Dopo aver esaminato le fonti normative che, a livello comunitario,
regolano il diritto oggetto del mio lavoro, la mia attenzione si è quindi
rivolta prima di tutto verso l'analisi dell'ambito di applicazione
personale (ambito di applicazione "ratione personae") e territoriale
(ambito di applicazione "ratione loci") della normativa in esame. Poi,
mi sono concentrato su quello che costituisce il corpo centrale della
mia ricerca, ovvero il campo di applicazione materiale (ambito di
applicazione "ratione materiae") delle norme sulla libera circolazione
dei lavoratori: ho cercato cioè di illustrare quali sono i diritti che
spettano ad un lavoratore cittadino di un Paese membro dell'Unione
Europea che si trasferisce in un altro Stato membro al fine di svolgere
una determinata attività subordinata. E questo sia dal punto di vista
della mobilità territoriale (del diritto, cioè, spettante al lavoratore di
muoversi liberamente, senza restrizioni di sorta, da un Paese all'altro
della Comunità Europea) sia da quello della mobilità professionale
(del diritto, cioè, di godere dello stesso trattamento dei lavoratori
nazionali nell'accesso al lavoro e nello svolgimento di un'attività).
Infine, ho descritto le deroghe che lo stesso diritto comunitario
prevede. Un primo gruppo, determinato da motivi di ordine pubblico,
pubblica sicurezza e sanità pubblica, mira, in determinati casi, a
limitare i diritti di mobilità territoriale riconosciuti ai lavoratori. Un
secondo gruppo, invece, costituisce un'eccezione al principio della
parità di trattamento fra i lavoratori comunitari relativamente agli
impieghi subordinati che possono essere svolti all'interno delle
cosiddette pubbliche amministrazioni.
Tengo inoltre a ricordare che nella scelta dell'oggetto della mia ricerca
e nel suo sviluppo ha influito senza dubbio anche il periodo di studi
svolto in qualità di studente Erasmus presso l'Università belga di Liegi
nella quale ho passato un semestre nell'Anno Accademico 1997-1998.
Questa esperienza mi ha permesso di toccare con mano le
problematiche di chi si trasferisce all'interno dell'Unione Europea e mi
ha dato la possibilità di consultare molti lavori di autori stranieri (pur
essendosi il mio lavoro per gran parte basato su opere dottrinarie di
autori italiani) oltre a testi provenienti direttamente dalle sedi belghe
dell'Unione Europea stessa, che mi hanno consentito di avere una
visione realmente "europea" delle questioni da me trattate.
ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI UTILIZZATE NEL TESTO
CDE……………………………………………….Cahiers de Droit Européen
CMLR………………………………………..Common Market Law Review
DCSI…………………………...……Il Diritto Comunitario e degli Scambi
Internazionali
DS………………………………………………………………...…Droit Social
ES…………………………………………………………..……Europa Sociale
DUE………………………………………..…Il Diritto dell'Unione Europea
ELR…………………………………………………....European Law Review
FI……………………………………………………………...…Il Foro Italiano
GC……………………………………………Giurisprudenza Costituzionale
GUCE………………………..Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee
L80……………………………………………………………...……..Lavoro 80
Racc.……………………...…Raccolta della giurisprudenza della Corte di
Giustizia e del Tribunale di primo grado
delle Comunità Europee
RDE ……………………………………………….Rivista di Diritto Europeo
RIDL ……………………………...….Rivista Italiana di Diritto del Lavoro
RIDPC………………….Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario
RMCUE……………………...…Revue du Marché commun et de l'Union
Europénne
RMUE……………………………….Revue du Maerché Unique Européen
RTDE…………………………...…Revue Trimestrielle de Droit Européen
RTDP………………………………Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico
Trattato CECA………….Trattato istitutivo della Comunità Europea del
carbone e dell'acciaio
Trattato CE………………..….Trattato istitutivo della Comunità Europea
Trattato CEEA……………….Trattato istitutivo della Comunità Europea
dell'energia atomica
CAPITOLO PRIMO. ASPETTI GENERALI
§1 La libera circolazione dei lavoratori come libera circolazione
delle persone
Il diritto alla libera circolazione dei lavoratori, sancito dal Trattato di
Roma, conferisce a tutti i cittadini europei il diritto di recarsi sul
territorio di un altro Stato membro per lavorare o per cercare un
lavoro, al fine di aprire i mercati del lavoro d’Europa a tutti i
lavoratori dell’Unione Europea, contribuendo così all’obiettivo
generale di pace e prosperità dell’Unione stessa e completando lo
sviluppo del mercato unico delle merci, dei servizi e dei capitali
1
.
La mobilità della manodopera si configura quindi come una delle
condizioni essenziali per la instaurazione del mercato comune europeo
e dev’essere tuttora considerata come un elemento indispensabile al
funzionamento di un’entità sopranazionale volta all’instaurazione di
una collaborazione sempre più stretta fra gli Stati membri e al
miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini europei
2
.
La libera circolazione dei lavoratori costituisce, nel diritto
comunitario, una nozione base che è opportuno precisare in relazione
1
Comunicazione della Commissione 12 novembre 1997 Com(97) 586, p. 5.
2
Vedi José Luis Goñi Sein, Libertà di circolazione e divieto di discriminazione , in Grau,
Caruso, D’Antona, Sciarra (a cura di) Dizionario di diritto del lavoro comunitario,
Bologna, 1996, p. 367.
al diritto alla libera circolazione delle persone, non essendo la prima
che un aspetto, una manifestazione concreta della seconda.
Il titolo III della Parte Terza del Trattato di Roma (mi riferisco in
particolare gli articoli da 39 a 55 che costituiscono i primi tre capi di
detto titolo e che trattano della manodopera salariata, della libertà di
stabilimento e della prestazione di servizi nei Paesi membri) ha per
intestazione "La libera circolazione delle persone, dei servizi e dei
capitali".
L'espressione "libera circolazione delle persone" è in ogni caso
abbastanza vaga, e merita di essere precisata.A prima vista, infatti,
potrebbe far pensare che ogni cittadino di ogni Paese membro
dell'Unione abbia il diritto di circolare liberamente sul territorio
comunitario. Ma una lettura più approfondita di questa parte del
Trattato rivela come, in realtà, non sia considerata che una particolare
categoria di soggetti: i lavoratori. Infatti la natura eminentemente
economica dei fini in funzione dei quali queste libertà sono enunciate,
implica che questo diritto venga innanzitutto rapportato a quegli
individui che intendano esercitare sul territorio di un altro Stato
membro un’attività di tipo lavorativo o comunque economicamente
valutabile.
La Corte di Giustizia Europea ha da tempo riconosciuto nella sua
giurisprudenza questo legame: nella sentenza Watson
3
la Corte ha
statuito che le disposizioni relative alla libertà di circolazione delle
persone mettono in opera un principio fondamentale in base al quale
l’azione della Comunità dev'essere tesa all'abolizione, fra gli Stati
membri, degli ostacoli che possano rendere difficoltoso o impossibile
3
Sentenza 7 luglio 1976, causa 118/75, in Racc., 1976, p. 1185. Più recentemente, nello
stesso senso sentenza 7 luglio 1992, causa C-370/90, Singh , in Racc., 1992, p. I-4265.
l’esercizio di questo diritto. Questo legame fra la libera circolazione
delle persone e le basi di natura economica che stanno a fondamento
della Comunità, provoca determinate conseguenze sul piano giuridico-
costituzionale
4
.
In primo luogo, suppone la sua irreversibilità nel processo di
costruzione europea. Il contenuto di queste libertà costituisce un punto
dal quale è impossibile retrocedere, a meno che non si producano
gravi fratture nel complesso dell'organizzazione comunitaria.
In secondo luogo, se ci riferiamo alla Comunità come organizzazione
politica, questo implica una funzionalizzazione concreta di tutti i suoi
mezzi e risorse alle libertà di circolazione. Infatti, il complesso
giuridico-istituzionale realizzato con il Trattato di Roma si pone come
finalità fondamentale per il raggiungimento dell'obiettivo di
integrazione europea la promozione, il pieno sviluppo e l'affermazione
delle libertà di circolazione, tenendo sempre ben presente l'obiettivo
della costituzione del mercato interno.
Ma come raggiungere questi obiettivi? Essenzialmente, in due modi:
da un lato, cercando di rimuovere gli ostacoli con l’adozione di
adeguate misure legislative; dall’altro punendo i Paesi membri della
Comunità che le trasgrediscono.
Tocca perciò proprio agli Stati membri di operare in questo senso,
astenendosi dall'introdurre nuove restrizioni e incorporando negli
ordinamenti interni le norme comunitarie adottate al fine di facilitare
la libera circolazione e rispettando l’interpretazione di queste operata
dalla Corte di Giustizia, che si configura come il vero garante della
4
Vedi F.Marcos e M.Garrote, Excursus concettuale sulla definizione di funzione pubblica
nel diritto comunitario, in RIDPC, 1997, p.1137 e seguenti.
natura del trattato e della indisponibilità del suo contenuto da parte
degli Stati membri
5
e che nella sua giurisprudenza, come cercherò di
illustrare nel seguito della mia ricerca, ha sempre interpretato in modo
estensivo le norme del Trattato, allargando questa libertà anche a
soggetti non espressamente menzionati dallo stesso.
Da parte loro, le istituzioni comunitarie, oltre ad aver introdotto quegli
strumenti legislativi necessari per la realizzazione delle previsioni
degli articoli 39 e seguenti del Trattato e che hanno permesso ai
lavoratori comunitari migranti di godere di diritti e vantaggi tali da
porli sullo stesso piano della manodopera del paese nel quale si sono
trasferiti, hanno provveduto negli ultimi anni ad inserire nella
legislazione comunitaria
6
delle norme che hanno molto ampliato il
diritto alla libera circolazione estendendolo anche a quelle categorie
di cittadini che non ne fossero altrimenti titolari, ivi compresi quelli
economicamente non attivi.
Del resto, il diritto alla libera circolazione spetta ormai anche a
soggetti che non sono cittadini di Paesi membri dell'Unione Europea.
L'accordo del 25 maggio 1992, entrato in vigore dal 1 gennaio 1994,
relativo allo Spazio Economico Europeo (SEE), ha esteso ai Paesi
aderenti all'Associazione Europea di Libero Scambio (AELE, nota
anche con la sigla EFTA) i risultati acquisiti in ambito comunitario in
termini di liberalizzazione e integrazione dei mercati, fra cui anche
quelli relativi alla libera circolazione delle persone
7
. La conclusione di
5
In questo senso F. Marcos e M. Garrote, op. cit., p.1138.
6
Vedi il secondo capitolo della mia ricerca.
7
A seguito dell'ingresso nell'Unione Europea di Austria, Svezia e Finlandia, l'accordo in
questione concerne oggi, oltre ai Paesi comunitari, solo l'Islanda, la Norvegia e il
Liechtenstein.
accordi bilaterali ha poi permesso di estendere l'ambito di
applicazione della libera circolazione delle persone anche a cittadini
di alcuni paesi extraeuropei
8
.
Si deve inoltre ricordare che il 14 giugno 1985 i paesi del Benelux, la
Francia e la Germania hanno firmato presso Schengen un Accordo
(conosciuto con il nome della stessa cittadina) relativo alla
soppressione dei controlli alle frontiere comuni da realizzarsi, "se
possibile", entro l'inizio del 1990. Il 16 giugno del 1990, poi, i cinque
Paesi in oggetto hanno concluso la Convenzione di applicazione di
detto Accordo, convenzione che consacra il principio della
soppressione dei controlli alle frontiere interne per chiunque e il
relativo coordinamento ed inasprimento dei controlli stessi alle
frontiere esterne della comunità ed elenca le misure da adottarsi a
questo scopo. La stessa Convenzione conteneva, nel suo atto finale,
una dichiarazione degli Stati firmatari secondo la quale l'Accordo
sarebbe stato applicato solo qualora le condizioni preliminari
necessarie alla sua messa in opera fossero tutte soddisfatte e i
controlli alle frontiere esterne dell'Unione effettivi ed efficaci. Al
giorno d'oggi, tutti gli Stati firmatari dell'Accordo nel 1985 e quelli
che vi hanno aderito in seguito (Italia, Spagna, Portogallo, Austria e
Grecia) hanno raggiunto (ad eccezione della Repubblica Ellenica) le
condizioni suddette e fanno dunque parte dello "spazio Schengen",
all'interno del quale tutti i controlli sulle persone alle frontiere fra i
Paesi membri sono stati soppressi. Questo Accordo ha il merito di
aver realizzato gli obiettivi indicati dalle norme del Trattato Istitutivo
8
Vedi ad esempio in questo senso l'accordo fra CEE e Turchia.
della Comunità Europea
9
anche se il metodo con cui è stato raggiunto
può lasciare qualche perplessità. Lo strumento utilizzato è stato infatti
il metodo intergovernamentale, cioè si è arrivati ad un accordo fra i
governi dei vari paesi al di fuori del quadro comunitario, cosa che
costituisce la negazione dello spirito dell'Unione. Tuttavia, il Trattato
di Amsterdam (siglato il 2 ottobre 1997 ed entrato recentemente in
vigore) ha provveduto ad incorporare l'atto in questione nell'ordine
giuridico comunitario, attraverso un Protocollo annesso al detto
Trattato: l'"acquis Schengen" è quindi ormai parte integrante del
diritto comunitario
10
.
Non é quindi infondato ipotizzare che il combinato disposto di questo
Accordo con i principi del Trattato CE, possa giustificare una effettiva
realizzazione della mobilità territoriale di tutti quei soggetti, che non
siano lavoratori subordinati, la cui possibilità di movimento è tuttora
limitata dalle norme comunitarie primarie e di diritto derivato.
9
Così A Mattera, Citoyenneté européenne, droit de circulation et de séjour, applicabilité
directe de l'article 8A du traité CE, in RMUE, 3/1998, p.5 e seguenti.
10
S. van Raepenbusch , Le traitè d’Amsterdam , in Notes du cours de droit institutionnel
europeen , Universitè de Liege, année academique 1997-98.
§2 La libera circolazione dei lavoratori e la politica sociale
dell'Unione Europea
Dopo aver fissato i confini della libera circolazione dei lavoratori
subordinati rispetto alla tematica generale della libera circolazione
delle persone, mi sembra interessante continuare questo capitolo di
presentazione della materia da me trattata con l'analisi dei legami che
sussistono fra la libera circolazione dei lavoratori e la politica sociale
intrapresa dall'Unione Europea a tutela dei lavoratori stessi, dal
momento che lo studio della problematica da me affrontata non può
prescindere da un esame generale del cosiddetto diritto sociale
europeo.
Dunque, gli autori del Trattato di Roma hanno attribuito alla
Comunità Europea il compito di promuovere, mediante l'instaurazione
di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche
degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche
all'interno della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una
stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di
vita e più strette relazioni fra gli Stati che ne fanno parte
11
. Questo
obiettivo globale doveva essere raggiunto attraverso la libera
circolazione dei beni, dei servizi, dei capitali e, appunto, delle
persone, accompagnate da una politica di concorrenza destinata a
promuovere un comportamento competitivo da parte delle imprese e a
proteggere gli interessi dei consumatori. Ma la creazione di un grande
mercato deve essere accompagnata da politiche strutturali, condotte e
finanziate nel contesto comunitario. E' risultata quindi da subito chiara
11
Confronta in questo senso l'articolo 2 del Trattato CE.
la necessità di una coesione sociale comunitaria, che ha trovato
espressione nell'attuazione di una politica sociale le cui dimensioni
sono divenute sempre più rilevanti nel corso del tempo
12
: le norme in
materia hanno dunque lo scopo di superare il criterio della territorialità
cui si rifanno gli ordinamenti nazionali, assumendo quale criterio
generale il posto di lavoro e non la residenza, evitando quindi
qualsiasi possibilità di discriminazione fondata sulla cittadinanza.
Già i Trattati istitutivi delle Comunità Europee contenevano i primi
elementi di una politica sociale comune, ma definivano un ordine
sociale comunitario assai incompleto. Esso prevedeva soltanto,
accanto al principio della libera circolazione dei lavoratori all'interno
della Comunità, alcune disposizioni sull'uguaglianza di trattamento fra
gli uomini e le donne, sulla sicurezza sociale dei lavoratori migranti,
sulla formazione professionale e sulla creazione di un Fondo Sociale
Europeo, avente lo scopo di aumentare le possibilità di impiego e di
mobilità geografica e professionale dei lavoratori sul territorio della
Comunità, contribuendo così al miglioramento del tenore di vita.
In seguito, gli Stati membri si sono resi conto che a livello
comunitario l'interesse per la politica sociale doveva essere messo
sullo stesso piano di quello per la politica economica piuttosto che
monetaria o industriale. Ma si è dovuto attendere fino al 1987 perché,
nel quadro dell'Atto Unico Europeo, la Comunità Europea ricevesse
delle adeguate competenze nel campo sociale
13
che le hanno permesso
12
Così P. Fontaine, Dix leçons sur l'Europe, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle
Comunità Europee, Serie: Documentazione europea, Luxembourg, 1998, p. 21 e seguenti.
13
Vedi articolo 138 del Trattato CE.
di continuare a progredire sulla via di una politica sociale europea di
coesione
14
.
A questo proposito si può quindi parlare di dimensione sociale del
mercato interno, poiché non si tratta più solo di consolidare la crescita
economica e di migliorare la competitività europea ma anche di
giungere ad una ripartizione più equa dei vantaggi che derivano dal
mercato interno stesso.
Ma quali sono quindi le competenze dell'Unione in campo sociale?
Il Trattato di Maastricht le considerava agli articoli 117-122 (136-145
nella versione consolidata risultante a seguito del Trattato di
Amsterdam). L'articolo 117 (oggi 136) prevedeva che "gli Stati
membri convengono sulla necessità di promuovere il miglioramento
delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera, che consenta la
loro parificazione nel progresso". Questa era una norma avente, come
confermato dalla Corte di Giustizia
15
, contenuto puramente
programmatico: non prevede appositi strumenti di azione, facendo
salve le "procedure previste dal presente Trattato" e riferendosi al
"ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative" dei Paesi membri. L'articolo 118 (oggi 137) poi, si
riferiva alla Commissione, incaricata di "promuovere una stretta
collaborazione fra gli Stati membri nel campo sociale, mediante studi
e pareri ed organizzando consultazioni". Venivano indicate, fra le
altre, le materie del diritto al lavoro, delle condizioni sul luogo di
lavoro, della formazione e del perfezionamento professionale.
Interessante era anche l'articolo 118A (oggi 138), che riguarda
14
K. D. Borchardt, L'unification européenne, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle
Comunità Europee, Serie: Documentazione europea, Luxembourg, 1995, p. 64 e seguenti.
specificamente la promozione "del miglioramento dell'ambiente di
lavoro, per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori". Del resto, il
terzo comma del medesimo articolo statuisce che "le disposizioni
prese in virtù del presente articolo non ostano a che ciascuno Stato
membro mantenga o stabilisca misure compatibili con il presente
Trattato per una maggiore protezione delle condizioni di lavoro".
Bisogna ricordare che nell'ambito della materia in esame era stata
precedentemente adottata, a seguito del Consiglio europeo di
Strasburgo del dicembre 1989 e senza l'assenso dei rappresentanti del
Regno Unito, una Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei
lavoratori che è espressione di una concezione europea della società,
del dialogo sociale e dei diritti di ogni cittadino della Comunità.
Questo documento non conteneva che degli obiettivi e dei principi
programmatici che avrebbero dovuto essere trasposti concretamente in
un programma d'azione della Commissione. Tuttavia, alla conferenza
intergovernativa che ha condotto alla firma del Trattato sull'Unione
Europea è stato ancora una volta impossibile ottenere l'assenso del
Regno Unito all'introduzione delle disposizioni della Carta fra le
disposizioni del Trattato relative alla politica sociale. Per evitare che
fosse impedito qualunque progresso in questa materia gli altri undici
Stati membri decisero di proseguire per loro conto lungo la via
tracciata e conclusero tra loro un Accordo sulla politica sociale,
allegandolo, tramite un protocollo, al Trattato sull'Unione Europea.
Nel protocollo, gli undici Stati firmatari venivano autorizzati "a far
ricorso alle istituzioni, alle procedure e ai meccanismi del trattato, allo
scopo do prendere tra loro ed applicare per quanto li riguarda, gli atti e
15
Sentenza 17 marzo 1993, cause riunite C-72/91 e C-73/91, Sloman Neptun Schiffart, in
Racc., 1993, p.I-887.
le decisioni necessarie per rendere effettivo il suddetto accordo",
specificando inoltre che tali atti "non sono applicabili al Regno
Unito". L'Accordo ha avuto il merito di definire i diritti di cui
dovrebbe beneficiare, in tutta la Comunità, il mondo del lavoro: fra gli
altri libertà di circolazione, equa retribuzione, miglioramento delle
condizioni di lavoro, protezione sociale, formazione professionale.
Come si vede, queste disposizioni non differiscono molto da quelle
degli articoli 117 e seguenti del Trattato di Maastricht, anche se gli
obiettivi da perseguire sono definiti con maggiore ampiezza. Le
differenze consistono soprattutto nell'allargamento dei poteri del
Consiglio nella procedura di assunzione delle misure ritenute
necessarie rispetto a quanto previsto dal vecchio articolo 118 del
Trattato CE e nella possibilità offerta agli Stati membri di affidare alle
"parti sociali" l'attuazione delle eventuali normative comunitarie
16
adottate in materia. Il Trattato di Amsterdam ha però introdotto delle
interessanti novità in materia
17
: a seguito del cambiamento di
posizione britannico l'Accordo è stato inserito nel Trattato ed è quindi
divenuto applicabile in tutti e quindici gli Stati membri.
Si può quindi vedere come l'azione della Comunità tende sempre più a
rendere effettivamente possibili nella realtà i diritti riconosciuti nel
Trattato e nella normativa derivata.
A questo proposito vanno ricordate le disposizioni relative al Fondo
Sociale Europeo (articoli 146, 147 e 148) e all'istruzione e alla
formazione professionale (articoli 149 e 150 del Trattato CE) .
16
Confronta ad esempio la direttiva 94/45/CE del 22 settembre 1994 (in GUCE 1994, L
254, p.64) o la direttiva 96/34/CE del 3 giugno 1996 (in GUCE 1996, L 145, p.4).
17
Vedi Y. Chassard, La construction européenne et la protection sociale à la veille de
l'élargissement de l'Union, in DS, Mars 1999, p.268.