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disciplina va ad intersecare. Ritengo quindi importante mantenere uno sguardo d’insieme che,
anche in una prospettiva storica, permetta di fare il punto sulla disciplina precedente e su
quella attuale. Certamente, per affrontare una normativa così ampia e articolata, è necessario
individuare le caratteristiche salienti della riforma perché possano fungere da punto di
partenza per l’analisi. Infatti, isolate le questioni più importanti, dovrebbe risultare più
agevole illustrare l’evoluzione della normativa secondo uno schema che, partendo dall’analisi
della normativa precedente e dalla sua applicazione giurisprudenziale, evidenzi le
problematiche riscontrate, giungendo infine ad esaminare le soluzioni proposte dalla recente
riforma. Così, ad esempio, in tema di affidamento è certamente importante iniziare dall’esame
del precedente art. 155 c. c. e dal concetto di “interesse dei figli”, nonché dall’analisi dell'art.
6 della l. 898/70, cercando di capire come la giurisprudenza abbia interpretato queste
disposizioni, arrivando a prediligere l’affidamento esclusivo, e come, invece, il legislatore, a
fronte dei problemi emersi, abbia preferito optare per l’affidamento condiviso.
Questo modo di procedere è applicabile anche alle altre tematiche evidenziate dalla legge n.
54 del 2006: il mantenimento, l’assegnazione della casa familiare, le norme di procedura, le
sanzioni e i poteri del giudice.
Tuttavia, prima di affrontare l’analisi degli aspetti strettamente giuridici, non si può
prescindere da alcuni sintetici cenni al concetto di bigenitorialità poiché tutta la riforma ruota
attorno al succitato principio. Soprattutto, è fondamentale capire in che modo l’affermazione
del diritto alla bigenitorialità possa aiutare a risolvere i problemi nascenti dalla separazione e
dal divorzio, problemi che non sono solo di natura giuridica ma inevitabilmente coinvolgono
la sfera personale dei soggetti interessati, in particolare quelli più vulnerabili. Nelle riflessioni
che hanno accompagnato l’iter legislativo è stata sottolineata, anche da parte di coloro che
hanno aspramente criticato la riforma, l’esigenza di focalizzare l’attenzione sulla figura dei
figli, specie se minori, e sulle loro esigenze, essendo i soggetti più coinvolti dal punto di vista
psicologico ed emotivo. Capire se, e come, questa nuova disciplina possa aiutarli ad affrontare
e superare il trauma della separazione dei genitori, certamente richiede l’approfondimento di
tematiche e questioni che non appartengono al diritto, ma piuttosto a materie come la
psicologia e la sociologia. Ciononostante, consapevole dell’esigenza di non deviare
dall’argomento principale che è, e resta, di diritto positivo, ritengo utile, là dove sia possibile,
cercare punti di incontro anche con queste materie, perché, è bene ribadirlo, i problemi
nascenti dal fenomeno della separazione dei coniugi solo in parte sono di natura giuridica.
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CAPITOLO PRIMO
IL PRINCIPIO DELLA BIGENITORIALITA’.
1. LA DIMENSIONE DEL FENOMENO DELLE SEPARAZIONI PERSONALI E DEI DIVORZI
Per capire la portata della legge sull’affidamento condiviso occorre cercare di tratteggiare con
alcuni dati le dimensioni e l’evoluzione del fenomeno della dissoluzione del rapporto
coniugale. Rispetto agli altri ordinamenti occidentali che possono fungere da metro di
paragone, l’Italia ha la particolarità di prevedere una tappa intermedia nel percorso che porta
alla fine del rapporto coniugale. Mentre negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra esiste solo
l’istituto del divorzio, nel nostro paese al divorzio si giunge normalmente tramite la
separazione personale. Questo comporta, oltre che un inutile duplicazione delle regole
previste per i due diversi istituti, la necessità per i coniugi di affrontare per due volte lo stesso
percorso giudiziario, con lo stress e le spese che ne conseguono. Accade spesso, quindi, che le
coppie, ottenuta la prima sentenza di separazione, rinuncino ad intraprendere la causa per
ottenere la successiva sentenza di divorzio, cosicché pur essendo unioni coniugali di fatto
concluse, ufficialmente esistono ancora, pur in regime di separazione. Dal punto di vista
statistico questo si traduce in una duplicazione dei dati di riferimento: dunque, bisognerà
sempre fare riferimento tanto alle separazioni quanto ai divorzi, per capire la situazione delle
crisi coniugali. Da anni in Italia il numero delle separazioni e dei divorzi sono in aumento.
Secondo i dati ISTAT, nel periodo che va dal 1995 al 2002, i divorzi sono aumentati del
54,7% e le separazioni del 52,2%, e così nel 2003 il tasso di divorzi registrato per mille
matrimoni è stato di 138,6 e quello delle separazioni di 266,1. Complessivamente si è passati
da circa 18000 separazioni personali e 9580 divorzi nei primi anni ‘70, a 79642 separazioni e
41.385 divorzi nel 2002.
Occorre però tenere presente che a fianco di separazioni e divorzi riconosciuti e disciplinati
dalla legge esiste la realtà ancora più vasta delle cosiddette separazioni di fatto. Queste
separazioni, che si verificano quando, per accordo delle parti o per scelta unilaterale, uno dei
due coniugi interrompe la coabitazione con la famiglia, sono da sempre molto più diffuse di
quelle legali
2
. La separazione di fatto nel 30% dei casi rappresenta una fase preparatoria alla
separazione personale riconosciuta dalla legge e, pertanto, è legittimo aspettarsi che parte
delle attuali separazioni di fatto andranno ad aumentare ulteriormente il numero di quelle
2
Nel biennio 1995-1996 le separazioni legali sono state 470 mila mentre quelle di fatto sono state 555
mila.
8
legalmente riconosciute. Questi dati, che certamente fanno capire quale sia stata l’evoluzione
e l’espansione di questi istituti, e quanto ormai essi facciano parte della nostra società, non
devono impressionarci se paragonati ai dati di paesi a noi culturalmente vicini. In stati come il
Regno Unito, la Francia, la Repubblica Ceca, la Germania e gli Stati Uniti, il numero dei
divorzi si attesta circa a meta del numero totale dei matrimoni. Senza considerare casi
eclatanti come il Belgio o la Svezia dove il tasso di divorzi per ogni 100 coppie sposate è
rispettivamente di 69,7 e 59,8.
Pur avendo l’Italia una tradizione e una cultura che frenano almeno in parte la dissoluzione
dei rapporti coniugali, è realistico pensare che la tendenza sarà quella di una progressiva
uniformazione dei dati italiani con quelli della media europea e quindi in futuro è ipotizzabile
un considerevole aumento delle separazioni e dei divorzi anche nel nostro paese. A conferma
di questo gli stessi compilatori della riforma hanno previsto che la legge inciderà su circa 2,5
milioni di cittadini separati e divorziati, corrispondenti a circa il 5% della popolazione italiana
di oltre 15 anni.
Soffermiamoci, infine, su alcuni rilievi statistici relativi ai figli coinvolti nella crisi coniugale,
essendo essi i diretti interessati dalla nuova normativa. Sebbene sia stato osservato che la
presenza di figli sia spesso d’ostacolo alla rottura del matrimonio, è in costante aumento
anche il numero dei figli coinvolti dalle separazioni. Secondo uno studio del 2002, il 69,4%
dei divorzi ed il 60,1% delle separazioni personali hanno riguardato coppie con figli avuti nel
corso della loro unione. Dato ancora più allarmante, il 70 % dei figli coinvolti erano minori e
di questi circa il 66% erano in età infantile o preadolescenziale al momento in cui la crisi
coniugale si è manifestata. Questi dati, che certamente il legislatore aveva ben presente
quando è intervenuto, ci permettono di realizzare quanto sia esteso il fenomeno delle
separazioni e dei divorzi che vedono coinvolti i figli minori, e, quindi, quanto sia necessario
prevedere regole efficaci che tutelino nello specifico questi soggetti deboli.
2. LE CONSEGUENZE DELLE SEPARAZIONI E DEI DIVORZI NEI RAPPORTI GENITORI-
FIGLI. I PROBLEMI CAUSATI DALL’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO.
Se analizziamo l’iter di approvazione della legge è possibile osservare come, nonostante
spesso si sia manifestata una distanza incolmabile tra le posizioni politiche dei due diversi
schieramenti, tutti coloro che sono intervenuti nel dibattito lo abbiano fatto premettendo
l’importanza di tenere sempre i minori come punto di riferimento di qualunque soluzione
adottata in materia di affidamento. Ricordiamo tra tutti l’intervento dell’On. Maria Burani
9
Procaccini, che in sede di discussione sulle linee generali della proposta di legge ha voluto
ribadire con forza <<la necessità di una legge che veramente ponga il fanciullo, come
prevedono la Convenzione di New York, la Convenzione di Strasburgo ed altri atti, al centro
della legge>>. E’giusto chiedersi allora la ragione di tutta questa retorica sulla tutela degli
interessi dei minori coinvolti nella separazione coniugale, e soprattutto è giusto chiedersi cosa
renda questi soggetti così bisognosi di protezione e tutela. Per rispondere a questi quesiti è
necessario, però, fare riferimento anche a discipline come la psicologia e la sociologia, le
quali possono aiutarci a capire le dinamiche e le conseguenze che scaturiscono dalla crisi del
rapporto coniugale. Solo così, infatti, potremo capire le problematiche emotive e relazionali
che spesso rendono questo fenomeno così traumatico per i soggetti coinvolti. Preliminarmente
è importante chiarire che in questo paragrafo quando si parlerà di separazione dei coniugi non
si farà riferimento all’istituto giuridico della separazione personale, quanto piuttosto
all’evento personale della crisi e dissoluzione del rapporto coniugale.
Questa precisazione terminologica è particolarmente utile se consideriamo che il termine
separazione nella scienza giuridica e in psicologia ha significati profondamente diversi.
Infatti, mentre in diritto quando si parla di separazione personale si intende un preciso istituto
giuridico che possiamo considerare come un concetto unitario, in psicologia si arriva a
distinguere tra ben sei tipi diversi di separazione: la separazione emozionale, che coincide con
il distacco affettivo tra i due coniugi; quella legale, che corrisponde al momento a partire dal
quale la legge riconosce questo distacco; quella economica, che consiste nella attività di
spartizione delle risorse precedentemente in comune; quella sociale, che vede coinvolte le
persone vicine agli ex-coniugi; quella psichica ed, infine, quella genitoriale.
Queste ultime pur essendo declinazioni dello steso fenomeno meritano maggiore attenzione
perché sono i due momenti che generano i problemi maggiori: la separazione psichica si ha
quando i soggetti cominciano a percepirsi come due entità distinte l' una rispetto all’altra, non
solo dal punto di vista affettivo ma anche come dimensione dell’essere e del vivere, e
rappresenta, quindi, il momento finale in cui la separazione dal punto di vista relazionale ed
emozionale si compie definitivamente. Questo risultato però è il frutto di un lungo e difficile
percorso psicologico che Kaslow, noto esperto di relazioni familiari, ha descritto in tre
momenti cronologici distinti: pre-divorzio, divorzio, post-divorzio. In particolare nelle due
prime fasi si manifestano sentimenti talvolta anche molto violenti come la disillusione,
l’intolleranza, la perdita di stima in sé, la disperazione e conseguentemente la rabbia ed il
desiderio di vendetta. Questi sentimenti laceranti, che in alcuni casi possono sfociare in
manifestazioni estreme come la minaccia, la protesta, i tentativi di suicidio, rendono il
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fenomeno della separazione molto traumatico. Infatti, rischiano di rendere più lunga e
difficoltosa la fase cosiddetta post-divorzio, dove gli ex-coniugi dovrebbero costituire, in base
alla situazione creatasi, un nuovo ordinamento funzionale per i loro rapporti reciproci.
E’proprio in questa fase che dovrebbe verificarsi la già menzionata separazione psichica.
Tuttavia, ciò non deve indurci a pensare che le separazioni, pur nella loro drammaticità, siano
sempre un male. Al contrario gli studiosi ritengono si tratti di un avvenimento sano, se si
accompagna alla presa di non poter più <<forzare un rapporto su canali divenuti
impercorribili rispetto ad una vita comune ormai naufragata>>
3
. Questo però presuppone una
riorganizzazione della famiglia in due unità separate ed un riadattamento dei figli, che
possono avvenire solo con il passaggio da una fase di “conflitto”, dove prevalgono le
rivendicazioni personali ad una fase di “consenso”, in cui i genitori cercano un dialogo il più
possibile costruttivo e sereno. Tanto più alto è il tasso di conflittualità residua tra i coniugi,
tanto più lunga e difficile sarà la transizione tra la fase iniziale di conflitto e quella finale del
dialogo. Pertanto è la conflittualità l’elemento centrale che permette di distinguere tra
separazioni psichiche più o meno “sane”, poiché rappresenta l’ostacolo più forte alla
riorganizzazione e normalizzazione dei rapporti tra gli ex-coniugi e in particolare tra i genitori
divorziati ed i figli. Questo aspetto è di particolare interesse per la nostra ricerca perché, come
vedremo, i conflitti tra i genitori separati portano inevitabilmente al fallimento di qualsiasi
tipo di accomodamento giuridico previsto nei rapporti con i figli. Esiste perciò una stretta
connessione tra le due fasi della separazione psichica e di quella genitoriale, perché
inevitabilmente il fallimento della prima, lasciando irrisolto il conflitto tra i coniugi, comporta
il fallimento anche della seconda.
A questo punto è necessario parlare anche dell’ultimo tipo di separazione, quella cosiddetta
genitoriale. E’certamente uno dei momenti più difficili della separazione, perché richiede di
conciliare esigenze diverse e talvolta contrapposte; da una parte abbiamo la dissoluzione della
coppia coniugale, con i coniugi che cercano di ricostruire la propria vita separatamente; e
dall’altra, invece, abbiamo i figli che hanno bisogno di essere preparati a quello che avviene
loro intorno e di essere rassicurati del fatto che comunque non perderanno la vicinanza e
l’amore di mamma e papà.
Questo è un momento particolarmente difficile e delicato soprattutto se lo vediamo nella
prospettiva dei figli-minori: infatti, i genitori, in quanto adulti, possono affrontare la
separazione contando su persone con le quali confidarsi, consultarsi e sfogarsi, e possono
3
BOGLIOLO C.- BACHERINI A., Bambini divorziati. Separazione, figli, controversie tra genitori,
Ediz.Del Cerro, 2003, 82.
11
compiere attività che gli permettano di compensare il peso di quanto sta accadendo, mentre i
figli, specie se in tenera età, sono soli, incapaci di reagire, e spesso assistono come semplici
spettatori alle decisioni degli adulti, siano essi i genitori o il giudice. Inoltre, mentre l’adulto
ha un passato al di fuori dell’ambito familiare, e, quindi, può concepire se stesso anche
separatamente rispetto alla famiglia stessa, per il bambino la famiglia è l’unica cosa che abbia
mai posseduto e sperimentato, è tutto il suo mondo. Quindi, egli vede nella separazione dei
genitori un evento catastrofico, in cui si materializza una delle paure inconsce più profonde:
l’abbandono da parte dei genitori.
Studi di psichiatria infantile hanno evidenziato proprio come questa esperienza di abbandono,
che può essere reale, con l’allontanamento da parte di uno dei genitori, oppure anche solo
temuto, incida in maniera molto forte nella psiche del minore. Lo sgretolamento del sistema
famiglia, unico punto di riferimento, e la paura di essere abbandonati o di perdere uno dei due
genitori spingono i figli a reazioni in alcuni casi anche estreme: negazione della realtà
4
,
rabbia, senso di colpa
5
, senso di solitudine, ansia, depressione. Nei casi più gravi questi
sentimenti coinvolgono a tal punto il soggetto da manifestarsi sotto forma di malattie
psicosomatiche o disturbi psichiatrici.
Fortunatamente, queste sono ipotesi limite. Gli studiosi hanno accertato come nella maggior
parte dei casi i minori riescano a superare il trauma causato dalla separazione in tempi
relativamente brevi. Dopo circa un anno e mezzo oltre il 90%, riescono a trovare un certo
equilibrio e i problemi esplosi subito dopo la separazione appaiono del tutto superati.
Pertanto, vale quanto affermato già in precedenza: la separazione, sia per quanto riguarda i
rapporti tra i coniugi, sia per quanto riguarda i rapporti tra i genitori ed i figli, pur essendo un
evento difficile da gestire, può avere un esito positivo. Tutto dipende però dall’atteggiamento
dei soggetti coinvolti. Di conseguenza, i figli potranno trovare un soddisfacente adattamento
alla nuova situazione, a patto che i genitori riescano il prima possibile a mettere da parte i
conflitti irrisolti ed a cooperare per costruire un nuovo sistema di rapporti dove entrambi
mantengano il loro ruolo di sorgente di protezione, amore, educazione. Per contro, i bambini
che continuano a dare segni di profondo disagio anche molto tempo dopo la crisi coniugale
sono quelli che hanno sperimentato una separazione dove il conflitto tra i genitori si è
protratto a lungo, oppure quelli che hanno sperimentato l’allontanamento o l’abbandono da
parte di uno di essi. Perciò, se prendiamo in considerazione la prospettiva dei figli possiamo
4
Spesso i minori fuggono dalla realtà coltivando la fantasia di una possibile riconciliazione dei genitori;
questo meccanismo di difesa da una parte permette al bambino di affrontare quanto avviene intorno a lui,
dall’altra, però gli impedisce di accettare evento separazione
5
Non è raro che il minore, non comprendendo le ragioni reali della separazione, finisca per auto-
incolparsi della stessa.
12
affermare che due sono gli elementi che rendono più difficile e penosa l’evento separazione:
la persistente conflittualità tra i genitori e l’esperienza dell’allontanamento da uno dei
genitori.
Dal punto di vista giuridico, le soluzioni proposte prima della riforma del 2006 in materia di
affidamento si sono rivelate spesso del tutto insoddisfacenti proprio in relazione a questi due
aspetti. Senza addentrarci nella analisi della precedente normativa, di cui ci occuperemo nei
successivi capitoli, è comunque necessario segnalare che dal punto di vista statistico nelle
decisioni dei giudici, sia nel caso di separazione personale che nel caso di divorzio, ha sempre
prevalso in maniera schiacciante la scelta dell’affidamento esclusivo a favore della madre.
Secondo i dati del 2002, infatti, l’84,9% delle separazioni e l’84% dei divorzi si erano
conclusi con l’affidamento esclusivo a favore della madre (contro il 4,1% ed il 6,5% di
affidamenti esclusivi a favore del padre), mentre restavano ancora in netta minoranza i casi di
affidamento congiunto o alternato, che prima della riforma rappresentavano l’unica alternativa
possibile (10,5% nella separazione personale e 8,8% nel caso di divorzio). Sempre nella
disciplina pregressa si assisteva ad una evidente prevalenza del ruolo del genitore affidatario,
in quanto, mentre la potestà continuava ad essere di entrambi i genitori, l’esercizio della stessa
spettava interamente al solo coniuge affidatario, salvo casi concernenti le decisioni più
rilevanti per il minore, le quali dovevano essere invece assunte congiuntamente. Al contrario
il coniuge non affidatario aveva il diritto e il dovere di vigilare sulla educazione e sulla
istruzione dei figli e poteva ricorrere contro quelle decisioni che reputasse contrarie al loro
interesse. La netta presa di posizione della giurisprudenza, di cui si è fatto cenno, frutto anche
di alcune teorie psicologiche in parte superate
6
, ha portato così al verificarsi di alcune
problematiche che possiamo brevemente illustrare, con particolare riferimento ai tre soggetti
coinvolti: il genitore affidatario, il genitore non affidatario, ed i figli.
Con riferimento alla disciplina ora delineata, gli studiosi hanno rilevato come sia il genitore
affidatario a trovarsi nella situazione più difficile da gestire. Da una parte, a causa della
rottura del rapporto coniugale, egli ha subito un impoverimento economico ed un
declassamento sociale che, aggravati spesso dall’inadempimento contributivo dell’altro
coniuge, gli impongono, se non lavorava già (caso frequente per le donne), un inserimento
tardivo nel mondo del lavoro. Dall’altra, essendogli attribuito in modo esclusivo l’esercizio
della potestà sul minore, egli si trova, solo, ad affrontare tutte le scelte relative all’educazione
ed alla cura dello stesso. Questa eccessiva responsabilizzazione del singolo genitore rischia di
6
Sulla scia degli studi di J. Bowlby, a partire dagli anni ’50, si era affermata in psicologia l’opinione
secondo la quale il legame da preservare nel caso di crisi del matrimonio fosse quello con la madre, poiché esso
era considerato insostituibile soprattutto nel caso di bambini molto piccoli.
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portarlo a vivere in funzione dei figli, ed ha come conseguenza la creazione di un rapporto
squilibrato tra genitore e prole. Accade, ad esempio, che il genitore affidatario rinfacci
frequentemente al figlio tutti i sacrifici compiuti per lui, con lo scopo sia di affermare la
propria insostituibilità che di dissacrare la figura dell’altro genitore, colpevole di non fare
altrettanto. Si parla in questo caso di sindrome “genitore buono-genitore cattivo”, nella quale
il genitore affidatario cerca di porsi come unico e vero interprete dei bisogni del figlio,
tentando però allo stesso tempo di sminuire l’altra figura genitoriale.
Questa non è l’unica ipotesi di rapporto disfunzionale. Infatti, può capitare che il genitore
affidatario, trovandosi completamente assorbito dai bisogni del figlio, maturi nei suoi
confronti anche atteggiamenti di tipo possessivo. In questi casi non è raro che si verifichi una
certa confusione tra i ruoli, con il figlio costretto a sopperire alla mancanza del partner, così
venendo a svolgere un' attività di sostegno psicologico ed affettivo che non gli compete.
Queste situazioni generano nel genitore affidatario un profondo senso di frustrazione che lo
portano a sviluppare un’ altrettanto profonda ostilità nei confronti dell’ex-coniuge, che viene
visto ingiustamente come la causa di tutti i problemi.
Nei confronti del genitore non affidatario, invece, l’affidamento esclusivo comporta nella
quasi totalità dei casi la perdita del rapporto con i figli, e quindi un abbandono morale e
psicologico degli stessi. E’ stato dimostrato infatti che nel 21 % dei casi i genitori non
affidatari vedono i figli meno di una volta al mese già ad un anno dalla separazione, mentre
nell’arco di 10 anni circa il 50% dei genitori non affidatari perde ogni contatto, o quasi, con
gli stessi. Più in generale, anche quando non si verifica la completa perdita dei contatti, la
maggior parte dei coniugi non affidatari hanno rapporti poco frequenti con la prole, e in ogni
caso dimostrano scarsa partecipazione e basso coinvolgimento nelle attività di allevamento ed
educazione.
Poiché nella situazione italiana ante riforma i figli erano affidati nel 95% dei casi alla madre,
parlando di genitori non affidatari ci concentreremo in primis sulla categoria dei padri.
All’interno di questa categoria possiamo distinguere tra diversi tipi di padri a seconda dei
differenti comportamenti. Innanzitutto, esistono padri che si considerano legittimati dalla
decisione del giudice, che dispone l’affidamento esclusivo, a disinteressarsi dei figli e a
fuggire dalle proprie responsabilità genitoriali. In realtà, spesso il provvedimento del giudice
non fa che confermare uno stereotipo culturale presente nella mentalità maschile, secondo il
quale la cura quotidiana dei figli spetterebbe naturalmente alla madre, mentre al padre
competerebbe prima di tutto un ruolo di sostentamento e guida del nucleo familiare. Nel
migliore dei casi, dunque, questa tipologia di padri accettano almeno il compito di “ufficiale
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pagatore” che la legge attribuisce loro, perché sentono tale compito come una normale
continuazione del ruolo che essi avevano durante la vita matrimoniale. Questo atteggiamento
comporta comunque un certo disinteresse nei confronti di quelle attività di accudimento della
prole che richiedono una presenza ed un impegno maggiori. Nel peggiore dei casi, invece,
questi padri vengono meno anche agli obblighi contributivi, aggravando di conseguenza la
situazione del genitore affidatario e dei figli a carico.
7
Da questo punto di vista sono emblematiche le parole di una studiosa italiana
8
la quale
afferma che <<l’affidamento unilaterale, ad uno solo dei genitori, senza dubbio pone il
genitore non-affidatario su un piano totalmente diverso da quello del genitore affidatario,
incentivandone la irresponsabilità nella stessa misura in cui ne decreta la marginalità>>.
Esiste però anche una categoria di padri che potremmo definire “virtuosi”, i quali vorrebbero
collaborare attivamente nella cura della prole, al di là dei semplici obblighi contributivi,
impegnandosi a mantenere un rapporto con gli stessi il più possibile simile rispetto a quello
avuto nel corso del matrimonio. In questo caso la buona volontà di questi genitori rischia di
essere frustrata dagli spazi angusti che vengono loro concessi dal diritto di visita, soprattutto
quando, a causa di conflitti irrisolti, l’altro coniuge invece di incoraggiare questi tentativi
cerchi di ostacolarli. Il risultato prevedibile è che il padre maturi ostilità e risentimento verso
la madre, finendo per coinvolgere in questi sentimenti anche i figli.
Infine, dal punto di vista dei figli, l’affidamento esclusivo, salvo che non sia disposto in casi
estremi ove sia necessario nell’interesse del minore l’allontanamento da uno dei genitori, può
rilevarsi dannoso per entrambe le ragioni già citate. Da una parte, infatti, comporta la perdita
di uno dei genitori, ovviamente quello non affidatario, o quantomeno l’allentamento dei
legami affettivi con lo stesso; dall’altra, non risolve il problema della conflittualità residua tra
i coniugi, e anzi, rischia di dare agli stessi un nuovo terreno di scontro e nuovi motivi di
litigio. Particolarmente pericoloso è il caso in cui il minore si trovi oggetto delle
strumentalizzazioni e delle triangolazioni dei genitori, i quali, affermando di agire nel suo
esclusivo interesse, in realtà lo usano come arma per colpire l’ex-coniuge.
7
Alcuni studiosi americani hanno avanzato una teoria secondo cui l’assenza del padre viene usata dallo
stesso come strumento di ritorsione nei confronti dell’altro coniuge colpevole con il divorzio di averlo privato
del ruolo e del potere di marito e di genitore.
8
Così RONFANI P., in POCAR V.- RONFANI P., La famiglia e il diritto, editori Laterza, 1998, 151.