5
dell’articolo 1: “Sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti
e lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo,
sistemate o incrementate, le quali, considerate sia isolatamente
che per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo bacino
imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale
appartengono, abbiamo acquisito, od acquistino, attitudine ad
usi di pubblico generale interesse”. Questa definizione viene
recepita pienamente dal codice civile del 1942 che, nell’articolo
822, comprende, nella categoria del demanio idrico, i fiumi, i
torrenti, i laghi e, genericamente, le “altre acque definite
pubbliche dalle leggi in materia”, proprio quelle individuate
dalla norma contenuta nel Testo Unico del 1933.
Il primo articolo della legge n. 36 del 1994, al primo
comma, prevede, diversamente, che “tutte le acque superficiali
e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono
pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed
utilizzata secondo i criteri di solidarietà”.
Gli ambiti di osservazione delle due norme che abbiamo
posto a confronto sono assai differenti introducendo, la norma
della legge Galli (la legge n. 36 del 1994), una considerazione
di demanialità delle acque, superficiali e sotterranee, completa,
6
che esclude la presenza, sia pur già residuale sotto l’egida del
Testo Unico del 1933, di una qualsiasi categoria di acque
private.
Una definizione di acque pubbliche di questa assoluta
portata dovrebbe, normalmente, assumere valenza abrogativa
rispetto alla definizione presente nel Testo Unico del 1933
all’articolo 1 e rispetto alle disposizioni del codice civile. Di
abrogazione dell’articolo 1 del Testo Unico possiamo parlare
con certezza. Purtroppo accennare all’abrogazione delle norme
contenute nel codice civile non è discorso facilmente
affrontabile vista la mancanza, proprio nella legge Galli, di un
enunciato abrogativo espresso.
L’articolo 32 della legge n. 36 del 1994, che pur si
intitola, “abrogazione di norme”, non contiene riferimento
alcuno al Testo Unico, anche se il confronto tra i due articoli di
esordio dei testi di legge posti a paragone convince sul piano
della tacita abrogazione della definizione di acque pubbliche
così come intesa nel 1933. Modifiche al Testo Unico
intervengono, sia pure formali, all’interno dei singoli articoli
della novella. Ma non si compiono menzioni alla parte del
codice civile (libro III, titolo II, capo II, sezione IX, titolata
7
“delle acque”) che si occupa specificamente di acque private,
tramite gli articoli 909 e seguenti.
L’abrogazione (implicita) dell’articolo 1 comma 1 del
Testo Unico delle acque pubbliche, è, dunque, l’unico dato
certo ed incontestabile, vista la chiara incompatibilità con
l’articolo 1 comma 1 della legge n. 36 del 1994
1
. Le norme del
codice civile, invece, a condurre un’analisi fondata sui lavori
preparatori della legge “Galli”, resterebbero valide sia pure in
modo limitato: l’articolo 23 del “Testo unificato delle proposte
di legge n. 512 e n. 1397”, veniva espressamente ad occuparsi
delle disposizioni contenute nel codice civile che abbiamo
sottolineato, esso, intitolato “usi agricoli delle acque”, riferiva
al primo comma che “per gli usi agricoli delle acque restano
ferme le disposizioni di cui al libro III, titolo II, capo II, sezione
IX del codice civile”. Restando, questa, l’unica menzione,
rimasta peraltro agli atti dei lavori di preparazione, della legge
“Galli” alla normativa che disciplinava le acque private. Gli
“usi agricoli delle acque” sono, evidentemente, disciplinati
dalla legge n. 36 del 1994 dalle disposizioni dell’articolo 28,
con riferimento ad una duplice possibilità: da un utilizzo
8
gravato dal pagamento di un canone, per le derivazioni di
grande portata, si passa agli usi gratuiti delle acque piovane
raccolte e di quelle estratte dal sottosuolo, queste
esclusivamente per gli usi definiti domestici
2
.
Una rilettura, alla luce delle norme della legge Galli,
delle parti del codice civile che trattano di acque private, non è
mai stata praticata. Proprio questa si richiede allo scopo del
nostro lavoro.
2. dalle acque in proprietà al mero utilizzo della risorsa idrica.
L’articolo 1 comma 1 della legge 36 del 1994 dispone
che tutte le acque superficiali e sotterranee, senza effettuare
distinzione alcuna, sono pubbliche, proponendo, nel nostro
ordinamento, una generalizzata dichiarazione di pubblicità ex
lege. La definizione supera la precedente ed elimina, nella
individuazione delle “altre” acque pubbliche, il ruolo
intermediario della Pubblica Amministrazione, che, tramite
1
Lugaresi Nicola, Le acque pubbliche, profili dominicali di tutela e di gestione, Milano, 1995, p. 42
ss.
2
L’articolo 28 della legge “Galli” compie, al comma 5, un rimando all’articolo 93 del Testo Unico del
1933, per quel che riguarda la definizione degli usi domestici e le modalità di estrazione di acqua
proprio per tali usi.
9
interventi, meramente dichiarativi (l’iscrizione in elenchi),
decideva quali acque dovessero ricadere nell’ambito demaniale.
La legge Galli, esclude a priori la categoria delle acque
private come disciplinate dal codice civile, ma non esclude le
istanze del privato a proposito di acque superficiali e
sotterranee. Si lascia intatta la possibilità di “utilizzazione” di
certi tipi di acque da parte dei privati anche al di fuori degli
schemi concessori, con il dovuto rispetto dei principi e dei
parametri indicati dalla legge. È il caso previsto dall’articolo 28
comma 3 che indica come “libera” la “raccolta di acque
piovane in invasi e cisterne al servizio di fondi agricoli o di
singoli edifici”; il quarto comma dello stesso articolo viene a
specificare che la raccolta del comma precedente “non richiede
licenza o concessione di derivazione di acque; la realizzazione
dei relativi manufatti è regolata dalle leggi in materia di
edilizia, di costruzioni nelle zone sismiche, di dighe e
sbarramenti e dalle altre leggi speciali”.
Il successivo comma 5 disciplina un ulteriore utilizzo
delle acque da parte dei privati che esclude la presenza di un
provvedimento concessorio da parte della Pubblica
Amministrazione, la norma compie in proposito un richiamo
10
esplicito all’articolo 93 del Testo Unico delle acque del 1933.
La disposizione richiamata, intatta nella sua efficacia pur a
seguito della nuova legge, disciplina l’utilizzazione delle acque
sotterranee per gli usi domestici. L’articolo 93 del Testo Unico
dice che “il proprietario del fondo, anche nelle zone soggette a
tutela della Pubblica Amministrazione, ... , ha facoltà, per gli
usi domestici, di estrarre ed utilizzare liberamente, anche con
mezzi meccanici, le acque sotterranee nel suo fondo, purché
osservi le distanze e le cautele prescritte dalla legge. Sono
compresi negli usi domestici l’innaffiamento di giardini ed orti
inservienti direttamente al proprietario ed alla sua famiglia e
l’abbeveraggio del bestiame.”. La disciplina del comma 5
dell’articolo 28 precisa, inoltre, che l’utilizzazione delle acque
sotterranee, proprio come disposta dall’articolo 93 del Testo
Unico, sarà possibile soltanto qualora non si vada a
“compromettere l’equilibrio del bilancio idrico di cui
all’articolo 3
3
”. Un arricchimento necessario da parte della
nuova legge.
3
L’articolo 3 della legge Galli recita: “ 1. L’Autorità di bacino competente definisce ed aggiorna
periodicamente il bilancio idrico diretto ad assicurare l’equilibrio fra le disponibilità di risorse
reperibili o attivabili nell’area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi, nel rispetto dei criteri e
degli obiettivi di cui agli articoli 1 e 2.; 2. Per assicurare l’equilibrio tra risorse e fabbisogni,
l’Autorità di bacino competente adotta, per quanto di competenza, le misure per la pianificazione
dell’economia idrica in funzione degli usi cui sono destinate le risorse.; 3. ...”
11
Il privato avrà, dunque, modo di utilizzare in piena
libertà le acque sicuramente pubbliche, anche senza il tramite
di un atto amministrativo di concessione, “nel rispetto del
bilancio tra disponibilità delle risorse reperibili od attivabili
nell’area di riferimento ed i fabbisogni per i diversi usi,
compatibilmente alle priorità individuate”
4
. Il legislatore
compie un intervento diretto alla garanzia dello sfruttamento
pieno delle acque (rectius delle risorse idriche): in assenza di
più importanti esigenze di sfruttamento pubblicistico si
consente l’uso dell’acqua senza provvedimenti di
intermediazione da parte della Pubblica Amministrazione.
Prima della vigente legge Galli si consentiva al privato la
titolarità di diritti dominicali sulle acque, in specie su quella
categoria di acque che non risultassero idonee ad utilizzi di
pubblico e generale interesse e che fossero state inserite negli
elenchi; il nuovo ordinamento, intervenuto in conseguenza
della nuova legge, permette l’utilizzo, libero, di determinate
categorie di acque, compatibilmente con le accresciute, ed
espressamente menzionate
5
, esigenze di conservazione delle
4
Lugaresi Nicola, o. u. c., p. 43.
5
Articolo 1 commi n. 2 e 3 della legge n. 36 recitano così: “2. Qualsiasi uso delle acque è effettuato
salvaguardando le aspettative ed i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio
ambientale. 3. Gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio ed al rinnovo delle risorse per non
12
risorse idriche. Utilizzo libero nei casi espressamente
determinati dalla legge.
La creazione di una dimensione totalmente pubblica di
sfruttamento delle risorse idriche, diretta per necessità, a fini
generali e collettivi, non importa un cambiamento radicale per i
soggetti fruitori del bene acqua, ma realizza una novità di
carattere dogmatico: si privano i soggetti privati della titolarità
di diritti reali sulle acque che, per la legislazione precedente, e
nel residuo rispetto alla maggioranza, non rivestivano un
immediato rilievo pubblico (ex lege, articolo 1 Testo Unico n.
1775 del 1933).
La dichiarazione generalizzata di pubblicità delle acque,
contenuta nella legge Galli, rappresenta un mezzo assai rigido e
ben poco contestabile, un enunciato di difficile interpretazione,
finalizzato alla realizzazione di una politica completa di tutela e
di governo delle acque da parte dello Stato: “Tutte le acque
superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo,
sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata
ed utilizzata secondo criteri di solidarietà” (articolo 1 legge n.
pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora
acquatiche, i processi geomorfologici e gli idrologici.”.
13
36 1994). Non vi è praticamente alcuna via di fuga
6
, la lettera
della legge non ammette scorciatoie, non ci sono sconti: il
privato resterà, eventualmente, titolare di un mero diritto di
utilizzo di fatto a fronte di un bene ormai completamente
pubblico (l’acqua), sempre sottoposto ad atto di autorizzazione,
tranne che nei casi riferiti dall’articolo 28 commi 3 e 5, a
proposito della raccolta delle “acque piovane” e dell’estrazione
di “acque sotterranee” per usi domestici, sempre che questa
utilizzazione non vada a contrastare con le esigenze della
collettività e dei pubblici poteri e pur sempre nei limiti fissati
dalla legge medesima (articolo 28 della legge n. 36, a proposito
della raccolta delle acque piovane e degli usi domestici). Tali
ipotesi saranno pur marginali, ma espressamente consentite
dall’ordinamento attuale.
Altrove per l’uso delle acque, stavolta realmente
pubbliche, (articolo 29
7
della legge Galli, intitolato “acque per
6
Conte Emilio, Il demanio idrico secondo la legge 5 gennaio 1994, n. 36, in Rass. Giur. En. El. 1994,
pp. 616 ss., l’Autore ritiene che l’articolo 1 della legge sia “contrario a principi di ragionevolezza,
comportando, la dichiarazione di pubblicità generalizzata un aumento dei compiti degli organi
amministrativi che operano nel settore delle acque ed un aggravio di lavoro dei tribunali delle acque”.
7
Articolo 29: “le concessioni di grandi derivazioni ad uso industriale sono stipulate per una durata
non superiore ad anni quindici e possono essere condizionate alla attuazione di risparmio idrico
mediante il riciclo o il riuso dell’acqua, nei termini quantitativi e temporali che dovranno essere
stabiliti in sede di concessione, tenuto conto delle migliori tecnologie applicabili al caso specifico.”
14
usi industriali”; articolo 30
8
intitolato “utilizzazione delle acque
destinate ad uso idroelettrico”) si necessiterà un consenso
esplicito da parte delle autorità competenti, da rilasciarsi in
osservanza delle forme richieste (quelle dei provvedimenti
autorizzatori e concessori). In tali sedi i medesimi pubblici
poteri potranno conformare gli interventi dei privati, che
riterranno più rilevanti, agli interessi pubblici.
3. la pubblicità delle acque nel Testo Unico del 1933 e nella legge Galli.
Andando a ritroso si era notato che il testo dell’articolo 1
comma 1 del Testo Unico del 1933 recepiva la tecnica
legislativa dell’apertura del testo normativo tramite la
definizione, diretta, dell’oggetto disciplinato
9
. Non lesina il
medesimo principio neppure la legge “Galli”. Si enunciava,
difatti, che “sono pubbliche tutte le acque sorgenti, fluenti e
8
Articolo 30: “1. Tenuto conto dei principi di cui alla presente legge e del piano energetico nazionale,
nonché degli indirizzi per gli usi plurimi delle risorse idriche di cui all’articolo 4, comma 1, lettera b,
della presente legge, il CIPE, su iniziativa del Comitato dei ministri di cui all’articolo 4, comma 2,
della legge 18 maggio 1989, n. 183, e successive modificazioni, sentite le autorità di bacino,
disciplina: a) la produzione al fine della cessione di acqua dissalata conseguita nei cicli di produzione
delle centrali elettriche costiere; b) l’utilizzazione dell’acqua invasata a scopi idroelettrici per
fronteggiare situazioni di emergenza idrica; c) la difesa e la bonifica per la salvaguardia della quantità
e della qualità delle acque dei serbatoi ad uso idroelettrico.
9
Miccoli Emilio, Le acque pubbliche, Torino, 1958, p. 19 ss. : “diversamente che per gli altri beni
demaniali, per le acque noi abbiamo una apposita indicazione normativa del requisito specifico di
demanialità”.
15
lacuali, anche se artificialmente estratte dal sottosuolo,
sistemate o incrementate
10
, le quali, considerate sia
isolatamente per la loro portata o per l’ampiezza del rispettivo
bacino imbrifero, sia in relazione al sistema idrografico al quale
appartengono, abbiano od acquistino attitudine ad usi di
pubblico e generale interesse”.
La norma correva subito al nocciolo della questione,
rimettendo, nella propria seconda parte, alla Pubblica
Amministrazione la verifica della attitudine di uso di pubblico e
generale interesse, tramite un atto, che, comunque, rimaneva
nell’ambito della categoria degli atti dichiarativi, atto
rappresentato dalla iscrizione delle singole acque, verificate di
pubblica utilità, negli elenchi
11
. La natura dichiarativa di tale
10
Costantino Michele, Sfruttamento delle acque e tutela giuridica, Napoli, 1975, p. 94, l’Autore
sostiene che: “la sistemazione, l’incremento e l’estrazione artificiale delle acque sono meri
presupposti di fatto dell’esistenza di acque disponibili ai vari usi e, in ordine al problema della
pubblicità, sono considerati alla stregua dei presupposti di fatto determinati dalle forze della natura”.
La giurisprudenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione conferma tale punto di vista, per cui
sarebbe irrilevante ai fini del riconoscimento di demanialità delle acque il modo in cui l’attitudine ad
usi di pubblico generale interesse sia stata acquistata, e “particolarmente, la sua riconducibilità
anziché a condizione naturale, ad attività ed opere dell’uomo” (sentenza n. 5426 del 18 ottobre 1980,
in Giur. It. 1980, I, 1, c.1079)
11
Busca Mario, Le acque nella legislazione italiana, Torino, 1962, p. 84, l’Autore considera che
“l’iscrizione delle singole acque negli elenchi costituiva l’elemento subiettivo della demanialità
(volontà dello Stato) e doveva, quindi, riconoscersi, all’atto amministrativo con cui l’elenco veniva
formato il carattere di negozio unilaterale di diritto pubblico, implicante l’esercizio di un’ampia
discrezionalità amministrativa, considerata l’indeterminatezza, nella legge, dell’interesse pubblico a
cui fare riferimento.
16
atto (l’iscrizione) era confermata dalla giurisprudenza
12
, con la
conseguente possibilità di avere acque pubbliche non iscritte
negli elenchi, acque che il giudice competente
13
avrebbe
potuto, ove fosse intercorsa una contestazione, riconoscere
come pubbliche, tramite un vincolo, per la Pubblica
Amministrazione, al successivo aggiornamento degli elenchi
medesimi. Il risultato del carattere dichiarativo dell’iscrizione
era dato dall’efficacia erga omnes ed ex tunc della stessa,
poiché gli effetti retroagivano al momento in cui l’acqua si era
rivelata idonea a soddisfare i requisiti previsti dalla legge
(attitudine, pure potenziale, agli usi di pubblico generale
interesse).
La legge n.36 del 1994, specifica qualcosa in più rispetto
alla disciplina precedente e semplifica le cose, sostenendo la
pubblicità delle acque anche nel caso in cui le stesse vengano
ancora a trovarsi nel sottosuolo. Una espressa dichiarazione di
questo tipo diviene frutto di esigenze variate rispetto alle
risultanze normative precedenti, dettate dalla notevole
importanza acquisita delle falde acquifere, assieme alla
12
Cassazione Civile sezioni unite, 14 luglio 1937, n. 2478, in Giur. it. 1937, I, 1: “l’inserzione negli
elenchi non fa che riconoscere l’esistenza di quelle condizioni obiettive che distinguono le acque
pubbliche dalle acque private”.
13
Il tribunale regionale delle acque pubbliche.
17
constatazione della non inesauribilità delle riserve di acqua,
nonostante il continuato rinnovo meteorico della risorsa acqua.
La “risorsa idrica” necessita una tutela particolare. La
pubblicità delle acque del sottosuolo sappiamo che comunque
non lambisce l’ambito degli usi domestici delle stesse e non
impedisce che i privati ne usino liberamente, dopo averle
estratte, sempre che non venga ad essere compromesso il
bilancio idrico complessivo
14
.
I riferimenti dell’articolo 1 primo comma del Testo
Unico del 1933 ad elementi come la portata e l’ampiezza del
bacino imbrifero, considerati in relazione al sistema idrografico
di appartenenza, servivano “in funzione del criterio discretivo
fondamentale costituito dalla utilizzazione, attuale o potenziale,
delle acque, diventandone, in pratica, presupposti di fatto”
15
. La
normativa precedente considerava, dunque, l’attitudine
14
Argomenti ex articolo 28 comma 5 legge n. 36 ed articolo 93 del Testo Unico n. 1775 del 1933.
15
Lugaresi Nicola, o. u. c., p. 45; Tribunale Superiore delle acque pubbliche, 13 marzo 1950 n. 3, in
Foro Italiano, 1951, I, c. 216: “i caratteri obiettivi della massa idrica e del bacino sono soltanto
elementi indiretti per giudicare la natura dell’acqua” poiché si deve, in relazione ad essi, valutare
“l’attitudine agli usi di pubblico generale interesse”, dello stesso avviso rimane la corte di Cassazione
con la sentenza 25 novembre 1974 n.3814, in Giur. It. 1976, I, 1, c.1830: “per determinare il carattere
pubblico di un’acqua non bisogna limitarsi a considerare la sua portata, ma accertare se il relativo
bacino imbrifero, per la sua ampiezza, o il complessivo sistema idrografico cui l’acqua appartiene
siano tali da conferire ad essa attitudine a soddisfare bisogni di interesse generale”; Calandra Piero,
voce Bacino idrografico, in Enc. Dir., vol. IV, Milano 1959, p. 1009 ss., l’Autore precisa che la
“concatenazione naturale che esiste in un sistema fluviale fra tutti gli elementi che lo compongono
comporta inevitabilmente la demanialità non solo del corso principale o della sorgente che gli dà
18
dell’acqua a servire ad usi di interesse generale, per dichiararne
la pubblicità, una definizione legislativa di acque pubbliche che
assumeva carattere tautologico: “il metodo in uso nel
precedente regime (quello dell’articolo 1 del Testo Unico del
1933 n. 1775) era incentrato sulla consistenza naturalistica del
corso d’acqua ed, in modo particolare, sul criterio
dell’interesse, o meglio, dell’attitudine dell’acqua ad usi di
pubblico e generale interesse”
16
, donde si parlava di metodo
teleologico per l’individuazione della fattispecie “acqua
pubblica”. Questo metodo oggi viene ampiamente superato
dall’attuale legge (la n. 36 del 1994), che in via generale
definisce acqua pubblica qualsiasi tipo di acqua, sia sotterranea
che superficiale, ancorché non estratta
17
. Quindi sembra
abbandonato, almeno apparentemente, il criterio dell’interesse
che invece caratterizzava completamente e prioritariamente la
definizione di acqua pubblica nel Regio Decreto del 1933.
Tramite una simile interpretazione il conflitto fondamentale
pubblico - privato, che la vecchia legge risolveva tramite il
criterio (o la soglia) dell’interesse pubblico (nel senso che
origine, ma anche delle altre acque “comunque affluenti, comprese quelle sotterranee o subalvee, che
contribuiscono ad alimentarne la portata durante il suo percorso”.
16
Lugaresi Nicola, o. u. c., p. 44.
17
Lugaresi Nicola, o. u. c., p. 46.