8
do temporaneo, senza doversi stabilire, alle stesse condizioni imposte ai cittadini dello stato
ospitante.
La ragione di una disciplina giuridica differenziata dei due istituti è giustificata dalla diversa
posizione che il soggetto prestatore di servizi e il soggetto stabilito e hanno nei confronti dello
stato membro ospitante: mentre il primo conserva il legame naturale con il proprio paese di
provenienza, il secondo partecipa, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di
uno stato diverso da quello di origine. L’esercizio del diritto di stabilimento presuppone infatti
una connessione economico giuridica con più ordinamenti nazionali ed uno spostamento fisi-
co degli operatori economici; la libera prestazione di servizi, invece, non presuppone alcuna
organizzazione stabile del lavoratore nello stato in cui il servizio viene svolto. Anzi, lo spo-
stamento non riguarda necessariamente il prestatore, ma può riguardare anche il destinatario
del servizio o il servizio stesso
2
.
Pertanto, mentre il soggetto prestatore di servizi è sottoposto prevalentemente alla legislazio-
ne del paese in cui è svolta la prestazione, il professionista stabilito deve seguire le regole del-
lo stato ospitante.
L’art. 46 (ex art. 56) prevede delle limitazioni nell’esercizio delle due libertà appena illustrate
dovute a motivi di ordine pubblico, sanità pubblica e pubblica sicurezza.
L’art. 45 (ex art. 55), applicabile a entrambi gli istituti in virtù dell’art. 55 (ex art. 66), stabili-
sce infine che siano escluse dal godimento delle libertà di circolazione dei lavoratori autono-
mi le attività che partecipano, seppure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri.
Nonostante il testo originale del trattato di Roma prevedesse l'adozione di misure destinate a
facilitare l'esercizio del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi mediante di-
rettive volte al coordinamento e all’armonizzazione delle norme nazionali relative
all’esercizio delle due libertà, il percorso normativo di liberalizzazione è stato caratterizzato
da non pochi ritardi e incertezze.
Le ragioni dell’iniziale inattività da parte delle istituzioni legislative comunitarie vanno ricer-
cate nelle oggettive difficoltà pratiche legate al riconoscimento dei titoli di studio ottenuti in
paesi diversi, subordinato al coordinamento dei percorsi di studio accademici, e negli atteg-
giamenti protezionistici degli stati membri, i quali hanno sempre temuto gli effetti distortivi
2
Sul punto, la dottrina riconosce tre distinte fattispecie di libera prestazione di servizi: a) il prestatore si sposta
temporaneamente nel paese del destinatario della sua prestazione; b) il destinatario del servizio si sposta
temporaneamente nel paese del prestatore; c) è la sola prestazione che, per così dire, si sposta (es. offerte
telefoniche, trasmissioni televisive). Cfr. M. CONDINANZI, B. NASCIMBENE, La libera prestazione dei
servizi e delle professioni in generale, in (a cura di) A. TIZZANO, Il diritto privato dell’Unione europea, in
(a cura di ) M. BESSONE, Trattato di diritto privato, Giappichelli, 2000, pag. 288.
9
sulla concorrenza che l’ingresso di professionisti stranieri sul proprio territorio potrebbe cau-
sare.
Alle difficoltà appena menzionate va aggiunto un impedimento ulteriore di carattere tecnico,
legato alla procedura di approvazione di misure di armonizzazione positiva in relazione al re-
gime delle libere professioni; l’art. 47, 2° comma CE (ex art. 57 CEE) prevede infatti che il
Consiglio deliberi all’unanimità le direttive che comportino, in sede di recepimento interno,
una modifica dei principi legislativi nazionali vigenti in materia di formazione e di accesso al-
la professione.
Il processo di liberalizzazione della professione forense, in particolare, ha subito ritardi ulte-
riori a causa delle profonde differenze relative alle formazioni universitaria e alle differenti
tradizioni giuridiche che caratterizzano i vari stati membri. Cruciali sono state inoltre le resi-
stenze della maggior parte degli organismi rappresentativi di categoria nazionali, che almeno
fino alla prima metà degli anni ’80 si sono sempre opposti all’ingresso di professionisti stra-
nieri nel mercato locale.
All’interno del quadro così delineato va riconosciuto il ruolo fondamentale della Corte di
giustizia europea, la quale, oltre a svolgere un importante ruolo di supplenza nel perdurare
dell’inerzia delle istituzioni legislative comunitarie, ha inoltre sancito i principi a cui si sono
adeguati anche gli interventi normativi successivi.
Negli anni immediatamente successivi all’emanazione del Trattato di Roma, caratterizzati dal-
la mancanza di direttive specifiche in tema di diritto di stabilimento e libera prestazione di
servizi, il contributo della giurisprudenza comunitaria nell’ambito della libera circolazione
degli avvocati si è inizialmente concretizzato nell’ambito di pronunce relative a una serie di
controversie, sollevate in relazione ad azioni legali promosse da professionisti forensi, che
hanno avuto direttamente ad oggetto le norme del Trattato relative alle due libertà; nel corso
di tali sentenze la Corte ha così contribuito a definire il contenuto e la portata di tali libertà,
influenzandone l’applicazione anche nei confronti degli avvocati.
Nonostante gli sforzi della giurisprudenza comunitaria, spesso impegnata in tale compito di
supplenza nei confronti delle istituzioni legislative europee, é chiaro come un effettivo
sviluppo della mobilità dei professionisti forensi non avrebbe potuto aver luogo in assenza di
specifiche misure comunitarie di coordinamento e armonizzazione delle singole normative
nazionali; la libera circolazione degli avvocati ha quindi trovato una propria disciplina
legislativa nelle disposizioni introdotte dalle direttive 77/249/CEE, 89/48/CEE e 98/5/CE.
Tuttavia, anche quando gli atteggiamenti protezionistici degli ordinamenti nazionali hanno
dovuto cedere innanzi alla volontà delle istituzioni europee di procedere sulla strada della
10
liberalizzazione della professione forense attraverso l’adozione di direttive specifiche, è
risultato fondamentale il contributo della Corte di giustizia, la quale ha abbattuto
progressivamente gli ostacoli posti a tale liberalizzazione in sede di recepimento e
interpretazione da parte degli operatori giuridici nazionali.
L’eccessiva genericità che ha caratterizzato gli interventi di coordinamento e armonizzazione
comunitaria ha portato infatti, in più di un’occasione, a strumentalizzazioni da parte degli or-
dinamenti nazionali più protezionistici, che non hanno esitato a sfruttare i margini di discre-
zionalità lasciati dalle direttive per ridurre ai minimi termini le effettive possibilità di ingresso
di concorrenti stranieri all’interno dei mercati locali.
Il giudice comunitario ha così avuto modo di contribuire, attraverso un quadro interpretativo
orientato verso gli obiettivi di liberalizzazione auspicati dal Trattato CE, alla massima esten-
sione possibile delle libertà di circolazione dei professionisti forensi entro i confini
dell’Unione europea.
Lo scopo della seguente ricerca è quello di ripercorrere il cammino che ha portato all’attuale
grado di mobilità dei professionisti forensi, alla luce del fondamentale contributo apportato
dalle pronunce del giudice comunitario alla materia oggetto di studio. In particolare, oggetto
principale della trattazione saranno proprio le sentenze della Corte del Lussemburgo; attraver-
so una dettagliata analisi di esse sarà infatti possibile comprendere al meglio il contenuto e la
portata del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati,
nonché le scelte legislative comunitarie e nazionali che insieme costituiscono il nucleo fon-
damentale dei diritti di libera circolazione dei professionisti forensi.
L’elaborato sarà così suddiviso in quattro distinti capitoli, corrispondenti alle quattro tappe
fondamentali che hanno portato agli attuali standard di mobilità degli avvocati.
Nel primo capitolo sarà oggetto di analisi la fase immediatamente successiva all’emanazione
del Trattato CEE, la quale, come già segnalato, fu caratterizzata dalla mancanza di direttive
specifiche in materia di libera circolazione dei liberi professionisti. In questa situazione la
Corte, attraverso la propria giurisprudenza, ha sancito l’efficacia diretta delle norme del
Trattato in tema di libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, con la conseguente
soppressione di restrizioni a tali libertà legate alla nazionalità e alla residenza del
professionista, e ha chiarito come tali norme siano applicabili anche ai professionisti forensi;
la professione di avvocato infatti, secondo l’interpretazione avallata dalla Corte, non rientra
tra quelle che partecipano all’esercizio dei pubblici poteri in base all’art. 45 (ex art. 55) del
Trattato CE.
11
Nel secondo capitolo saranno analizzate le sentenze pronunciate dalla Corte successivamente
all’emanazione della direttiva 77/249/CEE, intesa a facilitare l'esercizio effettivo della libera
prestazione di servizi da parte degli avvocati. Tale direttiva si è infatti rivelata, per certi aspet-
ti, di difficile interpretazione e assai prudente nella disciplina prevista. La Corte del Lussem-
burgo è così stata chiamata in più di un’occasione a chiarire i contenuti della norma, difen-
dendone lo spirito liberalizzatore attraverso interpretazioni estensive che ne hanno condannato
un’applicazione troppo restrittiva da parte di alcuni stati membri.
Oggetto del terzo capitolo saranno gli interventi della Corte successivi alla direttiva
89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione supe-
riore che certificano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, norma che ga-
rantì una prima, seppur generica, disciplina del diritto di stabilimento degli avvocati.
Dato il suo approccio generale e rivoluzionario, la direttiva 89/48/CEE suscitò non poche spe-
ranze che la libera circolazione dei professionisti, ivi compresi gli avvocati, potesse avere ri-
cevuto un’attuazione completa.
Tale norma tuttavia, proprio a causa del suo carattere generale, si dimostrò fin troppo generi-
ca, aprendo la strada a facili discriminazioni da parte degli ordinamenti nazionali più prote-
zionistici.
In questo contesto ha giocato ancora una volta un ruolo fondamentale la giurisprudenza co-
munitaria, che ebbe il compito di sancire i principi fondamentali in materia di mutuo ricono-
scimento dei diplomi e di chiarire il contenuto liberale delle disposizioni della direttiva
89/48/CEE che avevano dato luogo a vere e proprie discriminazioni ai danni dei professionisti
forensi migranti.
Il quarto capitolo sarà infine dedicato allo studio delle decisioni con cui la Corte è stata chia-
mata all’interpretazione della direttiva 98/5/CE, recante finalmente una disciplina specifica
del diritto di stabilimento degli avvocati. Nonostante questa norma mirasse esplicitamente a
creare le condizioni per permettere la massima realizzazione del diritto di circolazione degli
avvocati, essa non ha mancato di suscitare ulteriori perplessità che hanno richiesto nuovi in-
terventi interpretativi da parte del giudice comunitario, chiamato a chiarirne il contenuto. Il
carattere rivoluzionario della direttiva in questione ha portato infatti la Corte a doversi pro-
nunciare in difesa dell’operato del legislatore comunitario, accusato di un indirizzo eccessi-
vamente aperto alle istanze del mercato nella disciplina della libera circolazione degli avvoca-
ti, a discapito di interessi superiori legati alla buona amministrazione della giustizia.
Allo scopo di facilitare la lettura e la comprensione delle sentenze della Corte, ognuno dei
quattro capitoli seguenti sarà caratterizzato dalla presenza di un parte introduttiva che avrà lo
12
scopo di illustrare brevemente il panorama normativo di riferimento e le questioni interpreta-
tive che esso ha sollevato in ogni singola fase. Al termine di ogni capitolo troverà infine col-
locazione un paragrafo conclusivo, contenente una sintesi dei risultati ottenuti dalle varie pro-
nunce del giudice comunitario. Ci si propone, in tale sede, di fornire al lettore una visione uni-
taria e organizzata degli obiettivi liberalizzanti raggiunti nel tempo dai numerosi interventi
della Corte.
13
– CAPITOLO PRIMO –
L’INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE
DEL DIRITTO DI STABILIMENTO
E DELLA LIBERA PRESTAZIONE DI SERVIZI DEGLI AVVOCATI
IN ASSENZA DI MISURE LEGISLATIVE SPECIFICHE
1. I primi interventi giurisprudenziali in assenza di misure di armonizzazione legislative
– Secondo l’art. 8 del Trattato di Roma l’attuazione del diritto di stabilimento e della libera
prestazione dei servizi doveva avvenire entro un periodo transitorio di dodici anni dalla data
di entrata in vigore del Trattato stesso.
A tal fine furono previste due diverse tecniche di liberalizzazione, aventi carattere negativo e
positivo: nella prima direzione gli artt. 53 e 62 del Trattato CEE ponevano in capo agli stati
membri una clausola di standstill
3
, che comportava il divieto di introdurre nuove restrizioni al
grado di libertà già effettivamente raggiunto.
Gli interventi di carattere positivo erano invece volti all’emanazione di misure specifiche di
armonizzazione che portassero alla soppressione dei limiti al diritto di stabilimento e alla libe-
ra prestazione dei servizi. In tal senso gli artt. 54 e 63 del Trattato prevedevano l'emanazione
di direttive di liberalizzazione intese a eliminare le restrizioni alle due libertà; accanto a que-
ste disposizioni gli artt. 57 e 66 promuovevano l'adozione di misure destinate a facilitare l'e-
sercizio del diritto di stabilimento e della libera prestazione di servizi mediante direttive volte
al reciproco riconoscimento dei diplomi e al coordinamento delle norme nazionali relative al-
l'accesso e all’esercizio delle attività non salariate.
Nell'attesa nell'adozione di tali misure specifiche predominò, inizialmente, un'interpretazione
restrittiva dell'operatività delle norme del Trattato, in quanto si ritenne che esse sarebbero di-
venute operanti solo dopo che il Consiglio avesse emanato le direttive previste
4
.
Nonostante le attese, al 31 dicembre 1969, data di scadenza del termine transitorio, le misure
legislative prospettate dal Trattato non avevano ancora ottenuto alcuna attuazione.
Le ragioni dell'inerzia della Comunità e delle resistenze degli stati membri a qualsiasi forma
di liberalizzazione erano dovute a varie ragioni. Innanzi tutto furono riscontrate difficoltà pra-
3
Cfr. L. LEZZI, Principio di equivalenza, mutuo riconoscimento e libertà di circolazione delle professioni nel-
l’Unione europea, in DCSI, 2003, pag. 391.
4
Si veda, in tal senso, M. BELLONI, La libera circolazione degli avvocati nella Comunità europea, Padova,
1999, pag. 30.
14
tiche relative al riconoscimento dei titoli di studio, subordinato al coordinamento dei curricola
formativi; tale coordinamento risultava ostacolato, specie nelle facoltà umanistiche e giuridi-
che, dalle marcate divergenze relative a metodi e indirizzi didattici e dalle differenti tradizioni
scientifiche e culturali delle diverse sedi universitarie
5
.
A ciò va aggiunta la riluttanza dei governi ad accettare limitazioni della propria sovranità eco-
nomica e del controllo dei flussi commerciali internazionali
6
.
Va infine menzionato l'atteggiamento protezionistico degli stati nei confronti dei propri citta-
dini, dovuto al fatto che spesso la liberalizzazione è stata occasione di discriminazioni tra cit-
tadini nazionali e comunitari
7
; le norme comunitarie infatti, spesso più liberali di quelle na-
zionali, finivano talvolta col garantire una posizione privilegiata a soggetti stranieri, stabiliti
in uno stato membro ospitante, rispetto a cittadini dello stato stesso.
Per quanto riguarda in modo specifico la professione forense, il procedimento di armonizza-
zione legislativa ha incontrato ostacoli maggiori per varie ragioni: diversamente dalle altre
professioni, che hanno una connotazione omogenea in tutti gli stati membri, quella di avvoca-
to presenta invece tra i vari ordinamenti differenze profonde legate alla formazione universita-
ria, alle modalità di accesso e di esercizio della professione, al tipo di attività esercitata e alle
regole deontologiche spesso discordanti nei vari stati membri
8
.
Fino all'adozione delle prime direttive di liberalizzazione e di reciproco riconoscimento dei
diplomi l'attuazione dei diritti di libera circolazione dei professionisti è quindi avvenuta a ri-
lento e fondamentale è risultato l'intervento della giurisprudenza comunitaria, che ha chiarito
la portata delle norme del Trattato e il ruolo che le future direttive avrebbero avuto per il per-
seguimento degli obiettivi comunitari.
Già dalla fine del periodo transitorio, e fino all'adozione di misure legislative specifiche di ar-
monizzazione, la Corte di giustizia europea è quindi intervenuta in materia di libera circola-
zione dei professionisti, basando le proprie motivazioni direttamente sul testo del Trattato, e
sancendo così l’efficacia diretta delle norme relative alla libertà di stabilimento e alla libera
prestazione di servizi in esso contenute.
5
A proposito J. PERTEK, Une dynamique de la reconnaissance des diplomes à des fins professionelles et à
des fins accadémiques: realisations et nouvelles réfexions, in RMUE, 1996, pag. 92.
6
A riguardo si veda E. GREPPI, Stabilimento e servizi nel diritto comunitario, in Digesto, discipline
pubblicistiche, UTET, 1999, pag. 497.
7
Cfr. A. MATTERA, La libre circulation des travailleurs à l'intérieur de la Communauté Européenne, in
RMUE, 1993, pag. 47.
8
Sul punto V. VARANO, La libera circolazione degli avvocati nella CEE e l'ordinamento italiano: problemi e
prospettive, in FI, 1981, V, p. 137.
15
Le prime sentenze con cui il giudice comunitario intervenne per agevolare l'attuazione del di-
ritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi ebbero ad oggetto proprio la professione
forense.
In questo capitolo saranno esaminate le decisioni relative ai casi Reyners
9
, Van Binsbergen
10
e
Thieffry
11
nel corso delle quali la Corte del Lussemburgo fu chiamata a pronunciarsi all'in-
terno di controversie legate alla libera circolazione degli avvocati.
In tali sentenze la Corte, basandosi esclusivamente sul testo del Trattato, chiarì l'ambito di o-
peratività delle disposizioni relative a libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, e
sancì il divieto di discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, alla residenza e al titolo di
studio.
2. Il caso Reyners. L’efficacia diretta dell’art. 52 CEE e il limite dell'esercizio dei pub-
blici poteri – La domanda di pronuncia pregiudiziale, avente ad oggetto l'interpretazione de-
gli artt. 52 e 55 del Trattato CEE, fu rinviata alla Corte di giustizia europea dal Conseil d'Etat
de Belgique, nell'ambito di una controversia sorta tra Jean Reyners, dottore in giurisprudenza
di cittadinanza olandese, e lo Stato belga.
Il sig. Reyners, nato e residente a Bruxelles, aveva acquisito la nazionalità olandese da parte
dei genitori. Dopo aver completato i suoi studi e conseguito la laurea in giurisprudenza in
Belgio, Reyners chiese l'iscrizione presso il Collegio di Bruxelles come avvocato. Tale iscri-
zione gli fu negata per effetto del Regio Decreto del 24 agosto del 1970, che prevedeva come
requisito per l'esercizio della professione forense il possesso della cittadinanza belga.
Il sig. Reyners ricorse quindi al Conseil d'Etat de Belgique, chiedendo l'annullamento delle
disposizioni che, secondo lui, violavano il suo diritto, riconosciuto dal Titolo terzo, Capo II
del Trattato CEE, di stabilirsi in Belgio e di prestare in tale Stato la propria attività professio-
nale.
Il giudice belga, dovendo esaminare la conformità della normativa nazionale con il diritto
comunitario, sospese il processo e sottopose alla Corte di giustizia europea due questioni pre-
giudiziali, relative all'interpretazione degli artt. 52 e 55 del Trattato CEE.
Nella prima questione il giudice a quo chiedeva alla Corte se l'art. 52 del Trattato CEE costi-
tuisse, dalla fine del periodo transitorio, una norma direttamente efficace, nonostante la man-
cata adozione delle direttive contemplate dagli artt . 54, n. 2 e 57, n. 1 del Trattato.
9
Cfr. Sentenza 21 giugno 1974, causa n. 2/74, Reyners, in Raccolta, 1974, pag. 631.
10
Cfr. Sentenza 3 dicembre 1974, causa n. 33/74, Van Binsbergen, in Raccolta, 1974, pag. 1299.
11
Cfr. Sentenza 28 aprile 1977, causa n. 71/76, Thieffry, in Raccolta, 1977, pag. 765.
16
Tale disposizione infatti prevedeva la regola generale della soppressione delle restrizioni alla
libertà di stabilimento dei professionisti, ma allo stesso tempo era integrata dagli artt. 54 e 57,
che prevedevano che tale principio generale fosse attuato attraverso l'adozione di apposite di-
rettive.
I governi belga e quello irlandese, intervenuti in giudizio presentando le proprie osservazioni,
concordavano nel sostenere che all'art. 52 non poteva essere riconosciuta efficacia diretta, in
quanto tale articolo costituirebbe l'enunciazione di un semplice principio, la cui attuazione sa-
rebbe subordinata all'adozione delle misure legislative specifiche contemplate dagli artt. 54 e
57
12
. Tale posizione era condivisa inoltre dai governi britannico e lussemburghese, nonché
dall'Ordine nazionale degli avvocati del Belgio, interveniente nella causa principale.
A tale posizione si contrapponeva invece in signor Reyners che vedeva, in quanto disposto
dalla norma nazionale, una semplice discriminazione basata sulla nazionalità, poiché il pos-
sesso della cittadinanza belga era una condizione per l'ammissione all'esercizio della profes-
sione forense a cui erano sottoposti professionisti stranieri, che non valeva invece per gli av-
vocati locali; tale discriminazione doveva essere rimossa proprio dall'art. 52 del Trattato, che
secondo l'attore della causa principale aveva efficacia diretta. I governi tedesco e olandese
supportavano tale tesi ritenendo che le disposizioni del Trattato che impongono agli stati
membri un obbligo che questi devono adempiere entro un dato termine, divengono diretta-
mente efficaci allo scadere di tale termine qualora l'obbligo non sia stato adempiuto; al ter-
mine del periodo transitorio gli stati membri non avrebbero quindi più avuto la possibilità di
mantenere in vigore restrizioni della libertà di stabilimento, in quanto l'art. 52 a partire da tale
data avrebbe assunto il carattere di una disposizione giuridicamente perfetta e perciò diretta-
mente applicabile. Le direttive previste dagli artt. 54 e 57 avrebbero avuto rilevanza esclusi-
vamente entro il periodo transitorio, visto che alla fine di tale periodo la libertà di stabilimento
avrebbe comunque ricevuto piena realizzazione in virtù dell'art. 52
13
.
La Corte, nel risolvere la controversia, richiama innanzitutto l'art. 7 del Trattato CEE, che di-
spone il divieto generale di ogni discriminazione basata sulla nazionalità, e chiarisce che l'art.
52 deve essere inteso come un'estensione di tale garanzia nel settore particolare del diritto di
stabilimento.
12
Cfr. Sentenza Reyners, cit., punti 5-7.
13
A sostegno della propria tesi il governo olandese richiamo la sentenza Lüttecke (Sentenza 16 giugno 1966,
causa n. 57/65, Lüttecke, in Raccolta, pag. 220), in cui la Corte del Lussemburgo aveva già sancito la diretta
applicabilità dell'art. 95 Trattato CEE, affermando che “l'articolo 95 quindi stabilisce una regola generale
condizionata da una clausola sospensiva riguardante le disposizioni esistenti al momento della sua entrata in
vigore . Se ne deve concludere che alla scadenza del termine sopraddetto, la regola di carattere generale
spiegherà incondizionatamente tutti i suoi effetti.” Cfr. Sentenza Reyners, cit., punti 11-13.
17
In particolare tale disposizione sancisce un principio cardine in materia, disponendo che la li-
bertà di stabilimento implica l'accesso alle attività indipendenti ed al loro esercizio “alle con-
dizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini”.
La Corte, sottolineando la fondamentale importanza della norma del trattamento nazionale de-
lineata dall'art. 7 all'interno della Comunità, ne sancisce l’efficacia diretta, in quanto essa do-
vrebbe trovare esecuzione non in misure comunitarie, ma nelle disposizioni legislative nazio-
nali effettivamente adottate da ciascuno stato membro. Il giudice comunitario stabilisce quindi
che l'art. 52 prescrive un obbligo di risultato preciso, il cui adempimento deve essere facilita-
to, ma non condizionato, dall’attuazione di un programma di misure graduali
14
.
Nella propria decisione la Corte si conforma alle conclusioni dell'avvocato generale Mayras,
il quale riferendosi alle misure considerate dagli artt. 54 e 57, afferma che “esse costituiscono
di certo un complemento utile alla realizzazione pratica dell'eguaglianza di trattamento, ma
non ci sembrano esserne la condizione necessaria. [...] E' nostro avviso che la circostanza che
il Trattato abbia previsto l'intervento sotto forma di direttive del consiglio, di misure destinate
a realizzare gli obiettivi dell’art. 52, non è sufficiente perché venga negato l'effetto diretto di
tale disposizione.”
15
.
Nel risolvere positivamente il dubbio circa la diretta applicabilità dell'art. 52 la Corte di giu-
stizia europea si sofferma inoltre sul ruolo e sulle funzioni delle direttive previste dagli artt.
54 e 57 Trattato CEE.
Il giudice comunitario chiarisce infatti che al fine della graduale realizzazione della libertà di
stabilimento nel corso del periodo transitorio l'art. 54 prevede l'elaborazione, da parte del
Consiglio, di un “programma generale” da attuare attraverso l'adozione di direttive destinate a
realizzare la libertà di stabilimento per le varie attività. Oltre a tali misure il Trattato, attra-
verso l'art. 57, contempla l'adozione di misure specifiche, volte a garantire il riconoscimento
reciproco dei diplomi, certificati ed altri titoli e, in generale, il coordinamento delle legisla-
zioni in materia di stabilimento e d'esercizio delle attività indipendenti.
Tali direttive sono destinate ad adempiere una duplice funzione: da un lato esse dovrebbero
facilitare l'abolizione, durante il periodo transitorio, degli ostacoli alla libertà di stabilimento;
dall'altro dovrebbero promuovere l'introduzione di disposizioni legislative nazionali volte a
facilitare l'esercizio diretto di tale libertà.
Per questi motivi la Corte sottolinea che, nonostante l'art. 52 abbia efficacia diretta, le di-
rettive previste dagli artt. 54 e 57 non hanno tuttavia perduto ogni interesse, in quanto conser-
14
Cfr. Sentenza Reyners, cit., punti 24-27.
15
Conclusioni dell'avvocato generale Mayras, 28 maggio 1974.
18
vano un campo di applicazione importante nel settore delle misure destinate a favorire ed a
facilitare l'effettivo esercizio del diritto di libero stabilimento
16
.
La seconda delle questioni pregiudiziali di cui la Corte si occupò riguardava l'interpretazione
dell'art. 55, 1° comma del Trattato CEE, che disponeva un limite alla libertà di stabilimento
per quelle attività che partecipino, sia pur occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri.
In particolare fu chiesto alla Corte se la disposizione in esame fosse applicabile alla profes-
sione forense nel suo complesso, dal momento che essa comprende attività che partecipano
all'esercizio dei pubblici poteri, ovvero dovessero essere escluse dalla libertà di stabilimento
solo quelle attività legate alla professione inerenti all'esercizio di tali poteri.
A favore della prima soluzione si erano espressi il governo lussemburghese e l'Ordine nazio-
nale degli avvocati del Belgio, secondo i quali la professione forense sarebbe sottratta alle
norme del Trattato in materia di diritto di stabilimento, in quanto essa partecipa in maniera
organica all'amministrazione della giustizia: a tale conclusione si giunge dall'esame dei requi-
siti necessari per l'esercizio della professione e delle funzioni svolte dagli avvocati nell'ambito
del procedimento giudiziario, a cui tali professionisti devono, di norma, obbligatoriamente
partecipare.
Il sig. Reyners, da parte sua, riteneva invece che tutt'al più solo determinate attività tipiche
della professione forense rientrassero nell'esercizio dei pubblici poteri, e che l'applicazione del
limite previsto dall'art. 55 fosse l'eccezione, piuttosto che la regola.
A sostegno di tale tesi intervennero i governi tedesco, belga, britannico, irlandese e olandese,
e la Commissione; nelle osservazioni presentate alla Corte fu evidenziato che il limite di cui
all’art. 55 opera in relazione alle sole attività che effettivamente partecipano all'esercizio dei
pubblici poteri, a condizione che esse siano scindibili dall'esercizio normale della professio-
ne
17
.
La Corte del Lussemburgo, nel procedere all'interpretazione dell'art. 55, ricorda che la profes-
sione forense resta disciplinata dal diritto dei vari stati membri, in mancanza delle direttive di
armonizzazione previste dall’art. 57.
La stessa applicazione del limite dell'esercizio dei poteri pubblici prevista dall'art. 55 deve
quindi essere valutata tenendo conto delle disposizioni interne inerenti all'organizzazione e al-
l'esercizio di tale professione.
16
Cfr. Sentenza Reyners, cit. punti 29-31.
17
La Corte non può tuttavia fare a meno di ricordare che all'interno degli ordinamenti menzionati sussistono
divergenze relative alla portata e alla natura delle attività escluse dal diritto di stabilimento. Il Governo
tedesco, in particolare, non negava che, specie in materia penale e pubblicistica, la professione forense e
l'esercizio del potere giudiziario sono così intimamente connessi che si devono escludere dalla
liberalizzazione, perlomeno, ampi settori di tale professione. Cfr. Sentenza Reyners, cit., punti 39-41.
19
Il giudice comunitario tuttavia stabilisce che la portata dell'art. 55, alla luce del carattere fon-
damentale che le disposizioni sulla libertà di stabilimento hanno all'interno del Trattato, è li-
mitata alle sole attività che costituiscano una partecipazione diretta e specifica all'esercizio dei
pubblici poteri. L'estensione della deroga prevista da tale norma ad un'intera professione sa-
rebbe giustificata soltanto nell'ipotesi in cui la concessione della libertà di stabilimento aves-
se l'effetto di imporre, allo stato membro interessato, l'obbligo di consentire l'esercizio, anche
solo occasionale, da parte di non cittadini, di funzioni che rientrano nei pubblici poteri. Tale
limite non può operare invece nel caso di professioni per le quali l'esercizio dei pubblici poteri
sia semplicemente una delle svariate attività che la professione comporta
18
.
La Corte del Lussemburgo, dopo aver sancito tale principio generale, fa esplicito riferimento
alla professione forense, stabilendo esplicitamente che le prestazioni che implicano contatti,
anche regolari ed organici, con i tribunali, ovvero la partecipazione, sia pure obbligatoria, al
loro funzionamento, non costituiscono partecipazione all'esercizio dei pubblici poteri. In par-
ticolare, non possono venir considerate come partecipazione a tali poteri le attività più tipiche
della professione forense, quali la consulenza, l'assistenza giuridica, la rappresentanza e la di-
fesa delle parti in giudizio; in effetti l'esercizio di tale attività non influisce nell'amministra-
zione della giustizia e nell'esercizio dei poteri giudiziari, prerogative essenziali della magistra-
tura
19
.
3. Il caso Van Binsbergen. L’efficacia diretta degli artt. 59 e 60 CEE e il divieto di di-
scriminazioni in base alla residenza – In questa sentenza la Corte di giustizia europea fu
chiamata a pronunciarsi su due questioni pregiudiziali relative alla portata e all'efficacia degli
artt. 59, 1° comma, e 60, 3° comma del Trattato CEE; dette questioni erano sorte all’interno di
una controversia innanzi al Centrale Raad van Beroep, organo giurisdizionale d'appello in
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Anche in questo punto della sua motivazione la Corte segue la posizione delineata dall'avvocato generale
Mayras, che nelle sue conclusioni evidenzia che “l'esercizio di una professione comporta in generale un certo
numero di attività distinte: talune sono essenziali, tal altre non hanno che un carattere accessorio,
complementare o addirittura semplicemente occasionale. Nella misura in cui una di queste attività, anche se
esercitata a titolo occasionale, partecipa all'esercizio dell'autorità pubblica, essa è perciò solo esclusa dalla
libertà di stabilimento, ma ciò non significa affatto che l'esclusione sia estesa alla professione nel suo
insieme.” Cfr. Conclusioni dell’avvocato generale Mayras, cit..
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In questo senso appare decisivo l'intervento dell'avvocato generale Mayras, secondo il quale “se,
innegabilmente, il potere giudiziario devoluto ai magistrati è parte integrante dell'autorità pubblica di quella
dello stato, [...] gli avvocati dal canto loro facilitano l'esercizio di questo potere, portando al giudice una
cooperazione [...]. Ma essi non partecipano per sé medesimi all'esercizio dei poteri giudiziari. [...]Uno dei
tratti essenziali di questa professione risiede, lo si sa, nella sua indipendenza: indipendenza dell'avvocato
stesso e dell'ordine a cui appartiene di fronte al potere esecutivo.” Cfr. Conclusioni dell'avvocato generale
Mayras, cit..
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materia sociale, tra Johannes Henricus Maria Van Binsbergen e la Direzione dell'Asso-
ciazione professionale dell'Industria Metallurgica, avente sede a l'Aja.
Il signor Van Binsbergen aveva designato come suo procuratore ad litem, all'interno della pre-
detta controversia, l'avvocato Kortmann, di nazionalità olandese e residente nei Paesi Bassi.
Questi, durante lo svolgimento della causa, aveva trasferito la propria residenza in Belgio. In
conseguenza di ciò il tribunale olandese aveva contestato la legittimazione dell'avvocato a
svolgere il proprio mandato in quella sede, in base a quanto disposto dal codice di disciplina
dei tribunali olandesi: secondo tale norma infatti il mandato ad litem dinnanzi al Centrale Ra-
ad van Beroep poteva essere conferito solo a professionisti residenti nei Paesi Bassi.
Su opposizione dell'avvocato Kortmann, che invocò le norme del Trattato relative alla libera
prestazione di servizi all'interno della Comunità, il giudizio fu sospeso e il giudice olandese
investì la Corte del Lussemburgo due questioni pregiudiziali, relative all'interpretazione degli
artt. 59 e 60 del Trattato CEE.
Con la prima questione il giudice a quo chiedeva alla Corte di pronunciarsi circa la conformi-
tà al diritto comunitario di una norma nazionale che richieda il requisito della residenza come
condizione per patrocinare dinanzi a determinati tribunali.
La seconda questione invece fu chiesto al giudice comunitario di stabilire se gli artt. 59 e 60
del Trattato CEE siano direttamente efficaci e come tali direttamente azionabili innanzi ai
giudici nazionali.
Il primo quesito posto dal giudice del rinvio aveva lo scopo di accertare se una norma nazio-
nale che imponga il requisito della residenza quale condizione per l'esercizio del patrocinio
innanzi a determinati tribunali sia in contrasto con le disposizioni sulla libera prestazione di
servizi contenute negli artt. 59 e 60 del Trattato di Roma; il primo di essi impone la graduale
rimozione di qualsiasi restrizione alla libera prestazione di servizi, mentre il secondo sancisce
il diritto, in capo al prestatore di un servizio, di esercitare la sua attività nel paese dove la pre-
stazione è fornita, alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini.
La Corte afferma innanzitutto che fra le restrizioni che gli articoli in esame si propongono di
eliminare rientrano tutte le condizioni imposte al prestatore in ragione della sua nazionalità o
della sua residenza in uno stato diverso da quello in cui questi presta il servizio, quando non
sono imposte anche a coloro che risiedono nel territorio nazionale
20
.
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A riguardo la Corte evidenzia che “il requisito della residenza nello stato in cui va fornito il servizio può,
talvolta, togliere ogni rilevanza pratica all'art. 59, che invece si propone precisamente di eliminare gli ostacoli
alla libera prestazione di servizi da parte di persone non residenti nello Stato sul cui territorio viene effettuata
la prestazione”. Cfr. Sentenza Van Binsbergen, cit., punti 10-11.
21
Nonostante questa premessa il giudice comunitario afferma che requisiti specifici riguardanti
l'esercizio della professione, dettati da norme in tema di organizzazione, di qualificazione, di
deontologia, di controllo e di responsabilità, non possono essere considerati incompatibili col
Trattato in quanto giustificati dal pubblico interesse ed obbligatori nei confronti di chiunque
risieda nello stato nel quale la prestazione è effettuata
21
.
Risulta quindi evidente che le libertà garantite dalle norme comunitarie in materia di libera
prestazione di servizi non possono essere utilizzate dal professionista allo scopo di sottrarsi
alle disposizioni nazionali sull'esercizio della sua professione, la cui osservanza gli sarebbe
imposta qualora egli si stabilisse nel territorio di uno stato membro
22
.
Sulla base di queste affermazioni la Corte conferma la compatibilità con il diritto comunitario
di norma che impone la residenza del professionista nella circoscrizione di determinati organi
giudiziari quale requisito per la prestazione di un servizio connesso all'amministrazione della
giustizia, nel caso in cui tale norma sia obiettivamente necessaria per assicurare l'osservanza
di disposizioni professionali collegate in particolare col funzionamento della giustizia e col
rispetto della deontologia
23
.
Nel caso di specie tuttavia la normativa olandese non sottopone l'attività forense oggetto della
controversia ad alcun genere di qualificazione o di disciplina professionale, e il requisito della
residenza è esteso al territorio dello stato in generale.
Pertanto fare dipendere il buon funzionamento della giustizia dall'osservanza di tale requisito,
secondo la Corte del Lussemburgo, significa imporre una restrizione incompatibile con gli
artt. 59 e 60 del Trattato
24
.
Anche alla seconda questione pregiudiziale, relativa alla diretta applicabilità degli artt. 59 e
60, la Corte da risposta affermativa, basando il proprio ragionamento direttamente sul testo
del Trattato.
21
In tal senso A. BARONE e P. PICCOLI, I notai, in L. NOGLER, Le attività autonome, in G. AJANI, G. BE-
NACCHIO, Trattato di diritto privato dell’Unione Europea, Giappichelli, 2006, pag. 290, sottolineano la
rilevanza del principio di proporzionalità che impone agli stati membri, nell'esercizio di deroghe alle libertà
fondamentali, di non intervenire in modo eccessivo e sproporzionato rispetto a quanto necessario per
conseguire lo scopo stabilito.
22
Cfr. Sentenza Van Binsbergen, cit. punti 12-13. In questi casi infatti le norme a cui fare riferimento sarebbero
quelle sul diritto di stabilimento, e non sulla prestazione di servizi, in quanto ci si troverebbe innanzi a
situazioni di “stabilimento camuffato”. Si veda in tal senso G. VICICONTE, La libera circolazione degli
avvocati, in L. NOGLER, Le attività autonome, in G. AJANI, G. BENACCHIO, Trattato di diritto privato
dell’Unione Europea, Giappichelli, 2006, pag. 375.
23
Cfr. Sentenza Van Binsbergen, cit. punto14.
24
Secondo la Corte infatti “il buon funzionamento della giustizia può venir garantito con obblighi meno
pesanti, ad esempio prescrivendo l'elezione d'un domicilio ove possano essere indirizzate le comunicazioni
giudiziarie”. Cfr. Sentenza Van Binsbergen, cit. punto 16.