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1-Il tema e la sua rilevanza pratica. Delimitazione dell’oggetto di indagine e
analisi del caso concreto.
Il tema delle cause di giustificazione in generale, e della difesa legittima in
particolare, ha costituito e costituisce tutt’oggi oggetto di molti spunti di
riflessione da parte della dottrina e giurisprudenza, dato anche dalla loro posizione
sistematico-analogica nella teoria generale del reato. Anzitutto sappiamo che alla
realizzazione di una condotta tipica si accompagna, di regola, il carattere
antigiuridico del fatto. Ma l’antigiuridicità viene meno se una norma diversa da
quella incriminatrice facoltizza o impone quel medesimo fatto che costituirebbe
reato: si definiscono cause di giustificazione ovvero anche “scriminanti”,
“giustificanti”, “esimenti” quelle situazioni normativamente previste, in presenza
delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme a una fattispecie
incriminatrice e l’intero ordinamento giuridico
La specificità di queste norme consiste nell’escludere l’applicazione delle norme
incriminatici ovvero, in altre parole, nel negare che il fatto complesso (es:
omicidio commesso in legittima difesa) sia preveduto come reato, che sia cioè
oggettivamente illecito. L’illeceità del fatto di reato è quindi esclusa quando esso
si presenti corredato dagli elementi di fatto descritti nelle norme che prevedono
cause di giustificazione: in questi casi il fatto è ab origine lecito. In sostanza esse
impediscono la valutazione normativa di illiceità poiché la loro presenza esclude
l’applicabilità di una norma incriminatrice.
Pertanto, le cause di giustificazione sono elementi che devono mancare perché il
fatto possa costituire reato e in tal senso è corretto definirle ‘elementi negativi del
fatto’.
Concludendo la nostra premessa possiamo affermare che in questa ricostruzione
concettuale della struttura del reato, le scriminanti pertengono all’elemento
oggettivo e più precisamente costituiscono cause che escludono l’elemento
oggettivo del reato ovvero, secondo la definizione più in uso, esse sono cause
oggettive di esclusione del reato. Bisogna a questo punto avvertire il lettore che il
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mio oggetto di indagine sarà in questa sede delimitato alla difesa legittima e più
precisamente al requisito forse più problematico della scriminante di cui trattasi: la
mia indagine avrà infatti ad oggetto la “proporzione” nella difesa legittima anche
e, soprattutto, alla luce del progetto elaborato dall’attuale commissione incaricata
di riformare il codice penale presieduta da Carlo Nordio. Ovviamente tutto ciò
nello sforzo di recepire i più importanti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali
partendo dall’analisi di un caso concreto. Come si è già rilevato, i problemi più
complessi e delicati sorgono al momento di determinare il significato e i limiti del
requisito della proporzione qui, infatti, si sviluppano notevoli incertezze circa
l’applicazione pratica dell’istituto, e processualmente parlando questo costituisce
il punto spesso maggiormente controverso.
Passando alla ricostruzione del fatto processuale oggetto della nostra indagine,
F.M. è stato condannato dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo perché
riconosciuto colpevole del delitto ex art. 586 c.p. (“Morte o lesioni come
conseguenza di altro delitto”) in relazione agli artt. 83 c.p. (“Evento diverso da
quello voluto dall’agente”) e 590 c.p. (“Omicidio colposo”), con attenuanti
generiche ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti e con riduzione
conseguente all’applicazione del rito abbreviato.
La competente Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato e deduce erronea applicazione
dell’art. 52 c.p. (“Difesa legittima”), erronea applicazione dell’art. 55 c.p.
(“Eccesso colposo”), nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Sostiene che i giudici di merito, pur ricostruendo correttamente l’accaduto, hanno
escluso che ricorresse la scriminante della legittima difesa, in ciò errando
radicalmente, in quanto l’imputato, dopo l’ennesima rapina nella sua tabaccheria,
uscì repentinamente in strada e, allo scopo di impedire la fuga dei malviventi,
esplose alcuni colpi con l’arma detenuta regolarmente. Un colpo, tuttavia, attinse
tale M.G., il quale, si stava dirigendo verso l’autovettura a bordo della quale erano
i suoi complici, provocando lesioni. Se, dunque, questa fu, pacificamente, la
dinamica del fatto, è assolutamente errata la qualificazione giuridica elaborata dal
giudice di primo grado.
La Corte di appello, a sua volta, dopo aver premesso di non condividere tale
qualificazione, non ne propone una alternativa, e, con ciò, incorrendo nella prima
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anomalia. In realtà, sostiene il difensore, il F., fece uso dell’unico strumento che
aveva a disposizione e lo utilizzò in maniera adeguata e, la sussistenza
dell’esimente, non consente di formulare l’ipotesi di reato ex art.586 c.p. Non si
comprende dunque a quale titolo venga affermata la responsabilità del F., quasi
debba trattarsi di una sorta di responsabilità oggettiva. Inoltre la Corte territoriale,
dopo aver escluso l’applicabilità dell’art. 52 c.p., afferma che, se anche si volesse
ritenere sussistente l’aggravante de qua, non potrebbe ritenersi escluso l’eccesso
colposo, con la conseguente applicazione al fatto della disciplina concernente i
delitti colposi se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo. Un tal modo
di procedere è, secondo il difensore, meritevole di censura: il giudice non può,
ricorrendo a una fictio iuris, riconoscere la sussistenza degli elementi della
legittima difesa che ha precedentemente escluso, per poi disinvoltamente sostenere
il colposo superamento dei limiti stabiliti per il suo esercizio. L’eccesso colposo
consiste appunto nell’eccesso dell’uso dei mezzi, dovuto a negligenza,
imprudenza, imperizia. Sul punto manca qualsiasi motivazione e perciò trattasi,
ancora una volta, di responsabilità ascritta a titolo oggettivo.
Nel dichiarare il ricorso parzialmente fondato la Corte Suprema ha così ricostruito
il fatto e ha addotto le motivazioni che seguono:
E’ anzitutto incontestabile che la legittima difesa possa essere applicata anche ai
diritti patrimoniali, i quali possono essere difesi anche ricorrendo ad atti di
violenza, purchè sussista la proporzione tra il danno che si potrebbe subire e la
reazione posta in essere. E’ poi necessario che il comportamento del soggetto
aggredito costituisca l’unico mezzo per impedire l’aggressione al patrimonio e non
rappresenti occasione per una ritorsione. Ebbene, sulla ricostruzione operata dai
giudici di merito, non può dubitarsi a) che il patrimonio del F.M. era stato
aggredito e leso (i rapinatori si stavano allontanando con la refurtiva), b) che,
tuttavia, il danno causato dal reato avrebbe potuto essere neutralizzato, attraverso
il recupero del denaro rapinato (se l’F.M. fosse riuscito a bloccare la fuga dei
malviventi), c) che, considerata la situazione (numero degli aggressori e strumenti
a propria disposizione), il ricorrente fece uso dell’unico mezzo efficace in suo
possesso: una pistola (necessaria, sia per interrompere la fuga, sia per indurli a
restituire il maltolto).
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Dunque, in astratto, i presupposti per la sussistenza della scriminante ex art. 52
c.p. sussistevano. Conseguentemente non è corretta la condanna dell’imputato per
il delitto di cui all’art. 586 c.p. che, come è noto, punisce con le pene previste per
la aberratio delicti (ma aumentate se si tratta dei delitti ex artt. 589 e 590 c.p.) la
condotta di colui che, commettendo un delitto doloso, cagioni involontariamente,
morte o lesioni di un terzo.
Invero non rimane integrata la fattispecie di cui all’art. 586 c.p. nella ipotesi in cui
il soggetto tenga, in presenza di una causa che elide in radice l’antigiuridicità del
suo operato (nel caso in esame la legittima difesa), una condotta integrante
l’elemento oggettivo del reato doloso (nel caso in esame quello di
danneggiamento) cui sia eziologicamente legato l’evento più grave (morte o
lesioni). Il F.M. volle danneggiare l’auto dei rapinatori, ma lo fece, come si
sostiene nella sentenza impugnata, per impedire che costoro fuggissero con l
denaro che gli avevano sottratto e, così operando egli era, per le sopra esposte
ragioni, scriminato.
Sussiste, invece, sempre sulla base della ricostruzione dell’accaduto operata nella
fase di merito, l’eccesso colposo in legittima difesa. Infatti, se da un lato è
certamente esatto sostenere (come si è appena fatto) che il F.M. adoperò l’unico
strumento efficace che aveva a sua disposizione (un’arma da fuoco), dall’altro, va
detto, che è altrettanto vero che detto strumento, per la sua micidialità, avrebbe
dovuto essere impiegato con grande avvedutezza, prudenza e con la
consapevolezza di possedere un’adeguata perizia al suo maneggio. Dalla
motivazione della sentenza emerge che l’imputato, dopo aver fatto fuoco in aria,
iniziò a sparare contro le ruote dell’auto dei banditi, mentre era ferma, quindi
continuò, quando questa si era ormai messa i movimento e, in tale frangente,
attinse il M. che verso l‘auto si stava dirigendo. E’ evidente allora che la condotta
del ricorrente, adeguata e “prudente” nella prima fase (colpi in aria, colpi contro la
parte inferiore di un bersaglio fermo), divenne avventata nella seconda fase (colpi
in direzione di un’auto in movimento) e fu in tale seconda fase, secondo i giudici
di merito, che il M. rimase ferito. Appare dunque corretto affermare che,
nell’esercizio della legittima difesa, il F.M. superò colposamente i limiti stabiliti
dalla legge (art. 52 c.p.), cagionando il ferimento della vittima.
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Ne consegue che sul piano sanzionatorio va applicato il trattamento previsto dal
corrispondente reato colposo (art. 590 c.p.), ma senza l’aumento previsto dall’art.
586 c.p. (come invece fatto in sede di merito).
La corte, qualificato il fatto contestato come eccesso colposo in legittima difesa,
ridetermina la pena in giorni 20 di reclusione, sostituiti, così come disposto nelle
precedenti fasi processuali, con euro 774 di multa.
Nel resto il ricorso va rigettato.
2- L’evoluzione normativa: la proporzione nella difesa legittima lungo il
cammino dei progetti di riforma del codice penale. In particolare il progetto
elaborato dalla commissione Nordio. La recente “Modifica all’art. 52 del
codice penale in materia di diritto all’autotutela in un privato domicilio”.
I progetti che si sono succeduti in questi anni saranno il punto di partenza della
nostra analisi visto che rappresentano delle tappe importanti e significative lungo il
cammino dei progetti di riforma del Codice penale, per poi circoscrivere il lavoro
alla questione della difesa legittima, con particolare riferimento a un suo
fondamentale requisito: la proporzione. Le commissioni che si sono occupate in
questi anni di riformare il codice penale sono in ordine cronologico: la commissione
Pagliaro, la commissione Grosso, il disegno di legge Riz e da ultimo la
commissione Nordio che sarà oggetto di approfondimento nella presente
trattazione.
Inizierò, per semplicità, dal progetto Pagliaro raffrontandolo con il progetto Grosso
per poi concentrare il mio lavoro sul Progetto Nordio.
La spinta riformatrice partì da Giuliano Vassalli, che durante il suo mandato di
ministro della giustizia, insediò la commissione (peraltro interamente accademica)
Pagliaro, da cui è scaturito il primo testo organico di riforma del sistema penale, a
partire da una decisa ri-codificazione del diritto penale. Il testo, ha costituito e
costituisce una testimonianza di come sia possibile orientare l’intero sistema penale
secondo la “bussola” della Costituzione e secondo i fondamenti di una politica