco Nazionale (PEN), contenente previsioni fino al
1985 - a questo ne sono seguiti altri nel 1977, nel 1981, nel 1985 e nel
1988; quest'ultimo si riferisce al periodo tuttora in corso-.
Per ridurre la dipendenza dal petrolio vengono individuate
soprattutto due fonti da sviluppare: il carbone e il nucleare.
Quest'ultima, in particolare, viene considerata in grado di ridurre più
in generale la dipendenza del settore elettrico dall'estero e per questo nel
1977 il Parlamento approva una risoluzione che prevede la costruzione di
otto nuove centrali nuelearí da 1000 MW ciascuna, oltre a quattro già
programrnate fra il 1973 e il 1974. Per porre un rimedio immediatamente
efficace alle conseguenze che l'aumento del prezzo del petrolio produce sul
bilancio dell'ENEL viene invece introdotto il meccanismo del cosiddetto
sovrapprezzo termico: in pratica viene consentito alle aziende elettriche di
adeguare le tariffe dell'energia elettrica prodotta con l'uso di prodotti
petroliferi all'andamento del prezzo del petrolio.
1 tentativi volti ad incentivare la ristrutturazione dei sistema elet-
trico italiano non hanno dato, fino ad oggi, i risultati sperati. In particolare
il prospettato incremento dell'impiego del carbone non è stato attuato, e
soprattutto è stata completamente abbandonata la produzione
termonucleare.
Relativamente a quest'ultima si deve ricordare come l'incidente
avvenuto il 25 aprile 1986 nella centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina,
considerato il più grave fra quelli di cui si abbia notizia nella storia
dell'industria nucleare civile, abbia di fatto dato un fortissimo impulso ad
una ostilità, già diffusa allo stato latente per la crescita della sensibilità
verso l'ambiente, nei confronti di questo tipo di fonte; in Italia, questa
10
ostilità è stata manifestata con un referendum nel novembre del 1987, e a
causa di essa nel dicembre 1987 con una risoluzione parlamentare è stata
introdotta una moratoria di 5 anni che ha bloccato ogni possibilità di
ricorso alla produzione in questione; sebbene tale periodo sia terminato,
appare improbabile che la produzione in questione venga nuovamente
sviluppata in un futuro prossimo.
La considerazione degli eventi che ne corso del tempo hanno
coinvolto il sistema elettrico italiano permette di comprendere meglio le
cause del suo assetto attuale e delle carenze che esso presenta.
I due fondamentali indicatori dai quali possiamo partire per la
descrivere le attuali caratteristiche del sistema elettrico italiano sono il
grado di dipendenza dagli idrocarburi e il grado di dipendenza dall’estero.
Il primo esprime la percentuale della produzione lorda complessiva
di energia elettrica ottenuta da idrocarburi sia di produzione nazionale che
importati; in Italia esso assume un valore del 65%, í mentre nell’ area CEE
è pari al 10% e in Francia è addirittura limitato al 3 %. Fra i Paesi
industrializzati, un valore relativamente elevato di questo indicatore, ma
comunque inferiore a quello italiano.
La dipendenza del settore elettrico dall’estero esprime la percentuale
del consumo interno lordo di energia elettrica non soddisfatta con la
produzione da fonti nazionali, e corrisponde all’energia elettrica prodotta
con combustibili fossili più in saldo dalle importazioni di energia elettrica
dall’estero.
I due indicatori considerati sono di grande importanza per valutare la
struttura del sistema elettrico di un Paese in quanto insieme rappresentano
il livello di approviggionamento di energia elettrica. Risulta evidente che il
forte peso che il combustibili fossili hanno assunto in Italia, quali fonti di
produzione di energia, costituiscono un grave elemento di vulnerabilità, sia
11
per quanto riguarda la sicurezza del loro approviggiosamento sia le
conseguenze economiche dovute all’instabilità dei prezzi.
E’ noto infatti che nel nostro paese vi scarsità di fonti energetiche di
questo genere, che devono essere quindi acquistate dai quei paesi che ne
dispongono e che spesso sono caratterizzati da una forte instabilità politica.
Ciò può condizionare la disponibilità dei prodotti.
L’Italia si trova in una situazione anomala rispetto agli altri paesi
europei che generalmente possiedono quantità non trascurabili di risorse
interne e che comunque in seguito alle crisi energetiche che si sono
verificate agli inzi degli anni settatanta hanno dovuto attuare profonde
trasformazioni dei sistemi elettrici, volte a raggiungere l’obiettivo
fondamentale della riduzione della dipendenza dall’estero.
In Italia la fonte principale è costituita dall’olio combustibile e, negli
ultimi anni sta diventando consistente il ricorso al gas naturale. Tra le fonti
fossili prediligiate negli altri paesi c’è il carbone, che rispetto all’olio e al
gas naturale, dà maggiori garanzie di sicurezza e stabilità dei prezzi.
Inoltre tutti gli altri paesi industrializzati hanno una quota nucleare
consistente, che in Francia negli ultimi anni è arrivata a raggiungere il 75%.
Le differenza riscontrabili fra le struttura produttiva italiana e quella
degli altri paesi determinano un costo di produzione dell’energia elettrica in
Italia più elevato rispetto agli altri paesi
. Questi differenziali evidenziano la convenienza da parte di ENEL,
del ricorso all’acquisizione di energia elettrica dall’estero. Tale
dipendenza dipende in buona sostanza, come si può facilmente
comprendere, dalla stessa dipendenza dagli idrocarburi, ma è accentuata
dall’ aumento di importazioni dirette di elettricità, determinate
essenzialmente dalla convenienza economica.
12
L’analisi dell’evoluzione registrata nel corso del tempo evidenzia in
modo piuttosto chiaro che le negoziazioni di energia elettrica con l’estero, e
più propriamente le importazioni costituiscono, allo stato attuale uno
strumento essenziale per compensare le carenze strutturali del sistema
elettrico italiano.
I problemi risultano ancora più gravi se si tiene conto di alcune
tendenze che si manifestano nell’attuale momento storico o che sono
destinate a manifestarsi entro tempi molto brevi. Innanzitutto il mondo è in
costante aumento il grado di penetrazione elettrica, cioè l’indici che misura
la preferenza accordata all’elettricità nell’ambito delle diverse forme di
energia e che è misurato dal rapporto dei consumo di elettricità con il
consumo totale di energia.
Questo indice in Italia è il più basso rispetto agli altri paesi
industrializzati e questo dato fa supporre che nel futuro la domanda di
energia elettrica sia destinata a crescere in Italia in maniera consistente e
più che negli altri paesi industrializzati. Data la prevista crescita della
richiesta di energia elettrica la dipendenza dall’estero non potrà subire
sostanziali riduzioni nel medio termine, poiché attualmente la struttura del
sistema elettrico italiano non è tale da poter essere cambiata. L’unico punto
fondamenentale è quello riguardante il nuovo decreto “ Sblocca Centrali”
deciso dal nuvo Ministro delle attività produttive, il Ministro Marzano.
Tale situazione fa comprendere che per far fronte alle tendenze evolutive
della domanda occorre comunque proceder, nel medio lungo termine ad
una profonda trasformazione della struttura del sistema.