Capitolo I
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1.2 La dimensione politica
Quando si parla di globalizzazione nel campo della politica ci si riferisce alla sempre più
rilevante dimensione sovra-nazionale delle politiche statali: le interrelazioni politiche in tutto il
mondo si intensificano e si espandono.
Senza dubbio le politiche economiche rivestono un ruolo significativo in questo fenomeno, ma
non sono da trascurare i provvedimenti legislativi nazionali in altri ambiti quali ad esempio
l’immigrazione, i diritti dei lavoratori o le politiche ambientali.
In questo contesto non è inoltre da sottovalutare la funzione svolta dalla tecnologia delle
comunicazioni, grazie alla quale le informazioni viaggiano in tempo reale e le decisioni prese
in una parte del mondo possono avere effetti a livello globale.
Le origini dello stato moderno vanno ricercate nell’Europa del XVII secolo: con la Pace di
Vestfalia del 1648 vennero stabiliti i principi da adottare per entrare a far parte del sistema
internazionale di stati, ovvero la sovranità, la territorialità e la legittimità [5].
Tutti gli Stati avevano lo stesso diritto all’autodeterminazione, il mondo risultava così composto
e suddiviso in stati territoriali sovrani che non riconoscevano nessuna autorità superiore ed il
diritto internazionale era orientato alla fissazione di regole minime di coesistenza.
Il sistema dello stato moderno venne fissato alla fine della Prima Guerra Mondiale nei 14 punti
di Wilson: il "principio di nazionalità", noto anche con il nome di "principio
di autodeterminazione dei popoli", fu la base per la costruzione dell'Europa democratica e degli
stati nazionali. Secondo questo principio, i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il
proprio sistema di governo e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal
dominio coloniale. Il principio di autodeterminazione avrebbe dovuto svolgere il ruolo di linea
guida per il tracciamento dei nuovi confini, ma nella pratica venne applicato in maniera
arbitraria e discontinua [10].
Fu solo nel secondo dopoguerra che l’idea wilsoniana di dare un’espressione istituzionale alla
cooperazione internazionale si sviluppò compiutamente in seguito alla nascita
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 1945. La Carta delle Nazioni Unite
sancisce infatti come fine delle Nazioni Unite quello di "sviluppare tra le nazioni relazioni
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amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-
determinazione dei popoli (...)" [11].
Negli anni ’70 si fece un altro passo fondamentale: si comprese che la società internazionale
di Stati separati stava diventando una rete globale di interdipendenze politiche che metteva in
discussione le forme convenzionali di sovranità nazionale.
Nel 1990 infine, all’inizio della prima guerra del Golfo
8
, Bush proclamò la fine del modello
vestfaliano annunciando la nascita di un nuovo ordine mondiale, in cui non si accettava più che
comportamenti criminosi su scala internazionale riguardassero esclusivamente gli stati
coinvolti (interventismo statunitense) [5].
Ciò su cui dobbiamo interrogarci si riduce quindi al concetto di Stato-Nazione: può considerarsi
ufficialmente in declino? Le istituzioni internazionali sono effettivi soggetti di potere?
Sicuramente si può affermare che spazio politico e comunità politica non corrispondono più al
territorio nazionale e i governi nazionali non possono essere più considerati gli unici padroni
del destino dei loro cittadini. La globalizzazione sta dando un forte contributo al
ridimensionamento del potere politico.
Se da un lato i globalisti sostengono che la globalizzazione, fenomeno guidato da forze
tecnologiche ed economiche, ha reso la politica totalmente impotente impedendo ai governi di
rintrodurre politiche restrittive e regolamentazioni, dall’altro gli scettici sottolineano il ruolo
significativo svolto dalle decisioni politiche dei governi neoliberisti negli anni ’80-‘90, viste
come “motore globalizzatore” [5].
Credo che la verità stia nel mezzo: non possiamo scindere l’economia dalla politica. Gli sviluppi
economici recenti che hanno reso i mercati sempre più liberalizzati e interconnessi senza dubbio
pongono delle limitazioni ai governi, che si trovano impossibilitati a perseguire obiettivi
indipendenti di politica nazionale e ad imporre i propri standard domestici, ma ciò non li rende
spettatori ininfluenti davanti alla nuova realtà globalizzata.
Gli Stati sono in grado di attuare misure per rendere le proprie economie attraenti per gli
investitori stranieri, possiedono ancora il controllo sull’istruzione, sulle infrastrutture,
sull’immigrazione. Potremmo quindi affermare che siamo nel mezzo di un periodo di
8
Conflitto che oppose l'Iraq ad una coalizione composta da 35 stati formatasi sotto l'egida dell'ONU e guidata dagli Stati Uniti,
che si proponeva di restaurare la sovranità del piccolo emirato del Kuwait, dopo che questo era stato invaso e annesso dall'Iraq.
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transizione tra lo Stato-Nazione e nuovi strati di governance globale, rappresentati dalla nascita
di istituzioni e associazioni unite da interessi comuni tra cui tra cui l’ONU, NATO, WTO o
OCSE. Un’altra struttura di governance è rappresentata dalla proliferazione di associazioni non
governative (ONG) di volontari che operano su scala mondiale pronti a contestare misure
adottate dagli stati nazionali o dalle organizzazioni intergovernative.
David Held, politologo, sociologo e politico britannico, si mostra particolarmente ottimista
elaborando la proposta di una “democrazia cosmopolita”: un modello di organizzazione in cui
gli individui, indipendentemente dalla loro provenienza geografica, possono godere di alcuni
strumenti per prendere parte alla gestione degli affari pubblici globali, in aggiunta alla politica
locale. Secondo questa visione si arriverà ad un sistema giuridico interconnesso globale, con
un parlamento unico connesso a regioni, stati ed enti locali. Held ritiene quindi auspicabile e
possibile una “democratizzazione globale” dei rapporti internazionali [12].
I più scettici sostengono che chi crede nel cosmopolitismo ignori la dimensione culturale, che
potrebbe ostacolare la tolleranza reciproca. Fra questi troviamo Robert Alan Dahl, politologo
statunitense, secondo il quale “il sistema internazionale rimarrà al di sotto di qualunque
ragionevole soglia di democrazia” [13].
1.3 La dimensione culturale
Il concetto di cultura indica quell’insieme di valori e principi che, essendo ampiamente
condivisi, generano comportamenti collettivi omogenei in grado di distinguere una comunità
da un’altra. Una cultura unisce fra loro i soggetti che si riconoscono in essa e allo stesso tempo
agisce come fattore discriminatorio fra gruppi diversi.
La dimensione culturale della globalizzazione fa riferimento all’intensificazione ed espansione
dei flussi culturali in tutto il mondo [5]. La società odierna è in costante movimento e relazione,
e al centro di essa si pone l’individuo: un “traffico” culturale che viaggia sui fili dei mezzi di
comunicazione, dalla televisione ai siti web, dai film ai social media.
Senza dubbio l’interconnessione delle diverse economie in un mercato mondiale competitivo
causa conseguenze importanti sui comportamenti degli individui e delle comunità in tutti i
campi della loro vita.
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La tendenza è quella di uniformare il modo di vivere e le abitudini culturali in ogni parte del
mondo: a George Ritzer, sociologo statunitense, dobbiamo il termine McDonaldizzazione,
spesso utilizzato come sinonimo di globalizzazione. La sua teoria si basa sulle politiche del
lavoro attuate dalla società di fast food McDonald’s (con circa 35.000 sedi sparse in tutto il
mondo), politiche che mirano alla realizzazione di ristoranti economici strutturati come catene
di montaggio e facilmente esportabili in luoghi lontani. Secondo questa strategia razionale ed
efficiente l’intervento del personale è ridotto al minimo, i costi si abbassano e le attività dei
dipendenti vengono monitorate costantemente.
Ritzer concepisce la McDonaldizzazione nel quadro più ampio dell’“americanizzazione”,
ovvero la "propagazione di idee, usanze, modelli sociali, industria e capitale americani nel
mondo”. In questa visione pessimista la diversità viene appiattita, i prodotti vengono omologati,
modi e abitudini perdono la loro connotazione geografica, la creatività umana viene oscurata,
la società disumanizzata [5].
In questo processo di omogeneizzazione globale, diventiamo tutti “prosumers”, ovvero sia
produttori che consumatori, poiché sia pranzando da McDonald’s, sia acquistando da Amazon,
sia prelevando da un bancomat sfruttiamo e siamo sfruttati in un mondo assoggettato ai grandi
interessi delle multinazionali. Eppure, questo modello è quello che ottiene maggiore successo,
proprio perché, sostiene Ritzer, la società contemporanea preferisce un mondo senza sorprese
[14].
Posizioni contrarie si ritrovano ad esempio nella teoria di Ulf Hannerz, antropologo svedese,
che considera il mondo globalizzato come un prodotto dialettico tra globale e locale: siamo di
fronte ad una globalizzazione della cultura che consiste più nell’organizzazione delle diversità
che nella riproduzione delle uniformità. La globalizzazione, paradossalmente, può far emergere
una cultura della differenza, del dialogo e di una comunicazione che non annulli la specificità e
il linguaggio dell’altro [15].
Con il termine Ecumene globale, Hannerz vuole indicare che l’uomo contemporaneo vive in un
mondo i cui confini interni non sono perfettamente definiti ed inviolabili, bensì è parte di un
insieme collettivo in cui gli elementi culturali sono sempre più condivisi e inseriti in una
prospettiva globale. È proprio in questo contesto che si inserisce il termine glocalizzazione,
formulato negli anni ’80 da economisti giapponesi per spiegare le strategie di marketing globale
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del loro paese: un servizio o prodotto (anche culturale), distribuito a livello globale ma adattato
per soddisfare l’utente o il consumatore nel suo mercato locale [16].
Il termine è stato poi tradotto in inglese dal sociologo Roland Robertson ed ulteriormente
elaborato dal sociologo polacco Zygmunt Bauman per indicare un’interazione complessa ma in
perfetta sintonia tra globale e locale, lati inseparabili della stessa moneta. La contaminazione
reciproca tra diverse forme culturali porta ad espressioni di ibridità visibili nella moda, nella
danza, nella musica, nell’alimentazione e nel cinema.
Ne è un esempio ciò che sta avvenendo nel settore della ristorazione, una delle aree del consumo
più legata a fattori culturali: si è venuta a formare un’intera categoria di offerta definita con il
termine fusion. Il consumatore rimane in parte legato alle proprie radici ma adotta anche
prodotti di altre culture e con essi il bagaglio di valori con cui si identificano.
La glocalizzazione rappresenta il tentativo di proteggere l’originalità della cultura e delle
identità locali dal conformismo e dall’appiattimento della globalizzazione. Pertanto, è
necessario analizzare attentamente i contenuti della comunicazione che, veicolati dalle nuove
tecnologie, diventano banali, superficiali e distorte [17].
Le tesi proposte non sono del tutto incompatibili come potrebbe sembrare: il modo di vivere
contemporaneo comporta sia una perdita di tradizione sia la creazione di espressioni del tutto
nuove e particolarismi culturali. Nessuna cultura può definirsi indipendente.
Infine, non si può non parlare della lingua come vero e proprio scrigno di valori culturali e punti
di vista differenti. Cosa accade con la globalizzazione? Un ruolo non trascurabile in questo
ambito è svolto dai media, che diffondono le informazioni attraverso tecnologie di
comunicazione avanzate. La comunicazione internazionale si serve di alcune lingue causando
l’oscuramento o, nei casi peggiori, la sparizione, di altre. Troviamo infatti la preminenza di
certe lingue nel mondo come l’inglese, il cinese e lo spagnolo. La supremazia di certe lingue a
discapito di altre risponde a processi di standardizzazione linguistica funzionali alla realtà
sociale e ai rapporti economici contemporanei.
Per contrasto, la globalizzazione non annulla automaticamente le differenze linguistiche: le
comunità multiculturali favoriscono processi di mescolanza linguistica collegati alla
conoscenza di più lingue da parte dei parlanti [18].
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1.4 La dimensione ecologica
Si è dimostrato come tutti gli aspetti della globalizzazione, seppur analizzati separatamente,
siano connessi reciprocamente da relazioni di causa-effetto. Oltre agli aspetti economici e
politici, anche la cultura incide significativamente sulla percezione dell’ambente naturale.
Mentre culture come il taoismo
9
presuppongono una relazione armoniosa tra natura ed umanità
comportando un equilibrio tra le richieste della società umana ed esigenze dell’ecologia,
l’umanitarismo giudaico-cristiano
10
si caratterizza invece per valori dualistici che assegnano
all’uomo il controllo della natura. L’ambiente è risorsa per il soddisfacimento di bisogni e
desideri e ciò ben si riflette nei valori del consumismo [5].
Negli ultimi anni problemi come l’inquinamento, il cambiamento climatico o l’estinzione delle
specie sono al centro dell’attenzione: in un ambito sempre più internazionale le criticità e le
esigenze legate all’ambiente si fanno sempre più universali. Non si tratta di problemi del tutto
nuovi, ma il declino ambientale che un tempo si produceva lentamente è oggi senza precedenti.
Le conseguenze che questo allargamento dei mercati internazionali ha avuto sull’ambiente,
locale e globale sono numerose.
L’inquinamento transnazionale rappresenta un grave pericolo per la nostra sopravvivenza.
A questo proposito si riporta un interessante studio svolto da J.Baek e Y.Cho, dell'università
del North Dakota (Stati Uniti d'America), insieme a Won W. Koo, dell'Università di Seul (Corea
del Sud), i cui risultati sono stati pubblicati su una delle riviste scientifiche di riferimento per
gli economisti che si occupano di ambiente, Ecological Economics. L’oggetto dello studio è
l’anidride solforosa (SO2), sostanza chimica gassosa a temperatura ambiente e fortemente
inquinante, che viene prodotta da svariate attività industriali. Sono state analizzate le emissioni
di questa sostanza in 50 paesi diversi negli ultimi 50 anni: generalmente, nei paesi a economia
avanzata sia l'aumento della ricchezza sia l'apertura dei mercati ha determinato un
miglioramento della qualità ambientale.
9
Insieme delle dottrine a carattere filosofico e mistico formulate da pensatori cinesi nei secc. IV e III a.C. e ispirate a una
concezione individualistica ed egoistica avente per scopo la preservazione della vita e la salute e la pace della persona, da
realizzarsi mediante varie pratiche (alchimistiche, dietetiche, respiratorie, ginnastiche, sessuali, ecc.).
10
Movimento ideale fondato su una profonda convinzione dell'uguale dignità di tutti gli esseri umani, e dell'obbligo universale
di alleviare la sofferenza, e di assicurare a chiunque il rispetto dei suoi diritti fondamentali e la risposta ai suoi bisogni essenziali.
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Ciò si è verificato solo dopo il superamento da parte di questi paesi della curva di Kuznets,
curva dall’andamento a campana che correla inquinamento e ricchezza prodotta.
Quando l’economia giovane e poco efficiente di una nazione inizia la sua ascesa,
l’inquinamento aumenta, ma una volta raggiunto il punto più alto, ecco che la qualità ambientale
diventa un valore e mentre la ricchezza continua a crescere, l’inquinamento diminuisce. L’unico
paese in via di sviluppo a rappresentare un’inversione di tendenza è la Cina, dove la
diminuzione delle emissioni è associata sia all’aumento della ricchezza sia all’apertura dei
mercati. Siamo di fronte ad un’economia che si sta già comportando come matura (figura 1)
[19].
Figura 1 - Andamento storico dell'intensità di emissione di anidride solforosa in alcuni paesi in via di
sviluppo
Fonte: Baek et altri (2009), Ecological Economics, 68 2255-2264
È intorno agli anni ’90 che in Cina si inizia a parlare di civiltà ecologica come modello di
sviluppo che modifica la relazione tra uomo e natura e i danni causati dal sistema produttivo.
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23
Il concetto appare in maniera ufficiale nel 2007 all’interno di un documento del PCC e, con Hu
Jintao nelle vesti di Segretario Generale, viene inserito all’interno dei principi che guideranno
la politica cinese negli anni a venire [20].
Un altro problema ecologico importante associato alla globalizzazione del degrado ambientale
è la riduzione della biodiversità: dal 1900 ad oggi sono andati perduti tre quarti della
biodiversità genetica di piane e animali. Dobbiamo infatti ricordare che dal 1950 ad oggi la
popolazione mondiale è triplicata, così come la produzione economica e l’impiego di
fertilizzanti ed energia primaria [5].
Gli habitat vengono alterati per il massiccio disboscamento, aumentano le superfici per
l’agricoltura e l’allevamento, si sviluppano aree urbane e commerciali e reti stradali, il
sottosuolo viene sfruttato per i suoi giacimenti. I rifiuti marini rappresentano una minaccia per
le specie marine mediterranee che possono rimanere intrappolate o ingerire rifiuti scambiandoli
per prede, per non parlare degli sversamenti petroliferi che si verificano durante le fasi di
trasporto o di estrazione del greggio.
Estremamente attuale è lo sversamento di olio in mare avvenuto nelle Mauritius la sera del 25
luglio 2020 a causa di una nave mercantile giapponese incagliatasi sulla barriera corallina.
La nave viaggiava tra il Brasile e la Cina e a causa del mare mosso è stata lasciata per quasi due
settimane sul luogo dell’incidente: lo scafo a iniziato a fratturarsi causando la fuoriuscita di
quasi mille tonnellate di petrolio [21].
A ciò si aggiunge l’effetto serra conseguente al rapido accumulo nell’atmosfera di emissioni
gas che ha fatto aumentare le temperature medie in tutto il mondo. È drammatico il bilancio
della stagione degli incendi che da agosto 2019 hanno colpito l’Australia: si stima che siano
stati bruciati più di nove milioni di ettari del territorio, oltre due volte la superficie del Belgio,
e si prevede che le temperature continueranno ad aumentare. Ciononostante, il governo
australiano continua a negare che il cambiamento climatico sia in qualche modo collegato agli
incendi boschivi che stanno devastando il Paese e non sembra intenzionato a migliorare la
propria politica climatica [22].
I problemi ecologici aggravati dalla globalizzazione formano un circolo vizioso che comprende
anche la diffusione delle malattie e l’incremento dei tassi di mortalità.
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Sono sfide che derivano da azioni umane collettive e che richiedono una risposta coordinata
globale, tuttavia quasi tutti i trattati ambientali internazionali mancano di meccanismi attuativi
efficaci poiché considerati un ostacolo alla crescita economica.
Solamente con la conferenza di Parigi del 2015 tenuta dall’ONU si è verificata un’inversione
di tendenza, con la ratifica di accordi da parte di tutti gli stati maggiormente inquinanti ed un
piano d'azione per limitare il riscaldamento globale [23].
2. Aspetti positivi e negativi della globalizzazione
La globalizzazione è un fenomeno negativo o positivo? Nei primi anni ’90 è stata accolta con
euforia, ma di recente il great globalization debate del mondo occidentale ha visto schierarsi
due fazioni opposte.
Danilo Zolo, nel testo “Globalizzazione. Una mappa dei problemi” distingue fra apologeti e
critici. Secondo i primi industrialismo e modernizzazione hanno promosso la diffusione del
liberalismo e dell’economia di mercato, la razionalizzazione burocratica dell’attività
amministrativa, la rivoluzione tecnologico-informatica, la formalizzazione giuridica, la
proclamazione dei diritti dell’uomo.
Lo sviluppo economico permette lo sviluppo dell’uomo in termini di standard qualitativi e
speranza media di vita, livelli di educazione primaria, godimento dei diritti fondamentali.
Dall’altro lato, la minoranza rappresentata dai critici non nega gli aspetti positivi della
globalizzazione, ma ne enfatizza quelli negativi, quali la disparità nella distribuzione della
ricchezza, la turbolenza dei mercati finanziari caratterizzati da operazioni speculative fuori
controllo, lo sfruttamento irrazionale delle risorse, l’occidentalizzazione di stili di vita e modelli
di consumo e produzione che appiattisce la diversità culturale [6].
Per il movimento di protesta ecologista e antiliberista no global (o movimento anti-
globalizzazione) la globalizzazione è una fonte di inaccettabili iniquità tra Nord e Sud del
mondo e all’interno delle singole società nazionali. Al centro dell’accusa si trovano il potere
delle multinazionali e le politiche seguite dal FMI e WTO che impoveriscono sempre di più i
Paesi in via di sviluppo [24]. Le multinazionali sono accusate di sfruttare i lavoratori del Sud
del mondo e di segnare in modo determinante le politiche dei governi nazionali. I bersagli delle
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25
battaglie ecologiche dei no global sono principalmente gli organismi geneticamente modificati,
l'effetto serra e l'inquinamento in generale.
Il 30 novembre del 1999 a Seattle, durante i giorni in cui si teneva l’incontro
della WTO, avvennero i famosi scontri tra le organizzazioni del movimento no-global e la
polizia. L’evento è stato considerato da molti la pietra miliare della fondazione del movimento
no-global, il primo ad avere avuto una risonanza mondiale e che ha visto una partecipazione e
un’organizzazione ben strutturate (figura 2).
Ciononostante, la continua repressione dei no-global e l’indifferenza delle istituzioni ha portato
negli anni alla disgregazione del movimento, che, nato con grandi speranze e ambizioni, non è
riuscito a tramutare le proprie idee in concrete azioni politiche [25].
Fonte: Seattle.gov, Item 176997, ImageBank Digital Photographs (Record Series 0207-01)
Non è facile dare un giudizio univoco alla globalizzazione ma ciò che si può affermare è che si
tratta di un processo moderno e complesso dal quale non si può più fare ritorno.
Figura 2 - Protestanti sulla 7th Avenue, 29 novembre 1999.
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Fra i vantaggi troviamo sicuramente il fatto che, grazie alla globalizzazione, la popolazione si
muove e comunica con maggiore efficienza. Il mondo si restringe e la distanza non è più un
problema. Messaggi istantanei, videoconferenze, fax, collegano facilmente persone in parti
opposte del globo. Un volo aereo permette di raggiungere un altro stato in poche ore.
La capacità di movimento non riguarda solo l’uomo, la tecnologia permette infatti di trasferire
capitale e di aumentare le opportunità di investimento. Spesso gli investitori collocano il proprio
capitale nei Paesi in via di sviluppo grazie all’enorme spazio per la crescita.
Fra i vantaggi economici troviamo sicuramente la libera circolazione di materie prime
disponibili soltanto in alcune zone del globo o di prodotti alimentari che crescono soltanto in
certi contesti climatici. Vengono diffuse tecniche di produzione nuove e più efficienti e viene
facilitata la ricerca del lavoro oltre i confini dei singoli paesi.
Fino agli anni ’50 l’elaborazione e la comunicazione del sapere spettava ad un gruppo ristretto
di esperti ed i contenuti erano definiti soprattutto da ambiti istituzionali ed accademici. Oggi la
competizione globale incoraggia la creatività e l’innovazione e la conoscenza si diffonde
rapidamente e a tutti gli individui, modificando i rapporti con il tempo e lo spazio.
L’ossimoro del villaggio globale
di McLuhan descrive perfettamente come il gigantesco globo
si sia ridotto ad un ambito facilmente esplorabile senza confini ben definiti: ciò che in passato
aveva dimensioni e distanze enormi, grazie all’innovazione delle comunicazioni è ora a portata
di mano ed ha assunto i comportamenti tipici di un villaggio [26].
Questo contesto sta influenzando anche il modo di concepire istruzione e formazione: si ha
l’esigenza di formare individui capaci di inserirsi in una società dinamica in continua
evoluzione e in un mercato del lavoro sempre più flessibile che richiede professioni del tutto
nuove o l’attualizzazione di quelle tradizionali.
Viene richiesto un continuo apprendimento per sviluppare competenze settoriali specifiche e
capacità cognitivo-sociali superiori, come attitudine al ragionamento o capacità di
comunicazione [27].
Infine, il confronto tra diverse culture ha permesso la conquista di maggiori diritti e di un tenore
di vita più dignitoso in molte parti del mondo.