CAPITOLO 1 IL GRUPPO
1.1 Cos’è il gruppo, le norme e i ruoli all’interno di esso
“Un gruppo può essere definito come un insieme di persone che stanno nello stesso posto
nello stesso momento” (Spinelli, 2002). Questa definizione molto estesa del concetto di gruppo, non
rende necessaria alcuna interazione tra i soggetti per considerarli tale; per tanto è sufficiente che
questi stiano insieme come ad esempio i visitatori di una mostra d’arte, i pazienti di un medico che
aspettano in sala d’attesa o le persone in un negozio. Queste esemplificazioni fanno riferimento a
dei gruppi che vengono definiti non sociali, cioè gruppi formati da persone “che sono nello stesso
posto nello stesso momento, ma che non interagiscono tra di loro” (Spinelli, 2002).
Nell’accezione comune di gruppo però, molto più spesso si fa riferimento a contesti sociali
formati da più persone che interagiscono tra di loro, come una classe scolastica, un collettivo di
professori in riunione o una comitiva d’amici in gita di piacere; tutti questi sono tipici esempi di un
cosiddetto gruppo sociale, cioè un gruppo di “due o più persone che interagiscono tra di loro e
sono interdipendenti, nel senso che i loro bisogni e i loro scopi fanno sì che siano dipendenti l’uno
dall’altro” (Cartwright e Zander, 1968; Levine e Moreland, 1998; Lewin, 1948; citati in Spinelli,
2002).
I gruppi formati dall’unione di un ristretto numero di soggetti, da un punto di vista descrittivo
si possono dividere in gruppi primari e gruppi secondari; nei primi lo scopo dell’aggregazione è di
soddisfare i bisogni emotivi e sociali dei membri, e sono i cosiddetti gruppi di fatto, ai quali si
appartiene senza obblighi (ad esempio la famiglia) oppure i gruppi spontanei, ai quali si partecipa
spontaneamente (ad esempio associazioni varie). Per quanto concerne i gruppi secondari, lo scopo è
di raggiungere degli obiettivi specifici e limitati vincolando le persone ad un ruolo ben definito. In
essi si distinguono i gruppi imposti, nei quali la partecipazione è imposta dall’esterno (ad esempio i
gruppi militari), e i gruppi contrattuali, a cui si aderisce volontariamente accettandone le norme in
vista di scopi utilitaristici.
Un’ulteriore suddivisione dei gruppi porta alla constatazione di gruppi sociologici, costituiti
da un insieme di individui che hanno delle caratteristiche in comune e condividono un’attività e una
condizione (es. i gruppi di lavoro), e i gruppi psicologici, formati da soggetti la cui coesione deriva
da una passione emotiva in comune (es. fans, tifosi).
Alla luce di quanto detto sin’ora, una squadra sportiva come lo è ad esempio un team
calcistico, può essere considerata anzi tutto un gruppo sociale, oltreché un gruppo primario
volontario (con connotazioni secondarie di tipo contrattuale, se professionistica), ed a simultanea
rilevanza sociologica e psicologica. Ciascun componente della squadra si relaziona con i compagni
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nelle più svariate situazioni di gioco e non, stabilendo un rapporto d’interdipendenza che porta
molto probabilmente ogni singolo ad influenzare gli altri o ad essere lui stesso influenzato dal
comportamento di questi ultimi.
Prima d’arrivare però alla formazione di un gruppo-squadra coeso nell’unità d’intenti che
possono essere i più svariati, ci sono secondo Tuckman (1965, citato in www.psicologiasportiva.it)
5 stadi attraverso cui passa un collettivo di individui:
Stadio 1. Forming: i membri familiarizzano, identificano il loro ruolo all’interno del gruppo,
comparano l’attenzione che il coach dedica a ciascuno di loro; il gruppo individua i compiti.
Stadio 2. Storming: i membri assumono un atteggiamento di resistenza nei confronti del leader e
si mettono in conflitto con le richieste poste. In questa fase è molto importante che il coach riduca
qualsiasi stress favorendo così una riduzione delle ostilità; favorendo ciò il gruppo comincia a
fissare le prime regole di squadra.
Stadio 3. Norming: cessa il clima d’ostilità a vantaggio di cooperazione e solidarietà; tra i membri
della squadra nasce uno spiccato senso d’umiltà, coesione e un profondo senso di rispetto verso gli
altri compagni. Comincia ad avvertirsi una forte stabilità dei reciproci ruoli e il gruppo lavora per
un obiettivo comune.
Stadio 4. Performing: i membri incanalano tutti i loro sforzi per l’obiettivo comune del successo
della squadra e si aiutano reciprocamente.
Stadio 5. Adjourning: diminuiscono i contatti tra i membri, riducendosi così il senso di dipendenza
reciproco; i componenti della squadra avvertono di aver terminato il loro compito così come quello
del gruppo.
Il tempo necessario per il passaggio da uno stadio all’altro è vario e le diverse tappe non sono
affatto obbligate, bensì una o più di esse possono essere saltate.
Affinchè tutto questo possa verificarsi, un elemento determinante per il comportamento di un
gruppo sono le norme sociali, definite come “regole implicite (e talvolta esplicite) di
comportamenti, di valori e di credenze accettabili dal gruppo” ( Miller e Prentice, 1996; Deutsch e
Gerard, 1955; Kelley, 1955; citati in Spinelli, 2002). Queste possono essere condivise da tutti i
membri della società, come per quanto riguarda le leggi applicate dallo stato in materia di furto,
oppure possono diversificarsi da gruppo a gruppo, come ad esempio le norme alimentari. La
notevole influenza comportamentale che le norme sociali attuano sul singolo individuo, è
facilmente riscontrabile nei casi di violazione di queste da parte di uno o più membri della
collettività, che portano il gruppo, in molte occasioni, a ridicolizzare fino anche ad emarginare
questi ultimi ( Levine, 1989; Miller e Anderson, 1979; Schachter, 1951; Kruglanski e Webster,
1991; citati in Spinelli, 2002).
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All’interno della maggior parte dei gruppi, specie nelle squadre sportive, ci sono i cosiddetti
ruoli che ogni membro ricopre in maniera ben definita o meno, all’interno del contesto-squadra.
Questi, a differenza delle norme sociali che indicano una serie di comportamenti collettivi da tenere,
specificano il comportamento di ogni singolo all’interno del gruppo, in base alla posizione che
questo ricopre. Ovviamente tra l’allenatore e il singolo atleta di un team sportivo, il ruolo è di gran
lunga differente e di conseguenza anche le aspettative sui loro comportamenti sono molto diverse;
pertanto ognuno all’interno della squadra sa cosa poter richiedere e desiderare dagli altri, e questo
rappresenta un aspetto molto importante che conferisce grande valore alla funzione del ruolo del
singolo all’interno del gruppo. “Quando i membri di un gruppo seguono dei ruoli ben definiti,
tendono ad essere soddisfatti e ad offrire buone prestazioni” (Bastien e Hostagher, 1988; Barley e
Bechky, 1994; citati in Spinelli, 2002).
1.1.1 La differenziazione di status
La diversità di ruolo di cui abbiamo appena parlato, può facilitare la divisione del lavoro nel
gruppo, ma all’interno di questo non tutti i ruoli assunti dai diversi membri sono egualmente
valutati e neppure implicano lo stesso potere d’influenza e controllo sugli altri. Ogni individuo è
rispettato o preferito in misura diversa, pertanto al modello dei ruoli in un gruppo si lega l’esistenza
di una gerarchia di status (Scott e Scott, 1981; citati in Brown, 1999). Lo status elevato sottintende
una tendenza a dare inizio a idee e attività che vengono continuate dal resto del gruppo (Sherif e
Sherif,1969; citati in Brown, 1999) e implica un certo prestigio consensuale da parte degli altri
componenti di questo (Homans, 1950; citati in Brown, 1999).
Le strutture gerarchiche rappresentano un fenomeno comune, ma la facilità con cui si possono
osservare differenze di status nei gruppi, non devono trarci in inganno facendoci pensare che la
gerarchia debba necessariamente restare immutabile. Sherif e Sherif (1964; citati in Brown, 1999)
osservarono cambiamenti nelle posizioni della struttura del gruppo quando i membri ne entravano a
far parte o lo abbandonavano; un’altra causa d’instabilità è il contesto mutevole tra comunità
diverse nel quale il gruppo si trova.
Ma quali sono le origini di questa presenza diffusa di differenziazioni di status nei gruppi?
Una spiegazione risiede nel bisogno di prevedibilità e ordine. Come abbiamo precedentemente
visto, i ruoli portano con sé delle aspettative sul tipo di comportamento che gli altri assumeranno
nelle varie situazioni. Così è per le posizioni di status, tranne che in questo caso le aspettative
riguardano la competenza delle persone nei diversi settori; in questa maniera, si assegnano (o ci
vengono assegnati) determinati compiti in maniera appropriata. Ordinare il gruppo in questo modo
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può contribuire a fornirgli stabilità e a permettergli di concentrarsi in modo più efficace sul
raggiungimento dei suoi scopi. Molto spesso tutto questo può produrre delle sorte di profezie che si
auto adempiono, portando le persone ad adeguarsi al livello che ci si attende da loro anche quando
queste sono in possesso di capacità superiori o inferiori. La teoria degli stati di aspettativa (Berger
e Zelditch, 1985; citati in Brown, 1999) è forse la spiegazione più sistematica dell’influenza dello
status sul comportamento. Essa ipotizza che quando un gruppo è impegnato in un compito, nella
maggior parte dei casi i suoi membri hanno già sviluppato o sviluppano rapidamente delle
aspettative sulle specifiche abilità prestazionali dei loro compagni. La funzione di queste aspettative
è di punti di riferimento psicosociali che orientano la condotta successiva e fanno in modo che i
membri di presunto status più elevato diano inizio, e abbiano la possibilità di farlo, a più idee e più
attività di quelli di status inferiore e siano, per questa ragione, considerati più influenti. Inoltre, con
un processo inferenziale non propriamente corretto, i membri del gruppo tendono ad attribuire ai
compagni di status superiore maggiore competenza anche in altri settori. In questo modo le
differenze iniziali di status si rinforzano e amplificano circolarmente. Secondo questa teoria anche
tratti esterni come la razza e il genere possono fungere da caratteristiche di status a partire dalle
quali inferire le capacità prestazionali di un soggetto.
1.1.2 Il bisogno di appartenenza
Su tutte le domande, una è la più eloquente nel porre interrogativi riguardo il gruppo e la sua
costituzione e dalla quale molti studiosi del settore sono partiti cercando di dare spiegazioni; Perché
la gente si aggrega in gruppi sociali? Le persone intessono relazioni con gli altri nell’intento di
soddisfare i propri bisogni fondamentali, così primari e necessari che danno l’idea di un’innata
esigenza di appartenere al gruppo (Baumeister e Leary, 1995; citati in Spinelli, 2002).
Secondo lo psicologo Abraham Maslow (1970; citato in Darley et al., 1993), la necessità di
appartenenza si colloca in una gerarchia di bisogni, la quale viene rappresentata schematicamente
come una piramide (figura 1.1) alla cui base sono posti i cosiddetti bisogni fondamentali o
fisiologici (fame, sete,sesso,ecc.); seguono a questi i bisogni chiamati di sicurezza, per poi arrivare
ai bisogni di appartenenza in cui l’autore colloca l’amore e l’associazione. Vanno a completare la
punta della piramide i bisogni di stima e i bisogni di autorealizzazione.
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Fig. 1.1 Piramide di Maslow.
1.2 Dinamiche di gruppo
Affrontiamo ora quelle definite le dinamiche di gruppo, che ci chiariranno meglio il perché la
persona partecipa alla costituzione di un gruppo e di come le influenze sia sul singolo che
sull’insieme stesso, portano al concatenarsi di innumerevoli situazioni sociali ed emotive.
1.2.1 Il conformismo
Il conformismo rappresenta un cambiamento dovuto all’influenza, reale o immaginaria degli
altri (Kiesler e Kiesler, 1969; citati in Spinelli, 2002). Questo tipo di comportamento è stato
attentamente studiato dalla psicologia sociale, che ne ha individuato 2 motivi principali; il primo
secondo il quale le persone tendono ad uniformarsi al comportamento altrui in situazioni nuove o
inattese, che pongono il soggetto nell’incertezza di come comportarsi e cosa fare. Si è notato che in
tutta risposta gli individui coinvolti in tali circostanze sono portati ad agire in modo simile agli altri;
cosicché questo tipo di conformismo è stato definito influenza sociale informazionale, sottolineando
il fatto che vengono utilizzate informazioni esterne per decidere e mettere in atto un determinato
comportamento (Cialdini, 1993; Cialdini et al., 1990; Deutsch e Gerard, 1955; Reno et al., 1993;
Stiff, 1994; citati in Spinelli, 2002). Il secondo motivo che spinge le persone a conformarsi agli
altri, è l’ambizione a non essere ridicoli che facilmente può sfociare in un vero e proprio timore di
essere emarginati, ridicolizzati o addirittura puniti per il fatto di essere diversi; questo prende il
nome di influenza sociale normativa, in quanto il soggetto che si approccia ad una nuova situazione
o un nuovo gruppo, per prima cosa elabora una sua idea personale riguardo le norme sociali del
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