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I capitoli 3 e 4 analizzano le principali realtà presenti sulla scena, rispettivamente in Italia e a livello
internazionale, attraverso un profilo storico sull’evoluzione di ognuna e mediante la
puntualizzazione delle linee strategiche distintive seguite caso per caso.
Il capitolo 5 offre una panoramica dell’avanzamento nella proposta di beni a marca commerciale,
cioè prodotti e commercializzati dai distributori, nel settore degli articoli sportivi.
Infine, il capitolo 6 fornisce una definizione del concetto di shopping esperienziale, e ne mette in
luce alcune importanti applicazione nel comparto sportivo.
Mancando qualsiasi contributo letterario specifico sul tema della distribuzione nel comparto degli
articoli sportivi, questa tesi è stata realizzata utilizzando vari strumenti complementari.
Per le parti generali sulle imprese commerciali si è fatto affidamento a due tipi di risorse:
- i tre testi che personalmente ritengo tra i più completi ed esaustivi nell’analizzare tali
problematiche, cioè lo Sciarelli-Vona, 2000 “L’impresa commerciale”, il Baccarani, 2001 “Imprese
commerciali e sistema distributivo. Una visione economico-manageriale” e il Castaldo-Premazzi,
2001 “Retailing & innovazione”;
- le riviste specializzate in problematiche collegate al marketing, quali “Micro & Macro marketing”,
“Industria & Distribuzione”, “Finanza, marketing e produzione”, “Economia & Management” e
“Economia e diritto del terziario”.
I profili delle varie società sono stati ricostruiti attraverso:
- i periodici specializzati nel trattare il sistema distributivo italiano, cioè “Largo Consumo”, “Mark
Up” e “Gdo Week”;
- documentazione ufficiale delle varie aziende, in particolar modo bilanci annuali e siti internet;
- interviste dirette a responsabili di punto vendita; in particolare si ringraziano il Sig. Francesco
Pedersini, direttore di Decathlon a Padova, il Sig. Matteo Pollazon, responsabile di Tacconi Sport a
Mestre, e il Sig. Renato Fantin, amministratore delegato della società Trops spa;
- visite dirette a più di 30 punti vendita, ad insegna Giacomelli, X-Sport, Longoni, Cisalfa,
Decathlon, Tacconi Sport, Sportler, Non Solo Sport, Ipersport, Footlocker, Athletes World e Nike.
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Capitolo 1
L’evoluzione del settore distributivo
1.1: cenni storici
Solo dalla metà del secolo scorso, ma ancora più tardi in Italia, la distribuzione ha iniziato a
rappresentare un ambito di studio autonomo all’interno delle discipline aziendali ed economiche, in
linea con teorie che mettevano in dubbio alcuni assunti dei fautori della concorrenza pura riguardo
all’omogeneità dei prodotti e dei venditori.
Per molto tempo, infatti, il comparto distributivo non aveva assunto una propria ben definita
dimensione interpretativa, restando subordinato e marginalizzato da quello industriale produttivo: in
sostanza le imprese commerciali erano viste come meri tramiti logistici dei prodotti offerti al
mercato, con l’unico ruolo di colmare il gap fisico e temporale tra produttori e consumatori.
Se l’industria aveva investito grandi risorse nelle funzioni di marketing, teorizzando e inseguendo a
tutti i costi la custumer satisfaction, attraverso una differenziazione esasperata delle proprie offerte,
al fine di servire adeguatamente segmenti di mercato sempre più precisi, non paragonabili sforzi
erano stati fatti dal settore retail.
Il risultato è stato quello di un mercato dove le scelte strategiche dei produttori erano subite
passivamente dalle imprese commerciali, che molto spesso accettavano imposizioni e condizioni
molto penalizzanti pur di poter presentare ai consumatori quelle marche industriali che erano
riuscite a crearsi una forte immagine.
A cavallo degli anni ottanta questo stato di cose ha cominciato a modificarsi in maniera sostanziale,
attraverso un lungo cammino che va sotto la definizione di rivoluzione commerciale.
I distributori hanno realizzato come i loro punti vendita potessero rappresentare qualcosa di
ulteriore e di più ambizioso rispetto a dei semplici contenitori di referenze: estensione dell’offerta in
termini di assortimento, preparazione del personale di vendita, qualità estetica degli store e proposta
di servizi innovativi non strettamente collegati col commercio hanno iniziato a rappresentare filoni
di ricerca complementari sulla via di proporre dei formati distributivi nuovi, che potessero fornire
utilità maggiori rispetto alla semplice funzione logistica di tramite tra industria e mercato.
Infatti, in linea con una società estremamente variegata in quanto a stili e ritmi di vita, livello
culturale e valori personali, anche l’orientamento verso l’attività di shopping è mutato radicalmente
9
nel tempo, con l’espressione di più approcci diversi e la conseguente richiesta di un ventaglio di
formule distributive altrettanto eterogeneo; per i distributori questo stato di cose ha richiesto una
ricerca spinta verso soluzioni innovative che potessero soddisfare al meglio le richieste e le
necessità del mercato non più solo in termini di singoli prodotti acquistabili, bensì in quelli di
qualità dei luoghi di vendita e di quantità e qualità di servizi commerciali proposti all’interno.
Con questa premessa si capisce come anche le imprese commerciali abbiano iniziato a perseguire
proprie precise strategie di marketing, utili ad una suddivisione del mercato di riferimento in
segmenti omogenei di consumatori in quanto a comportamento d’acquisto, al fine di posizionare di
conseguenza il loro prodotto commerciale, in relazione alle competenze interne e allo stato della
concorrenza, attraverso una differenziazione dello stesso molto puntuale.
Questo passaggio logico da un settore retail supino rispetto all’industria ad uno molto attivo nel
proporre soluzioni innovative al mercato, trova la sua principale spiegazione in un singolo fattore, e
cioè la migliore conoscenza del consumatore ottenibile dalle imprese commerciali.
La possibilità, preclusa ai produttori, di monitorare il processo d’acquisto in termini di tipologia e
quantità di beni scelti, tempo dedicato, interazione con altri clienti o con il punto vendita e
soprattutto di soddisfazione verso l’esperienza proposta, testimoniata dal grado di fedeltà
all’insegna, hanno consentito ai distributori di migliorare le proprie offerte in maniera più diretta e
tempestiva di quanto potesse fare l’industria.
Il fine ultimo degli sforzi delle imprese commerciali è quello di fare in modo che i consumatori
antepongano la scelta del luogo dove effettuare gli acquisti agli acquisti stessi: operando in questa
direzione, il comparto distributivo può raggiungere il massimo vantaggio competitivo ipotizzabile,
cioè far prevalere la fiducia verso l’insegna (store loyalty) a quella verso la marca o il singolo
prodotto (brand loyalty).
Nel proseguo del capitolo l’obbiettivo sarà quello di esaminare come le imprese commerciali
possano perseguire questo cammino verso la differenziazione delle proprie proposte. Si partirà dal
presupposto che anche esse, nella stessa direzione dell’industria, propongano al mercato un
prodotto, denominato commerciale, definito (Sciarelli – Vona, 2000) come “aggregato di servizi
elementari combinati in modo da soddisfare i bisogni di un determinato segmento di domanda”.
Nel prossimo paragrafo si darà spiegazione di cosa si intende per servizi commerciali elementari,
per semplicità espositiva divisibili in logistici, informativi e complementari.
10
1.2: i servizi commerciali elementari di una formula distributiva
1.2.1: servizi logistici
Logisticamente il distributore offre la possibilità al produttore di moltiplicare i contatti con i
consumatori, raggiungendone di più a minori costi, secondo la logica di figura 1.1
Fig. 1.1: distribuzione con intermediari, C+P contatti, e senza, C*P contatti. Legenda: P=produttore;
D=distributore; C=consumatore. Le frecce indicano i contatti necessari. (Fonte: Baccarani, 2001)
Visto specularmene, per i consumatori ciò significa trovare in un unico luogo le offerte di più
produttori, beneficiando di notevoli utilità in termini di tempo. Questa possibilità è garantita
dall’ampiezza dell’assortimento, cioè l’insieme delle linee di prodotto proposte, quando per linee si
intende l’insieme di prodotti tra loro merceologicamente o funzionalmente legati, percepiti dai
potenziali acquirenti come destinati a soddisfare bisogni sostanzialmente simili. Più l’assortimento è
ampio, maggiori sono le possibilità per il consumatore di soddisfare grappoli (cioè insiemi) di
bisogni in un’unica shopping-expedition.
Tra i servizi logistici ritroviamo anche prossimità e stoccaggio.
La prossimità è intesa come utilità di luogo fornita, quantificabile in onerosità per il consumatore
nel raggiungere il punto vendita, in relazione alla posizione dello stesso, alla semplicità nel
raggiungerlo (in rapporto alla qualità della rete viaria e al collegamento attraverso servizi di
trasporto pubblici), alla presenza di parcheggio e alla facilità di accesso.
Per lo stoccaggio risulta caratterizzante la funzione svolta dai distributori di mettere a disposizione,
tramite le operazioni di frazionamento e di movimentazione delle merci, quantitativi tali per cui
siano potenzialmente minimizzabili i costi sopportati dall’acquirente nell’accumulo di scorte.
Infine, viene catalogato in questa categoria il servizio fornito dall’estensione dell’orario di vendita,
modulato in linea con le abitudini e i ritmi di vita del bacino potenziale di visitatori, reso possibile
dalla liberalizzazione degli orari attuata col decreto Bersani nel 1998 (D.L. 114/98).
P P P
D
C C C C C C C C C C
P P P
11
1.2.2: servizi informativi
Tra i servizi informativi primaria importanza riveste la selezione dell’assortimento, tramite le
decisioni sulla profondità dello stesso, che assieme all’ampiezza ne determina l’estensione. Con il
termine profondità ci si riferisce alla quantità di referenze diverse che soddisfano lo stesso bisogno.
La profondità svolge un ruolo di informatore in quanto sintetizza in un unico luogo l’intera proposta
dell’industria, consentendo al potenziale acquirente di effettuare un’analisi comparativa dell’offerta,
in termini di attributi e caratteristiche del prodotto e livello conseguente di prezzo.
Fig. 1.2: estensione dell’assortimento. (Fonte: Baccarani, 2001)
Le scelte di estensione dell’assortimento sono il frutto dell’analisi su due fattori:
- da una parte incidono i vincoli che un’impresa commerciale si trova ad avere; possono essere
vincoli dati dalle competenze (qualità manageriali ed esperienza nel settore), finanziari (capitali
disponibili per investimenti, sostenibilità economico-finanziaria delle scelte, marginalità ottenibile,
grado di autonomia imprenditoriale), strutturali (spazi ed attrezzature destinabili all’attività
operativa) e ambientali (caratteristiche socio-demografiche del target di riferimento, comportamento
di acquisto e di consumo, caratteristiche e comportamento della concorrenza)
- dall’altra assumono importanza le opportunità competitive, relative ai settori in cui operare (a
maggior ragione dopo l’abolizione col D.L. 114/98 delle tabelle merceologiche e delle licenze
commerciali) e al posizionamento ricercato.
A fronte del ruolo informativo svolto a favore dei consumatori, le imprese commerciali possono a
loro volta trarre informazioni dai comportamenti degli acquirenti, possibilità che è molto spesso
preclusa in via diretta alle imprese industriali; ciò è reso possibile dalla forte maturazione delle
competenze manageriali nel settore retail coniugato allo sviluppo delle tecnologie e delle
Selezione del numero
delle linee
Tipologie di prodotti
compresi nella linea
Marche per tipo di
prodotto
Varianti per singola
marca
AMPIEZZA
PROFONDITA’
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infrastrutture informatiche (per esempio scanner, POS, EFT, direct marketing attraverso e-mail e
newsletter).
Questo è spiegabile in quanto, una volta stabilito l’assortimento da proporre, tramite l’analisi
incrociata di più indicatori (quali modalità di acquisto dei consumatori in termini di timing,
quantità, valore medio dello scontrino e rapporti di interdipendenza tra prodotti acquistati, nonché
dati sul consumatore ottenibili tipicamente tramite sottoscrizione di carte fedeltà), i distributori
possono approntare miglioramenti continui alla propria offerta assortimentale, selezionando un mix
di referenze sempre in linea con i bisogni del mercato, talvolta anticipando i mutamenti attraverso
capacità previsive frutto dello studio e dell’analisi sugli andamenti passati.
Questo vantaggio competitivo in possesso delle imprese commerciali, in termini di maggiore
conoscenza del consumatore, ha rovesciato i rapporti di forza all’interno del canale industria –
distribuzione, favorendo l’instaurarsi di rapporti conflittuali all’interno della filiera visto
l’affermarsi di un grado di store-loyalty superiore al tasso di brand-loyalty; molto frequentemente la
risposta dei produttori si è materializzata nello sviluppo di strategie di marketing pull, attraverso
ingenti investimenti in pubblicità e comunicazione, al fine di creare un’immagine di marca molto
forte che potesse indirizzare le preferenze dei consumatori.
Nel tentativo di precludere controproducenti impasse (per distributori che saprebbero cosa il
mercato desidera, ma con produttori che non possono offriglielo perché non in possesso di quella
informazione), si assiste recentemente a crescenti forme di collaborazione all’interno del canale
produttori - distributori, i quali si convincono sempre più che obiettivo per entrambi, quindi da
entrambi doverosamente perseguibile collaborando, sia la creazione di valore aggiunto per il cliente
finale, senza il raggiungimento di vantaggi di parte: cosa che è ottenibile presentendo al mercato
prodotti che soddisfino adeguatamente i bisogni di consumo, all’interno di formule commerciali che
siano in linea con i comportamenti d’acquisto.
Alcune soluzioni collaborative proposte sono il trade marketing (insieme delle attività svolte dal
produttore per conoscere, pianificare e gestire il processo distributivo e i rapporti con la
distribuzione commerciale), il category management (gestione integrata dei prodotti tra industria e
distribuzione per categorie omogenee) ed il progetto E.C.R (da www.ecr.it: “ECR Italia è una
Associazione paritetica fra Imprese Industriali ed Imprese Distributive, nata nel 1993, avente per
scopo lo studio, la diffusione e l’applicazione di strumenti di raccordo fra le stesse, con particolare
riguardo al potenziamento dell’efficienza dei rapporti fra i due comparti e dell’intero ciclo
Produzione-Distribuzione-Consumo. ECR Italia ha come obiettivo primario la riduzione del costo
del Sistema Industria di Marca - Distribuzione Moderna e la equa suddivisione dei vantaggi
qualitativi e quantitativi acquisiti fra Produzione - Distribuzione-Consumatore finale. Parimenti
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ECR Italia persegue la ricerca di un nuovo modello di interfacciamento Industria di Marca -
Distribuzione Moderna e la creazione di una nuova cultura dei Manager e di un linguaggio comune
che agevolino una partnership oggettiva”).
1.2.3: servizi complementari
Infine, per quanto riguarda i servizi complementari, entriamo nel settore che attualmente si presenta
in costante e forte evoluzione, in linea con contesti ambientali molto competitivi che evidenziano la
necessità vitale per ogni insegna di differenziarsi, e con l’impossibilità di farlo operando solo sugli
assortimenti. Volgendo l’analisi al settore dei beni non-grocery (sostanzialmente quelli
problematici, in linea con l’argomento di questo lavoro), è possibile proporre quattro categorie
principali di servizi complementari.
1) servizi di comfort: essi attengono alla gradevolezza e alla funzionalità dell’ambiente, in linea col
tentativo di migliorare la qualità della shopping-experience all’interno dei punti vendita.
Ritroviamo innanzitutto i servizi di supporto, quali bar e ristoranti, cabine telefoniche, servizi
igienici, asili-nido, cioè tutte quelle facilitazioni che il consumatore apprezza nell’ottica di un
processo d’acquisto complesso e quindi di una visita tendenzialmente lunga; d’altro canto, in linea
con una attuale banalizzazione dei processi d’acquisto, anche ciò che velocizza la permanenza nel
punto vendita diviene talvolta particolarmente apprezzato: ecco allora soluzioni organizzative volte
sia a migliorare la mobilità interna, attraverso la proposta di punti informativi e mediante la
predisposizione di percorsi di visita guidati (con piantine d’insieme dello store a zone differenziate
per colore in base ai prodotti trattati, segnaletica sul percorso, scale mobili ed ascensori), sia altre
utili a velocizzare i pagamenti, come casse che riducono il tempo d’attesa sfruttando sistemi di self-
scanning.
Ancora, nell’ottica di uno shopping vissuto come esperienza gratificante (a proposito vedere il
capitolo 6), rientrano in questa categoria quelle soluzioni che mirano ad animare lo store con
soluzioni alternative, tese a coniugare la funzionalità (requisito imprescindibile, intesa come facilità
nel processo d’acquisto) alla spettacolarizzazione e alla tematizzazione del punto vendita: tutto ciò
si traduce in progettazioni architettoniche curate, in scelte di layout e di display coinvolgenti sotto
l’aspetto emotivo, nella proposta di strumenti utili a favorire lo stimolo di tutti e cinque i sensi del
corpo umano, superando il tendenziale duopolio dello shopping vista-tatto, avvalendosi ad esempio
di musica di sottofondo a tema, di scelte di illuminazione e di odori particolari.
2) servizi tecnici: lo sviluppo di questi servizi va chiaramente di pari passo col grado di tecnicità dei
prodotti proposti in assortimento; una tendenziale maturazione del consumatore nei processi
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d’acquisto, rende questo sempre più preparato e puntuale nelle scelte, nelle valutazioni e nelle
richieste verso i distributori.
In questa ottica, vengono dunque apprezzati nelle formule self-service folder e cataloghi informativi
inseriti all’interno dei vari reparti utili ad ottenere informazioni sui prodotti (nel senso di specifiche
tecniche, garanzie proposte, luogo di fabbricazione e note sul produttore, possibilità di ottenere
finanziamenti); nelle formule con vendita assistita, grande importanza assume il grado di
preparazione e di professionalità del personale, in linea con la ricerca da parte del consumatore di
un reale servizio di consulenza pre vendita. Ecco che le varie aziende si trovano di fronte
all’imprescindibile necessità di sviluppare le competenze tecniche delle risorse umane (sia quelle
nel front-office, a contatto col cliente, ma ancora di più quelle operative nel back-office), tramite
ingenti investimenti in formazione e addestramento.
Si possono quindi ricomprendere nei servizi tecnici quelli forniti da tecnici specializzati in officine,
laboratori e atelier inseriti all’interno delle superfici di vendita, in un’ottica di rapporto col cliente
che non si esaurisca nel momento dell’acquisto, ma che continui per tutta la durata della vita dei
prodotti, instaurando un rapporto di fiducia reciproca.
Accanto a questi, erogati nello store, vengono sviluppati altri servizi pre e post vendita a domicilio;
per i primi esempi sono la possibilità di collaudo degli articoli, oppure il noleggio prima
dell’acquisto con la formula soddisfatti o rimborsati; per i secondi la consegna (si pensi ai colli
ingombranti), l’istallazione, l’assistenza gratuita in caso di problemi, l’addestramento e la
sostituzione di prodotti difettati o riparabili.
3) servizi finanziari; in questa categoria rientrano i servizi riguardanti le modalità di pagamento dei
beni trattati in assortimento. Alcune facilitazione avvertite come innovative solo una decina di anni
fa (tipo il pagamento con assegni, con carte di credito e con bancomat), oggi sono percepite come
scontate dai consumatori, diventando testimonianza di come l’evoluzione delle varie formule
distributive spinga le novità proposte a trasformarsi in necessità col passare del tempo, in linea con
una esigenza di diversificazione sempre più spinta.
Le varie imprese si stanno attualmente attrezzando per fornire servizi di finanziamento ai clienti,
soprattutto a favore di acquisti di importo unitario elevato: ecco allora forme di credito come la
possibilità di pagamenti dilazionati nel tempo e l’acquisto a rate con tassi di interesse fissi e
condizioni contrattuali particolarmente favorevoli.
Meritano di essere ricordate anche le opzioni “prezzo più basso”, le quali offrono una vera garanzia,
seppur limitata nel tempo e sottoposta spesso a particolari clausole, di rimborso a favore del cliente
che trovi sul mercato prezzi più bassi di quelli sopportati all’atto d’acquisto, e le formule definibili
3 x 2, che consentono di acquistare un numero di articoli superiore a quelli pagati .
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Infine, le carte fedeltà, nate con natura prettamente finanziaria per offrire buoni sconto e premi
ottenibili con l’accumulo di predefiniti limiti di spesa, in un’ottica di fidelizzazione della clientela,
hanno subito una radicale trasformazione d’uso; oggi (a proposito vedere i lavori di Ziliani,
Università di Parma) sono strumento privilegiato delle strategie di micromarketing e marketing one-
to-one, attraverso il patrimonio informativo da esse ottenibile, tipo caratteri socio-economici dei
possessori, frequenza di spesa, scontrino medio, prodotti acquistati e relazioni fra gli stessi,.
4) servizi para-commerciali: in questa categoria vengono ricompresi tutti quei fattori di
differenziazione del punto vendita offerti ai consumatori attingendo soluzioni da ambiti non
direttamente collegabili al commercio.
Molto in voga sono le diversificazioni attraverso strumenti importati dal settore del entarteinment,
tanto da coniare il neologismo retailment (retail+entarteinment): ecco che le imprese commerciali
giungono ad offrire postazioni internet ad accesso libero, sale cinematografiche, sale giochi, spazi
per spettacoli musicali e cabarettistici, strutture sportive e quant’altro possa aiutare a far prevalere le
motivazioni edonistiche (socializzazione, coinvolgimento e divertimento) su quelle utilitaristiche
(minimizzazione del costo totale di approvvigionamento) all’interno della shopping-experience
(concetto che sarà sviluppato nel capitolo 6).
Altri esempi riportabili tra le soluzioni più ambiziose, proposte soprattutto dalle maggiori insegne
della distribuzione alimentare, sono le diversificazioni nelle stazioni di servizio, nelle agenzie di
viaggio e nei servizi assicurativi
1.3: formula distributiva come paniere di attributi
Seguendo questa impostazione, che vede una formula distributiva come combinazione di servizi
elementari, diventa pertinente utilizzare un modello caro agli studiosi di marketing, che analizza il
prodotto commerciale come paniere d’attributi, cioè come (Lambin, 2001) “insieme di valori forniti
al consumatore necessari a soddisfare una struttura di bisogni complessa”.
In questa ottica si distinguono tre tipologie di servizi forniti al potenziale acquirente:
- un servizio di base, che corrisponde all’utilità funzionale di prodotto, cioè tutto ciò che è ritenuto
imprescindibile trovare durante una visita al punto vendita; per il prodotto commerciale questo
significa presentare un assortimento, fornendo innanzitutto il servizio logistico (utilità di tempo e di
luogo), unito alla funzione informativa di base (profondità)
- i servizi necessari, che sono le modalità di produzione e ciò che accompagna il servizio di base
tendenzialmente ritenute indispensabili dal consumatore, in base alle proprie esperienze passate e al
posizionamento nella sua mente della formula proposta. Qui possiamo trovare gran parte dei servizi
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di confort, quelli finanziari attinenti ai pagamenti e alle loyalty card, quelli tecnici di assistenza,
garanzia e riparazione post vendita
- i servizi aggiunti, cioè tutti quelli non legati direttamente al servizio di base ma che sono offerti
alla ricerca del massimo grado di differenziazione del prodotto. Questi devono essere scelti in linea
con aspettative e desideri dei consumatori, ma soprattutto in linea con il posizionamento ricercato.
Alcuni esempi possono essere rappresentati dai servizi di entarteinment, da quelli tecnici (officine
per personalizzazione dei prodotti, servizi a domicilio pre vendita) e finanziari più evoluti
(finanziamenti a tassi agevolati).
Fig. 1.3: possibile rappresentazione
di una formula distributiva come
paniere di attributi.
(Fonte: elaborazione personale)
-finanziari:
finanziamenti
-tecnici
evoluti:
officine,
trasporto
domicilio,
noleggio
-ag. viaggi
-entarteinment
-comfort
-finanziari:
modalità di
pagamento
-tecnici:
garanzia
assistenza
riparazione
-logistico;
-informativo:
profondità
assortimento
SERVIZI
AGGIUNTI
SERVIZI
NECESSARI
SERVIZIO
BASE
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1.4: le formule distributive
Come accennato sopra, il panorama distributivo attuale propone dei prodotti, le formule
distributive, le quali altro non sono che la combinazione, avvenuta con tempismi e motivazioni
differenti, di servizi commerciali elementari al fine di soddisfare i bisogni di segmenti di
consumatori eterogenei per comportamento d’acquisto.
E’ ora necessario aprire una finestra sulle motivazioni che hanno spinto al cambiamento ed
all’evoluzione di tali prodotti, attraverso l’analisi dei driver che l’hanno determinata.
Innanzitutto, ruolo predominante assume il cambiamento nei comportamenti d’acquisto dei
consumatori (cosiddette evoluzioni market-based). Ciò è influenzato innanzitutto dalla tipologia di
beni acquistabili nei vari format, dato che (Sciarelli-Vona, 2000) i meccanismi competitivi che si
instaurano sul fronte dell’offerta di beni banali (convenience goods), sono profondamente diversi da
quelli tipici del comparto dei beni problematici (shopping e speciality goods).
I beni banali sono quelli di acquisto frequente (detti anche di largo consumo, innanzitutto i prodotti
grocery), per i quali il tempo dedicato all’acquisto tende ad essere minimizzato, essendo il
comportamento di routine. Per questi motivi fattori discriminanti nella scelta della formula
distributiva sono: possibilità di trovare assortimenti estesi, in modo da soddisfare più bisogni
contemporaneamente, e brevità della visita (devono essere quindi limitate le rotture di stock, i tempi
di permanenza e quelli utili all’accesso nel punto vendita); il servizio assistito è di limitata
importanza, potendo il consumatore agire in modalità self-service, non necessitando di informazioni
aggiuntive; soprattutto il focus è spostato sulla politica di prezzo, che deve garantire livelli bassi ma
costanti e trasparenti nel tempo.
I beni problematici sono acquistati con meno frequenza e presuppongono un sacrificio monetario
tendenzialmente maggiore. Per questi diventa fondamentale il servizio informativo offerto
dall’impresa commerciale, inteso come profondità dell’assortimento ma soprattutto come
specializzazione merceologica dello stesso e preparazione del personale. Per tali prodotti i
consumatori non ritengono essenziale minimizzare il tempo dedicato alla ricerca e all’acquisto, ma
piuttosto cercano la piena soddisfazione del bisogno e l’appagamento personale.
In questa categoria distinguiamo i beni ad acquisto basato sul confronto (shopping goods) dai beni
ad acquisto speciale una tantum (speciality goods): per gli shopping, il confronto è basato sulla
ricerca e comparazione di informazioni tra prodotti di marca e tra quelli offerti dal commercio
specializzato; per gli speciality, influisce in maniera determinante l’advertising industriale e
l’informazione diretta per i prodotti di marca, l’immagine e la garanzia offerta dal distributore
commerciale per gli altri.
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E’comunque tendenza attuale quella della banalizzazione dei processi d’acquisto, dovuta a
consumatori sempre più preparati e informati all’atto d’acquisto.
Da quanto visto discende che, dal punto di vista degli atteggiamenti dei potenziali consumatori,
troviamo ad un estremo uno shopping effettuato con motivazioni tendenzialmente utilitaristiche,
dove il primo obiettivo è rappresentato dalla necessità di minimizzare i costi totali di ogni
spedizione: costi intesi sia dal punto di vista economico, in termini di minor sacrificio monetario a
parità di lista spesa, ma anche e prevalentemente nell’ottica dei costi opportunità, siano essi
psicologici, fisici o di tempo (come i costi di spostamento per e da il punto vendita, il costo del
tempo necessario all’acquisto nel punto vendita e i costi di stoccaggio intesi come costo opportunità
delle risorse monetarie immobilizzate, costo d’uso dei beni strumentali e dello spazio, costo
connesso al deperimento dei beni); dall’altro uno shopping definibile edonistico, che mette in
rilievo la volontà di coltivare i rapporti sociali relazionandosi sia con i venditori che con gli altri
consumatori, vedendo in questa attività qualcosa di utile e istruttivo, talvolta addirittura la maniera
più divertente e gratificante per impiegare il proprio tempo libero.
In seconda istanza, dobbiamo sottolineare come, soprattutto negli ultimi 15 anni, ruolo
fondamentale nello sviluppo del comparto distributivo sia stato assunto dal miglioramento e
dall’applicazione ad esso delle tecnologie informatiche (evoluzioni tecnology-based). Queste hanno
impattato sia direttamente sui rapporti con i consumatori sia sull’organizzazione e gestione interna
ed esterna dei punti vendita (in particolare con il miglioramento dei rapporti con i fornitori tramite il
sistema POS-EDI).
Per quanto riguarda il primo punto, la rivoluzione più visibile è stata quella del commercio
elettronico, per certi operatori modalità complementare alla vendita on-store, per altri unica via per
raggiungere il mercato. Ciò che a fine anni novanta aveva spinto alcuni studiosi a prevedere la
rapida scomparsa del commercio vecchia maniera, cioè attraverso punti vendita reali e tangibili, si è
però rivelato profondamente innovativo e performante solo in alcuni settori (computer, libri,
software, prodotti multimediali), rimanendo marginale nella maggioranza degli altri (abbigliamento
e alimentari soprattutto).
Vantaggi tecnologici meno visibili per i consumatori, ma forse quelli che hanno consentito lo
sviluppo qualitativo più grande nelle strategie di marketing dei distributori, nell’ottica dell’one-to-
one marketing, sono stati i registratori di cassa POS (Point of Sales), gli scanner e i codici a barre
EAN, l’EFT (Electronic Found Transfer) e tutto ciò abbia consentito una migliore conoscenza dei
clienti, in termini di comportamenti d’acquisto, modalità di visita al punto vendita e grado di fedeltà
all’insegna.
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Infine è opportuno accennare come talvolta siano stati fattori esterni alla volontà e alle capacità
degli operatori a offrire opportunità nuove in termini di differenziazione dei prodotti commerciali:
per esempio l’evoluzione legislativa ha provocato in Italia una forte discontinuità con la riforma del
1998 (decreto Bersani 114/98, con abolizione delle licenze commerciali, riduzione a due delle
tabelle merceologiche, tendenziale favore verso lo sviluppo di grandi superfici), dando una
sostanziale spinta ad un processo di modernizzazione e del settore che era iniziato nei primi anni
novanta, teso ad allinearsi agli standard europei.
La copiosa letteratura sul tema dell’evoluzione delle formule commerciali propone numerose teorie
che tentino di spiegare il perché della nascita o dell’evoluzione da una tipologia all’altra; qui si
rimanda alle più importanti, quali la ruota del dettaglio (“wheel of retailing”, Hollander 1960), e il
modello basato sul ciclo di vita del prodotto commerciale (Davidson, Bates, Bass, 1976).
Ai fini di questo studio è sufficiente osservare come non tutte le formule proposte abbiano avuto lo
stesso impatto all’interno del panorama distributivo.
Da una parte, quelle innovazioni definibili radicali, per le quali si sono venute a creare vere e
proprie novità in termini di prodotto commerciale a favore dei consumatori, e contemporaneamente
visibili cambiamenti nei loro comportamenti.
Tra queste troviamo i centri commerciali pianificati negli USA (anni ’50), l’ipermercato in Francia
(’70), l’hard discount in Germania (’80), la grande superficie specializzata in quei settori dove
primeggiavano gli esercizi al dettaglio di piccola dimensione.
Dall’altra, quelle innovazioni catalogabili come incrementali. Queste sono sostanzialmente
definibili come contaminazioni reciproche di formule diverse, motivate da una necessità di elevare
il grado di differenziazione tra operatori, in contesti sempre più competitivi.
Rientrano qui, per fare alcuni esempi, i supermercati che operano su superfici simili a quelle degli
ipermercati, con presenze sostanziali di beni non-grocery; i soft-discount nati dallo sviluppo di
formule hard in termini di servizi proposti; i factory outlet, strutturalmente centri commerciali che
però offrono solo grandi firme a prezzi accessibili (referenze difettate o code di stock).
In linea con l’argomento di questo studio, meritano di essere approfondite nelle loro caratteristiche
principali una particolare formula distributiva, la grande superficie specializzata, e una modalità
organizzativa, il gruppo d’acquisto.
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1.4.1: la formula Grande Superficie Specializzata (GSS)
Questa tipologia è stata sviluppata da insegne operanti mediante catene di punti vendita, talvolta
estremamente estese e insediate in ampie zone territoriali nazionali o sovranazionali, caratterizzate
dalla proposta di un assortimento molto ampio e tendenzialmente molto profondo, incentrato su uno
specifico settore merceologico non-food; la formula viene replicata con fedeltà, nei servizi proposti
ma anche nelle soluzioni architettoniche adottate, in ogni nuova apertura, cercando di creare un
immagine di gruppo unica e ben definita: alcuni esempi possono essere Ikea nei mobili, Castorama,
Leroy Merlin e Bricocenter nel bricolage-fai da te, Toys “R” Us nei giocattoli, Media World,
UniEuro e Trony nell’elettronica di consumo, Scarpe & Scarpe e Bata Superstore nelle calzature,
Chicco e Prenatal negli articoli per l’infanzia, Fnac nei prodotti multimediali e naturalmente
Decathlon, Cisalfa, Giacomelli e Tacconi Sport negli articoli sportivi.
La notevole estensione della superficie commerciale è caratteristica peculiare, variando da un
minimo di circa 1000mq fino a raggiungere i 10000mq, in relazione a tipologia di beni trattati (in
particolar modo incide l’ingombro di ciascuna referenza), all’estensione dell’assortimento e allo
spazio occupato dai servizi accessori (bar e toilette, officine e laboratori, camerini prova e spazi
dedicati ai collaudi, uffici e punti informativi).
La localizzazione è di norma esterna alle zone urbane, in centri commerciali pianificati o in
postazioni stand-alone prossime a strutture simili; i punti vendita sono posti in aree ben dotate dal
punto di vista infrastrutturale (prossimità a grandi arterie di comunicazione e uscite autostradali),
rivolgendosi a bacini di potenziali consumatori oltre i dieci chilometri di distanza; offrono ampi
parcheggi, spesso coperti, e garantiscono facilità d’accesso per i visitatori.
La vendita è organizzata a self-service, con la possibilità di avvalersi di personale qualificato che
talvolta diventa il vero vantaggio competitivo dell’insegna in relazione a beni per i quali il
consumatore cerca un servizio di consulenza. Le superfici tendono a fornire chiari riferimenti per
facilitare la visita, proponendo spesso percorsi guidati e divisioni per reparti con indicazioni
cromatiche.
La politica dei prezzi è simile a quella degli ipermercati, cercando di offrire tutto l’anno un livello
basso, senza grandi variazioni, impostando una politica trasparente (fanno eccezione gli operatori
che trattano merci ad alta stagionalità). Le economie negli approvvigionamenti sono assicurate dai
quantitativi elevati di merce ordinata, che va a rifornire tutti i punti vendita della catena, garantendo
un forte potere contrattuale nei confronti dei fornitori.
A livello di layout e di display ogni azienda sviluppa soluzioni personalizzate in linea con i prodotti
trattati, pur affermandosi negli ultimi tempi una sostanziale ricerca di alternative che rendano
l’esperienza dello shopping motivante, con enfasi sulla gradevolezza estetica degli store.