4
1. Dalla Costituente alla legge che introduce il finanziamento pubblico in Italia
Per affrontare il tema del finanziamento dei partiti si ritiene opportuno iniziare il nostro
studio partendo dalla più alta fonte giuridica, cioè la Carta Costituzionale, analizzando come
questa concepisca il ruolo dei partiti politici all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale.
L’esito del dibattito della Costituente ha condotto ad una norma costituzionale limitata e
insufficiente concretizzatasi nell’articolo 49, inserito nel Titolo IV dei principi fondamentali
dedicato ai “Rapporti politici”, che recita come segue: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi
liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale”.
1.1 Il dibattito in Assemblea Costituente e l’approvazione dell’articolo 49
Il 25 giugno 1946 si insedia l'Assemblea Costituente. Questa nomina al suo interno una
Commissione per la Costituzione composta da 75 membri, a sua volta suddivisa in tre
sottocommissioni: la I, si occupa dei diritti e doveri dei cittadini; la II dell’organizzazione
costituzionale dello Stato; mentre la III dei rapporti economici e sociali. Il dibattito sulla
disciplina dei partiti nell’ambito della Costituzione italiana è affrontato nella I sottocommissione.
Fin dall’inizio il dibattito risulta acceso e caratterizzato da posizioni discordanti. Inizialmente si
confrontano due diverse proposte: la prima è suggerita dagli onorevoli Merlin (democristiano) e
Mancini (socialista) e recita così: «I cittadini hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si
formino con metodo democratico e rispettino la dignità e la personalità umana, secondo i principi
di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge
particolare»
1
; mentre la seconda proposta è portata avanti dall’on. Lelio Basso (socialista) e
recita così: «Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente e democraticamente in
partito politico, allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del paese»; e, secondo
articolo, «Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto non meno di
cinquecentomila voti, sono riconosciute, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere
costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa, e di altre
leggi».
2
Quest’ultima proposta viene esplicata dallo stesso Basso durante la seduta della
sottocommissione del 20 Novembre 1946, nella quale egli afferma che l’articolo da lui proposto:
«si inserisce in un evidente processo di trasformazione delle nostre istituzioni democratiche per
cui alla democrazia parlamentare […] si è venuta sostituendo la democrazia dei partiti già in atto
1
La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, 19 Novembre 1946, p. 702
2
Ibidem
5
[…] Il principio del riconoscimento ai partiti di attribuzioni di carattere costituzionale
rappresenta una specie di avviamento a superare tutte le forme di tipo puramente individualistico
antiquato con una nuova concezione di democrazia di partiti, e pertanto deve trovare posto in una
formula della Costituzione». E ancora: «E’ chiaro che oggi il parlamentarismo come lo si
intendeva una volta non si potrà più riprodurre, poiché il deputato non è più legato ai suoi
elettori, ma al suo partito. Ciò presuppone l’esigenza di una disciplina di partito»
3
.
Per quanto riguarda la prima delle due formulazioni considerate, questa viene fortemente
contestata dai deputati comunisti Marchesi e Togliatti, in quanto sembra suggerire (e, di fatto, è
così) un controllo sui partiti politici, in particolare circa il metodo di formazione dei partiti e il
rispetto da parte loro della dignità e della personalità umana. I comunisti si contrappongono a
questo controllo sui partiti politici in quanto temono (forse, all’epoca, legittimamente) il
possibile intervento di un governo di parte nella strutturazione e nel funzionamento interno ai
partiti e questo a causa della peculiarità organizzativa del Pci basato sul cosiddetto “centralismo
democratico” che può essere usato come pretesto per colpire il partito comunista.
Si opta così più favorevolmente per la proposta di Basso, perché pone l’accento sulla libertà dei
cittadini e sull’opportunità democratica di organizzarsi. Poi, su iniziativa del leader comunista
Togliatti, si decide di evidenziare in modo esplicito l’assenza di libertà e di democraticità nelle
modalità con le quali i cittadini erano stati organizzati nel partito fascista e di vietarne la
ricostituzione. Viene così inserita, al primo comma della XII disposizione transitoria, tale
formulazione: «E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito
fascista».
E’ importante notare che la I sottocommissione approva solo la prima parte del testo proposto da
Basso. Infatti, anche se prevale tra i leader delle principali forze politiche (Dc, Psi e Pci) l’idea
che anche il secondo articolo elaborato da Basso debba essere inserito nella Costituzione, si
ritiene che tale articolo rientra nelle competenze della seconda sottocommissione, in quanto tali
norme sui partiti incidono in modo sostanziale sull’ordinamento dello Stato. Viene così
rimandata la discussione ad una seduta successiva, da effettuarsi però in riunione congiunta.
Probabilmente per scarsa diligenza (o per cattiva volontà) la richiesta riunione comune non ha
luogo. La commissione plenaria, che non si trova quindi il testo del secondo articolo di Basso fra
le proposte approvate dalle sottocommissioni, non riprende più l’argomento
4
.
3
Basso, Considerazioni sull’articolo 49 della Costituzione, in ISLE, Indagine sul partito politico pag. 142-143
4
Ivi, p. 144
6
L’alternativa più netta e significativa alla proposta di Basso viene presentata da Costantino
Mortati del gruppo Democratico Cristiano, in collaborazione con l’On. Ruggiero, facente parte
del gruppo Socialdemocratico (Psli). Tale proposta mira a definire la legittimità dei partiti sulla
base della loro natura democratica interna: «Tutti i cittadini hanno il diritto di organizzarsi
liberamente in partiti per concorrere, nel rispetto delle libertà fondamentali e dei diritti garantiti
dalla presente Costituzione, a determinare la politica nazionale», precisando poi: «Tutti i
cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico
nell’organizzazione interna e nell’azione diretta alla determinazione della politica nazionale»
5
.
Da evidenziare come in tale formulazione viene a mancare una parte fondamentale
dell’emendamento che, in precedenza, Mortati aveva presentato autonomamente circa i bilanci
dei partiti: «La legge può stabilire che ai partiti in possesso dei requisiti da essa fissati, ed
accertati dalla Corte Costituzionale, siano conferiti propri poteri in ordine alle elezioni o ad altre
funzioni di pubblico interesse. Può inoltre essere imposto ,con norme di carattere generale, che
siano resi pubblici i bilanci dei partiti
6
». Nel dibattito susseguente, Mortati motiva le sue
argomentazioni con riferimento alla necessità di garantire la democraticità interna dei partiti
«consona a tutto lo spirito della nostra Costituzione» e precisa «Abbiamo infatti stabilito
l’obbligo della democratizzazione dei sindacati, delle aziende private, attraverso i consigli di
gestione: abbiamo parlato di spirito democratico persino nell’esercito. Mi pare che sarebbe assai
strano prescindere da questa esigenza di democratizzazione proprio nei riguardi dei partiti, che
sono la base dello Stato democratico
7
». Inoltre, Mortati affronta due temi molto importanti
caratterizzanti i partiti, la partecipazione politica e il reclutamento politico, affermando: «E’ nei
partiti infatti che si preparano i cittadini alla politica e si dà ad essi di esprimere organicamente la
loro volontà, è nei partiti che si selezionano gli uomini che rappresenteranno la nazione nel
Parlamento
8
». Infine, il noto giurista democristiano pone la sua attenzione sugli strumenti di
controllo pubblico da utilizzare per garantire la democraticità interna ai partiti, senza limitare
troppo la sfera di libertà degli stessi: «questi accertamenti non dovrebbero consistere in altro che
nel deposito degli statuti e, per quanto riguarda il giudizio della conformità di questi statuti al
metodo democratico, bisognerà organizzare delle garanzie tali da avere la sicurezza che si possa
impedire la sopraffazione da parte dei partiti dominanti a danno delle minoranze. Io avevo
5
La Costituzione italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, 22 Maggio 1947, p. 1881
6
Ivi p. 1882
7
Ibidem
8
Ibidem
7
proposto l’intervento della Corte Costituzionale. Si potrebbe anche pensare ad organismi formati
dalle rappresentanze degli stessi partiti esistenti in condizione di pariteticità»
9
.
In seguito, un altro emendamento viene presentato dall’on. Bellavista, il quale chiarisce la
differenza tra metodi democratici di funzionamento interni ai partiti e il programma politico
eventualmente non democratico. Distinzione importante, ma difficile da stabilire nelle sue
modalità di accertamento.
Il relatore Umberto Merlin respinge poi tutti gli emendamenti proposti ribadendo, da un lato,
l’originalità della formulazione dell’articolo 49 (derivante soprattutto, nella sua versione
definitiva, dalla prima proposta del socialista Basso) che permette ai partiti di essere parte della
Carta Costituzionale, senza affidare loro compiti costituzionali; dall’altro, esprimendosi contro
qualsiasi controllo interno ai partiti. Tale contrarietà è spiegata sia in termini di impossibilità
(«bisognerebbe chiederne gli statuti, conoscerne l’organizzazione, chiedere anche […] i bilanci
dei partiti e conoscere i mezzi finanziari di cui dispongono»)
10
, sia in termini di non
auspicabilità, e questo per evitare possibili controlli esterni circa il funzionamento dei partiti.
Per quanto concerne le dichiarazioni di voto, queste sono così sintetizzabili: la posizione
contraria dei comunisti, sia all’emendamento Mortati-Ruggiero, sia all’emendamento Bellavista,
viene espressa dall’on. Laconi che evidenzia come qualsiasi controllo sull’ordinamento interno
dei partiti avrebbe creato una situazione nella quale «domani la maggioranza parlamentare, di cui
tanto il Governo quanto la Corte saranno espressione, potrebbe entrare nella vita interna dei
partiti di minoranza», ma egli afferma anche che le garanzie per gli iscritti e per le minoranze si
sarebbero comunque ottenute poiché «una tale garanzia e un tale controllo [sull’ordinamento
interno] vi sono di fatto, e vi saranno sempre di più, a mano a mano che si svilupperà la vita
democratica del Paese; ed è il controllo che gli aderenti stessi esercitano nel proprio partito. Tutti
i partiti, infatti, hanno statuti e norme sancite negli statuti alle quali gli aderenti possono sempre
appellarsi. Questo è un controllo legittimo ed efficace
11
». Quindi, di fatto, secondo Laconi, per
assicurare una vita di partito democratica e trasparente, sarebbe sufficiente appellarsi agli statuti
interni ai partiti. Contrari all’emendamento Mortati-Ruggiero anche gli azionisti, che non solo
riprendono alcune motivazioni già espresse dall’on. Laconi, ma precisano: «Se, in sede
costituzionale, si dovesse entrare nel merito del problema che stiamo discutendo, allora la
discussione dovrebbe essere molto più ampia, perché dovremmo stabilire i limiti di attività dei
9
La Costituzione italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, 22 Maggio 1947, p. 1882
10
Ivi, p. 1884-1885
11
La Costituzione italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, 22 Maggio 1947, p. 1887
8
partiti e i loro poteri, dovremmo porre il problema del riconoscimento della personalità giuridica,
e dovremmo affrontare tutta una serie di altre questioni di carattere costituzionale. Ma, se questo
non si fa, l’unica soluzione accettabile è quella proposta dalla Commissione, che si astiene
dall’entrare nell’organizzazione interna dei partiti
12
». Sulla stessa linea anche la posizione dei
socialisti, per bocca dell’on. Targetti, i quali aderiscono alla formulazione presentata dalla
sottocommissione, rigettando qualsiasi emendamento. In linea con la propria cultura politica è
l’intervento dell’on. Lucifero, facente parte del partito liberale, che critica una qualsiasi
costituzionalizzazione e regolamentazione dell’attività dei partiti, ai quali a suo parere sono
attribuite già troppe funzioni. I democristiani, attraverso la dichiarazione di Aldo Moro, si
esprimono a favore dell’emendamento Mortati-Ruggiero. Respinta la proposta (dell’on.
Bellavista) di un controllo sulla democraticità della meta perseguita dai partiti «cosa veramente
pericolosa, in quanto il controllo che fosse stabilito potrebbe di volta in volta condurre ad
impedire l’attività di determinati partiti sulla base del presunto carattere antidemocratico del loro
programma», Moro aggiunge: «ci sembra che non si possa riscontrare alcun pericolo nel
richiamo non solo al carattere democratico della prassi politica nella quale operano i partiti, ma
anche al carattere democratico della loro struttura interna. Si tratta di organismi i quali devono
operare con metodo democratico quale è universalmente riconosciuto, ed è evidente che, se non
vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere indirizzo democratico
nell’ambito della vita politica del paese»
13
. Moro, quindi, si concentra sul legame tra
democraticità dei partiti e democraticità della vita politica nazionale. Infine, l’on. Corsini (Uomo
Qualunque) dichiara di approvare l’emendamento Mortati-Ruggiero, in quanto le garanzie di
controllo offerte dalla Corte Costituzionale gli sembrano di assoluta imparzialità.
A questo punto della discussione, però, l’on. Mortati (a cui si associa l’on. Ruggiero) dichiara di
ritirare il proprio emendamento
14
che viene poi ripresentato dall’on. Bellavista, ma respinto
15
.
Quindi, il deficit di regolamentazione e di riconoscimento del ruolo pubblico dei partiti è il
risultato dell’opposizione a ciò di alcuni partiti, in particolare dei comunisti; ma è anche il
risultato di un sistema politico formato da partiti molto polarizzati ideologicamente e ciò, nel
contesto della guerra fredda, sfocia in una situazione nella quale la vita interna ai partiti è
12
Ivi, p. 1888
13
Ibidem
14
La Costituzione italiana nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, 22 Maggio 1947, p. 1889
15
Traverso, La genesi storico-politica della disciplina dei partiti nella Costituzione italiana, in Il Politico n°2, p.281-
300
9
influenzata dalle due superpotenze (le quali hanno interesse a finanziare, più o meno
direttamente, ma sempre oscuramente, i due principali partiti italiani, Dc e Pci)
16
.
L’articolo 49 rappresenta una novità assoluta, “un fatto nuovo”, non solo nella storia
costituzionale italiana, ma anche nella storia dei testi costituzionali formali (cioè nella storia
delle Costituzioni scritte), in quanto coglie e fissa il fondamentale ruolo dei partiti in una
democrazia di massa: cioè di costruire il tramite maggiormente degno di nota costituzionale tra
la volontà dei cittadini (e le loro preferenze) e la determinazione della politica nazionale, con
metodo democratico. Solo la Grundgesetz della Repubblica Federale Tedesca di poco posteriore
e la Costituzione della Spagna post-franchista contengono una normativa simile
17
. L’articolo 49
è il punto di arrivo di una situazione reale che si è verificata in Italia negli anni tra il 1943 e il
1948, il suggello di un fatto che preesisteva alla Costituzione repubblicana. Infatti, i partiti si
affermano nella vita politica pubblica in un periodo antecedente al riconoscimento formale del
diritto dei cittadini di associarsi in partiti; i partiti, ed in primo luogo (ma non esclusivamente)
quelli facenti parte del Comitato di Liberazione, sono i massimi artefici del pacifico passaggio
dalla Monarchia alla Repubblica, gli autentici “padri della Costituzione” promulgata il 27
Dicembre 1947. L’intera esperienza precostituente, ed in larga misura quella costituente sono
esperienze partitiche e poi, in tutto il cinquantennio repubblicano, i partiti rappresenteranno i
principali protagonisti della vita politica nazionale
18
. Motivo per cui, il costituzionalista
Giuseppe Maranini conia il termine di Partitocrazia e, più tardi, lo storico Pietro Scoppola parla
di Repubblica dei partiti.
L’articolo 49 deve essere ricollegato, da un lato, all’articolo 1 della Costituzione, nel quale
vengono espressi i principi relativi al carattere “democratico” della Repubblica e quello della
“sovranità al popolo”; dall’altro lato, esso è riconducibile ad altre disposizioni costituzionali
relative alla forma di governo, in particolare per quanto riguarda la struttura rappresentativa delle
Camere, la loro articolazione interna, e i loro rapporti con il Governo. Tuttavia, questo articolo si
focalizza in modo predominante, e da un certo punto di vista anche comprensibilmente se si
pensa al periodo storico nel quale esso viene elaborato, sul diritto dei cittadini di associarsi in
partiti e non sul ruolo specifico dei partiti in quanto funzione autonoma costitutiva della
democrazia italiana. I cittadini sono i destinatari di un diritto (negato nel ventennio fascista), che
16
P.Borioni, Risorse per la politica. Il finanziamento dei partiti tra tradizione e innovazione, p.88
17
G. Pasquino, Commento all’art. 49 della Costituzione in Commentario della Costituzione, a cura di Giuseppe
Branca,Bologna-Roma, Zanichelli-Foro Italico, 1992, p. 4
18
V. Crisafulli, I partiti nella Costituzione, Estratto da JUS, Anno XX (1969) - Pubblicazioni periodiche dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore, p.6
10
esercitano attraverso una molteplicità di partiti. La legittimazione e la natura costituzionale
precisa dei partiti non viene riconosciuta, anche se, in via indiretta, si stabilisce che i partiti,
rappresentando lo strumento che permette l’esercizio di un diritto fondamentale dei cittadini,
sono organismi protetti e tutelati in quanto necessari alla determinazione della politica nazionale.
Gli interpreti “costituzionali” più attenti, giuristi o scienziati politici, hanno individuato in seno
all’articolo 49 una duplice natura che si concretizza, per un verso, in una norma immediatamente
operante, fondante un diritto di libertà, con conseguenze importanti anche nell’ ambito delle
strutture organizzative dei poteri pubblici, per un altro verso, invece, in norme “ad efficacia
differita”, la cui operatività resta condizionata all’emissione delle necessarie norme di
attuazione
19
.
L’articolo 49 della Costituzione non sembra possa essere invocato come argomento decisivo a
favore dell’ammissibilità di un controllo sulle fonti di finanziamento e spesa dei partiti; infatti,
già durante la Costituente viene sollevato il problema, si pensi all’emendamento Mortati, ma
senza esito positivo. Anche in questo ambito l’articolo 49 è caratterizzato da una certa
polivalenza. Da un certo punto di vista, intendere la formula insita all’art. 49 del “metodo
democratico” come esigenza di pubblicità dei bilanci significherebbe espandere in modo
significativo il campo d’applicazione della formula stessa, anche se è vero che la garanzia di
pubblicità dei bilanci sarebbe del tutto aderente agli “ideali” democratici. D’altro canto, però, lo
stesso articolo non si pronuncia in modo esplicito neanche per la tesi contraria, cioè come divieto
di bilanci pubblici e anzi, tale argomentazione permetterebbe di superare l’obiezione derivante
dall’esplicita previsione contenuta nell’articolo 21, quinto comma, di analoga misura per la
stampa periodica, che recita come segue: «La legge può stabilire, con norme di carattere
generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica».
In conclusione, quindi, i Costituenti vogliono e riescono a porre fine ad una tradizione di
trascuratezza del fenomeno partitico, ma senza riuscire ad affrontarlo in tutti i suoi molteplici
aspetti, sottovalutandone così le potenzialità di espansione negli anni seguenti.
19
Ivi, p. 8