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INTRODUZIONE.
La Rivoluzione francese non fu soltanto un ‘bagno di sangue’ immotivato, ma il crogiuolo della
modernità, nel quale maturarono una serie di principi che sono alla base della società civile
contemporanea, quali il diritto di rappresentanza, la democrazia, l’uguaglianza giuridica, la libertà
di espressione e di culto. Per questo la ‘Grande Rivoluzione’ è stata un laboratorio di modelli
costituzionali.
Nel presente studio si ripercorreranno le tappe dell’evento rivoluzionario più importante del
Settecento e tra i più travolgenti della storia, con l’ausilio delle fonti primarie, mediante un accurato
lavoro di scavo del testo e di ricerca storica
1
. Saranno in particolar modo studiate le costituzioni del
1791, del 1793 (Costituzione dell’anno I) e del 1795 (Costituzione dell’anno III), inserite nel più
ampio contesto che abbraccia l’arco di tempo compreso tra il 1788 (l’anno che precede la presa
della Bastiglia) ed il 1795, anche se alcuni storici tendono a vedere la conclusione della Rivoluzione
nel 1799, tesi non condivisa, come si vedrà, dallo scrivente. Il lavoro sarà articolato in 3 capitoli (ed
in successivi paragrafi): nel I si cercherà di delineare il panorama della Francia alla vigilia della
Rivoluzione e si parlerà del 1789, anno simbolo della presa della Bastiglia; nel successivo sarà
considerato l’arco di tempo compreso fra il 1790 ed il 1792, centrale nel contesto rivoluzionario,
mentre nell’ultimo si prenderà in esame in particolare il terrore, e comunque il periodo compreso tra
la morte del re, la reazione o “restaurazione” termidoriana e la Costituzione dell’anno III, ultimo
modello costituzionale “partorito” dalla Rivoluzione. Si concluderà il lavoro considerando, con
ampio spazio, il dibattito storiografico più recente in materia, ivi comprese le interpretazioni venute
alla luce nella ricorrenza del II bicentenario della presa della Bastiglia.
Nella bibliografia infine, saranno considerate, oltre alle fonti storiche primarie e secondarie, anche i
siti internet consultati e l’imponente apparato filmografico e documentaristico che si è sviluppato in
materia.
Lo scopo è quello di mostrare come nell’evento sicuramente più rivoluzionario dell’età moderna si
siano alternate, a seconda delle varie e numerose fasi, luci ed ombre: l’interpretazione seguita dal
sottoscritto sarà quella moderata di Ferrero
2
, storico vissuto tra fine Ottocento e prima metà del
Novecento, di scuola hegeliana.
1
J. Le Gof, Ricerca e insegnamento della storia , a c. di A. Santoni Rugiu, Casale Monferrato, 1988.
2
G. Ferrero, Le due rivoluzioni francesi , Sugarco, Milano, 1986.
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Il metodo seguito sarà quindi duplice: quello dell’argomentazione delle vicende che hanno portato
alle Costituzioni, e quello di una serrata analisi testuale.
Insieme ad elaborazioni e riflessioni concettuali profonde, non mancheranno, nel presente lavoro,
curiosità e particolarità che hanno animato e ‘colorito’, nel bene e nel male, la Rivoluzione.
Ci si è in sostanza proposti un duplice obiettivo, reciprocamente intrecciato: da un lato analizzare la
Rivoluzione francese come laboratorio di modelli costituzionali moderni, come si è precisato
nell’Introduzione, dall’altro offrire una valido ausilio didattico, relativo alla storia generale della
Rivoluzione francese dalle cause al suo epilogo, a chiunque voglia avvicinarsi allo studio di questo
evento epocale.
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CAPITOLO I: DALLA VIGILIA DELLA RIVOLUZIONE ALLO “SCACCO AL
RE” (1788/6 OTTOBRE 1789).
I.1. LA FRANCIA DELL’ANCIEN REGIME: LE CAUSE DELLA RIVOLUZIONE.
La Francia di Luigi XIV, Luigi XV e Luigi XVI è la patria dell’assolutismo monarchico, che ha
rifiutato qualsiasi apertura al programma del Dispotismo Illuminato. Le terre erano quasi tutte nelle
mani dei nobili, che fin dai tempi del Re Sole vivevano oziosamente a corte, nella reggia di
Versailles
3
, e si tenga presente che nella Francia del XVIII secolo era pressoché assente l’industria,
l’unica attività era infatti quella artigianale, oltre all’agricoltura. L’alto clero possedeva anch’esso
delle terre, deteneva il monopolio della cultura e dell’istruzione e godeva di antichi privilegi, come
la riscossione delle decime dai contadini. Nobili e clero non pagavano tasse ed erano in rapporti
molto stretti: gli alti prelati erano infatti di origine nobile e per far carriera ecclesiastica si doveva
essere nobili. Invece contadini, operai, borghesi, intellettuali, quali professori, medici, avvocati,
notai, commercianti, professionisti, pagavano le esose tasse imposte dal re Luigi XVI per mantenere
gli sfarzi della corte ed in particolare il lusso della regina, Maria Antonietta d’Asburgo Lorena, di
origine austriaca (era la sorella dell’imperatore Leopoldo d’Austria) ed anche per questo invisa al
popolo francese ed in particolare alle donne, che nel corso della Rivoluzione svolgeranno un ruolo
importantissimo
4
. Le popolane infatti, e non soltanto loro, erano solite apostrofare la regina come
“l’austriaca”, evidenziando con tale epiteto una decisa antipatia nei confronti della sovrana,
costretta, per procura, a sposare il giovanissimo Luigi Capeto all’età di soli 14 anni. Maria
Antonietta, a differenza di altri sovrani, come l’ultimo zar di Russia Nicola II Romanov e sua
moglie, non amò mai suo marito, e ciò trova conferma nei numerosi tradimenti coniugali dei quali
fu protagonista. La regina era inoltre dedita al gioco d’azzardo.
A questo si aggiunse il fatto che il 1788 fu l’anno più critico, in tutto il Settecento francese, per il
raccolto del grano, elemento fondamentale di sussistenza per il popolo.
Anche il basso clero fa parte del terzo stato, cioè di coloro che non appartenevano né all’alto clero
né alla nobiltà, come l’abate Sieyés, teologo e fisico, che nell’opuscolo Che cos’è il terzo stato?
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A. Gerbi, La politca del Setecento , Laterza, Bari, 1928. A Versailles i nobili passavano il tempo in futli
giochi, come quello della mosca cieca, rappresentato in tante tele dell’epoca, o degli scacchi e della caccia
nei parchi; in questo modo la nobiltà, vivendo a corte, era stata neutralizzata, allontanata dalla vita politca
parigina.
4
J. Michelet, Le donne della Rivoluzione, a c. di L. Baruf, prefazione di L. Villari, Bompiani, Milano, 1996.
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Rivalutò il terzo stato, che non ha mai contato niente, mentre rappresenta il 98% della popolazione
francese (l’ 1,5% è rappresentato dai nobili e lo 0,5% dall’alto clero). Sieyés rappresenta una delle
voci più alte della cultura illuministica contro una società ancora feudale, in cui l’agricoltura è
l’attività economica principale, praticata con mezzi molto arretrati. Alla fine del Settecento, inoltre,
in Francia, si assiste ad un notevole incremento della popolazione e ad una carenza di risorse
alimentari. Il terzo stato, scrive Sieyés, è la stessa nazione francese, è tutto il popolo francese, che
vuole abolire quei privilegi feudali, nobiliari, di casta, che lo opprimevano. I nobili sono dei
parassiti, ma è il terzo stato che lavora, produce, mantiene la Francia, mentre sulle casse francesi
gravano ancora i bilanci passivi delle fallimentari guerre combattute dal Re Sole. Fino al momento,
scrive Sieyés, il terzo stato non è contato nulla, ora chiede di contare per quello che rappresenta,
cioè tutto il popolo francese, un popolo oppresso da privilegi di casta che devono essere aboliti,
come si evince dal testo che segue:
“1. Che cos’è il terzo stato? Tutto.
2. Che cos’è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla.
3. Che cosa chiede? Divenirvi qualche cosa.
Chi dunque oserebbe dire che il terzo stato non ha in sé tutto ciò che occorre per formare una
nazione completa? Esso è un uomo forte e robusto con un braccio ancora in catene. Se si eliminasse
l’ordine privilegiato, la nazione non sarebbe qualcosa di meno, ma qualcosa di più.
Oggi che cos’è il terzo stato? Tutto, ma un tutto oppresso ed ostacolato. Che cosa sarebbe senza
l’ordine privilegiato? Tutto, ma un tutto libero e fiorente. Nulla può procedere senza di lui, tutto
andrebbe molto meglio senza gli altri. Non basta però aver mostrato che i privilegiati, lungi
dall’essere utili alla nazione, possono solo indebolirla e nuocerle; occorre anche provare che
l’ordine dei nobili non trova posto nell’organizzazione sociale, che esso non solo è un peso per la
nazione, ma non potrebbe nemmeno farne parte. […] Se dunque in Francia si vogliono riunire i tre
ordini in uno solo, bisogna in primo luogo abolire ogni ordine di privilegi. Occorre che il nobile ed
il prete abbiano come unico interesse l’interesse comune e godano, in forza della legge, dei diritti di
un semplice cittadino”
5
.
L’abate Sieyés è un uomo politico di origine borghese, un prelato appartenente al basso clero e
quindi al terzo stato; persona di ispirazione liberale, fu tra i protagonisti nella fase iniziale della
Rivoluzione francese come rappresentante del terzo stato alla convocazione degli stati generali il 5
maggio 1789 ed uno degli artefici della nascita dell’Assemblea Nazionale Costituente.
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E.-J. Sieyés, Saggio sui privilegi. Che cos’è il terzo stato? , Editori Riunit, Roma, 1978.