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di famiglia possono da un lato individuare precocemente l’insorgenza di problemi
di salute e garantirne la cura sin dal loro insorgere, dall’altro possono facilitare le
dimissioni precoci dei pazienti dalle altre strutture sanitarie (ospedali o luoghi di
convalescenza), reinserendo tempestivamente l’individuo nel proprio contesto
naturale: la propria dimora.
Il nucleo familiare torna ad essere il centro di raccordo dove, chi si occupa di
assistenza, è effettivamente in grado di gestire le situazioni tenendo conto degli
aspetti psicologici e sociali del singolo individuo, adattandosi a queste e non
pretendendo di applicare soluzioni prefissate per ogni tipo di paziente. “La
famiglia avrà un punto di riferimento infermieristico al pari di quello fino ad ora
rappresentato dal medico, il quale fino ad oggi, per far fronte a situazioni di
bisogno, si addentrava in competenze non sue” .
Ancora oggi manca una figura vicino alla famiglia che sappia accompagnarla in
delicati passaggi condizionati dai problemi di salute. E’ facile pensare a strutture
sanitarie che prescrivono i comportamenti più idonei allo stato di salute del
paziente, che però il soggetto non è in grado di adottare a domicilio perché il
contesto familiare non può o non sa soddisfare: succede così che alcune
prescrizioni non vengono attuate o che le strutture si assumono l’onere di attivare
perché non esiste una soluzione alternativa idonea.
Altrettanto evidente è la necessità di intervenire tempestivamente sugli stili di
vita e sui fattori comportamentali di rischio che presentano un impatto diretto e
indiretto sull’evolversi delle condizioni di salute di un individuo e della sua
famiglia. E’ dato di fatto, ad esempio, che la nostra società negli ultimi decenni
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abbia prodotto cambiamenti capaci di causare un forte impatto sulla salute
pubblica come:
− il continuo aumento della popolazione anziana;
− l’aumento delle malattie croniche e degenerative;
− la configurazione di una società multirazziale.
L’infermiere di famiglia è un professionista che opera in collaborazione con il
medico di medicina generale, la sua funzione primaria è quella di assicurare la
continuità assistenziale sia in ambito domiciliare, sia in quello ambulatoriale,
fornendo tutti i servizi di maggior richiesta degli utenti e diventando un punto di
riferimento per la comunità anche per quanto attiene l’informazione sanitaria, la
prevenzione, la promozione della salute e l’accesso ai sevizi che la Ausl mette a
disposizione dei cittadini.
Il punto focale, il vero valore aggiunto alla professionalità e alla competenza degli
infermieri di famiglia, sta nel rapporto che si instaura con le famiglie e con i
medici di base, agendo sulla loro possibilità di continuità assistenziale e cercando
di dar vita a un’azione educativa destinata a implementare le capacità di auto cura
e, quando necessario, di adattamento dei pazienti e della famiglia alla malattia
cronica e invadente.
Nel corso delle attività che competono agli infermieri di famiglia, assumono
rilevante importanza le frequenti occasioni di contatto con ampie porzioni di
popolazione: in questo modo vengono a crearsi i presupposti per una diffusione
capillare degli interventi. In secondo luogo, gli operatori hanno la possibilità di
interagire con vari organismi e gruppi locali (circoli sociali, parrocchie,
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associazioni di volontariato) che sono nello stesso tempo attori e “moltiplicatori”
dell’educazione sanitaria nel contesto della comunità.
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CAPITOLO I
L’INFERMIERE LIBERO PROFESSIONISTA
1.1 DEFINIZIONE:
Nell’ultimo decennio appena trascorso, il processo evolutivo dell’assistenza
infermieristica in Italia ha vissuto una forte accelerazione ed è stato sancito da
importanti tappe grazie alle quali la professione si è vista riconoscere uno
specifico ambito di autonomia, competenza e responsabilità.
In questa direzione, la formazione universitaria, il riconoscimento dell’autonomia
professionale e le possibilità di carriera in ambito clinico, formativo,
organizzativo e di ricerca, sono tutte espressioni di una ormai raggiunta maturità
tecnico – scientifica del sapere infermieristico.
L’infermiere, così come riconosciuto dal Profilo professionale (Decreto
Ministeriale 14 settembre 1994, n. 739), è il professionista sanitario responsabile
dell’assistenza generale infermieristica ed opera utilizzando una metodologia
scientifica e validata che prevede una pianificazione dell’assistenza per obiettivi.
A lui è affidata la responsabilità di individuare i bisogni di assistenza
infermieristica della persona e della comunità, di formulare obiettivi pertinenti e
realizzabili, di erogare interventi efficaci e di valutare il proprio operato
all’interno di un intervento interdisciplinare.
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Egli svolge la propria attività professionale in ambiti preventivi, curativi,
palliativi e riabilitativi in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e
nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero professionale.
Il Codice Deontologico, assieme al Profilo professionale dell’Infermiere, alla
Legge 26 febbraio 1999, n. 42 ed all’Ordinamento didattico, costituisce uno dei
pilastri su cui si basa l’esercizio nell’attuale contesto professionale e ribadisce
l’impegno morale dell’infermiere nei confronti della salute e del benessere della
persona assistita.
I luoghi di cura hanno assunto caratteristiche e specificità sempre più complesse e
in questi luoghi gli infermieri si prendono carico di persone in condizioni cliniche
diverse che richiedono capacità di pensare ed attuare strategie tecniche, relazionali
ed educative appropriate. Queste capacità sono insite nella natura dell’assistenza
infermieristica che si occupa delle persone sane e malate di ogni età, cultura,
condizione, le quali presentano modalità diverse di esprimere bisogni ed attese di
salute e di assistenza.
La formazione deve, quindi, preparare infermieri competenti, in grado di
assumersi piena responsabilità della qualità dei servizi forniti e di prendere
decisioni adeguate e diversificate per ogni cittadino, personalizzando l’assistenza
infermieristica erogata. Solo in tale modo è possibile raggiungere uno degli
obiettivi fondamentali che caratterizza l’infermieristica: favorire la centralità della
persona assistita rendendola protagonista del processo di cura.
L’infermiere libero professionista nel nostro paese ha una storia che si può far
iniziare nei primi anni ottanta, quando i collegi IPASVI cominciarono ad occuparsi
degli aspetti normativi, fiscali e contributivi che consentivano all’infermiere di
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poter esercitare la libera professione in un ambito dai confini ancora sfumati e a
volte contraddittori. Da quegli anni ad oggi il quadro lavorativo e normativo per
tutti gli infermieri italiani, non solo per i liberi professionisti, è cambiato
radicalmente: le due novità più importanti sono l’abolizione del mansionario e
l’approdo alla formazione universitaria.
L’infermieristica italiana è in evoluzione costante e il libero professionista, che
per sua stessa natura lavora da solo o con pochi colleghi, senza una struttura alle
spalle che possa tutelarlo e guidarlo, ha bisogno di avere dei punti di riferimento
ben definiti, che possano dirigerlo nell’esercizio del suo mandato professionale.
Obiettivo di questo capitolo è quello di chiarire i processi che hanno generato
l’attuale contesto socioeconomico e di considerare le norme più importanti che
hanno segnato l’ambito professionale degli infermieri del nostro paese.
La libera professione oggi
I liberi professionisti italiani sono notevolmente aumentati di numero negli ultimi
anni: oggi sono circa 9200 e lavorano in molti campi.
Le ragioni di questo aumento sono molteplici e proveremo ad elencarne alcune.
L’infermiere libero professionista è diventato una necessità insostituibile
nell’attuale contesto socioeconomico. La sanità italiana risente della contrazione
economica mondiale e deve fare i conti con disponibilità finanziarie minori
rispetto al passato. Di conseguenza sta cominciando a subire tagli consistenti nei
finanziamenti. I due effetti più immediati per le aziende sanitarie sono la
riduzione dell’offerta dei servizi da una parte e dall’altra la riduzione delle spese,
con quella del personale fra le prime.
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Per quanto riguarda il primo punto, la riduzione dell’offerta dei servizi, si sta
assistendo alla diminuzione progressiva delle attività non destinate ai pazienti
acuti e all’esternalizzazione (o outsourcing, termini che significano l’acquisto di
prestazioni fornite da erogatori esterni) di servizi gestiti prima all’interno degli
ospedali, come l’assistenza domiciliare.
Di conseguenza, la domanda di assistenza infermieristica espressa dal territorio,
dalle case di riposo e dalle strutture di lungodegenza è in rapido aumento: questa
domanda è sempre più soddisfatta da erogatori privati che ricorrono soprattutto al
lavoro di infermieri liberi professionisti; è proprio in questi ambiti, inoltre, che
esiste una tradizione consolidata di ricorso al lavoro infermieristico non in regime
di dipendenza.
Per il secondo punto, quello della riduzione delle spese di personale, si può
affermare che anche per le aziende sanitarie è ormai diventato abituale ricorrere a
professionisti non dipendenti, che si possono impiegare secondo le necessità; in
questo modo è possibile mettere in atto la flessibilità organizzativa che un’azienda
sanitaria deve possedere per la sua stessa sopravvivenza: la sua dotazione di
personale in organico deve essere la più efficiente possibile.
Nelle grandi aziende ospedaliere pubbliche non è infrequente assistere al blocco
delle assunzioni; non possono più essere tollerati sprechi e tutto il personale deve
essere in grado di coprire più posizioni organizzative. Per questi motivi il ricorso a
infermieri in regime libero professionale è quasi una necessità obbligata anche per
le aziende ospedaliere: il libero professionista può essere chiamato solo nei
momenti di bisogno e inoltre alcuni servizi possono essere appaltati all’esterno,
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con costi gestionali sensibilmente inferiori per l’azienda; si moltiplicano quindi le
opportunità per gli infermieri che possono ottenere, per esempio, appalti di servizi
pubblici che possono soddisfare sia in forma singola sia in forma associata
Proprio per l’importanza che sta via via assumendo la libera professione, si sono
elaborati strumenti normativi sempre più specifici (la pubblicità sanitaria, la cassa
di previdenza ecc. Gli obiettivi di queste norme sono quelli di disciplinare un
settore in rapida espansione e di tutelare e garantire il lavoro libero-professionale.
Affronteremo ora quattro aspetti fondamentali:
• il ruolo sociale dell’infermiere libero professionista,
• la responsabilità del proprio operato;
• le modalità operative specifiche;
• le più importanti indicazioni normative.
Ruolo sociale dell’infermiere libero professionista
Forse l’infermiere non ha ancora un’immagine professionale che non sia quella
ospedaliera, però in alcuni settori (pensiamo all’assistenza domiciliare) si può
affermare che l’infermiere che lavora “per conto suo” comincia a godere di una
certa considerazione. Nella popolazione si sta diffondendo l’idea che per alcune
attività l’infermiere è indispensabile: nessuno penserebbe di affidare a persone
non qualificate la manutenzione a domicilio di un dispositivo d’infusione continua
o le medicazioni di lesioni da decubito effettuate sempre a domicilio.
Siamo però ancora lontani da una vera considerazione sociale dell’infermiere
libero professionista. Per una serie di motivi, fra i quali i più importanti
potrebbero essere individuati nella carenza di momenti formativi (che potrebbero
incominciare dalla formazione di base e proseguire anche nella formazione
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specialistica) e nella difficoltà di concordare il proprio operato con la normativa
fiscale e previdenziale in costante e radicale mutamento, l’infermiere libero
professionista è ancora lontano dall’aver raggiunto un’identità e una coscienza
consolidate: mancano ancora capacità di gestione autonoma del proprio lavoro,
capacità imprenditoriali e capacità decisionali tali da portare gli infermieri ai
livelli più alti nella gestione dei soggetti che erogano servizi alla persona.
Esistono sicuramente degli infermieri che possiedono già adesso queste capacità,
ma la grande maggioranza degli infermieri liberi professionisti ha bisogno ancora
di un supporto per sviluppare le proprie doti professionali.
D’altra parte è necessario tenere conto che l’utenza con la quale i liberi
professionisti si trovano ad operare è sempre più informata e consapevole dei
propri diritti; la diffusione delle conoscenze sanitarie tra la popolazione di ogni
livello sociale e culturale è sempre maggiore. Se a ciò aggiungiamo che fra gli
utenti dei servizi sanitari è sempre più diffusa la consapevolezza di essere delle
persone che pagano un certo servizio (direttamente o meno), ci si rende conto che
possono mutare i rapporti di forza che l’infermiere è tradizionalmente abituato a
gestire in ospedale. In un rapporto libero-professionale, è chiarissimo che è il
cliente che ha chiesto un dato servizio ed è lui che lo paga (direttamente o no): il
suo parere ha molto più peso, rispetto a quello di un paziente ospedaliero, nella
decisione sui tempi e sulle modalità di erogazione di quel servizio. Questo tipo di
interlocutore (informato, cosciente, capace di scegliere) ha inevitabilmente delle
aspettative nei confronti di tutti gli operatori con i quali ha rapporti.
L’infermiere libero professionista non può quindi pensare di erogare un servizio
che non corrisponda ai più alti livelli qualitativi.
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Per dare la miglior immagine di sé è fondamentale aver un buon modello di
riferimento: l’aver avuto dei buoni maestri, l’aver compreso i loro insegnamenti, il
conoscere il pensiero dei teorici dell’assistenza infermieristica e l’avere elaborato
un proprio modello di comportamento, che possa guidare le molteplici scelte da
compiere, daranno la cornice nella quale porre la propria immagine.
A questo proposito, si può pensare di analizzare le caratteristiche specifiche del
lavoro in regime di libera professione per cercare di trasmetterle nelle sedi
formative che si riterranno più adatte. Gli insegnamenti potrebbero trovare una
collocazione nel corso di laurea di base o in corsi specifici di formazione alla
libera professione, da programmare dopo il conseguimento della laurea di base
Responsabilità del proprio operato
L’infermiere libero professionista in genere assiste una persona per volta, quindi è
l’unica figura sanitaria presente in quel momento: questo incontro finisce
inevitabilmente per rappresentare per il cliente l’occasione per risolvere tutti i
problemi che lo assillano (della natura più varia, da quelli fisici a quelli sociali,
passando per quelli psicologici). L’infermiere che voglia impegnarsi nel migliore
dei modi in un rapporto libero-professionale deve mettere in atto un’assistenza
“personalizzata”, proprio perché è lo stesso tipo di rapporto che lo richiede: le
variabili in gioco sono talmente tante (le caratteristiche del luogo di lavoro o di
abitazione del cliente, il tipo di rapporto lavorativo instaurato, il tipo di patologia
predominante, le caratteristiche del personale di supporto, il tipo di professionista
da coinvolgere in un rapporto di collaborazione ecc.) che ogni situazione fa storia
a sé. Il punto più attraente per gli infermieri ospedalieri che decidono di
intraprendere la libera professione è la libertà d’azione concessa da un rapporto
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lavorativo con pochissimi interlocutori che, nella maggior parte dei casi, sono solo
tre: il cliente, l’infermiere e il medico.
La sensazione prevalente negli infermieri liberi professionisti è quella di mettere
alla prova le proprie capacità, più di quanto si possa fare in ospedale: in un gruppo
così ampio ed eterogeneo come quello degli infermieri di un’unità operativa le
capacità del singolo possono risultare sicuramente più difficili da riconoscere da
parte dei dirigenti del gruppo stesso.
L’infermiere libero professionista, anche se si troverà per forza a lavorare con altri
professionisti, con medici, con psicologi, con terapisti della riabilitazione, con
altri colleghi, proprio per le caratteristiche del rapporto di lavoro non dipendente
sarà sempre tenuto a rispondere di persona del proprio operato di volta in volta al
cliente, ai colleghi, al medico, ecc.
Il libero professionista è, per forza di cose, una persona che deve assumersi la
responsabilità di quello che fa.
Per assunzione di responsabilità si intende:
• essere chiamati a rispondere a un’autorità;
• mantenere un comportamento congruo e corretto nella risposta ai bisogni
dell’assistito, nel rispetto dei principi scientifici dell’attività, dei valori etici e
delle norme di riferimento (penali, civili, amministrative).
In ospedale la responsabilità degli atti compiuti dagli infermieri è diluita fra molte
persone ed individuare il responsabile di un singolo atto è sempre molto difficile.
In un rapporto libero-professionale non si può sfuggire invece all’imputazione
diretta della responsabilità per ogni atto compiuto. Qui è molto importante
considerare anche le implicazioni derivanti dall’applicazione della legge 42/99
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(abrogazione del mansionario): l’infermiere libero professionista deve essere ben
conscio della propria sfera di responsabilità e degli ambiti propri dell’esercizio
professionale.
È evidente che con l’abrogazione del mansionario il campo delle attività
dell’infermiere, e quindi delle responsabilità di queste attività, è diventato
certamente più ampio, meno delimitato e, di conseguenza, più problematico.
Di fronte a una nuova pratica o a un nuovo compito (nuovi per quell’infermiere)
un infermiere responsabile dovrebbe chiedersi:
“per la mia formazione, quello che mi si chiede di fare mi è stato insegnato? per la
mia competenza e la mia esperienza, sono preparato per farlo? Ho bisogno ancora
di addestramento? C’è qualcuno che lo sa fare meglio di me e dal quale posso
imparare? Se lo so fare, sono in completa sicurezza nel caso di imprevisti? per
quanto riguarda le competenze di altre professioni, quello che devo fare non è di
competenza di nessun altro? Se lo faccio cosa migliora nel mio rapporto con
l’utente? La mia attività migliora il mio piano assistenziale per quell’utente?”.
È utile ricordare a questo proposito, in caso che le risposte a queste domande non
siano certe, che l’infermiere è tenuto, secondo l’articolo 3.3 del Codice
Deontologico dell’infermiere (Testo approvato dal Comitato Centrale della
Federazione Nazionale dei collegi IPASVI, 1999), a riconoscere i limiti delle
proprie conoscenze e competenze; dev’essere poi in grado di declinare le
responsabilità se ritiene di non poter agire in sicurezza. Ha il diritto e il dovere di
chiedere formazione e supervisione per pratiche nuove o per le quali non ha
esperienza. Anche i rischi legati alla responsabilità civile sono senz’altro maggiori
in regime libero-professionale che in regime di dipendenza.