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Si presenta infine un’analisi più dettagliata sul distretto di Biella, con una
breve analisi della sua evoluzione negli ultimi 30 anni (analizzando i dati degli
ultimi tre censimenti) e concentrando maggiormente l’attenzione sugli anni che
vanno dal 2000 ad oggi.
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CAPITOLO 1
IL SETTORE TESSILE E LA SCADENZA DELL’ACCORDO
MULTIFIBRE E DELL’ACCORDO SUL TESSILE E
ABBIGLIAMENTO. OPPORTUNITA’ E MINACCE
1.1 Accordo Multifibre ed Accordo sul Tessile e Abbigliamento
1.1.1 Breve storia
Il commercio internazionale di tessile e abbigliamento (T&A) ha
rappresentato per quasi 40 anni un’eccezione al libero scambio. Il
protezionismo nel T&A era caratterizzato da una rilevante asimmetria nel
trattamento dei traffici provenienti dai Paesi produttori a basso costo – i Paesi
in via di sviluppo (PVS) – e quelli provenienti dai Paesi industrializzati:
regolamentati dai contingenti all’importazione negoziati bilateralmente
nell’ambito dell’Accordo Multifibre (AMF) i primi, essenzialmente liberi o
soggetti a sole barriere tariffarie i secondi. Questa disparità di trattamento
riflette la diversa importanza che il settore T&A riveste nei due gruppi di Paesi:
è un’importante fonte di reddito da esportazione per i PVS che cercano di
incentivare e migliorare l’accesso ai mercati stranieri per i propri prodotti; è un
settore maturo e tradizionale (di conseguenza, “sensibile” alla concorrenza dei
produttori a basso costo) nei Paesi industrializzati i quali, per frenarne il
declino e favorirne una graduale ristrutturazione, hanno dato vita all’AMF.
Già prima della nascita della WTO (World Trade Organisation), le
maggiori potenze mondiali avevano sottolineato la necessità di una
regolamentazione del settore T&A al fine di evitare una eccessiva quantità di
importazioni. La questione era stata avanzata nel 1959 dal Segretario al Tesoro
Statunitense (durante gli incontri in ambito GATT) dopo aver preso atto del
rapido aumento di importazioni negli USA. La proposta avanzata dal
Segretario Americano consisteva nel fissare dei limiti massimi alle
importazioni, lamentando le conseguenze negative sull’economia e sulla
società del proprio Paese derivanti dal rapido aumento delle importazioni.
La conseguenza fu il varo del Short Term Cotton Arrangement (STA), in
cui si riconosceva ufficialmente che il settore tessile sarebbe stato trattato
separatamente rispetto alle altre categorie merceologiche, nell’ambito dei
negoziati del GATT. Allo STA seguì il Long Term Arrangement (LTA), in
vigore dal 1962 al 1973.
Si arrivò infine all’introduzione, nelle intenzioni temporanea, di un
accordo internazionale relativo al commercio dei prodotti tessili detto Accordo
Multifibre, entrato in vigore il 1° gennaio 1974 per durare solo 4 anni, ma
rinnovato in realtà per ben quattro volte, fino al 31 dicembre 1994.
L’AMF stabiliva l’esenzione del settore T&A nel rispetto delle norme
stabilite nel GATT in materia di libero commercio vincolando le transazioni tra
Stati ai limiti quantitativi per determinati tipi di prodotti. Ad ogni rinnovo
l’AMF è diventato progressivamente più restrittivo, sia in termini di prodotti
7
coperti sia in termini di Paesi interessati, tanto da essere definito come “una
delle deformazioni più vaste e discriminatorie del sistema del commercio
internazionale” (Erzan e Holmes, 1990, pag 191)
Nel frattempo durante i negoziati dell’Uruguay Round, iniziati nel 1986 e
finiti nel 1994 con la firma dell’Accordo di Marrakesh (15 aprile), anche
l’AMF venne riesaminato. Al fine di raggiungere gli effetti positivi del libero
commercio era necessaria la sua fine, ma i Paesi occidentali mediarono la
richiesta spingendo per la nascita di un accordo transitorio sul tessile e
abbigliamento (ATA), della durata di dieci anni, che traghettasse il settore dal
regime di quote dell’AMF alla completa liberalizzazione.
L’ATA è stato uno strumento di transizione basato sui seguenti punti
chiave:
a) i prodotti soggetti all’accordo (sostanzialmente filati, tessuti, prodotti
tessili ed abbigliamento), il cui elenco è contenuto per esteso nell’ATA,
sono tutti quelli che erano soggetti alle quote dell’AMF (o simili) in almeno
un Paese importatore;
b) un programma per la progressiva integrazione di tutti questi prodotti
all’interno delle regole GATT 1994. Tale processo è descritto all’art 2
dell’ATA e prevede il modo in cui i Paesi membri dovranno integrare i
prodotti elencati nell’ATA nel decennio successivo alla stipulazione
dell’accordo. Questo processo è stato realizzato in 3 fasi (della durata
rispettivamente di 3, 4 e 3 anni), giungendo alla completa integrazione con
la fine del decennio.
La prima fase è iniziata il 1° gennaio 1995 con l’integrazione da parte dei
Paesi membri di una quantità di prodotti che rappresentasse almeno il 16%
delle loro importazioni valutate nell’anno 1990 di tutti i prodotti disciplinati
dall’ATA.
Nella seconda fase doveva essere integrato almeno un ulteriore 17%, nella
terza almeno il 18%.
Infine il 1° gennaio 2005 tutti i rimanenti prodotti (cioè il 49% delle
importazioni del 1990 dello Stato membro) sono stati integrati e l’ATA è
terminato.
Ogni Stato membro importatore poteva decidere autonomamente quali
prodotti integrare in ogni fase per raggiungere le quote previste. L’unico
limite era dato dal fatto che i prodotti integrati dovevano coprire tutte e 4 le
seguenti categorie: filati, tessuti, semilavorati, abbigliamento.
Ai 4 membri WTO che hanno mantenuto le restrizioni alle importazioni
previste dal precedente AMF (Canada, UE, Norvegia, USA) è stato
richiesto di intraprendere questo processo di integrazione e di notificare al
Textile Monitoring Body (TMB, vedi infra) la prima parte del loro
programma di integrazione entro il 1° ottobre 1994. Agli altri membri
WTO è stato richiesto di notificare al TMB se essi intendessero conservare
il diritto di utilizzare il meccanismo di salvaguardia nel contesto dell’ATA
(art 6.1) e, in caso affermativo, di fornire le proprie liste di integrazione per
8
la prima fase. 55 Paesi membri hanno scelto di conservare tale diritto e la
maggior parte di essi ha formulato le liste dei prodotti da integrare. Nove
membri (Australia, Brunei Darussalam, Cile, Cuba, Hong Kong, Islanda,
Macao, Nuova Zelanda e Singapore) hanno deciso di non mantenere il
diritto di utilizzare il meccanismo di salvaguardia dell’ATA (si prevedeva
che integrassero il 100% fin dall’inizio);
c) un processo di liberalizzazione per diminuire progressivamente le quote
esistenti fino alla loro completa eliminazione. Tale processo si è svolto in
concomitanza con il processo di integrazione, allo scopo di ampliare le
quote bilaterali ereditate dal precedente AMF in data 1 gennaio 2005 (art
2.1) finché i prodotti non sono stati integrati nelle regole GATT.
Le quote AMF, una volta entrate a far parte dell’ATA, sono diventate il
punto di partenza di un processo di liberalizzazione automatico descritto
all’art 2 paragrafi 12-16.
I precedenti tassi di ampliamento delle quote previsti dall’AMF sono stati
aumentati del 16% l’1 gennaio 1995 per la prima fase dell’accordo, e
questo nuovo tasso è stato applicato annualmente.
Il tasso della prima fase è stato ulteriormente aumentato del 25% per la
seconda fase l’1 gennaio 1998 e del 27% per l’ultima fase l’1 gennaio
2002.
Quindi, il tasso di ampliamento del 6% previsto dall’AMF è passato con
l’ATA al 6,9% per il 1995/96/97, all’8,7% per il 1998/99/2000/01, all’
11,05% per il 2002/03/04.
Le quote sono così state eliminate o quando i prodotti interessati sono stati
integrati nelle regole GATT durante una delle tre fasi o alla fine del
processo di liberalizzazione l’1 gennaio 2005.
L’art 2 contiene una serie di regole ulteriori per la rimozione immediata
delle quote e l’integrazione dei prodotti.
L’art 3 riguarda le restrizioni quantitative (o misure equivalenti) diverse da
quelle previste dall’AMF. Ai Paesi membri che avevano queste restrizioni,
le quali non potevano essere giustificate nell’ottica delle regole GATT, è
stato richiesto di conformarle a tali regole o di eliminarle in un periodo di
transizione di 10 anni seguendo un piano che dovevano presentare al TMB
(Textiles Monitoring Body). Non ci sono invece obblighi per quanto
riguarda l’eliminazione di restrizioni quantitative previste dalle regole
GATT;
d) un meccanismo transizionale speciale di salvaguardia per gestire i nuovi
casi di minaccia o di seri danni ai produttori interni durante il periodo di
transizione. Tale meccanismo è previsto all’art 6, e serviva in definitiva per
proteggere i Paesi membri da fluttuazioni dannose durante il periodo di
transizione delle importazioni di alcuni prodotti che non sono integrati nelle
regole GATT né sono sottoposti a quote.
Questo articolo prevede un approccio in due fasi: innanzitutto il Paese
membro doveva dimostrare che le importazioni totali di un determinato
prodotto stessero causando un serio danno o una minaccia effettiva alla
9
propria industria interna; in secondo luogo doveva stabilire a quale/i altro/i
Paese/i Membro/i dovesse essere attribuita la responsabilità di questo serio
danno.
Il Paese importatore doveva quindi tentare delle consultazioni con i Paesi
esportatori responsabili, per applicare le misure di salvaguardia in modo
selettivo (Paese per Paese in base ad accordi reciproci) o, se non si
raggiungeva l’accordo con le consultazioni entro 60 giorni, attraverso
un’azione unilaterale.
La quota non doveva essere inferiore al livello effettivo delle importazioni
da quel Paese esportatore negli ultimi 12 mesi, e l’azione intrapresa poteva
avere una durata massima di 3 anni.
Se la misura restava in vigore per più di un anno, l’ampliamento della quota
non doveva comunque essere inferiore al 6%.
Questo meccanismo è stato utilizzato 24 volte nel 1995 dagli USA, 8 volte
nel 1996 (Brasile 7, USA 1), 2 volte nel 1997 dagli USA, 10 volte nel 1998
(Colombia 9, USA 1)
L’articolo 5 dell’ATA contiene regole e procedure riguardanti la
circonvenzione delle quote attraverso trasbordi, falsa dichiarazione
d’origine o falsificazione di documenti ufficiali. Queste regole e procedure
richiedevano, fra le altre cose, consultazioni e piena cooperazione
nell’indagine su tali pratiche da parte degli Stati membri coinvolti. Quando
erano a disposizione prove sufficienti, i possibili provvedimenti potevano
includere la negazione del permesso di ingresso alle merci o procedure
legislative e/o amministrative da parte dei Paesi importatori contro i
tentativi di circonvenzione.
La gestione delle restrizioni durante il periodo transitorio era sotto il
controllo dei Membri esportatori e qualsiasi cambiamento nelle pratiche,
nelle regole o nelle procedure doveva essere soggetto a consultazioni allo
scopo di raggiungere soluzioni mutuamente accettabili (art 4).
Le disposizioni relative agli impegni sottoscritti in tutte le aree
dell’Uruguay Round e relative al tessile ed all’abbigliamento prevedevano
che tutti i Membri dovessero intraprendere tali azioni quando fosse
necessario, al fine di raggiungere un più facile accesso al mercato, di
assicurare l’applicazione di condizioni commerciali eque e per evitare
discriminazioni contro le importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento
(articolo 7). Se un Paese esportatore non rispettava questi impegni, il
Dispute Settlement Body o il Council for Trade in Goods potevano
autorizzare delle modifiche agli ampliamenti delle quote riguardanti quel
Paese;
e) fondazione del Textiles Monitoring Body (TMB) per supervisionare
l’implementazione dell’ATA e vigilare sul rispetto delle regole e sulla
conformità a queste delle misure intraprese. E’ un’istituzione quasi
giudiziaria stabile composta da un presidente e dieci membri, che prendono
le proprie decisioni all’unanimità e sono eletti dagli Stati Membri. Il TMB
è un’istituzione unica all’interno del WTO.
10
Quali sono state le conseguenze di queste regolamentazioni sul benessere
dei Paesi coinvolti? La longevità dell’AMF ha consentito la produzione di una
vasta letteratura economica sugli effetti negativi dello stesso. La maggior parte
degli studi si è concentrata sui Paesi importatori, ma alcuni autori hanno
cercato di investigare anche gli effetti economici dell’AMF sui Paesi
esportatori. In entrambi i tipi di analisi, l’evidenza empirica non ha raggiunto
risultati definitivi, essendoci disaccordo circa l’evoluzione ed il grado di
restrizione imposto agli scambi dall’AMF.
1.1.2 Il dibattito sulla stima empirica degli effetti dell’AMF e dell’ATA
Lo studio degli effetti dell’AMF sul commercio e sul benessere dei
Paesi interessati (importatori ed esportatori) ha alimentato, come sopra
accennato, un intenso dibattito dai risultati non sempre concordi.
In teoria le quote sono equivalenti ad un dazio ed in quanto tali esse
aumentano il prezzo del prodotto nel paese importatore, e riducono la domanda
interna del prodotto. Tuttavia, mentre nel caso dei dazi il maggior prezzo in
parte va a beneficio dei produttori locali ed in parte della pubblica
amministrazione attraverso il gettito derivante da tale diritti doganali, il
maggior prezzo causato da AMF ed ATA in parte va a beneficio dei produttori
ed in parte degli esportatori sotto forma di rendite da contingentamento. Queste
tuttavia compensano solo marginalmente la perdita di benessere causata dalle
distorsioni interne indotte dalle quote.
Un altro effetto delle quote (e dei dazi) è che quando il paese importatore
è di grandi dimensioni, le quote fanno diminuire il prezzo del prodotto in
questione nei mercati non soggetti a restrizione perché la ridotta domanda del
paese importatore di grandi dimensioni è sufficiente a ridurre la domanda
aggregata mondiale. In tal modo, è probabile che le quote AMF/ATA abbiano
ridotto il prezzo mondiale di mercato di tessile ed abbigliamento all’esterno
dell’UE, degli USA e del Canada. AMF ed ATA hanno inoltre creato trade
diversion, spostando i flussi di commercio dai Paesi maggiormente colpiti dalle
restrizioni, solitamente i più efficienti, ai Paesi che godevano di un regime
meno restrittivo.
La portata di tali effetti sul prezzo e sulla quantità dipende dalla misura
delle quote relativamente alla domanda locale e dall’elasticità della domanda.
Alcune stime degli equivalenti daziari delle quote applicati dall’UE nel
1997 hanno rilevato una variabilità dall’1,3 al 21,6% per i tessili e dal 3 al
34,8% per l’abbigliamento. In entrambi i settori le barriere di minore entità
erano quelle verso l’Europa centrale, mentre le più elevate erano applicate ai
paesi asiatici (Cina, India, Malaysia, Indonesia, Filippine) (Francois et
al.,2000). Gli equivalenti tariffari delle quote sono molto maggiori rispetto ai
dazi medi applicati alle importazioni di beni industriali in UE e negli USA. Le
quote ATA sono quindi considerate discriminatorie nei confronti dei PVS.
Se le quote sono fissate ad un livello superiore rispetto alla domanda
locale al prezzo mondiale di mercato, la quota non è vincolante, e non avrà altri
11
effetti al di là dei costi amministrativi della gestione del sistema delle quote
(che possono tuttavia essere rilevanti sia per il paese esportatore che per quello
importatore).
Le quote possono anche essere considerate come una tassa sulle
esportazioni nel paese esportatore. Una stima delle tasse all’esportazione medie
equivalenti per l’India ha rilevato che esse variavano tra il 24% (nel 1997) ed il
40% (1999) per le esportazioni verso gli USA e tra il 14% (1994) ed il 19%
(1999) per le esportazioni verso l’UE.
Inoltre, come già ricordato, le condizioni create dall’AMF e dall’ATA
ponevano in essere degli incentivi a mettere in atto comportamenti quali
trasbordi, false dichiarazioni riguardanti paese e luogo d’origine e contenuto di
fibre dei prodotti tessili, con conseguente necessità di impiegare risorse nel
controllo del commercio di tali prodotti, causando ulteriori costi. Tutti questi
costi verranno meno con la fine dell’ATA.
La struttura bilaterale delle quote dell’AMF ha limitato i potenziali
effetti positivi che i Paesi in via di sviluppo potevano trarre dalle loro
esportazioni. Anche in questo caso le perdite indotte non sono state in genere
compensate dalle rendite da contingentamento parzialmente godute anche dai
Paesi importatori in relazione al loro potere di mercato (Erzan, Krishna e Tan,
1991).
I contingenti all’importazione possono ancora generare una inefficiente
allocazione delle risorse all’interno dei Paesi esportatori, favorendo la
produzione delle categorie di prodotti meno soggette a restrizioni (De Melo e
Winters, 1993)
Infine, le modalità di attribuzione delle quote alle imprese dei Paesi
esportatori, fondate sulla performance storica, hanno potuto indurre ulteriori
inefficienze in quanto disincentivavano gli investimenti finalizzati alla
riduzione dei costi di produzione.
1.1.3 L’impatto dello scadere dell’ATA1
L’impatto dello scadere dell’ATA coinvolge diversi aspetti. In primo
luogo, ci sono i guadagni in termini di efficienza derivanti dall’eliminazione di
quote altamente distorsive che hanno causato un’allocazione globale
inefficiente della produzione di tessile ed abbigliamento. In secondo luogo, c’è
la perdita delle rendite derivanti dalle quote agli esportatori dei paesi ATA.
Infine, c’è un vantaggio per i consumatori in termini di aumento del benessere,
in quanto essi potranno beneficiare di prodotti del tessile e dell’abbigliamento
prodotti dai produttori più efficienti ed a prezzi d’acquisto più bassi. Nei
mercati protetti dalle quote tale aumento del benessere per i consumatori avrà
come contropartita una perdita di benessere per i produttori che si troveranno
ad affrontare un mercato senza restrizioni e se non saranno adeguatamente
efficienti per competere con concorrenti mondiali saranno destinati alla
chiusura.
1
Le informazioni contenute in questo paragrafo sono tratte dallo studio di Hildegunn Kyvik
Nordås, citato in bibliografia
12
Alcuni studi che stimano gli effetti positivi derivanti dall’Uruguay
Round sono stati pubblicati tra il 1995 ed il 1997. Le loro stime variavano a
seconda delle caratteristiche dei modelli utilizzati, ma il punto in comune è che
gran parte degli effetti positivi totali stimati derivavano dall’eliminazione delle
quote sui beni industriali, di cui l’ATA rappresentava la componente più
importante (Reinert, 2000).
Francois et al. (1997), ad esempio, stimano che l’impatto
dell’eliminazione delle quote sulle esportazioni del settore tessile si traduca in
un aumento del volume delle esportazioni variabile tra il 17,5 ed il 72,5%. La
cifra inferiore prende in considerazione solo gli effetti positivi “statici”, mentre
quella più elevata prende anche in considerazione gli effetti dinamici. Le stime
degli aumenti delle esportazioni per l’abbigliamento vanno dal 70 al 190%
secondo lo stesso modello. I guadagni in termine di benessere (ad esempio
aumenti del reddito) derivanti dall’eliminazione delle quote sono stimati essere
dell’ordine del 42% dei guadagni totali delle liberalizzazioni dell’Uruguay
Round secondo il modello statico e del 65% nel modello dinamico. I guadagni
in termini di benessere sono tuttavia concentrati nei paesi importatori, mentre
vi è una lieve perdita di benessere secondo il modello statico nei paesi
esportatori (la ragione è che l’aumento delle esportazioni non è sufficiente a
compensare la perdita delle rendite di contingentamento) ed un guadagno
anche in essi secondo il modello dinamico.
Le previsioni per l’UE: l’Ue ha quote meno restrittive sia sul tessile che
sull’abbigliamento rispetto agli USA ed al Canada. Essa ha inoltre dato la
possibilità ad alcuni paesi meno sviluppati di avere accesso al proprio mercato
interno senza applicazione di dazi e quote, a condizione che venissero
soddisfatte determinate condizioni riguardanti l’origine. Inoltre, l’UE ha
stipulato accordi di libero scambio con diversi paesi dell’Europa centrale ed
orientale, alcuni dei quali sono diventati Stati membri nel 2004.
Tessile: quote di mercato prima e dopo l’eliminazione delle quote, UE
Prima Dopo
Turchia 13% Cina 12%
Cina 10% Turchia 12%
India 9% India 11%
USA, Canada 8% USA, Canada 7%
Altri Paesi Europa Centrale e orientale 6% Altri Paesi Europa Centrale e orientale 6%
Repubblica di Corea 5% Indonesia 5%
Indonesia 4% Repubblica di Corea 4%
Taiwan 3% Altri Paesi Nord Africa 3%
Altri Paesi Nord Africa 3% Taiwan 3%
Africa 3% Bangladesh 3%
Resto del mondo 36% Resto del mondo 34%