II
Nel capitolo secondo, si sono analizzate le principali posizioni teorico-politiche riguardanti la
liberalizzazione, poiché la loro applicazione determinerà il volto futuro del mercato.
Nel capitolo terzo, si è descritta la configurazione essenziale del mercato e del settore,
analizzando le problematiche di base degli elementi che li compongono, elementi analizzati
successivamente nel capitolo quarto nella loro evoluzione a seguito della liberalizzazione.
Nel capitolo quinto, conclusivo, viene presentato il Consorzio Pordenone Energia, di cui nel
capitolo 1 abbiamo accennato all’ambiente di origine ed alle sue inevitabili iniziali
perturbazioni, nel capitolo 2 abbiamo delineato le possibili evoluzioni ambientali che in futuro
il Consorzio si potrebbe trovare a dover fronteggiare, nei capitoli 3 e 4 il contesto operativo
attuale. In particolare, nell’ultimo capitolo, si descriverà come il Consorzio, fungendo da
tramite fra le imprese consorziate ed il mercato libero, abbia acquisito e messo a frutto la
propria esperienza e conoscenza del mercato per raggiungere via via gli obiettivi stabiliti.
1
Capitolo 1 STORIA DEL MERCATO ELETTRICO ITALIANO.
“ Non vi è industria, alla pari di quella elettrica, che possa dirsi più profondamente radicata e
intrecciata alla storia economica, finanziaria, istituzionale di ogni paese. Ciò ne spiega,
insieme, la diversità e l'originalità degli assetti organizzativi e degli ordinamenti giuridici di
regolazione. Strutture e leggi si sono consolidate nel tempo in funzione: delle tradizioni
istituzionali (centralismo, federalismo, localismo); delle specificità dei singoli mercati
(estensione assoluta, distribuzione territoriale, densità spaziale dei consumi); degli squilibri
sociali ed economici territoriali; della disponibilità di risorse energetiche interne e dei
conseguenti problemi di vulnerabilità esterna; dei rapporti sociali interni; delle culture
economiche e politiche (statalismo o liberismo). E, infine, ma forse prima di tutto: delle finalità
di «interesse generale» e dei relativi «obblighi» che ogni stato ha ritenuto e ritiene debbano
essere connessi all'erogazione del servizio pubblico elettrico.” (McGowan).
Ripercorriamo quindi brevemente la storia del mercato elettrico italiano e il ruolo dell’Unione
Europea nel processo di liberalizzazione, esplicitando nel successivo capitolo i concetti di
monopolio naturale e legale, public utility, regolamentazione e deregolamentazione,
privatizzazione e liberalizzazione.
1 DALLE ORIGINI ALLA NAZIONALIZZAZIONE (1881 – 1961).
1.1 Le origini: 1881-1914.
Nel 1881 fu fondato a Milano il Comitato promotore per l’applicazione dell’energia elettrica
in Italia. Inizialmente l’energia elettrica, impiegata per l’illuminazione civile ed urbana, fu
prodotta sotto forma di corrente continua da piccole centrali termiche a carbone all’interno
delle città.
In questa fase, l’energia elettrica affrontò la concorrenza del gas, poiché il raggio limitato e
l’alto costo delle reti elettriche la rendevano ancora poco appetibile.
Successivamente con l’invenzione del motore a corrente alternata, che rese possibile il
trasporto dell’energia a distanza a costi sostenibili e di conseguenza lo sfruttamento delle
risorse idriche alpine (che rimarranno la principale fonte produttiva fino agli anni Sessanta),
aumentarono gli impieghi dell’energia elettrica.
A finanziare i grandi progetti di elettrificazione, che richiedevano investimenti molto elevati
sia per la costruzione delle infrastrutture sia per lo sfruttamento dei brevetti degli impianti,
furono i capitali tedeschi, direttamente o indirettamente attraverso la Banca Commerciale,
motivati non solo dalla possibilità di effettuare investimenti redditizi ma anche
2
dall’opportunità di creare un nuovo mercato in cui esportare i propri macchinari elettrici. Il
precedente regime di concorrenza si trasformò quindi in un oligopolio industrial- finanziario.
L’applicazione del “modello fordista”, che prevedeva un’organizzazione di grandi
dimensioni, accentrata ed isolata rispetto alle imprese concorrenti, avvenne spontaneamente in
un settore in cui ha convenienza a produrre chi è di maggiori dimensioni, presentando costi
medi più bassi, ovvero in un settore fortemente caratterizzato da monopoli naturali in diverse
fasi della sua filiera. Accanto però alle grandi imprese produttrici e distributrici di energia
elettrica in possesso delle più moderne tecnologie, continuarono ad operare moltissimi
autoproduttori che, utilizzando piccoli impianti idroelettrici, fornivano energia a basso costo
ai complessi industriali localizzati nei pressi dei corsi d’acqua.
Lo sviluppo industriale, l’incremento demografico e le migrazioni interne, aumentando
qualitativamente e quantitativamente la domanda di energia elettrica, spinsero nel 1903
all’approvazione di una legge, preceduta a partire dal 1898 da dibattiti sull’opportunità o
meno di procedere ad una nazionalizzazione del settore elettrico, sull’assunzione diretta dei
pubblici servizi da parte dei comuni: nacquero così le municipalizzate, il cui obiettivo
consisteva nell’erogazione di energia elettrica a costi inferiori a quelli praticati dai privati.
Per dare un’idea della prima fase evolutiva del settore, possiamo dire che “nel periodo tra il
1895 e il 1912, la potenza elettrica installata crebbe del 15% in media all’anno, cioè quattro
volte il P.I.L. dell’epoca che pure cresceva rapidamente”(Toniolo).
1.2 Il periodo di potenziamento tecnico e finanziario: 1915-1926.
Nel 1915, con l’inizio della Prima Guerra Mondiale, gli approvvigionamenti di carbone,
necessari per alimentare gli impianti termoelettrici, non solo diventarono difficoltosi ma
anche eccessivamente onerosi, dati gli aumenti di prezzo. Per far fronte al sensibile
incremento della richiesta di energia, risultò quindi fondamentale l’impiego dell’energia
idroelettrica mentre marginale, sebbene innovativo, fu il contributo dell’energia
geotermoelettrica. Nel frattempo, date le necessità dettate dall’economia di guerra, mentre
riprendeva il dibattito sulla nazionalizzazione, il governo provvedeva a regolare le tariffe
elettriche, che non seguendo più l’andamento dell’inflazione, di fatto risultavano bloccate.
Ciononostante la produzione di energia elettrica durante la guerra raddoppiò. L’eccezionale
liquidità così ottenuta, permise alle società elettriche di diminuire l’esposizione nei confronti
delle banche creditrici
1
e di utilizzare gli extraprofitti per acquisire potere anche sul governo e
sulla burocrazia ovvero su coloro che erano chiamati a stabilire le tariffe. Al termine del
1
Le banche creditrici, infatti, avendo smesso di sottoscrivere gli ingenti aumenti di capitale, persero l’influenza
nel settore.
3
conflitto, il potere del settore elettrico, che non necessitava di conversione, aveva ormai
soppiantato il potere rivestito in precedenza dalla banca-siderurgia, siderurgia che ora era
particolarmente interessata alla diffusione dell’energia elettrica per compensare l’aumento dei
prezzi del carbone.
Negli anni 1922-25, sotto il regime fascista, a seguito del varo di concessioni particolarmente
favorevoli, si ampliò il numero delle società operanti nel settore elettrico. I gruppi elettrici più
importanti erano: l’Edison, la Società Adriatica di Elettricità (SADE), la Società Idroelettrica
Piemontese (SIP) e la Società Meridionale dell’Elettricità (SME).
Dal 1921 al 1931 si verificò la seconda fase di grandi investimenti nel settore, grazie ad un
forte afflusso di capitali americani ed ai consistenti contributi statali: gli impianti idroelettrici
alpini vennero collegati con quelli appenninici, vennero realizzate nuove linee di trasporto e
distribuzione e proseguì il processo di elettrificazione delle ferrovie.
Sempre nel 1921, antesignana delle varie organizzazioni internazionali volte a favorire gli
scambi di energia elettrica che si susseguiranno nel tempo, venne creata la Conferenza
Internazionale Gestori Reti Elettriche (CIGRE).
A partire dal 1926, per fronteggiare la crescita della domanda e grazie ai rapidi progressi
tecnologici, presero realmente avvio i primi interscambi con l’estero, interscambi che già
dagli inizi vedevano prevalere le importazioni sulle esportazioni.
Con questo ampliamento del mercato, iniziò la transizione dal modello fordista verso le prime
forme di collaborazione fra imprese dello stesso settore.
1.3 Espansione e oligopolio: 1927-1945.
Con la crisi americana, sfociata nel crollo borsistico del 1929, l’Italia perse il sostegno dei
capitali statunitensi, per cui entrarono in crisi sia le banche che le industrie ad esse legate.
La risposta politica del regime fascista, che ormai aveva già compiuto la svolta autoritaria, a
questa congiuntura economica, consistette nell’intervento diretto nella riorganizzazione sia
del settore creditizio che dell’attività industriale, attraverso la fondazione nel 1933
dell’Istituto Ricostruzione Industriale (IRI). L’IRI, da ente temporaneo di salvataggio, fu
trasformato in ente permanente nel 1937 (l’anno successivo al varo del piano autarchico) con
il compito di gestire direttamente le imprese nel suo portafoglio, soprattutto quelle che
rispondevano ad esigenze di difesa o fornivano servizi pubblici o erano importanti per il
raggiungimento dell’autarchia. Fu così che lo Stato prese il controllo diretto, oltre che di SIP e
SME, anche del 30% dell’industria elettrica italiana mentre Edison, SADE e diverse altre
restarono sotto il controllo di privati.
4
Nel frattempo il parco centrali aveva continuato ad ampliarsi, proseguendo nel suo sviluppo
ormai tipicamente disomogeneo: i tre quarti della produzione di energia elettrica erano
concentrati in Piemonte, Lombardia e Veneto. Con la Seconda Guerra Mondiale, però, il
parco di generazione subì ingenti danni. Infatti, fu distrutta un quarto della potenza installata,
soprattutto termoelettrica, in quanto questi impianti per loro natura erano situati nei pressi di
porti ed industrie, obiettivi bellici.
Nel 1944, esigenze sociali di contenimento dell’inflazione, fecero si che il prezzo
dell’elettricità venisse stabilito dal Comitato Interministeriale Prezzi (CIP), ente che, con
finalità via via differenti, regolerà le tariffe elettriche fino alla nascita dell’Authority nel 1995.
1.4 Dal dopoguerra alla nazionalizzazione: 1946-1961.
Terminata la guerra ed introdotta la democrazia in Italia, allo stato fu assegnato in
Costituzione (art.43) il ruolo di regolatore ed imprenditore, poiché, in presenza di una
situazione economica e sociale disastrosa, in cui le esigenze di ricostruzione richiedevano
l’impiego di ingenti capitali, si ritenne il mercato inidoneo ad agire secondo efficienza ed
equità e la spesa pubblica indispensabile per il rilancio dell’economia nazionale, seguendo la
teoria keynesiana. L’IRI, quindi, sebbene istituito durante il periodo fascista, non venne
smantellato ma fu trasformato in uno strumento di ammodernamento del Paese.
Nel periodo del cosiddetto “miracolo economico italiano” la richiesta di energia elettrica sia a
livello industriale che domestico, quest’ultimo a causa della diffusione degli elettrodomestici,
crebbe a tal punto che fu subito chiaro come il fabbisogno non potesse essere più coperto
dagli impianti idroelettrici e si imponesse un utilizzo massiccio di tecnologia termoelettrica, la
quale divenne prevalente nel 1966. Questa svolta, che condizionerà la storia del nostro Paese,
avvenne per diverse cause, oltre a quella sopra esposta. Infatti, per quanto riguarda il sistema
elettrico, l’utilizzo degli aiuti del Piano Marshall, influenzato dalle politiche aziendali delle
multinazionali americane, spinse la conversione della meccanica pesante bellica in meccanica
varia, la cui produzione riguardava componenti tecnologici per la produzione di energia
elettrica (come turbine a vapore, condensatori, ..) di progettazione statunitense ed inglese
(General Electric CO., Westinghouse, Bebcock & Wilcox,..).
L’utilizzo dei progetti tramite “Licenze di Costruzione e Progettazione”, che stabilivano
anche le taglie degli impianti termoelettrici, fu concesso alla Soc. Ernesto Breda, alla Soc.
Franco Tosi, alla Soc. Ansaldo, alla Soc. Ercole Marelli ed alla Fiat, le quali (Fiat esclusa)
erano tutte compartecipate da capitale pubblico.
Le prime centrali così costruite, alimentate ad olio combustibile, sottoprodotto del petrolio, di
cui l’Italia era nel frattempo diventata raffinatrice, furono quelle di Palermo, Napoli,
5
Civitavecchia e Genova. Il ruolo del petrolio nel rilancio dell’economia e dell’industria fu
fondamentale anche perché fu una fonte di lavoro immediato, in quanto, dopo aver provocato
la nascita di un nuovo settore – la raffinazione, pose le basi per il rilancio industriale, fondato
sull’uso dei sottoprodotti del petrolio, altrimenti costosi da smaltire. Nacque così il settore
chimico italiano, mentre il sistema elettrico poté evolvere grazie all’impiego dell’olio
combustibile nelle centrali termoelettriche e le infrastrutture, come strade ed autostrade,
finanziate con la spesa pubblica, poterono svilupparsi tramite l’impiego di asfalto e bitume,
anch’essi di derivazione petrolifera.
Mentre nel 1949 il CIP iniziava a porsi come obiettivo la graduale unificazione delle tariffe
sul territorio nazionale, il mercato elettrico, finora pianificato, stava per aprirsi alla
concorrenza sia industrial-finanziaria, rappresentata dall’ingresso nel mercato italiano delle
imprese francesi e tedesche (Soc. Rateau, Soc. Schneider,..), sia tecnologica, rappresentata
dalle nuove tecnologie termonucleari.
Sebbene l’impiego dell’energia termonucleare in Italia sia stato inibito dal referendum del
1987, l’utilità di una breve cronistoria del tentato sfruttamento di questa tecnologia nel nostro
Paese risiede nell’attualità che recentemente ha di nuovo assunto il dibattito su una sua
eventuale reintroduzione.
In seguito ad un discorso, pronunciato all’ONU nel 1953dal presidente Eisenhower in risposta
ai primi esperimenti nucleari russi iniziati nel 1949, in cui rendeva noto il suo programma
“Atoms for Peace”, destinato a tutti i paesi che avessero voluto accedere all’uso del nucleare a
patto di rinunciare agli impieghi militari, nacque nel 1957 la Commissione europea
dell’energia atomica (EURATOM), già preceduta in Italia dal Comitato nazionale ricerche
nucleari (CNRN).
I requisiti che la Banca mondiale richiedeva per finanziare i progetti di investimento in
impianti nucleari piuttosto che in impianti convenzionali erano la mancanza di risorse
energetiche e la necessità di importarle ad alti costi con evidenti ricadute sulla bilancia dei
pagamenti. Nel caso italiano a ciò si aggiungevano lo squilibrio territoriale fra il Mezzogiorno
e il resto dell’Italia e la necessità di intervenire rapidamente con un piano di sviluppo per
colmare il divario economico, esistente fra aree diverse del Paese. Poiché i requisiti
sussistevano e poiché lo sfruttamento commerciale del nucleare era stato accelerato dalla crisi
di Suez
2
(1956), in quel periodo furono costruite tre delle quattro centrali italiane.
2
La crisi di Suez , che si inseriva in un quadro di instabilità dell’area, causato dal processo di decolonizzazione e
indipendenza degli Stati nord-africani, fu causata dalla nazionalizzazione del canale ad opera di Nasser, che
aveva preso il potere in Egitto nel 1952 con il colpo di Stato degli “Ufficiali liberi”.
6
Nel 1956, per prima, l’Edison Volta, attraverso la Società elettronucleare italiana (Selni),
firmava con l’americana Westinghouse un preliminare per l’acquisto di una centrale nucleare.
Il progetto partirà con forte ritardo per motivi tecnico-finanziari. Il finanziamento dell’opera,
ammontante a 34 milioni di dollari, per cui si era richiesta la concessione della garanzia dal
rischio di cambio allo Stato, sarebbe stato erogato solo nel 1960, anno precedente alla
decisione di localizzare l’impianto nei pressi di Trino Vercellese.
Nel 1958 gli inglesi della Nuclear Power Plant Company e la Società italiana meridionale per
l’energia atomica (SIMEA), compartecipata da ENI, Agip-nucleare e IRI, firmavano un
contratto per la costruzione di un impianto a Latina, del costo complessivo di 49 miliardi di
lire, erogati per metà in lire e per metà in sterline. L’impianto, la cui tecnologia si basava
sull’uranio naturale, avrebbe permesso di razionalizzare la distribuzione di energia elettrica
nel Centro-sud.
Il terzo impianto, quello di Garigliano, nasceva da un programma della Banca mondiale, il cui
progetto, denominato Energia nucleare Sud Italia (ENSI), venne condotto per la parte italiana
dal CNRN e dalla Società elettronucleare nazionale (Senn) -del gruppo IRI,e la cui
realizzazione fu affidata alla General Electric CO. Solo il progetto ebbe un costo complessivo
di 226 milioni di lire dell’epoca cioè 361.649 dollari contro i preventivati 100.000 dollari.
Le caratteristiche comuni a questi tre progetti furono principalmente due: la loro
progettazione e realizzazione avvenne in tempi brevissimi (circa quattro anni), fra la fine degli
anni Cinquanta e gli inizi degli anni Sessanta, e la loro costruzione fu possibile solo grazie al
mutato clima internazionale e allo scambio di conoscenze tecnologiche con paesi più avanzati.
I problemi affrontati furono principalmente:
l’incertezza relativa ai costi capitali e di esercizio;
l’ubicazione in base ai diversi requisiti tecnici
3
e al razionale inserimento dell’energia
elettrica prodotta nella rete nazionale;
il rischio di cambio, legato ai finanziamenti poiché la controparte era estera.
Inoltre, poiché il nucleare richiedeva un controllo diretto dello Stato per lo sfruttamento dei
materiali fissili, secondo quanto stabilito dai protocolli internazionali e dalle leggi che
regolavano la materia nei paesi europei e negli Stati Uniti, riprese il dibattito sulla
nazionalizzazione non solo del comparto nucleare ma dell’intero sistema elettrico.
3
I requisiti tecnici richiesti all’epoca per le centrali nucleari erano principalmente i seguenti: vicinanza ai centri
di consumo, sufficiente distanza dai centri abitati, presenza di acqua dolce o di mare in quantità sufficiente per
raffreddamento, accessibilità a strade ed autostrade, caratteristiche geologiche del terreno, condizioni
meteorologiche particolari (venti), densità della popolazione, possibilità di scarico materiale radioattivo.
7
2 LA NAZIONALIZZAZIONE E IL MONOPOLIO LEGALE DELL’ENEL:
(1962 – 1990).
Il 27 novembre 1962 la Camera approvò in via definitiva il provvedimento di
nazionalizzazione del settore elettrico, diventato legge il 6 dicembre dello stesso anno.
Nacque così l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL) al quale fu “riservato il compito
di esercitare nel territorio nazionale le attività di produzione, importazione ed esportazione,
trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell’energia elettrica da qualsiasi fonte
prodotta” (art.1, l.n.1643 del 1962).
Sebbene autoproduttori e municipalizzate furono messi in condizioni di continuare la loro
attività, poiché esclusi dal provvedimento, dato che i gruppi precedentemente operanti nel
Paese furono assorbiti
4
nel nuovo ente in cambio della corresponsione di indennizzi
generalmente basati sul valore dei titoli in Borsa, di fatto il settore elettrico prese la
configurazione di un monopolio legale verticalmente ed orizzontalmente integrato.
La legge stessa assegnò anche gli obiettivi da perseguire: “Ai fini di utilità generale l’Ente
nazionale provvederà alla utilizzazione coordinata e al potenziamento degli impianti, allo
scopo di assicurare con minimi costi di gestione una disponibilità di energia elettrica adeguata
per quantità e prezzo alle esigenze di un equilibrato sviluppo economico del Paese”.
“Sottolineando il ruolo strategico dell’elettricità nello sviluppo economico del paese, il
Parlamento ha attribuito all’ENEL la funzione di strumento di politica economica, forse
soprattutto a livello macroeconomico”(Polo,Scarpa).
Ciò è evidente se si considera che, nel 1993, l’ENEL aveva circa 95.000 dipendenti ed
effettuava circa il 10% degli investimenti dell’intero settore industriale italiano.
All’ENEL fu dato lo statuto di ente pubblico economico con autonomia imprenditoriale
limitata, come dimostrano le seguenti tre esemplificazioni:
Primo. All’ENEL fu attribuito l’obbligo di acquistare l’energia prodotta dai privati, la cui
capacità produttiva poteva quindi essere pienamente sfruttata, mentre le fluttuazioni della
domanda, bilanciate o dalle importazioni o dalla variazione del grado di utilizzo degli
impianti dell’ente, provocavano solitamente la sottoutilizzazione del sistema pubblico, che,
associata all’”indispensabile” eccesso di capacità produttiva, richiesto implicitamente dalla
legge, finiva per riflettersi negativamente sulla produttività dell’ente stesso.
Secondo. L’ENEL fu assoggettato per legge al Comitato dei Ministri, che aveva l’incarico di
fissarne gli indirizzi: dai programmi annuali e pluriennali, alle decisioni sulle costruzioni e
4
Dal 1963 al 1995 le imprese confluite in ENEL saranno 1270.
8
localizzazioni dei nuovi impianti, al finanziamento dei programmi, perfino alla struttura
interna.
Terzo. L’ENEL fu istituito senza fondo di dotazione, concessogli a metà anni Ottanta, e,
almeno formalmente, non decise mai le proprie politiche di prezzo poiché le tariffe erano
determinate dal CIP. Ciò, oltre ad influenzare la politica degli investimenti, fece sì che l’ente
fino al 1985 presentasse bilanci in deficit.
2.1 Le motivazioni della nazionalizzazione.
Avviatosi già alla fine dell’Ottocento, dopo aver ripreso vigore durante ed al termine della
Seconda Guerra Mondiale, periodo in cui i Paesi coinvolti nel conflitto dovevano fronteggiare
le difficoltà economiche e sociali della guerra prima e della ricostruzione poi, in una
situazione di forte diminuzione del reddito nazionale e dissesto della finanza pubblica -
motivazioni che portarono alla nazionalizzazione dei settori elettrici francese (1945-46) e
inglese (1948)-, il dibattito italiano sulla nazionalizzazione trovò soluzione con la nascita
dell’ENEL.
Rispetto però ai casi francese ed inglese, le motivazioni italiane rispecchiano il cambiamento
dei tempi: in Italia è infatti il periodo del “miracolo” economico ed il fenomeno da regolare
non è la ricostruzione ma, appunto, la crescita.
Gli obiettivi da conseguire erano il soddisfacimento a lungo termine della crescente domanda
di energia elettrica, l’utilizzazione ottimale delle risorse, l’uniformità di trattamento di ogni
singolo utente ed uno sviluppo coerente dell’intero settore, da ottenere con un’accurata
programmazione. Operativamente ciò significava evitare il razionamento dell’energia,
interruzioni della fornitura ed eccessi di capacità produttiva.
L’estensione della proprietà pubblica era inoltre funzionale agli obiettivi sia di
ridimensionamento delle posizioni degli oligopolisti “elettrici”, per limitare il potere da loro
esercitato sulla politica e sulle industrie consumatrici di elettricità, sia di sviluppo di attività
infrastrutturali (rete elettrica nazionale) e di interesse collettivo, che il precedente contrasto fra
gruppi elettrici aveva inibito, oltre a motivazioni inerenti trattati internazionali sulla gestione
del materiale fissile per la produzione di energia nucleare, come abbiamo già detto.
In sintesi, “ coordinamento dei grandi investimenti e tutela degli utenti”erano i due macro-
obiettivi che la nazionalizzazione ha cercato di conseguire, sposando le concezioni della teoria
economico-aziendale dell’epoca, la quale considerava la grande impresa come il modello più
vantaggioso sia per l’ottenimento di economie di scala dimensionali/tecnologiche sia per
l’ottenimento di garanzie di fornitura del servizio anche dove, in concorrenza, sarebbe stato
antieconomico operare.
9
Vedremo in seguito come i due macro-obiettivi sopra citati siano gli stessi che, in un contesto
economico differente e sulla base di nuove teorie economiche, hanno motivato la recente
liberalizzazione e privatizzazione del settore.
2.2 Lo sviluppo dell’ENEL.
Confrontando la situazione del sistema elettrico del 1963, cioè agli inizi della
nazionalizzazione, con la
situazione del 1992, cioè agli inizi
del processo di liberalizzazione e
privatizzazione, è evidente come,
al di là dei risultati finanziari che
erano alterati dalla soggezione
politica dell’ente, l’operato
dell’ENEL sia stato notevole
soprattutto per lo sforzo impiegato
per adeguare il parco di
generazione alla crescita del
fabbisogno e per la creazione della rete di trasmissione nazionale (Fig.1).
Poiché la configurazione attuale del nostro sistema elettrico deriva dalle scelte compiute in
passato, ripercorriamo brevemente la storia e le motivazioni delle strategie adottate
dall’ENEL, rinviando per eventuali approfondimenti alla letteratura specializzata.
2.2.1 1963 - 1972: l’avvio del “tutto oil”, con un’attenzione residuale al nucleare.
Per finanziare l’espansione del parco di generazione ed il processo di elettrificazione del
Paese con la realizzazione delle reti di trasporto “dorsali” cioè che trasportano l’energia
elettrica lungo tutta la penisola, nel 1965 l’ENEL emette sul mercato i suoi primi due prestiti
obbligazionari. Uno, per il solo mercato italiano, di 75 miliardi di lire, l’altro di 100 miliardi
di lire per il mercato domestico e 37 miliardi di lire per i paesi membri della Comunità
Europea.
Nasce in questo periodo anche il Centro Nazionale di Dispacciamento di Roma con il compito
di gestire gli impianti di produzione e la rete di trasmissione ed interconnessione con l’estero.
Sono gli anni anche del sorpasso del termoelettrico sull’idroelettrico, mentre l’ENEL, secondo
un’indagine Mediobanca, diventa la seconda industria italiana per fatturato dopo la Fiat.
Per fronteggiare i problemi di autorizzazione ed accettazione sociale degli impianti, si segue
una strategia “impositiva”. Viene varata la L.n.880/73, la quale autorizzava il Comitato
Interministeriale per la programmazione economica (Cipe), dopo aver indicato l’area di
Fig.1: Lo sviluppo dell’ENEL dal 1963 al 1992.
Fonte: ENEL
1963 1992
Potenza efficiente lorda intallata MW 19.716 64.845
- di cui impiant i ENEL MW 13.202 52.734
Rete elettrica
- a 132 kV km 15.446 32.474
- a 220 kV km 8.840 10.852
- a 380 kV km 247 8.630
Produzione lorda GWh 71.344 226.243
Domanda GWh 70.207 244.787
Importazioni nette GWh 1.299 35.300
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localizzazione all’interno della quale doveva essere scelto il Comune di realizzazione
dell’impianto, in assenza di decisione entro tempi stabiliti dell’ente locale, prima del Comune
e poi della Regione, a sostituirsi a questi localizzando e autorizzandone d’imperio la
costruzione. La legge restringeva poi ulteriormente i tempi autorizzativi per nove impianti già
localizzati dal Cipe.
Successivamente, viene varata analoga legge per gli impianti nucleari (L.n. 393/75).
2.2.2 1973 – 1978: la grande crisi petrolifera ed il varo dei programmi di emergenza.
La guerra arabo-israeliana dello Yom Kippur provoca l’utilizzo del petrolio come arma
economica, da parte dei paesi arabi fornitori che ne riducono la produzione.
I rincari del greggio costringono i paesi consumatori al varo di programmi di emergenza
nell’ambito di una politica di “austerity” che consiste da un lato nella programmazione della
realizzazione di nuovi impianti nucleari ed idroelettrici a pompaggio puro, questi ultimi per
coprire il fabbisogno nelle ore di maggior consumo, dall’altro la limitazione della domanda
attraverso l’aumento dei prezzi di benzina e gasolio, la riduzione degli orari di apertura dei
negozi e la riduzione dell’illuminazione pubblica e del servizio televisivo.
L’aumento del prezzo del petrolio ebbe due conseguenze principali:
ξ rese conveniente la tecnologia nucleare, tanto che il primo Piano Energetico Nazionale
(PEN) del 1975 prevedeva un apporto di energia elettrica tramite questa fonte di 20.000
MW entro il 1985, ridotti a 12.000 MW dal secondo PEN dell’ottobre 1977;
ξ nel 1975, l’economia italiana entra in fase recessiva e la produzione di energia elettrica
registra un decremento dell’1,1% rispetto all’anno precedente per effetto della contrazione
della domanda del settore industriale.
2.2.3 1979 – 1985: da “nucleare e carbone” a “carbone e nucleare”.
Il 1979 è l’anno del nuovo shock petrolifero, causato dalla rivoluzione in Iran, seguita dalla
guerra tra Iran e Iraq del settembre del 1980.
Poiché i programmi di realizzazione degli impianti erano in ritardo, sempre nel 1979, l’ENEL
decide di investire in nuove centrali a carbone e trasformare tutte quelle esistenti, sempre a
carbone, laddove questo risulti possibile.
I programmi dell’ENEL del ’79 e le indicazione del PEN del 1981 subirono però modifiche
quantitative nel corso degli anni e comunque i programmi di costruzione presentavano anche
in questo caso ritardi: il PEN del 1985 stabiliva per esempio che la realizzazione dei 12.000
MW nucleari, slittata ormai di una decina d’anni, era da realizzarsi con cadenza annuale di
2.000 MW mentre i 16.000 MW a carbone, stabiliti nel ’79, diventavano 12.000 MW.
11
Nel 1981, mentre entra in funzione la centrale nucleare di Caorso e si iniziano i progetti per la
costruzione delle centrali nucleari di Montalto di Castro e Trino Vercellese 2, la produzione
elettrica italiana registra una flessione del 2,2%, causata da una riduzione dei consumi
domestici dello 0,5% e di quelli industriali del 3%. La flessione dei consumi di energia
elettrica è associata quindi ad una recessione economica “da petrolio” con una contrazione del
P.I.L. dello 0,2%, un tasso di inflazione del 18,7% e un forte deficit della bilancia dei
pagamenti.
Il 1984 è invece l’anno del riequilibrio del conto economico dell’ENEL, passato da 1.823
miliardi di lire di perdita a soli 1,5 miliardi di lire, grazie al Piano di risanamento della
situazione economico- finanaziaria, il quale prevedeva l’attribuzione all’ente di un Fondo di
dotazione, un aumento delle tariffe e del sovrapprezzo termico
5
, a fronte di un contenimento
dei costi di gestione e di un aumento di produttività.
2.2.4 1986 – 1990: dall’emergenza ambientale alla strategia policombustibile.
Del 1986 vanno segnalati tre eventi significativi:
– inizia il controshock petrolifero;
– in aprile, avviene l’incidente di Cernobil, centrale nucleare ucraina;
– l’ENEL chiude per la prima volta il bilancio in attivo con un utile di 14 miliardi di lire.
Sebbene la portata dei danni sociali ed ambientali, derivanti dall’incidente di Cernobil, sia da
subito evidente, il 26 giugno dello stesso anno, viene ordinato il primo reattore della centrale
nucleare di Trino, previsto dai PEN del 1977 e del 1981, salvo poi, a seguito dei referendum
del 1987 sulla denuclearizzazione, sospendere i lavori di Trino 2, chiudere la centrale di
Latina, verificare la sicurezza di Caorso e Trino 1 e la fattibilità di riconversione di Montalto
di Castro.
I programmi ENEL per il periodo 1988-92, confermati dal PEN del 1988, prendendo atto
della mutata situazione, si orientano sulla nuova tecnologia policombustibile, la quale
permette di utilizzare come fonte energetica produttiva, indifferentemente, sia carbone che
olio combustibile o gas naturale ed associata ad accorgimenti tecnici rende possibile la
riduzione dell’impatto ambientale, causato delle emissioni post-combustione.
L’importanza della nuova tecnologia va però ricercata nella possibilità che essa offre di
diversificare le fonti produttive e, di conseguenza, di diminuire la dipendenza nella fase di
approvvigionamento da aree geopolitiche instabili.
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I proventi derivanti dal sovrapprezzo termico, che è stato introdotto nel 1974 a seguito dello shock petrolifero
per compensare le variazioni del prezzo dell’olio combustibile, sono distribuiti, attraverso la Cassa Conguaglio,
ai produttori interessati per indennizzarli dei maggiori costi sostenuti nell’approvvigionamento.
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3 IL PROCESSO DI LIBERALIZZAZIONE E PRIVATIZZAZIONE (1990 – 2005).
3.1 Le normative “propedeutiche” alla liberalizzazione ed alla privatizzazione, in
sintesi, nel contesto storico.
La Direttiva 90/377/CEE
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sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di
energia elettrica e la Direttiva 90/547/CEE relativa al transito sulle grandi reti dell’elettricità
rappresentano il passo di avvio della liberalizzazione del mercato elettrico europeo.
Sul piano internazionale va ricordato che nel novembre del 1989 cade il muro di
Berlino,quindi termina la Guerra Fredda, mentre il dittatore iracheno Saddam Hussein invade
il Kuwait, reo- insieme agli Emirati Arabi Uniti- di aver fatto calare il prezzo del petrolio a
13$/barile per sovrapproduzione petrolifera. Il 1991 è l’anno del fallito colpo di stato di
Mosca, dello smembramento dell’armata rossa e della trasformazione dell’U.R.S.S. in C.S.I.
oltre che l’anno di inizio della Guerra del Golfo. Nonostante il fatto che le maggiori risorse di
petrolio e gas naturale, note, utilizzabili e non ancora sfruttate, si trovino in Medio Oriente e
nei territori dell’ex U.R.S.S., le conseguenze di tali eventi non furono così pesanti come in
passato, nonostante il rialzo del prezzo del petrolio che supererà i 40$ al barile, normale in
una situazione così instabile, poiché gli altri paesi produttori aumentarono le estrazioni e la
recessione in diverse aree industriali ne provocò la flessione della domanda.
Per quanto riguarda la politica energetica nazionale, il 1991 ed il 1992, furono gli anni della
svolta. Infatti, in un contesto internazionale ciclicamente instabile in cui l’essenzialità e le
criticità della copertura della domanda appaiono in tutta la loro evidenza, il Parlamento,
reputando fondamentale che una parte dell’offerta elettrica provenga da soggetti diversi
dall’ENEL, da avvio al riassetto del settore elettrico attraverso la L.n. 9/91, la L.n.10/91 ed il
successivo provvedimento attuativo CIP 6/92.
Con la L.n.9/91,
ξ da un lato, con l’art.22, si liberalizza totalmente la produzione di energia elettrica
mediante fonti rinnovabili ed assimilate, i cui impianti non sono più soggetti né alla
limitazione di potenza prevista dalla precedente L.n.308/82 né a particolari autorizzazioni
per la costruzione ed esercizio, se non quelle previste ai fini ambientali, di sicurezza ed
urbanistici, previa comunicazione obbligatoria al Ministero Industria Commercio
Artigianato, all’ENEL ed all’Ufficio Tecnico delle Imposte di Fabbricazione (UTIF)
territorialmente competente….
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La Direttiva 90/377/CEE prevedeva l’obbligo di comunicazione, all’Istituto Statistico delle Comunità Europee
(ISCE), dei dati relativi ai prezzi ed alle altre condizioni di vendita da parte delle imprese fornitrici di energia
elettrica.
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ξ dall’altro, con l’art.20, si liberalizza parzialmente la produzione di energia elettrica da
fonti convenzionali, stabilendo che i produttori terzi non sono più soggetti al precedente
vincolo di autoconsumo del 70%, che la nozione di autoconsumo ricomprende anche
gruppi industriali e non solo più singoli siti produttivi, che la produzione stessa può essere
esercitata anche allo scopo di cessione totale dell’energia all’ENEL.
Entrambe queste forme di liberalizzazione possono considerarsi però solo parziali dal
momento che alla liberalizzazione della produzione non è associata la liberalizzazione della
vendita, poiché viene confermato l’obbligo di cessione all’ENEL di tutta l’energia elettrica
prodotta o di quella in eccesso rispetto all’autoconsumo.
La L.n.10/91 ha il compito di finanziare l’intervento pubblico a sostegno delle iniziative per
l’uso razionale dell’energia e delle fonti rinnovabili, tematiche successivamente trattate - e
che assumeranno sempre maggior importanza, anche nel summit degli E7 (sette maggiori
imprese elettriche mondiali), tenutosi a Firenze nel maggio del 1993.
Il provvedimento CIP 6/92, in attuazione delle leggi precedentemente citate, definendo i
prezzi dell’energia elettrica relativi a cessione, produzione per conto ENEL, vettoriamento ed
i parametri relativi allo scambio, costituisce un modello di tariffazione elettrica, basato sui
concetti di “costo evitato” e di “beneficio sociale” delle fonti rinnovabili.
L’effetto di questo provvedimento, nato per incentivare l’energia elettrica prodotta o da fonti
rinnovabili o con impianti ad elevata efficienza termica, è stato però la trasformazione del
prezzo di acquisto “obbligatorio” pagato dall’ENEL (dato dalla somma del costo evitato, il
cui calcolo non è stabilito in modo trasparente, e della componente di incentivo) in
rilevantissimi sussidi, costosi per la finanza pubblica, a beneficio, paradossalmente,
soprattutto di produttori che hanno utilizzato fonti non rinnovabili, come il gas, in nuovi
impianti a ciclo combinato, quindi particolarmente efficienti nell’uso di energia.
Il 1992 è l’anno sia della firma del Trattato di Maastricht, il quale, fissando i termini per la
creazione di un’Unione Europea politica, economica e monetaria, stabilisce rigide condizioni
per uniformare le economie dei Paesi membri, sia delle prime instabilità balcaniche a seguito
di spinte indipendentiste e nazionaliste, che sfoceranno nella Guerra di Jugoslavia.
In Italia, il 1992, può essere considerato, dal punto di vista politico, economico, finanziario,
sociale ed istituzionale, un anno “orribile”. In particolare, ricordiamo il giorno 17 settembre,
data dell’uscita della lira dal Sistema Monetario Europeo (SME)
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e, contemporaneamente,
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Lo SME é un accordo internazionale di cambio fra le monete dei Paesi membri della Comunità, sancito da una
risoluzione del Consiglio Europeo, entrata in vigore il 13 marzo del 1979. Lo scopo di tale accordo era di rendere
l’Europa un’area di stabilità monetaria interna ed esterna, permettendo alle valute europee di superare la
crescente instabilità del dollaro, e di incoraggiare una maggiore cooperazione politica ed economica. Al centro