4
Il secondo capitolo prende in esame la reazione e l’atteggiamento assunto
dall’amministrazione di fronte a due importanti crisi: una di carattere interno, la decisione da
parte della Commissione Affari Esteri del Senato di tenere delle udienze teletrasmesse sul
Vietnam; l’altra, la cosiddetta crisi buddhista, relativa ai rapporti con il governo di Saigon.
Vengono anche presentati: gli impegni assunti con la conferenza di Honolulu, i primi tentativi
di coordinazione dei programmi di pacificazione attraverso la creazione di incarichi specifici, ed
il dibattito che porterà alla decisione di intensificare la campagna aerea.
Nel terzo capitolo viene dato ampio spazio alle politiche di pacificazione; in particolare,
viene descritto lo scontro tra civili e militari per ottenere la direzione dei programmi di
pacificazione e vengono ricostruite due operazioni coperte, Thrush ed Elmtree, create allo scopo
di provocare un frazionamento del Fronte Nazionale di Liberazione. Verranno inoltre esposti i
principali risvolti relativi alla conferenza di Manila. L’ultima parte del capitolo è dedicata alla
strategia alternativa elaborata da McNamara e ad un nuovo dibattimento relativo all’escalation
dei bombardamenti.
Il quarto capitolo è quasi interamente incentrato sulle iniziative di pace nel corso
dell’anno. Ampio spazio è dedicato alla ricostruzione di un contatto chiamato Marigold, che
vide anche un’importante partecipazione italiana. La parte finale del capitolo e dello studio
tratta, infine, dei programmi elaborati per il 1967.
5
Capitolo primo. Una grande offensiva di pace
1.1 Origine e sviluppi della peace offensive
1.1.1 Una pausa dai molti risvolti
L’anno 1966 si aprì in Vietnam in maniera relativamente tranquilla. Il 24 dicembre del
1965, infatti, il presidente americano Lyndon Baines Johnson aveva ordinato una temporanea
interruzione di Rolling Thunder, la campagna di bombardamenti aerei sul Vietnam del Nord,
allo scopo di mostrare l’interesse degli Stati Uniti ad una soluzione negoziale e di attrarre la
Repubblica Democratica del Vietnam(DRV) verso un colloquio diretto. Durante i 37 giorni della
pausa, l’amministrazione statunitense concentrò tutti i propri sforzi diplomatici in una grande e
spettacolare “offensiva di pace”; Johnson comunicò la posizione e le intenzioni del governo a
115 paesi e inviò degli emissari speciali in 34 di questi, nel tentativo di sondare ogni possibile
contatto per giungere ad un’apertura di trattative con Hanoi
9
.
La proposta per una sospensione dei bombardamenti era stata avanzata già dal luglio ’65
dal segretario alla Difesa Robert S. McNamara che sosteneva la necessità di una pausa di 4-5
settimane nell’ambito del programma di bombardamenti; la sospensione doveva servire
principalmente a calmare l’ondata di proteste che erano seguite a Rolling Thunder. Il programma
stilato personalmente da McNamara secondo i suggerimenti del comandante del Military
Assistance Command, Vietnam(MACV), generale William C.Westmoreland, prevedeva
10
: una
Fase I che avrebbe dovuto fermare l’avanzata comunista con uno spiegamento di 175.000 soldati
impegnati nella difesa strategica; una Fase II, che avrebbe avuto inizio ai primi del ’66, nella
quale altri 100.000 uomini sarebbero stati utilizzati in operazioni offensive contro il nemico in
aree di alta priorità e, infine, una Fase III, a partire dal giugno ’66, in cui forze aggiuntive
sarebbero state inviate per sconfiggere definitivamente il nemico se questo ancora avesse
opposto una resistenza militare. Nel frattempo Westmoreland aveva già richiesto nuove truppe
per la Fase II, fino ad arrivare ad un totale di 325.000 uomini entro luglio. In vista di questa
nuova escalation era necessario per McNamara “porre le basi nelle menti dell‘opinione pubblica
americana e mondiale…per una simile fase allargata della guerra”
11
. La pausa avrebbe così
dimostrato l’impegno degli Stati Uniti per il raggiungimento della pace, placato le critiche
interne ed internazionali ed, in questo modo, reso meno difficoltoso l’invio di spiegamenti di
truppe aggiuntivi; ancora, essa avrebbe avuto la funzione di testare se la pressione americana
avesse prodotto, fino a quel momento, una qualche propensione di Hanoi verso il tavolo delle
trattative.
Durante l’autunno 1965 il segretario alla Difesa ripeté parecchie volte la proposta di
sospendere i bombardamenti. Particolare rilevanza nel processo decisionale rivestì la battaglia
della valle del Ia Drang (14-19 novembre ’65) che, sebbene celebrata dalla propaganda come
una grande vittoria, fece emergere tutte le difficoltà legate ad una strategia militare che avrebbe
richiesto ancora molti anni di guerra e, soprattutto, molte vite americane. McNamara cominciò a
nutrire forti dubbi che la guerra potesse essere vinta militarmente, almeno in breve tempo e
senza costi enormi, cosicché, prima di un significativo aumento delle forze, riteneva
assolutamente necessaria la ricerca di una soluzione diplomatica
12
.
9
I messi speciali del presidente erano il vicepresidente Hubert Humphrey, l’ambasciatore itinerante Averell
Harriman, il rappresentante statunitense alle Nazioni Unite Arthur Goldberg e l'assistente al segretario di Stato
Mennen Williams.
10
McNamara, In Retrospect, pp. 209-210. A proposito di quest’opera vedi Harold P. Ford, “Thoughts Engendered
by Robert McNamara's In Retrospect”, su http://www.odci.gov.
11
George C. Herring, America’s Longest War: The United States and Vietnam, 1950-1975, New York, J.Wiley,
1979, p. 165.
12
McNamara, In Retrospect, p. 221.
6
Il segretario di Stato Dean Rusk e l’assistente speciale del presidente per gli Affari di
Sicurezza Nazionale McGeorge Bundy, erano inizialmente scettici riguardo alla proposta di
McNamara. Rusk, in particolare, temeva che Hanoi potesse avvantaggiarsi di una sospensione
dei bombardamenti portando avanti indefinitamente una strategia di fight and talk; i comunisti, a
suo modo di vedere, avrebbero tenuto ostaggi gli americani attraverso la minaccia di
abbandonare le trattative se i bombardamenti fossero ricominciati
13
. A dicembre sia Rusk che
Bundy avevano però già “ammorbidito” la propria linea, probabilmente anche a causa della
possibilità, avallata dalle dichiarazioni dell’ambasciatore sovietico a Washington Anatoly
Dobrynin, che, nell’ambito di una pausa, l’URSS avrebbe potuto utilizzare la propria influenza
sulla DRV per incoraggiare le negoziazioni; l’Unione Sovietica, infatti, pur sostenendo Hanoi
attraverso l’invio di materiale bellico, non voleva un confronto diretto con gli Stati Uniti sul
Vietnam
14
. Un altro motivo favorevole alla sospensione era che, se anche i sovietici avessero
fallito nella loro mediazione, una simile mossa diplomatica avrebbe intensificato il dissenso tra
Mosca e Pechino
15
.
Il sottosegretario di Stato George Ball era favorevole ad un’interruzione dei
bombardamenti ma pensava che questo dovesse costituire soltanto il primo passo di un graduale
disimpegno in Vietnam
16
. Egli sosteneva che il programma di bombardamento avesse avuto fino
ad allora conseguenze estremamente negative, inasprendo gli animi del governo e della
popolazione nordvietnamita; esso perciò doveva essere terminato del tutto, raddoppiando,
semmai, gli sforzi per la ground war nel Sud. I Joint Chiefs of Staff(JCS), invece, erano
nettamente contrari alla pausa e manifestavano una forte preoccupazione per l’impatto militare
di una sospensione che avrebbe portato all’intensificarsi dell’infiltrazione di uomini e di
materiali nel Sud, così come già era avvenuto durante Mayflower, la pausa di 6 giorni del
maggio ’65. Essi sottolineavano anche la possibilità che l’atteggiamento degli Stati Uniti potesse
venire interpretato dal nemico come un segnale di debolezza
17
.
Il presidente, scettico fin dall’inizio, rimase dubbioso fino alla decisione finale,
soppesando in continuazione le diverse argomentazioni pro e contro la pausa; Johnson
condivideva le stesse preoccupazioni dei capi di stato maggiore e temeva, inoltre, che una pausa
avrebbe provocato sfiducia negli alleati, sconforto tra i soldati e malcontento nell’apparato
militare
18
. Alla fine, comunque, si convinse che gli Stati Uniti non avrebbero avuto niente da
perdere in quanto, qualora Hanoi non avesse fornito una risposta soddisfacente all’apertura, si
sarebbe potuto decidere di riprendere i bombardamenti in qualsiasi momento; in ogni caso la
posizione degli Stati Uniti sarebbe uscita rafforzata agli occhi dell’opinione pubblica. Influenti
sulla decisione del presidente furono sicuramente anche le dichiarazioni del ministro degli esteri
ungherese Janos Peter il quale aveva affermato che Hanoi avrebbe risposto positivamente a delle
trattative se gli Stati Uniti avessero sospeso i bombardamenti
19
.
Il 24 dicembre 1965 ebbe inizio una tregua di Natale della durata di 30 ore, stabilita in
accordo col governo di Saigon, che prevedeva la sospensione senza termine prefissato dei
bombardamenti a nord del 17° parallelo ed un rallentamento delle operazioni militari nel
Vietnam del Sud; il giorno seguente ricominciarono le operazioni al sud ma non i
bombardamenti. Soltanto il 27 Johnson decise di continuare la pausa dapprima per una
settimana e poi a tempo indeterminato, dando così inizio ufficialmente all’offensiva di pace
20
.
13
Gardner, op. cit., p. 271.
14
Donald S. Zagoria, Vietnam triangle: Moscow, Peking, Hanoi, New York, Pegasus, 1968, pp. 27-30; vedi anche
“Developing an Alliance: The Soviet Union and Vietnam, 1954-75” di Ilya V. Gaiduk, in Peter Lowe, edited by,
The Vietnam War, Houndmills, MacMillan, 1998, pp. 133-151.
15
Gardner, op. cit., p. 275.
16
Vandiver, op. cit., p.152.
17
McNamara, In Retrospect, p. 224.
18
Dallek, op. cit., p. 344.
19
Herring, LBJ and Vietnam, p. 100.
20
McNamara, In Retrospect, pp. 225-226.
7
1.1.2 La posizione negoziale di Stati Uniti e DRV
Negli stessi giorni in cui gli Stati Uniti mostravano al mondo intero la propria volontà di
negoziare senza condizioni per arrivare alla pace, il dipartimento di Stato presentava per la
prima volta in maniera formale i termini dell’amministrazione per un accordo: i cosiddetti “14
punti” che, già presentati da Rusk il 29 dicembre’65, venivano ora anche inseriti in un
documento emesso il 3 gennaio 1966 in cui era chiaramente precisata la posizione americana
21
.
Il documento intitolato “Il nucleo della questione nel Vietnam” era diviso in quattro paragrafi
22
;
nel primo la responsabilità nello scatenamento delle ostilità era addossata al Vietnam del Nord;
il secondo riaffermava l’impegno degli Stati Uniti a resistere, in ossequio agli obblighi
internazionali, per dimostrare l’attendibilità della parola degli Stati Uniti in tutto il mondo; il
terzo paragrafo elencava le “iniziative per la pace” allo scopo di evidenziare come nessuna
azione fosse stata intrapresa in tal senso dai comunisti negli ultimi 5 anni; il quarto conteneva
appunto quei 14 punti che fornivano la risposta ufficiale di Washington alla posizione negoziale
di Hanoi espressa nei “4 punti”
23
, presentati dal premier della DRV Pham Van Dong l’8 aprile
del ’65 in seguito all’apertura avanzata da Johnson nel celebre discorso alla Johns Hopkins
University di Baltimora(7 aprile 1965).
Tre dei 4 punti erano considerati dagli americani come delle possibili basi sulle quali
discutere: integrità territoriale del Vietnam con ritiro dell’esercito statunitense, abrogazione
delle alleanze militari con paesi stranieri come disposto dagli accordi di Ginevra del 1954 e
riunificazione pacifica del Vietnam. Il governo degli Stati Uniti non poteva però accettare il
terzo punto in cui veniva stabilito che “gli affari interni del Vietnam del Sud devono essere
gestiti dallo stesso popolo sudvietnamita, secondo il programma del Fronte Nazionale di
Liberazione del Vietnam del Sud [NLF] , senza alcuna interferenza straniera”
24
.
I 14 punti, presentati come gli “elementi che gli Stati Uniti ritengono possano
contribuire al raggiungimento della pace nell’Asia sud-orientale”
25
, pur concedendo che “i 4
punti di Hanoi potrebbero essere discussi insieme ad altri punti che altre parti potrebbero voler
proporre”
26
, in realtà contenevano poco che non fosse già stato detto prima e sulle questioni
basilari facevano ben poche concessioni. In risposta al terzo punto della DRV infatti si
affermava che “il Vietcong
27
non avrebbe difficoltà a farsi rappresentare e a presentare le
proprie vedute se Hanoi finalmente decidesse di porre termine all’aggressione”
28
; rimaneva
quindi chiara la determinazione degli americani di mantenere un Vietnam del Sud indipendente
e non comunista: “sul piatto della bilancia abbiamo messo tutto tranne la resa del Vietnam del
Sud ”
29
.
Pur facendo entrambe riferimento agli accordi conclusi alla conferenza di Ginevra del
1954, Washington e Hanoi ne davano un’interpretazione sostanzialmente diversa. In particolare
le due parti si scambiavano vicendevolmente l’accusa per la mancata applicazione degli accordi
in riferimento al divieto d’ingresso di truppe straniere sul suolo vietnamita. Secondo
Washington e Saigon erano stati i nordvietnamiti a violare gli accordi organizzando dall’esterno
la guerriglia nel sud e infiltrando le truppe regolari dell’esercito popolare del Vietnam del
Nord(PAVN), considerato esercito straniero, a sud del 17° parallelo. Hanoi invece accusava gli
21
Paper by Rusk del 27 dicembre 1965, FRUS, 1964-68, vol. III, pp. 704-707.
22
Ibid.
23
Per il testo dei 4 punti, vedi: Fredrik Logevall, The origins of the Vietnam War, Harlow, Longman, 2001, p. 130.
24
Ibid.
25
Paper by Rusk del 27 dicembre 1965, FRUS, 1964-68, vol. III, p. 706.
26
Ibid.
27
Altro termine per indicare il Fronte Nazionale di Liberazione; originariamente utilizzato, in senso dispregiativo,
dal governo sudvietnamita per bollare gli insorti come “comunisti vietnamiti”.
28
Paper by Rusk del 27 dicembre 1965, FRUS, 1964-68, vol. III, p. 706.
29
Ivi, p.707.
8
Stati Uniti di aver perpetrato un’aggressione inviando le proprie forze militari per soffocare un
movimento popolare autonomo ed interno. L’altro punto fondamentale di disaccordo riguardava
chi dovesse rappresentare il Vietnam del Sud; secondo gli americani era il governo di Saigon;
secondo Hanoi era il Fronte Nazionale di Liberazione.
Nonostante l’assenza di reali prospettive di pace causata dalla diversa concezione che le
parti avevano di una soluzione politica che potesse portare ad una cessazione delle ostilità, la
reazione internazionale alla sospensione dei bombardamenti e all’offensiva diplomatica fu
sostanzialmente buona
30
. I messi speciali dell’amministrazione americana riportarono le
impressioni ricevute presso i paesi visitati; l’ambasciatore Goldberg aveva incontrato il
Segretario Generale alle Nazioni Unite U Thant, il Papa Paolo VI, i leaders italiani, il presidente
francese Charles De Gaulle ed il primo ministro britannico Harold Wilson. Tutti accolsero con
soddisfazione l’iniziativa e manifestarono la propria disponibilità a partecipare agli sforzi
diplomatici, ad eccezione del generale francese che aveva mostrato, sin dall’inizio, la mancanza
di fiducia per una tale iniziativa. De Gaulle pensava infatti che l’unico corso d’azione possibile
fosse un ritiro americano
31
; il suo ministro degli esteri Couve de Murville si dichiarava inoltre
favorevole ad una partecipazione del NLF ad un governo di coalizione sudvietnamita ancor
prima che venissero intraprese delle negoziazioni. Questa reazione negativa da parte francese
era piuttosto prevedibile per gli americani dati i rapporti piuttosto tesi tra i due governi; De
Gaulle veniva perciò descritto dagli americani come “un caso a parte”
32
.
I leaders asiatici alleati diedero in generale il benvenuto all’iniziativa americana anche se
Thailandia e Corea del Sud giudicavano un errore la sospensione dei bombardamenti. Le
reazioni del governo e della stampa sudvietnamita furono riportate dall’ambasciatore americano
a Saigon Henry Cabot Lodge
33
; i quotidiani locali ponevano in risalto il fatto la pausa potesse
essere interpretata da Hanoi come un chiaro segnale di come stesse venendo meno la
determinazione degli Stati Uniti di proseguire la guerra; il governo, pur comprendendo le
motivazioni che potevano giustificare la pausa, manifestava le stesse preoccupazioni ritenendo il
bombardamento assolutamente indispensabile sia militarmente sia nella guerra psicologica
contro i vietcong. Veniva espressa da parte di Saigon anche la preoccupazione di essere
scavalcati dagli Stati Uniti nelle trattative con la DRV: “voi americani dovreste trattare con
russi e cinesi, e se si dovesse fare qualche trattativa con Hanoi, dovremmo essere noi a farla”
34
.
Gli altri paesi alleati accolsero in maniera sostanzialmente positiva l’offensiva di pace anche se,
nel complesso, venivano espressi dei dubbi circa i risultati.
La reazione del mondo comunista all’iniziativa americana fu apparentemente
omogenea
35
; in realtà questa compattezza di facciata mal dissimulava il differente atteggiamento
che le due superpotenze rosse tenevano nei confronti del conflitto. La propaganda
nordvietnamita accentuava il tema che la pausa dei bombardamenti fosse soltanto una copertura
per una ulteriore escalation della guerra, e inoltre insisteva che gli Stati Uniti mostrassero
attraverso dei fatti concreti l’accettazione dei 4 punti, vere pre-condizioni per arrivare alle
trattative. Secondo gli analisti della CIA questo atteggiamento di Hanoi era volto a rassicurare la
Cina ed il Vietcong della determinazione della DRV nel proseguire la guerra. Il NFL
30
Promemoria Bundy del 3 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol. IV, pp. 4-7.
31
Sull’atteggiamento critico della Francia riguardo alla politica americana nel Vietnam ed, in generale, i rapporti
franco-americani in questo periodo, vedi Marianna P. Sullivan, France’s Vietnam policy: a study in french-
american relations, Wesport, Greenwood Press, 1978, pp. 87-114; vedi anche H. W. Brands, The wages of
globalism: Lyndon Johnson and the limits of american power, New York and Oxford, Oxford University Press,
1995, pp. 85-121.
32
Promemoria Bundy del 3 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol. IV, p. 5.
33
Lodge a Johnson , tel. del 5 gennaio 1966, ivi, pp. 15-19.
34
Ivi, p. 16.
35
Promemoria CIA del 20 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol. IV, pp. 92-94; vedi anche Daniel S. Papp, Vietnam:
The View from Moscow, Peking, Washington, Jefferson, McFarland & Company, 1981, p. 78.
9
sostanzialmente ignorava i movimenti diplomatici statunitensi e la sua limitata risposta non
faceva che riecheggiare la posizione nordvietnamita.
Particolarmente interessante era il contrasto tra i toni utilizzati dalla Cina comunista
36
rispetto all’Unione Sovietica
37
. Pechino rispondeva all’offensiva di pace con crescenti attacchi
propagandistici, suggerendo una forte preoccupazione cinese circa la possibilità che la propria
posizione nei confronti del mondo “non allineato” venisse messa in pericolo. La propaganda era
particolarmente caustica riguardo a quello che veniva definito peace hoax, un imbroglio di pace,
destinato a preparare ad un’ulteriore escalation nel caso in cui Hanoi non avesse ceduto al
ricatto. Questa posizione, secondo la CIA rifletteva anche la certezza che se le forze comuniste
avessero spinto a fondo, la guerra non sarebbe potuta finire che con una vittoria che, da una
parte, avrebbe portato gli Stati Uniti fuori dall’Asia e nello stesso tempo avrebbe anche
avvantaggiato Pechino nei confronti di Mosca nella gara per accattivarsi le simpatie dei paesi
non allineati.
I sovietici assumevano invece un atteggiamento estremamente cauto riguardo
all’offensiva di pace, esemplificato anche dai discorsi tenuti dal segretario del Comitato Centrale
del Partito Comunista dell’Unione sovietica, Alexandr Shelepin durante la sua visita a Hanoi
38
; i
toni apparivano smorzati rispetto a quelli virulenti dei leaders nordvietnamiti. Anche la
propaganda sovietica evitava generalmente di commentare gli sforzi diplomatici statunitensi e
l’annotazione che l’offensiva in realtà fosse soltanto una copertura per un’ulteriore escalation,
appariva quasi di routine. L’Unione Sovietica adottava quindi una posizione di sostanziale
disimpegno, evitando le reazioni negative che Mosca aveva espresso riguardo ad altri peace
moves americani nel passato.
36
Così gli americani chiamavano la Repubblica Popolare, per distinguerla da quella che per loro era la vera Cina,
quella Nazionalista di Chang Kai-shek.
37
Promemoria CIA del 20 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol. IV, pp. 92-94.
38
Shelepin guidò una delegazione sovietica che visitò la capitale nordvietnamita dal 7 al 12 gennaio.
10
1.2 Il dibattito sulla ripresa dei bombardamenti
1.2.1 Il dilemma di Rusk
Una delle principali ragioni che convinse il presidente Johnson a ordinare la pausa dei
bombardamenti fu il fatto che questa potesse essere sospesa in qualunque momento, nel caso di
una insoddisfacente risposta di Hanoi. Pertanto, non appena l’offensiva ebbe inizio, si sviluppò
in seno all’amministrazione un importante dibattito sull’opportunità di interrompere la pausa e
riprendere i bombardamenti. Già dai primi giorni, l’amministrazione si trovò di fronte ad un
bivio. Il fatto che non ci fosse ancora stata una risposta negativa da parte di Hanoi e che Mosca
non avesse apertamente condannato l’iniziativa americana, contrariamente a quanto si era
verificato subito dopo l’annuncio della pausa del maggio ’65, era considerato un elemento
incoraggiante.
Da Saigon, però, l’ambasciatore Lodge riferiva dell’avvistamento di migliaia di soldati
del PAVN che oltrepassavano il confine e segnalava che il numero di incidenti con i vietcong
nelle ultime settimane era il più alto dall’inizio del conflitto
39
. Contrario alla pausa anche perché
“l’esperienza mostra che un periodo di calma e tranquillità non conduce ad una cooperazione
comunista...e al contrario ci si possono aspettare dei risultati nelle negoziazioni coi comunisti
solo tramite l’applicazione di pressioni militari prima che le trattative inizino e mentre sono in
corso”
40
, egli sosteneva la necessità di riprendere subito le attività contro il Nord.
L’ambasciatore alle NU Goldberg, uno degli inviati del presidente nei paesi europei, rispondeva
a Lodge schierandosi contro una repentina ripresa dei bombardamenti
41
. Lo scopo della pausa,
affermava Goldberg, era cercare di scoprire se il bombardamento americano sul Vietnam del
Nord fosse, in effetti, stato un ostacolo decisivo per Hanoi nel cominciare le negoziazioni o nel
ridurre le attività militari contro il Sud. Era quindi vitale, secondo l’ambasciatore, che fosse
permesso un tempo ragionevole per produrre una risposta convincente a questo interrogativo e
che gli Stati Uniti sfruttassero ogni opportunità per la pace, anche per evitare accuse di
impazienza, o peggio, di malafede. In questo contesto, un attacco sul Vietnam del Nord durante
la visita di Shelepin sarebbe apparso altamente provocatorio.
Il dilemma dell’amministrazione americana era ben espresso nelle parole del segretario
di Stato Rusk: “Se riprendiamo il bombardamento perderemo il sostegno di quasi tutti quelli che
adesso ci appoggiano…ma la situazione in Vietnam non è migliorata…qui la nostra posizione si
sgretolerà se aspettiamo più a lungo a ricominciare, ma se ricominciamo perderemo il sostegno
all’estero”
42
. Johnson appariva moderatamente soddisfatto per come si stava evolvendo la
situazione; uno degli obiettivi della peace offensive era di placare le crescenti critiche alla
politica americana in Vietnam e in effetti un sondaggio mostrava che il 73% degli americani
erano favorevoli ad un’estensione degli sforzi diplomatici
43
. La posizione degli USA era ancora
difficile ma migliore di quanto non fosse prima: “Stasera, più persone negli Stati Uniti e nel
mondo pensano che noi vogliamo la pace di quanti lo pensassero due settimane fa. Questo è un
bene”
44
. Inoltre, in vista di un’imminente richiesta al Congresso per uno stanziamento
supplementare per il conflitto vietnamita, il presidente ammetteva che: “ è stata posta la base
per un budget supplementare per pagare gli aumentati costi della guerra”
45
.
L’amministrazione decise per il momento di prolungare la pausa almeno fino al 13-14
gennaio in maniera tale da poter verificare se la visita di Shelepin a Hanoi avesse prodotto un
39
Lodge a Johnson , tel. del 5 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol. IV, pp. 15-19.
40
Lodge a Rusk, tel. del 1° gennaio 1966, ivi, p. 3.
41
Goldberg a Lodge, lettera del 6 gennaio 1966, ivi, pp. 22-24.
42
Summary notes of the 555
th
meeting of the National Security Council del 5 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol.
IV, p. 21.
43
Ivi, pp. 19-22.
44
Ivi, p.22.
45
Ivi, pp.21-22.
11
qualche cambiamento nella volontà di negoziare dei nordvietnamiti. Alla base di questa
decisione vi fu la convinzione che in quel momento i danni di natura militare fossero abbastanza
limitati e comunque potessero essere compensati da indubbi vantaggi politici. Questo
convincimento veniva espresso, per esempio, dall’ambasciatore Harriman
46
. Durante la sua
missione diplomatica
47
, l’inviato del presidente aveva rilevato inizialmente uno scetticismo
dovuto all’opinione diffusa che la pausa dei bombardamenti e l’offensiva di pace fossero state
mirate soltanto a giustificare agli americani un’espansione dell’azione militare, piuttosto che ad
una reale aspettativa che si potesse raggiungere un accordo di pace. Questa diffidenza aveva poi
lasciato il posto ad un crescente sostegno agli sforzi diplomatici; occorreva, però, ancora del
tempo per consolidare questa fiducia ed evitare una disillusione generale: “i semi dell’offensiva
di pace sono stati piantati…è troppo presto, tuttavia, per aspettarsi un vero raccolto”
48
.
Harriman quindi consigliava che la pausa fosse prolungata fino alla fine delle festività del Tet, il
capodanno lunare vietnamita, cioè almeno fino al 23 di gennaio
49
.
Di diverso avviso era il generale Earle G. Wheeler, presidente dei JCS, il quale riteneva
necessario riprendere i bombardamenti una volta trascorse 48 ore dal ritorno di Shelepin a
Mosca da Hanoi; un lasso di tempo durante il quale i sovietici avrebbero avuto tutte le
possibilità di comunicare agli Stati Uniti risultati ed eventuali sviluppi della missione
50
. Gli
attacchi aerei contro la DRV, sostenevano i JCS, erano un complemento essenziale alle
operazioni militari portate avanti nel Sud ed il più efficace mezzo per persuadere il Nord a
terminare il proprio supporto all’insurrezione. La pausa però stava provocando, sempre secondo
i capi di stato maggiore, dei seri danni a questa strategia a causa dell’aumentato flusso di
personale e materiale bellico verso il Sud e della ricostruzione delle linee di
comunicazione(LOC) danneggiate. Se il bombardamento non fosse stato ripreso al più presto
possibile, i risultati di questa costosa campagna aerea sarebbero andati persi. Inoltre, col passare
del tempo, sarebbe diventato sempre più difficile sganciarsi da questa situazione di stallo e
protratte negoziazioni in queste circostanze potevano dimostrarsi costose a livello di vite umane
così come avvenne in Corea. Faceva riferimento alla guerra di Corea anche il generale Maxwell
D. Taylor, consigliere speciale del presidente ed ex ambasciatore a Saigon, quando metteva in
guardia dal pericolo di rimanere intrappolati in trattative premature: “avere successo
nell’ottenere una conferenza potrebbe rivelarsi un fallimento”
51
.
A sostegno della posizione dei JCS era pure il comandante in capo delle forze americane
nel Pacifico (CINCPAC), ammiraglio Ulysses S.Grant Sharp jr., il quale sosteneva anche la
necessità di una revisione della campagna aerea
52
. La strategia globale, secondo l’analisi di
Sharp, era imperniata su tre princìpi-cardine: eliminare gli aiuti che dal Nord arrivavano al Sud
attraverso il sentiero di Ho Chi Minh e la zona smilitarizzata; rinforzare la Repubblica del
Vietnam(RVN) e fornirla di una stabile economia per liberarla dalle aree oppresse dai vietcong;
sconfiggere vietcong e forze del PAVN e distruggere le loro basi aeree nel Sud. Rolling
Thunder, iniziata come serie di attacchi di rappresaglia, si proponeva , attraverso la distruzione
di obiettivi selezionati e la minaccia di maggiori perdite, di convincere il Vietnam del Nord a
cessare l’invio di aiuti al Sud. I comunisti, secondo Sharp, avevano capito che questa strategia,
attraverso il pieno sfruttamento della forza aerea, sarebbe stata un’alternativa tecnologica a
perdite umane americane; per prevenire questo, avevano posto in essere una vasta campagna di
propaganda, affermando che i vietcong potevano infliggere perdite sufficienti nel nemico tali da
generare pressioni interne per finire la guerra: “ i comunisti hanno una totale noncuranza dei
46
Harriman a Johnson e Rusk, tel. dell’ 8 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol. IV, pp. 34-35.
47
Tra il 29 dicembre ed il 7 gennaio, Harriman incontrò i leaders stranieri in Polonia, Jugoslavia, India, Pakistan,
Iran, Repubblica Araba Unita, Thailandia e Giappone.
48
Harriman a Johnson e Rusk, tel. dell’ 8 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol. IV, p. 34.
49
Ivi, pp. 34-35.
50
Promemoria JCS dell’ 8 gennaio 1966, ivi, pp. 35-36.
51
Notes of meeting del 10 gennaio 1966, ivi, p. 39.
52
Sharp a Wheeler, tel. del 12 gennaio, ivi, pp. 47-52.
12
valori posseduti dal mondo occidentale…essi sopporteranno sconcertanti perdite di vite umane
per acquisire i loro obiettivi ”
53
. Questa tenacia e volontà di resistenza erano riconducibili da
una parte alla consapevolezza di poter contare sull’assistenza di Cina e Unione Sovietica e
dall’altra al fatto che Rolling Thunder stesse venendo condotta in maniera molto limitata. Il
Vietnam del Nord aveva dovuto sostenere grossi sforzi per la riparazione e ricostruzione di
ponti, strade e per preparare la difesa delle aree urbane da possibili attacchi, sottraendo così
importanti risorse alle funzioni militari. Tuttavia, gli obiettivi vitali per Hanoi o non erano stati
colpiti o erano stati attaccati in numero poco significativo. Occorreva quindi, sosteneva
l’ammiraglio, una revisione di Rolling Thunder che comportasse per esempio la distruzione
delle risorse POL
54
, l’abolizione di restrizioni alle sortite, la chiusura dei porti e l’estensione
delle aree da bombardare. Il pieno utilizzo della forza aerea, salvaguardando l’intenzione del
presidente di non distruggere la nazione e la popolazione nordvietnamita, avrebbe eliminato la
capacità di Hanoi di appoggiare il NFL; questa nuova campagna aerea, combinata con gli altri
due elementi della strategia generale, avrebbe infine portato il nemico al tavolo delle trattative
oppure provocato la fine dell’insurrezione per la mancanza di sostegno. L’alternativa,
concludeva Sharp, sarebbe stata una contro-insurrezione lunga e costosa in termini di vite umane
e risorse materiali.
53
Ivi, p. 49.
54
Petroleum, Oil, Lubricants: abbreviazione militare per i depositi di benzina, nafta e lubrificanti. Per il dibattito sui
POL targets vedi Cap. 2.4.1.
13
1.2.2 La sfiducia di Johnson
L’offensiva di pace costituiva anche uno dei punti più importanti dell’annuale messaggio
sullo “stato dell’Unione” letto in Congresso da Johnson il 12 gennaio. Nel discorso il presidente
cercava di rispondere alle critiche secondo cui il suo programma di riforme sociali, la Grande
Società, non potesse essere realizzato in coincidenza con la guerra in Vietnam; Johnson non
risolveva l’alternativa “burro o cannoni” ma sceglieva la via di mezzo rassicurando che molto
del programma era già stato realizzato, ma ammettendo pure che “a causa del Vietnam non
possiamo fare tutto quanto dovremmo o vorremmo fare”
55
. Il presidente, inoltre, dopo aver
negato un’incidenza negativa delle spese militari sui progetti economico-sociali, specificava che
se le necessità nel Vietnam lo avessero richiesto non avrebbe esitato a ripresentarsi al Congresso
per chiedere ulteriori stanziamenti e entrate aggiuntive
56
. Infine Johnson si soffermava sulle
difficoltà riscontrate nella ricerca di un dialogo con Hanoi:
Da venti giorni ad oggi noi ed i nostri alleati vietnamiti non sganciamo bombe sul
Vietnam del Nord. Abili ed esperti portavoce hanno visitato…più di quaranta paesi.
Abbiamo avuto colloqui con più di cento governi…abbiamo informato le Nazioni
Unite…Abbiamo chiarito…che non ci sono limiti arbitrari alla nostra ricerca della
pace. Noi ci incontreremo a qualunque tavolo di conferenza, discuteremo qualsiasi
proposta, quattro punti, o quattordici o quaranta, e considereremo i punti di vista di
ogni gruppo. Lavoreremo per un cessate il fuoco ora o una volta iniziate le discussioni.
Noi risponderemo se gli altri ridurranno il loro uso della forza, e ritireremo i nostri
soldati non appena il Vietnam del Sud avrà saldamente garantito il diritto a regolare da
sé il proprio futuro. Noi abbiamo detto tutto questo, e abbiamo chiesto, e sperato, e atteso
una risposta.
Finora, non abbiamo ricevuto nessuna risposta che dimostri un successo o un fallimento
57
.
Le parole di Johnson rivelavano una mancanza di fiducia da parte dell’amministrazione
rispetto ad un esito positivo dei colloqui. Da parte di Hanoi non traspariva, infatti, un minimo
segnale d’apertura che non fosse l’insistente richiamo ai quattro punti e alla fine
dell’aggressione americana. Saigon, nel frattempo, aveva espresso forte perplessità per il fatto
che il governo non fosse stato informato di tutte le mosse diplomatiche americane. Il segretario
di stato Rusk, perciò, in visita nella capitale sudvietnamita il 15 gennaio, dovette tranquillizzare
i leaders del GVN di come il mantenimento di un Vietnam del Sud indipendente e non
comunista fosse ancora un obiettivo prioritario della politica statunitense nel sud-est asiatico
58
.
Anche McNamara era ormai piuttosto scettico sulla possibilità che l’offensiva potesse
portare a qualcosa di concreto ma in una conversazione telefonica, il 17 gennaio, suggeriva
comunque al presidente di attendere ancora una settimana per avere indicazioni più precise,
visto che erano ancora in corso dei contatti informali
59
. La posizione del segretario alla Difesa
era una via di mezzo tra quella di “alcune persone al dipartimento di Stato”, riferendosi a Ball,
55
Annuario di politica internazionale, vol. 23, anno 1966, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale,
1968, p.173.
56
Effettivamente, il 19 gennaio, Johnson trasmetterà al Congresso la richiesta di uno stanziamento supplementare di
quasi 13 miliardi di dollari per la guerra nel Vietnam. Pur confermando la volontà di continuare i negoziati di pace,
il presidente nello stesso tempo riaffermava la propria decisione a non trovarsi impreparato nel caso le speranze si
fossero dimostrate vane : “Indipendentemente dal fatto che l’attuale sforzo abbia successo o meno, il nostro scopo
di pace rimarrà costante; noi continueremo a bussare ad ogni porta . Ma finché l’aggressione non avrà termine,
noi dovremo fare tutto quanto per appoggiare i nostri alleati e le nostre forze che combattono nel Vietnam . Questo
è lo scopo che motiva le attuali richieste”. Nuovi stanziamenti americani per opporsi all’aggressione del Nord, in
“Relazioni Internazionali”(R.I.), a. XXX (1966), n. 5, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1966,
p.110.
57
Vandiver, op.cit., p. 161.
58
Memorandum of conversation del 15 gennaio 1966, FRUS,1964-1968,vol. IV, pp. 65-69.
59
Conversazione telefonica tra Johnson e McNamara del 17 gennaio 1966, ivi, pp. 74-80.
14
che sostenevano che il bombardamento non dovesse ricominciare alla fine delle festività del Tet,
e quella dei JCS che raccomandavano una ripresa immediata
60
. Continuare la pausa fino al Tet
avrebbe lasciato al Vietnam del Nord un ampio periodo per dar seguito alle diverse linee di
contatto e, inoltre, avrebbe permesso di “stabilire fermamente nelle menti della nostra opinione
pubblica e di quella internazionale che abbiamo dato loro un tempo ragionevole per
rispondere”
61
. Una volta trascorso il capodanno vietnamita la campagna aerea sarebbe, però,
ricominciata anche perché un’ulteriore estensione della pausa si sarebbe tradotta in uno
svantaggio militare per gli americani, nel senso che il nemico avrebbe potuto proseguire la
guerra al Sud senza pressione e a costi più bassi. Alla ripresa dei bombardamenti sarebbero
senz’altro seguite delle critiche ma, rassicurava McNamara rivolgendosi al presidente, “la
grande maggioranza delle persone nel paese crederà che voi abbiate dato un tempo
ragionevole, oltre un mese, e non c’è stato nessun cenno da parte loro”
62
. D’altronde da Mosca
non era arrivato nessun segnale nuovo a seguito della visita di Shelepin a Hanoi e non vi era
stata neanche nessuna indicazione da parte dell’intelligence sulla volontà della DRV di porre in
essere delle mosse diplomatiche per poter allungare la pausa. McNamara riportava inoltre le tesi
sostenute da un esperto di questioni vietnamite, il professor P.J.Honey, secondo il quale la linea
politica di Hanoi era guidata da una fazione intransigente contraria a negoziazioni che reputava
un errore tattico persino gli accordi di Ginevra del ’54. In ogni caso il segretario alla Difesa si
diceva favorevole alla continuazione degli sforzi diplomatici anche una volta ripreso il
bombardamento.
Sicuramente col trascorrere dei giorni, la ripresa dei bombardamenti appariva sempre più
prossima. I JCS cominciavano, quindi, ad esporre delle raccomandazioni per la condotta
dell’offensiva aerea
63
. Tenendo conto dei suggerimenti dell’ammiraglio Sharp, essi auspicavano
l’abolizione delle restrizioni geografiche, delle limitazioni alle sortite e degli attacchi singoli su
obiettivi specifici che avevano esposto le forze americane a grossi rischi. Una pressione
crescente ed ininterrotta sarebbe dovuta essere esercitata: in primo luogo, allo scopo di negare
un’assistenza esterna al Vietnam del Nord tramite la chiusura dei porti e l’interdizione delle
LOC terrestri comunicanti con la Cina; in secondo luogo, attraverso la distruzione di quelle
risorse già presenti nel Nord che contribuivano maggiormente a sostenere l’aggressione come i
POL, le reti di trasporto e le centrali elettriche; infine, annientando mezzi e strutture militari e
impedendo il passaggio di uomini e materiali al Sud. I capi di stato maggiore erano consapevoli
del fatto che simili misure avrebbero certamente provocato una reazione internazionale avversa
ma erano anche convinti che gli alleati avrebbero compreso la necessità per tali azioni.
Riconoscevano anche la possibilità di un ingresso in guerra della Cina sebbene ritenessero
questa eventualità più probabile attraverso la corrente strategia che con tutta la sua serie di
restrizioni avrebbe potuto incoraggiare graduali risposte da parte cinese.
Non tutti, però, ritenevano che la pausa sarebbe dovuta terminare subito dopo il Tet. In
un memorandum informativo destinato a Rusk, il consulente legale del dipartimento di Stato
Leonard Meeker giudicava il tempo trascorso ancora insufficiente
64
. Riportando le stime
dell’ufficio di intelligence e ricerca del dipartimento di Stato(INR) secondo le quali l’attività dei
vietcong dall’inizio della tregua non era cambiato materialmente, Meeker sosteneva che una
ripresa dei bombardamenti non avrebbe portato dei vantaggi immediati dal punto di vista
militare. C’erano invece delle importanti ragioni politiche per estendere la pausa. Innanzitutto
quattro settimane non erano un periodo sufficiente: era sicuramente in corso, a Hanoi e tra la
DRV ed i suoi alleati, un grosso dibattito che avrebbe richiesto del tempo. D’altra parte anche
gli Stati Uniti, sottolineava Meeker, avevano impiegato nove mesi, dal discorso di Johnson alla
60
Ivi, p. 74.
61
Ibid.
62
Ivi, p. 75.
63
Promemoria JCS del 18 gennaio 1966, ivi, pp. 80-83.
64
Promemoria Meeker del 20 gennaio 1966, ivi, pp. 95-97.
15
Johns Hopkins University dell’aprile ’65 fino ai 14 punti di dicembre, per formulare la propria
posizione negoziale. Era perciò poco realistico aspettarsi che i comunisti avrebbero risposto
immediatamente. In secondo luogo la ripresa dei bombardamenti avrebbe rischiato di far perdere
agli Stati Uniti tutta quella fiducia e credibilità faticosamente conquistata presso l’opinione
pubblica mondiale e soprattutto americana: “la gente in questo paese vorrà essere convinta che
le possibilità di un ragionevole accordo di pace siano state esaurite prima che la guerra sia
ripresa pienamente ed in tutta probabilità portata ad escalation”
65
. Inoltre gli Stati Uniti
avrebbero dovuto difendersi dall’accusa di aver voluto interrompere per primi il dialogo mentre
invece era interesse prioritario del governo americano che la responsabilità per il fallimento
degli sforzi di pace ricadesse sui comunisti. Infine, punto più importante, erano in corso dei
contatti non ufficiali tra rappresentanti americani e nordvietnamiti. Una ripresa immediata dei
bombardamenti avrebbe non soltanto interrotto immediatamente questi contatti determinando il
definitivo fallimento dell’offensiva di pace, ma probabilmente avrebbe anche vanificato ogni
futuro sforzo diplomatico
66
.
L’amministrazione americana seguiva questi colloqui segreti con estrema attenzione e con
un duplice stato d’animo; da una parte vi era la speranza che si potessero creare delle valide basi
per poter arrivare a delle trattative ufficiali; dall’altra, però, c’era il timore che questi
abboccamenti da parte di emissari nordvietnamiti facessero parte di una strategia, già posta in
essere in precedenti occasioni, volta essenzialmente a ritardare la ripresa dei bombardamenti
americani per poter continuare le operazioni di ricostruzione delle strutture danneggiate e
l’infiltrazione nel Sud. L’esito di questi contatti avrebbe, comunque, potuto influire in maniera
determinante sulla decisione dell’amministrazione relativa ad una prosecuzione o, cosa che in
quel momento sembrava più probabile, ad una cessazione della pausa.
65
Ivi, p. 97.
66
Ivi, pp. 95-97.