INTRODUZIONE
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La presente tesi intende esaminare l’enciclica sociale Laborem Exercens,
pubblicata da Giovanni Paolo II il 14 settembre 1981, giorno della festa
dell’esaltazione della croce.
Il giorno successivo essa è stata presentata ai giornalisti nel corso di una
conferenza svoltasi nella Sala Stampa della Città del Vaticano dal Padre
Jan Schotte, segretario della Pontificia Commissione Iustitia et Pax, che
aveva al suo fianco il Padre Johannes N. Shasching S.J., decano della
Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Le encicliche sono documenti pubblicati dai papi a partire dal 1740 (anno
in cui vide la luce l’enciclica Ubi Primum di Benedetto XIV, sui doveri
pastorali dei vescovi), ma in continuità ideale con le cosiddette lettere
circolari che si scambiavano i vescovi dei primi secoli. Si tratta di
documenti particolarmente curati ed elaborati, nei quali i pontefici
esprimono il loro pensiero su tutte le questioni di competenza del loro
magistero.
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Vengono scritte per esporre e definire quelle verità che si
ritengono eloquenti per la propria epoca, o per interpretare i segni dei tempi
alla luce del contenuto della fede. A volte tali lettere sono rivolte a una
chiesa particolare, ma quasi sempre a tutti i vescovi, al clero e ai fedeli del
mondo, e alcune, da Giovanni XXIII in poi, a tutti gli uomini.
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Cfr. R. SPIAZZI, I documenti sociali della Chiesa. Da Pio IX a Giovanni Paolo II, Milano 1983, p.
XLVI.
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Il tema della Laborem Exercens è quello del lavoro umano, non a caso
abbordato da un Papa che ne ha personalmente sperimentato gli effetti,
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che
ha conosciuto la fatica del lavoro manuale svolto in dure e umili mansioni.
Karol Wojtyla, infatti, a Cracovia lavorò in una cava di pietra collegata ad
una fabbrica chimica. Scrisse anche poesie nelle quali espresse il dramma
dell’alienazione operaia.
Nella sua Introduzione alle encicliche sociali Francesco Vito sottolineava
questa regola interpretativa: “Per valutare adeguatamente ogni documento
che prende posizione di fronte a situazioni concrete è necessario collocarlo
nel quadro degli eventi storici che lo determinarono ed esaminarlo alla luce
delle idee prevalenti nel momento dal quale trasse origine”.
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La Laborem
Exercens si colloca in una fase cruciale della storia del Novecento: quando
Giovanni Paolo II scriveva, infatti, si stava cominciando a manifestare la
crisi di quel sistema politico-economico nato in Russia con la Rivoluzione
d’Ottobre e in seguito diffusosi nell’area di dominio sovietico. In quel
periodo gli uomini rivendicavano il diritto di associazione, di
contrattazione, di sciopero, cioè i diritti negati dal sistema comunista.
Al fronte opposto, invece, si assisteva ad una rivitalizzazione del liberismo
economico che, in Gran Bretagna, si proponeva di ridimensionare lo Stato
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Cfr. L. CHIAPPETTA, Il lavoro umano nell’enciclica Laborem Exercens di Giovanni Paolo II, Napoli
1982, p. 49.
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AA. VV ., Encicliche e Messaggi sociali. Da Leone XIII a Giovanni XXIII, Milano 1962, p. XIII.
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sociale, di destatalizzare l’economia con le privatizzazioni, di procedere ai
tagli nella spesa pubblica e nelle imposte, di contrastare l’azione dei
sindacati con lo scopo di contenere i salari e il costo del lavoro. In
Inghilterra e negli Stati Uniti i governi Thatcher e Reagan perseguirono la
politica della deregulation, che, eliminando le regole dal mercato, colpiva
duramente i lavoratori che in tal modo avevano meno garanzie.
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Inoltre la congiuntura negativa internazionale, che ebbe severe
ripercussioni anche nell’economia italiana, incitò le imprese ad un restauro
della produttività, che ebbe conseguenze negative sul lavoro, producendo la
disoccupazione e l’opposizione degli imprenditori agli appelli da parte dei
lavoratori di ottenere aumenti dei salari.
Si può dunque condividere, con Giovanni Paolo II, l’idea che le riforme
politiche ed economiche a cui diedero origine le due ideologie,
radicalmente diverse tra loro, allora dominanti, debbano essere analizzate
sulla base delle conseguenze che producono in chi lavora. Per questo
motivo egli nell’enciclica indica che è necessario riposizionare il lavoro al
centro della vita sociale, concependolo come un dovere e come un diritto,
ma soprattutto come un bene.
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Cfr. A. GIARDINA et al., Profili storici. Vol. 3: Dal 1900 a oggi, Roma 2004, p. 546.
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Di fronte agli insuccessi delle due ideologie, che avevano avuto costi
umani e sociali altissimi, il lavoro doveva essere riconsiderato.
L’enciclica arricchisce con originalità di pensiero e di stile la visione del
lavoro dei precedenti documenti sociali, indicando la necessità di un
approfondimento dei significati e dei compiti che il lavoro comporta,
poichè si tratta di una tematica sempre attuale attraversata da continui
problemi e minacce.
La Laborem Exercens è anche una meditazione teologica e filosofica sul
lavoro, considerato nei suoi precipui aspetti e problemi con l’ausilio dei
dati della sociologia, dell’economia, della storia, e anche sulla base della
particolare esperienza personale del Pontefice. Tuttavia non si tratta di un
esame completo ed esaustivo dei problemi del lavoro, in quanto Giovanni
Paolo II si limita a degli accenni essenziali, a delle indicazioni etico-
religiose, senza pretendere di dare una risposta immediata a tutti i
complessi problemi delle società moderne, ma denunciando tutte le
situazioni ingiuste in cui la dignità della persona venga violata,
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non
essendo compito della Chiesa quello di analizzare scientificamente i
fenomeni umani e i cambiamenti sociali, nè di fornire soluzioni tecniche,
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Cfr. L. CHIAPPETTA, Il lavoro umano, cit., p. 7.
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che sono di competenza dello Stato, dei sindacati, dei sociologi e degli
economisti.
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Lo scopo di questa tesi sarà quello di analizzare l’enciclica ponendo una
lente di ingrandimento sui temi più importanti che in essa sono affrontati.
L’analisi in questione è preceduta da un excursus sulla Dottrina Sociale
della Chiesa nella quale si inscrive la Laborem Exercens, facendo
particolare riferimento alla prima enciclica sociale del mondo cristiano, la
Rerum Novarum di Leone XIII, pubblicata nel 1891, che ha dato l’avvio
alla produzione, da parte dei vari pontefici successivi, di documenti
riguardanti i problemi sociali.
Precede la trattazione dell'enciclica vera e propria anche un breve capitolo
incentrato sulla figura di Karol Wojtyla.
E’ possibile notare come la concezione del lavoro, all’interno della Chiesa
cattolica, abbia subìto una trasformazione profonda a partire dalla
pubblicazione della Rerum Novarum. In un primo momento, che si
identifica con il pontificato di Leone XIII, il concetto di lavoro era
associato principalmente al problema della questione operaia, espressione
con la quale si indicavano i problemi derivati dalle condizioni di lavoro
dell’operaio industriale: il lavoro era considerato soprattutto da un punto di
6
Cfr. Ibidem, p. 75.
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vista strumentale ed economico, senza prestare maggiore attenzione al suo
valore e alla sua natura. La dottrina leoniana sul lavoro si presentava
principalmente in una prospettiva che si limitava “ai problemi quantitativi
ed organizzativi, senza allusioni alla dinamica storica dell’azione umana,
nè al suo valore antropologico”.
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Il suo valore religioso risiedeva
nell’accettazione pacifica di una situazione difficile per la maggior parte
degli uomini, soprattutto in riferimento al dolore e alla fatica. In realtà, per
Leone XIII, il lavoro non rappresentava soltanto l’atto o l’operazione
lavorativa, poichè, da buon tomista, era consapevole che l’attività
produttiva e transitiva che lo caratterizza è inseparabile dall’atto morale e
immanente che concerne il bene del soggetto e il suo maggior progresso.
Dunque sbaglierebbe chi affermasse che, per Leone XIII, il lavoro era pura
transitività. Nonostante ciò, nella maggior parte dei suoi scritti, il lavoro
veniva considerato esclusivamente come problema economico-sociale. La
chiave di lettura dei testi leoniani non è quindi il concetto di lavoro in sè,
ma la difesa della dignità del lavoratore. L’urgente bisogno di risolvere il
problema sociale spiega il tono del discorso che, nella Rerum Novarum, si
mantiene quasi sempre sui livelli pratici, senza intraprendere una
riflessione propriamente teologica.
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Alla luce della situazione degli anni in
7
H. FITTE, Lavoro umano e redenzione. Riflessione teologica dalla Gaudium et Spes alla Laborem
Exercens, Roma 1996, p. 28.
8
Cfr. Ibidem, p. 27.
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cui nacque la prima enciclica sociale, è logico e comprensibile che il
Magistero si sia preoccupato di risolvere, in primo luogo, i temi più
immediati ed urgenti. Per questa ragione l’insegnamento di Leone XIII
quasi si esauriva nella difesa di diritti e doveri dei lavoratori, senza
approfondire molto il significato, nè il valore del lavoro in sè stesso.
Con il passare degli anni, il Magistero ha colto con sempre maggior
profondità la centralità del problema, giungendo fino alla Laborem
Exercens, nella quale Giovanni Paolo II afferma che il lavoro dell’uomo è
“una chiave e, probabilmente, la chiave essenziale di tutta la questione
sociale, se cerchiamo di vederla veramente dal punto di vista del bene
dell’uomo” (Laborem Exercens, n. 3). “Questa chiave non può certo
esaurirsi in un problema di organizzazione, se aspira realmente ad essere
essenziale”.
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Oggi più che mai il tema del lavoro è oltremodo attuale per la crescente
disoccupazione, il precariato, il miraggio di un'occupazione stabile di cui i
giovani sono testimoni in questi anni. Chi si affaccia in questo momento
nel mondo del lavoro è costretto a destreggiarsi tra contratti a tempo
determinato, di apprendistato e a progetto. I più sfavoriti in questo caso
sono i giovani e le donne, che oltre a dover accettare tali contratti cosiddetti
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H. FITTE, Lavoro umano e redenzione, cit., p. 14.
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atipici, percepiscono spesso salari piuttosto bassi, quando non siano
costretti addirittura al lavoro sommerso.
Diverso tempo fa, il lavoro rappresentava lo strumento principe
dell'affermazione della propria identità e del proprio ruolo all'interno della
società, mentre oggi appare sempre più uno strumento di sopravvivenza.
Questa tesi nasce da queste considerazioni e trae spunto dall'odierna
situazione nella quale ci troviamo immersi.
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