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INTRODUZIONE
In principio, con il termine start-up si asseriva a uno specifico stadio del business life-cycle nel
quale un’idea economicamente profittevole di un individuo veniva formalizzata, generando una
primordiale forma organizzativa che enfatizzava la centralità della figura dell’imprenditore. Si
trattava quindi del primo stadio evolutivo di un business avente lo scopo di creare un legame tra la
strategia (cosa produrre) e la struttura volta ad implementarla (come produrre) e, dunque, di
sedimentare una pluralità di relazioni e di processi all’interno di un’organizzazione economica.
Successivamente, le dinamiche dell’Innovation Economy e la conseguente digitalizzazione
dell’economia che a partire dagli anni ’70 interessarono la maggior parte delle economie sviluppate,
modificarono ed ampliarono il concetto di start-up da mera fase del business life-cycle ad un
autentico modello di business. Si tratta, quindi, di un’impresa caratterizzata da un elevato potenziale
di crescita e solitamente operante ai confini della frontiera della tecnologia, costituita
prevalentemente per presidiare nuovi spazi economici generati dalla precedente ricerca e
innovazione sviluppatasi a monte.
A prescindere dalla precisazione sopra esposta, ciò che sancisce il successo o, al contrario, il
fallimento di un progetto imprenditoriale risiede, da un lato, nella “bontà” dell’idea e dell’intuizione
del fondatore e, dall’altro, nella capacità da parte dello stesso (e degli altri organi del vertice
strategico) di gestire e governare la fitta rete di relazioni che si instaura tra l’impresa e l’ambiente di
riferimento. L’imprenditore non solo deve instaurare una correlazione tra idea e bisogni del mercato
che si prospetta di servire, ma deve anche definire adeguatamente le forme di coordinamento
attraverso la progettazione di idonee strutture organizzative allo scopo di presiedere le relazioni che
inevitabilmente si instaurano con i cd. stakeholders (soggetti portatori di interessi diretti o indiretti
nell’impresa, con potere di condizionare le strategie aziendali). Le start-ups si differenziano dagli altri
modelli di business per la loro sostanziale assenza di confini organizzativi e per la forte dipendenza
verso fornitori esterni di risorse (finanziarie e non): in una realtà d’impresa così strutturata, emerge
con forza la centralità della gestione delle relazioni impresa-ambiente.
Paradossalmente, le peculiarità di questa tipologia di business risultano essere anche i suoi
principali elementi di debolezza. Le start-ups incontrano difficoltà di sviluppo mediamente maggiori
rispetto alle altre imprese, soprattutto per quanto riguarda il finanziamento. All’elevata prospettiva
di crescita futura si associa un altrettanto elevato livello di rischio-rendimento, generato dalla
difficoltà che un finanziatore incontra nel giudicare la fattibilità economica del progetto e,
conseguentemente, la remunerazione futura del capitale investito, per effetto della cd.
“informational opacity”(Berger and Udell, 1998). Questa incapacità da parte delle start-ups di
trasmettere all’esterno la qualità di un progetto imprenditoriale compromette l’accessibilità della
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stessa a fonti di finanziamento esterne e, in ultima istanza, può seriamente pregiudicare la
sopravvivenza dell’impresa.
Per porre rimedio a questa problematica, si sono sviluppate, parallelamente alle forme
“tradizionali” di finanziamento (credito commerciale, credito speciale, sussidi e incentivi,…) delle
nuove modalità attraverso le quali fondatori e finanziatori interagiscono, ciascuna caratterizzata da
una differente combinazione tra proprietà e controllo ritenuta ottimale in relazione alla posizione
dell’impresa all’interno del proprio business life-cycle. Le principali forme di finanziamento ideate
specificatamente per sostenere un early-stage business sono il crowdfunding, l’angel funding, i fondi
di venture capital e gli incubatori aziendali (business incubators). E’ evidente che per ogni tipologia di
finanziatore si crea una specifica relazione di potere con l’imprenditore che si manifesta in un
differente grado di separazione tra proprietà e controllo, di asimmetrie informative e azzardo
morale, di costi d’agenzia e di costi di transazione.
L’elaborato si propone di analizzare le relazioni di potere che vengono a instaurarsi tra
l’imprenditore e i finanziatori nei primissimi stadi del ciclo di vita dell’impresa. La struttura logico-
espositiva del lavoro è la seguente: nel Capitolo 1, viene chiarito il concetto di startup e le peculiarità
di questo modello organizzativo, al fine di contestualizzare e rendere più agevole la comprensione
dell’elaborato nel suo complesso, ponendo particolare attenzione alla forte dipendenza verso
fornitori esterni delle stesse; nel Capitolo 2, vengono affrontate le problematiche organizzative insite
in un’impresa early-stage, tipicamente l’asimmetria informativa, l’azzardo morale, i costi di
transazione, i costi d’agenzia; nel Capitolo 3, vengono esposte le caratteristiche salienti delle
principali forme di finanziamento alle quali una start-up può accedere per finanziare la propria
crescita, la natura del rapporto che tipicamente viene ad instaurarsi tra imprenditore e finanziatore e
i possibili strumenti che le parti possono adottare per limitare l’incertezza e l’informazione
asimmetrica.
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CAPITOLO 1: START-UPS: DEFINIZIONE E PEC U L I A R I T A ’
1.1 Definizione
Data la centralità delle start-ups nella letteratura economica più recente, risulta essere evidente
la necessità di definire in maniera univoca tale concetto allo scopo di evitare un possibile abuso dello
stesso.
Analizzando il concetto di start-up dal punto di vista giuridico e con esplicito riferimento alla
normativa italiana, il legislatore nazionale ha recentemente provveduto a disciplinare suddetta forma
organizzativa nel tentativo di introdurre nel panorama legislativo italiano un quadro di riferimento
organico per favorire la nascita e la crescita di nuove imprese innovative. L’art. 25 del D.L.
n°179/2012, convertito con modifiche dalla legge L. n°221/2012, definisce start-up innovativa come
“una società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano oppure Societas
Europaea, le cui azioni o quote non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema
multilaterale di negoziazione” e stabilisce una pluralità di requisiti costitutivi, economici e
patrimoniali, tra i quali i più rilevanti sono l’avvenuta costituzione di detta società da non più di 48
mesi, la mancata distribuzione degli utili realizzati, un valore della produzione annuo (a partire dal
secondo anno di attività) non superiore a 5 milioni di euro, un oggetto sociale esclusivo o prevalente
di sviluppo, produzione e commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore
tecnologico e altri specifici vincoli organizzativi (come l’assunzione di personale altamente qualificato
o il sostenimento di una soglia minima di spese in R&S). Una definizione così puntuale e rigida si è
resa necessaria poiché nelle intenzioni del legislatore vi è soprattutto quella di definire in maniera
precisa le realtà aziendali legittimate all’ottenimento di stanziamenti pubblici e, conseguentemente,
evitare l’abuso e lo spreco di risorse. Evidentemente, questa definizione risulta essere
eccessivamente riduttiva dal punto di vista economico e non può essere ritenuta idonea a spiegare la
complessità organizzativa che contraddistingue una start-up.
Sotto il profilo economico-organizzativo, una prima definizione di start-up venne formulata negli
anni ’70 e ’80 all’interno del filone teorico della cd. Organizational Life-Cycle theory (O.L.C.) o,
analogamente, Business Life-Cycle theory (B.L.C.)(Haire, 1959) (Galbraith, 1982) ,(Hanks et al., 1993).
Questa scuola economica riconosce nelle organizzazioni un ciclo di vita assimilabile a quello di un
organismo vivente, formalizzabile in un modello “biologico” composto da una molteplicità di stadi di
sviluppo del business. La premessa del modello è che le esigenze, le opportunità e le minacce interne
ed esterne all’impresa varieranno a seconda dello stadio di sviluppo nel quale l’impresa si trova e,
dunque, le organizzazioni traslano da uno stadio all’altro al fine di adeguare la propria struttura con
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le modificazioni intervenute nell’ambiente interno e esterno all’impresa. Ciascuno stadio del ciclo di
vita dell’impresa richiede differenti obiettivi, strategie, processi manageriali e tecnologie.
La maggior parte dei modelli di O.L.C. proposti individua all’interno del ciclo di vita di un business
5 stadi di crescita (Hanks et al., 1993) detti, rispettivamente, start-up stage, expansion stage,
consolidation stage, diversification stage e decline stage. Secondo questa prospettiva, un’azienda
start-up può essere definita come un’organizzazione economica che si trova in un primissimo stadio
del proprio ciclo di vita, giovane, dotata di una struttura organizzativa piuttosto semplice e non ben
definita. Le relazioni che si instaurano tra i soggetti interni e esterni all’impresa presentano un basso
livello di formalizzazione (rapporti molto informali) e il potere è estremamente concentrato nella
figura del fondatore. I principali obiettivi risultano essere l’identificazione di una nicchia di mercato
alla quale rivolgersi e l’ottenimento di risorse (finanziarie e non) esterne finalizzate a garantire una
sostenibilità economica del business.
Successivamente, le dinamiche dell’Innovation Economy quale meccanismo propulsivo di ricerca
scientifica e invenzioni a monte e innovazione tecnologica a valle generarono nuovi spazi economici
che precedentemente non potevano essere nemmeno immaginati (Janeway, 2012). Le potenziali
prospettive di profitto e di crescita offerte da queste nicchie di mercato comportarono un
ampliamento del concetto di start-up da mero stadio del business life-cycle a vero e proprio modello
organizzativo, finalizzato a presiedere detti segmenti di mercato. Secondo quest’ultima prospettiva,
una start-up è la formalizzazione di un’idea imprenditoriale in una struttura organizzativa, creata
appositamente per sfruttare l’opportunità economica e la profittabilità caratterizzanti una precisa
nicchia di mercato (Janeway, 2012). Si tratta, dunque, di un’attività economica, solitamente di nuova
costituzione, caratterizzata da un elevato potenziale di crescita e operante ai confini della frontiera
tecnologica, tipicamente nel settore dell’Information and Communication Technology (I.C.T.), della
biofarmaceutica, delle nanotecnologie e dell’energia rinnovabile.
Recentemente, è stata introdotta nella letteratura economica un’ulteriore definizione di start-up,
complementare rispetto alle due precedentemente esposte, che meglio esprime la dinamicità
organizzativa di questa forma imprenditoriale: si tratta della cd. Lean Start-up. Questo termine fu
coniato per la prima volta nel 2008 dall’imprenditore e scrittore statunitense Eric Ries che formalizzò
questa filosofia organizzativa nell’omonimo libro “The Lean Startup: How Today's Entrepreneurs Use
Continuous Innovation to Create Radically Successful Businesses”(Ries, 2011). Nel formulare questo
nuovo approccio organizzativo, Ries si basò sul preesistente modello organizzativo giapponese del
“lean manufacturing” (o “lean production” o “lean organization”)(Roos et al., November 1991),
riadattandolo alle peculiarità delle imprese hi-tech. Il fulcro di questa teoria organizzativa risiede
nell’interazione continua con l’ambiente di riferimento (in particolar modo con la clientela) allo scopo
di ottenere la maggior quantità possibile di informazioni con il minimo sforzo e rimodulare
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conseguentemente il processo produttivo e organizzativo in relazione alle conoscenze raccolte.
Un’ulteriore evoluzione di questa pratica gestionale viene riconosciuta a Steve Blank, anch’egli
imprenditore e scrittore statunitense, il quale definisce una start-up come “un'organizzazione
temporanea, creata per ricercare un business model che sia ripetibile e scalabile"(Blank, May 2013).
Secondo questa prospettiva, una start-up è un’organizzazione avente un ciclo di vita ben definito nel
tempo che si propone come obiettivo la formalizzazione di un business model reiterabile più volte
nel tempo (portando ugualmente ai medesimi risultati) e che apporti in qualche misura dei
rendimenti di scala crescenti. Dal punto di vista organizzativo, Blank individua 3 aspetti critici
costituenti il “lean method”:
1. Anziché spendere tempo nella pianificazione e ricerca finalizzata alla realizzazione di un
business plan “ottimale”, i fondatori dovrebbero concentrarsi nella definizione di quelle
attività realmente generatrici di valore;
2. Le lean start-ups dovrebbero adottare un approccio Customer Development, basato sulla
continua iterazione tra l’impresa e gli utenti, i fornitori, i partner al fine di incorporare gli
effetti di feedback nel business model. L’impresa, dunque, crea un prodotto o un servizio
“essenziale” nel più breve tempo possibile, lo propone ai clienti e immediatamente stimola
negli stessi degli effetti di feedback che verranno utilizzati come input per un nuovo ciclo
produttivo, fondato su nuove assunzioni;
3. Infine, una lean start-up dovrebbe porre in essere una pratica cd.”agile development” che
consenta di minimizzare lo spreco di risorse e di tempo attraverso un processo di sviluppo del
prodotto di tipo iterativo e incrementale che coinvolga sempre il cliente finale.(Blank, May
2013).
Quest’ultima definizione di start-up proposta da Blank, integra e completa quella precedentemente
fornita da Ries, concludendo così la letteratura accademica in tema di start-up.
Le peculiarità delle start-ups sono trattate nel paragrafo 3 del capitolo corrente.