2
frutto di un lungo percorso e dibattito, che è parsa, agli occhi del cittadino 
profano, in molti momenti, una superflua operazione politica di carattere 
spiccatamente populista e demagogico. 
Si comprendono le fonti e la dottrina da cui nascerà il lavoro legislativo del 
Ministro nella compilazione dell’articolo 49 c.p.. 
Saranno analizzati gli elementi fondamentali della legittima difesa, sviluppati da 
Diritto Romano e ripresi dal Diritto Germanico
2
 ed in quello Canonico
3
 e i loro 
cambiamenti terminologici nel corso della storia confrontando il diritto patrio 
preunitario con il diritto comparato. Principi che sono sempre stati sostenuti in 
linea di massima dalla dottrina, seppur in maniera spesso oscillante e mutevole 
per ragioni di carattere storico-politico, essendo in gioco da un aparte il potere 
statuale d’imperio, e dal’altra parte il diritto del cittadino alla tutela della propria 
vita e incolumità personale. 
Si ricorda Ermete Trismegisto, che formulò una legge
4
 destinata a diventare base 
e fondamento della legittima difesa: “occhio per occhio e dente per dente”, ma 
che verrà nel corso dei tempi rimodellata, giustificata e limitate nella sua portata. 
Per questo è importante rivedere quelle che sono le tappe fondamentali di questo 
istituto, partendo dal Codice Zanardelli, volgendo lo sguardo al nostro 
illuminismo giuridico, senza dimenticare la base di tutto il nostro diritto, quindi 
testi attici e romani. 
L’Italia dello Zanardelli, ha sentito la necessità di modificare, con più progetti al 
Codice, e in più riprese, una delle norme fondamentali a cui nessun individuo può 
abdicare, per ciò ho deciso di limitare il mio studio all’Italia del 1890. 
                                                 
2
 P. DEL GIUDICE, s.v. “Diritto penale germanico rispetto all’Italia”, in Enciclopedia del Diritto 
Penale Italiano, vol. I,  Milano, 1905, 231-239. 
3
 D. SCHIAPPOLI, s.v. “Diritto penale canonico”, in Enciclopedia del Diritto Penale Italiano, vol. I, 
Milano, 1905, 742. 
4
 La legge del taglione. 
 3
 
Capitolo I 
Il Codice Zanardelli 
 
 
In tutti gli Stati pre-unitari italiani d’inizio ‘800, nelle coscienze degli 
intellettuali del Risorgimento, si avvertiva, ormai come ineludibile, giunti alle 
soglie dell’unificazione nazionale, la necessità di costruire un sistema 
codificatorio su base unitaria. 
Da tale necessità nacquero i dibattiti molto accesi sulla scelta dei contenuti da dare 
alle norme dei vari settori del diritto. 
Gli ideologi di matrice “Giacobina” sottolineavano la necessità di utilizzare un 
modello legislativo autorevole come il Code Napoleon del 1804, per poter 
garantire l’uniforme applicazione del Diritto; i detentori del cosiddetto 
“Piemontesismo” ritenevano che fosse necessario estendere la legislazione del 
Regno di Sardegna all’intera Penisola, coerentemente alla loro propaganda 
politica verso il modello politico-istituzionale liberal-moderato subalpino; ed 
infine, gli esponenti politici del pensiero positivista
1
, confluenti sul piano 
giuridico nel filone del cosiddetto “storicismo giuridico”
2
, propugnavano la 
                                                 
1
 Tale argomento sarà meglio approfondito in seguito, nel capitolo secondo. 
2
 Lo storicismo giuridico soppiantò la dottrina universalista dello jus naturale come base per un 
discorso razionale sul diritto. Il diritto doveva essere profondamente radicato nelle tradizioni 
locali, espressione delle più intime credenze di un popolo, e strettamente connesso con gli usi e i 
costumi, con la sua storia. Per Savigny esisteva un collegamento organico tra il diritto e l’essenza 
di una nazione. Il culto del diritto Romano, prodotto della storia, non della natura, doveva 
sostituire una concezione universale e razionale del Diritto (F.K. SAVIGNY, Antologia degli scritti, 
a cura di F. De Marini, Milano, 1980).  
 4
necessità di redigere nuovi testi legislativi
3
. Alla fine nel 1865 sarebbero stati 
apprestati i nuovi Codici per il Regno d’Italia, abbracciando quindi la tesi 
dibattimentale di questi ultimi. 
Nella realtà questi Codici sarebbero risultati come una semplice revisione, con 
qualche emenda specifica, delle Leggi di Unificazione per il Regno, fatte 
approvare frettolosamente nel 1859, che, a loro volta, erano state il frutto del 
recepimento in toto della Legislazione Subalpina risalente al 1837. 
Ebbe una vittoria schiacciante, anche in campo giuidico, l’ideologia moderata di 
stampo prettamente conservatore. 
Solo dagli anni ’80 in poi, con lo sviluppo della dottrina socialista giuridica, si 
sarebbero affacciati sul piano ordinamentale e legislativo i principi di equità 
sociale e il principio solidaristico. 
Giuseppe Zanardelli sarà uno dei fautori/promotori della 
“istituzionalizzazione” di tali principi. La figura di Zanardelli si impose nella 
storia del nostro Paese, a pieno titolo, con l’approvazione in Parlamento, nel 1882, 
della nuova Legge Elettorale, da lui stesso partorita. Nell’ottica delle sue idee, tale 
legge rappresentava una tappa, importante, ma al contempo intermedia, per 
giungere all’instaurazione di un sistema elettorale che potesse poggiarsi sul 
metodo del Suffragio Universale
4
. 
                                                 
3
 Per meglio completare il quadro del dibattito giuridico, bisogna sottolineare che c’era anche chi 
come Cattaneo sosteneva la necessità di fare restare in vigore, nel Regno d’Italia, i codici pre-
unitari vista la loro autorevolezza dottrinaria. Dalla lettura di C. GHISALBERTI, La codificazione del 
diritto in Italia (1865-1942), Roma-Bari, 2001, emerge come Cattaneo fosse il portavoce dei più: 
“…Il Piemonte anche addensando in più di sei mesi i progressi di un secolo, si trovò inferiore in 
Diritto Penale alla Toscana, in Diritto Civile a Parma, in ordini comunali alla Lombardia: ebbe 
la disgrazia di apportare ai popoli come un beneficio, nuove leggi ch’essi accolsero come un 
disturbo o un danno. Li assennati riputarono un vituperio che il popolo preferisse le leggi 
austriache alle italiane e non si avvidero che il vituperio era che le leggi italiane potessero 
apparire peggiori delle austriache. Ogni mutazione di leggi, che non sia un vero miglioramento, è 
un delitto perché sospende il vero rapido corso delle transizioni; diffonde una dubbiezza 
universale; rende insufficiente tutte le cognizioni pratiche; costringe gli uomini a rifar da capo 
tutti i loro giudizi e calcoli”.  
4
 Circa l’importanza del suffragio universale per il sistema elettorale, Zanardelli, nella relazione 
alla legge sopraccitata, aveva scritto: “Gli analfabeti non solo possono dare e danno anch’essi il 
 5
Occorre puntualizzare che anche questa legge, come molte altre, aveva sotteso 
uno scopo ideologico ben preciso, infatti Zanardelli aveva architettato un 
allargamento della base elettorale limitato semplicemente ai soli ceti di certa 
ispirazione liberale
5
, che avessero garantito un impegno a favore del successo 
dello Stato laico, tenendo fuori quella popolazione di contadini e piccoli 
proprietari
6
 che a suo vedere avrebbero facilitato il successo delle forze pro-
conservazione a cui lui era fortemente avverso. 
Pensando di risolvere il problema ingombrante della presenza del Clero nel 
panorama civile, politico, istituzionale e giuridico, avrebbe in realtà segnato il 
declino della sua carriera politica. 
Il problema più evidente, che avrebbe portato alla compromissione della 
leaderschip di Zanardelli, era costituito dal fatto che egli avrebbe scelto di 
continuare a promulgare un modello istituzionale particolarmente basato 
sull’unione della monarchia e democrazia. 
                                                                                                                                     
loro tributo di danaro e di sangue alla Patria, ma, educati alla dura scuola del lavoro, sono dotati 
di un’intelligenza e d’una sagacia non inferiore a quella degli uomini istruiti. Né si deve 
dimenticare che ponendo una linea di separazione giuridica tra quelli che partecipano 
all’esercizio del potere pubblico e quelli che ne sono esclusi, si scinde la nazione in due partiti 
ostili, mentre il suffragio universale, interessando tutte le classi alla pubblica cosa, dà al Governo 
una fortissima base, toglie ogni ragione alla violenza, onde giustamente venne chiamato il grande 
arbitrio e il grande pacificatore”; G. FRIGO, L’eredità giuridica e forense di Giuseppe Zanardelli 
alle soglie del XXI secolo, introduzione a G. ZANARDELLI, L’avvocatura. Discorsi (con alcuni 
inediti), prefazione di R. DANOVI, Milano, 2003, XXIII.  
5
 Bisogna evidenziare che con la nuova legge anche tutto il sistema dei seggi veniva a modificarsi, 
infatti si abbandonava il tradizionale collegio uninominale per abbracciare lo scrutinio di lista. 
Questo produceva un duro colpo all’ormai consolidato costume dei clientelismi locali, grazie al 
quale il candidato di turno riceveva voti a fronte di favori. Eclatante è come nel 1892 si tornò al 
sistema uninominale. 
6
 Sulla questione dell’attitudine al voto (da intendersi come capacità di votare con cognizione di 
causa e consapevolezza) della base elettorale, si richiama qui un passo dello scritto di Carlo Vallari 
inserito in una miscellanea di studi su Zanardelli: C. VALLARI, Zanardelli e la riforma elettorale 
del 1882, in R. CHIARINI (a cura di), Per una biografia di Giuseppe Zanardelli. Atti del Convegno 
(Brescia, 29-30 settembre – Pavia, 1 Ottobre 1983), Milano, 1985, 141-142: “Zanardelli cita 
Proudhon, secondo il quale per la capacità reale sono richieste tre condizioni fondamentali: che 
l’individuo abbia coscienza di se stesso, della sua dignità, del suo valore, del posto che occupa 
nella società, dell’ufficio che adempie, degli interessi che rappresenta; inoltre, che come risultato 
di tale coscienza di sé, affermi la sua idea, infine che di questa idea sappia, secondo il bisogno e 
la diversità delle circostanze, dedurre tutte le conseguenze pratiche”. 
 6
Al pari della vecchia generazione di politici risorgimentali, egli restava ancorato 
all’idea per cui il privatismo fosse l’unica garanzia di uno sviluppo in senso 
prettamente democratico delle Istituzioni e di tutta la Società, quindi avrebbe 
perso il “ favore” di quella Sinistra che spingeva invece affinché si innestasse, in 
taluni settori, un redditizio connubio tra capitalismo privato e interventismo 
statale
7
. 
Il Codice Penale del 1889, detto Zanardelli, dal nome dell’allora Ministro 
della Giustizia, entrò in vigore nel 1890 sancendo la chiusura del processo di 
codificazione realizzatosi nel corso del Risorgimento unificando tutta la 
legislazione penale. 
Il lungo e complesso iter legislativo ha visto succedersi quattro progetti di 
codificazione, dal 1868 al 1883, anno in cui il Ministro della Giustizia Zanardelli 
presentò un ultimo e definitivo progetto, accompagnato da una relazione in cui si 
dava conto del fondamento e dei principi ispiratori dell’emanando Codice Penale. 
Il progetto Zanardelli si può affermare che meglio sintetizzò le numerose 
elaborazioni dottrinarie del periodo liberale. 
Nel 1863, quindi, il Ministro Pisanelli, aiutato da vari penalisti, aveva iniziato un 
primo Disegno di Codice Penale, soffermando la sua attenzione al libro primo, 
dove vengono affermate le regole generali del Diritto Penale positivo. Nel 1865 il 
Governo ebbe pieni poteri per l’unificazione delle legislazioni nelle diverse 
province italiane, Pisanelli non si sentì in grado di assumersi la responsabilità di 
                                                 
7
 BERTANI così si esprime sulla posizione di Zanardelli al riguardo: “… e bisogna altresì e più che 
mai persuadersi che è assolutamente necessario fare una grande amputazione o, se meno 
sgomenta, disertare dalle teorie economiche della libera concorrenza nell’industria quando si 
voglia provvedere all’esercizio ferroviario, che indeclinabilmente non può essere altro se non un 
monopolio, quello più ricco dei nostri giorni. Nessuno può contrastare questa realtà economica né 
può sfuggire alla sua strapotenza sociale; e i monopoli in mano all’industria privata sono 
forzatamente un grosso e pubblico aggravio. E qui dove Zanardelli, liberista convinto, fu preso da 
capogiro e cadde supino, per quanto si arrabattasse non sarebbe mai riuscito a fare sì che il 
monopolio non fosse un monopolio e nelle mani private non fosse una sventura, per il paese, 
rappresentando appunto nell’esercizio ferroviario l’assoluta negazione della libera concorrenza” 
(da una lettera di A. BERTANI pubblicata su La Nazione, Firenze, 23 novembre 1877). 
 7
pubblicare un Codice Penale unico, in quanto a fronte vi era un voto negativo 
proveniente dalla Camera dei Deputati, per l’abolizione della pena capitale, 
mentre il Senato credeva fermamente nella sua conservazione. 
Questa disputata che vedeva la divisione tra Camera dei Deputati e Senato toccava 
le basi dello stesso diritto punitivo, quindi il governo nel 1866 istituì una 
Commissione per l’elaborazione di un nuovo progetto di Codice Penale ed 
un’altra commissione per studiare a fondo il problema della carceri. 
Nel 1868 le due Commissione riunitesi si trovarono concordi per un nuovo 
sistema penale, dal quale doveva sparire la pena di morte, e fu dato inizio a un 
nuovo progetto di Codice Penale, che venne sottoposto alle osservazione della 
Magistratura italiana, che bocciò questo nuovo disegno. 
Alla base del rifiuto della Magistratura vi era la considerazione in ordine alla 
pubblica e privata sicurezza di alcune province italiane e della loro particolare 
condizione eccezionale, quindi il Disegno di Codice del 1868 non fu mai portato 
alla conoscenza del Parlamento. 
Il Ministro Guardasigilli Vigliani nel 1874 si impose per portare al 
Parlamento nazionale il Disegno del Codice Penale, tenendo conto dello schema 
del 1868, che rimaneva intatto per l’estremo supplizio delle pene, ma se ne 
discostava per il numero di casi di applicazione, rivelando che questo ennesimo 
progetto non fu abolito dal Governo, oppresso dal Parlamento per la risoluzione di 
questo arduo problema. 
Il Senato approvò, con scarse modificazioni, il brillante lavoro di Vigliani, ma la 
Camera dei Deputati, che aveva votato l’abolizione della pena capitale, nel 1865, 
su richiesta del Deputato Mancini, non approvò il Disegno del Codice promosso 
dal Senato. 
 8
Mancini, nel 1876 eletto Ministro di Giustizia, presentò, sottoforma di 
emendamenti al Disegno Senatorio, il progetto di un libro primo del Codice 
Penale, frutto del lavoro di una commissione composta da professori e magistrati 
da lui stesso diretta. 
Tale progetto venne discusso nel 1877 alla Camera dei Deputati e quindi 
approvato; forte di tale votazione il Mancini si accinse poi a scrivere il Libro 
Secondo e a fare accettare al Senato il Libro Primo. 
Ma le trasformazioni apportate al Libro Primo gli impedirono di portare a termine 
il lavoro così ben avviato. 
Nel 1882 il Ministro di Giustizia Giuseppe Zanardelli si mise all’opera del 
nuovo Codice Penale, elaborando un Disegno che racchiudeva le teorie migliori 
presenti nei precedenti Disegni del 1868, 1874 e 1876. 
Successore al Ministero di Giustizia fu Savelli che continuò il lavoro iniziato da 
Zanardelli, presentandolo alla Camera dei Deputati con alcuni ritocchi e 
integrazioni, aumentate dai suoi successori, sino al 1887, anno in cui Zanardelli 
venne rinominato Ministro di Giustizia. 
Zanardelli si occupò nuovamente del suo lavoro incompiuto al Codice Penale, 
portandolo finalmente a termine. 
Presentò il suo capolavoro, correlato da una dottissima relazione, alla Camera dei 
Deputati come allegato ad una proposta di legge che autorizzava il Governo a 
pubblicarlo. 
La Camera affidò lo studio alla stessa Commissione che esaminò il Disegno del 
Codice del 1883 presentato dal Ministro Savelli. 
La Commissione approvò pienamente il lavoro di Zanardelli, con eccezione di 
alcuni emendamenti parziali, che però non mutavano l’essenza e l’unitarietà dei 
fondamenti del Codice Penale. 
 9
La Camera aprì un lungo dibattito sui principi e osservazioni speciali del Codice, 
evitando che lo stesso venisse votato per singoli articoli, poiché se si fosse votato 
in tal modo sarebbe stato compromesso il sistema, l’unitarietà, la coerenza e 
l’armonia dell’insieme legislativo. 
Dall’ampia discussione promossa dalla Camera ne derivarono due risultati 
molto importanti: il primo era costituito dai consigli di modifica da introdurre al 
testo del Codice Penale; il secondo fu che la maggioranza della Camera si 
pronunciò in senso positivo, approvando, con le riserve testè dette, la Proposta di 
Legge. 
Il 9 giugno 1888 il Ministro Zanardelli, forte del voto positivo della Camera dei 
Deputati, presentò la medesima Proposta di Legge al Senato del Regno, che per lo 
stesso studio del corpo legislativo, promosse una nuova Commissione, che doveva 
occuparsi dei fondamenti e dei principi delle singole parti del Disegno del Codice. 
Grazie alle discussioni e allo studio preparatorio, svoltosi nell’altro ramo del 
Parlamento, la Commissione in breve tempo si trovò concorde con il voto della 
Camera dei Deputati, sancendo con voto favorevole, il 17 novembre 1888, 
l’approvazione del Senato. 
Il Ministro Zanardelli convocò immediatamente dopo l’approvazione delle 
Camere una Commissione composta da magistrati, professori, penalisti per 
apportare le modifiche necessarie agli emendamenti. 
Con decreto del 30 giugno 1889 si vide l’avvento del primo Codice del Regno 
d’Italia, di profumazione prettamente liberale: fu il risultato di una lunga 
elaborazione a cui parteciparano, per un quarto di secolo, i più importanti cultori 
dei Diritto Penale in Italia. Senza rinnegare i valori fondamentali della civiltà 
abolisce la pena di morte, corregge l’eccessivo rigore delle pene, offre una più 
articolata tutela dei diritti dell’uomo/cittadino contro gli abusi delle autorità.  
 10
Puntualizza che nella lotta contro il delitto non bisogna distruggere l’uomo nel 
delinquente ma il delinquente che è nell’uomo, e da qui tutto il sistema di rimedi 
penali è destinato a reintegrare l’ordine sociale e sconfiggere il turbamento. 
Il compilatore del Codice non ha dato nomi e definizioni giuridiche dei singoli 
reati, in quanto il Codice era destinato a integrarsi nelle menti del popolo, inoltre 
ha cercato di migliorare la valutazione del reato nelle singole fattispeci di delitto 
con l’aiuto di criteri comparativi razionali. 
Sorsero molte accuse contro il Codice, alcune contradditorie, infatti alcuni 
ritenevano che fosse fin troppo mite, altre troppo eccessivo; alcune intravedevano 
uno sconfinato potere di arbitrio lasciato in capo al giudice, ma la vera tendenza 
del Codice è quella di un saluto alle vecchie tendenze per abbracciare principi di 
proporzionalità e uguaglianza giuridica nella punizione del delinquente, di attuare 
principi liberali e garantisti, radicati nella scuola classica
8
 del Diritto Penale. 
Il Codice rimase in vigore fino al 1930 e seppe resistere alla crescente 
influenza esercitata sul terreno culturale dalla scuola positiva
9
 del Diritto Penale, 
                                                 
8
 La scuola classica, indirizzo ideologico del Diritto Penale, si sviluppa a partire dalla seconda 
metà del XIX secolo per merito del suo fondatore Francesco Carrara. I suoi fondamenti – una 
concezione metafisica del Diritto Penale, inteso come diretta emanazione dalla idea assoluta di 
ragione, la costruzione del reato come un ente giuridico astratto, giustificato esclusivamente con il 
riferimento alla violazione di un diritto – concorsero alla formazione di un Diritto Penale 
immutabile nel tempo, impermeabile al dato sociale, politico ed economico dei diversi periodi 
storici. Carrara scrisse in proposito che il Diritto Penale doveva avere vita e criteri preesistenti 
alla volontà del legislatore, criteri ineludibili, costanti e indipendenti dai capricci dei governanti 
cosicché la scienza del diritto criminale veniva a riconoscersi comne un ordine emanante da una 
legge morale assoluta e le leggi penali erano, nei principi cardinali, assolute (F. CARRARA, 
Programma del corso di diritto criminale, vol. I, Lucca, 1891), Tali affermazioni dominarono 
incontrastate per quasi un trentennio, con il risultato di confinare il Diritto Penale in uno splendido 
isolamento dalla realtà sociale e politica. A tale scuola va senza dubbio il merito di aver introdotto 
una salda costruzione degli elementi costitutivi del reato, nel contempo essa contribuì a impedire 
che venisse presa coscienza dei presupposti e delle politiche del Diritto Penale, e concentrò lo 
studio del Diritto Penale nei suoi elementi fondamentali e nei suoi principi cardine. 
9
 La scuola positiva si sviluppò nell’ultimo ventennio dell’Ottocento in vivace polemica con i 
principi della scuola classica allora dominanti. La scuola positiva ha avuto come suoi principali 
esponenti Ferri e Lombro, ha raggiunto la sua più matura espressione e imposizione con il Progetto 
al Codice del 1921. La scuola positiva sosteneva di spostare il centro dello studio e della disciplina 
del Diritto Penale dal delitto al delinquente, e quindi di prendere in considerazione non solo 
l’essenza del reato, ma anche il delinquente uomo nelle sue componenti fisiche, psichiche, sociali e 
ambientali. Pertanto tentò di spostare il concetto di responsabilità morale, proprio della scuola 
classica, al principio di responsabilità legale e sociale.