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CAPITOLO PRIMO
LA POLITICA ECONOMICA E MONETARIA NELL’UNIONE EUROPEA
SOMMARIO: 1.1. I principi fondamentali della politica economica e monetaria nel quadro
normativo europeo: dalla Comunità Economica Europea al Trattato di Lisbona. - 1.2. La
politica economica e il coordinamento delle politiche nazionali. - 1.3. La stabilità
finanziaria. – 1.3.1. La procedura per i disavanzi eccessivi e le origini del “Patto di
stabilità”. – 1.3.2. La flessibilità del Patto di stabilità e le sue modifiche - 1.3.3. Gli accordi
intergovernativi in materia economica e finanziaria: il “Fiscal Compact”. – 1.4. La politica
monetaria unica. – 1.4.1. Il ruolo della Banca Centrale Europea nella governance
economica europea. 1.4.2. Il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità
(Accordo MES). – 1.5. Le disposizioni relative alla posizione dell’Eurogruppo nella
contrattazione internazionale.
1.1. I principi fondamentali della politica economica e monetaria nel quadro
normativo europeo: dalla Comunità Economica Europea al Trattato di
Lisbona
L'Unione economica e monetaria, compiutasi con il Trattato di Maastricht,
ma già debitamente anticipata con l'Atto Unico Europeo del 1986, ha da sempre
rappresentato e rappresenta tuttora, uno dei principali obbiettivi di cooperazione
ed integrazione tra gli Stati membri che l'Unione continua a perseguire.
L'esigenza di coordinamento tra le politiche economiche e monetarie degli
Stati era già venuta in nuce nella redazione del Trattato di Roma del 1957, dove
agli artt. 2 e 3, venivano indicati, tra le principali finalità dell’allora Comunità
Europea, l’instaurazione di un mercato comune ed il ravvicinamento delle
politiche economiche dei Paesi membri, attraverso uno sviluppo armonioso delle
attività economiche, capace di garantire un rapido miglioramento del complessivo
tenore di vita, ciò non senza aver realizzato gli obbiettivi previsti dal successivo
art. 3, finalizzati all’instaurazione di un mercato comune, con l’eliminazione degli
ostacoli alla libertà di circolazione delle merci, delle persone e dei servizi e la
creazione di una politica comune in settore nevralgici come l’agricoltura e i
trasporti.
I fautori dell' Unione Economica e Monetaria (UEM) ancoravano, infatti,
l'idea della sua realizzazione alle previsioni del Trattato CEE a quest'ultima
10
ricollegabili, si pensi in particolare all'art. 104 laddove le questioni inerenti la
politica economica venivano ricollegate esclusivamente all’equilibrio della
bilancia globale dei pagamenti ed al mantenimento di un alto livello
occupazionale nella Comunità o agli artt. 107, 108 e 109, in cui le politiche dei
tassi di cambio tra le diverse monete, rappresentando un problema di interesse
comune, divenivano un parametro fondamentale per evitare sia rischiose
alterazioni della concorrenza ed al contempo compromettere il funzionamento del
mercato comune
1
.
Nonostante l’esistenza delle disposizioni poc’anzi citate, non sembra,
tuttavia, che gli estensori del Trattato di Roma fossero favorevoli ad una forma di
Unione economica e, tantomeno monetaria, quale oggi si ricava dalle disposizioni
ereditate dal Trattato di Maastricht
2
; il trasferimento di poteri così invasivi per gli
Stati, ad organi comunitari, in materie particolarmente delicate come la politica
dei tassi di cambio ed il controllo del deficit pubblico, avrebbe infatti comportato
uno stravolgimento epocale negli assetti istituzionali, che i Paesi membri non
erano ancora in grado di accettare.
Cominciava a profilarsi, di conseguenza, per gli Stati la concreta
possibilità di una iniziale perdita di sovranità in un campo, fino ad allora,
completamente gestito dai singoli Governi.
La probabilità di un simile rischio, considerato causa della mancata
attuazione delle disposizioni in oggetto all'epoca della loro redazione
3
, venne, non
senza esitazioni, superata sul finire degli anni sessanta, quando gli Stati spinti
dall'obiettivo di adottare misure volte a ridurre l'inflazione ed il deficit del settore
pubblico decisero di acconsentire al completamento del mercato interno attraverso
1
Ci si riferisce, in particolare, agli artt. del Trattato istitutivo delle Comunità Economica
Europea, in tema di bilancia dei pagamenti. L’art. 104, considerato principio generale, stabiliva
che: “Ogni Stato membro attua la politica economica necessaria atta a garantire l’equilibrio
della sua bilancia globale dei pagamenti e a mantenere la fiducia nella propria moneta, pur
avendo cura di garantire un alto livello di occupazione e la stabilità del livello dei prezzi”.
2
Sul tema, C. CAPODICCHIO, L’Unione Monetaria Europea: una necessità, Padova,
Cedam, 1995, p. 135. L’autore si sofferma sull’analisi del processo di allargamento del mercato
comune, considerato non direttamente compatibile con le politiche macroeconomiche degli
Stati membri, in quanto tra gli obbiettivi principali si prefiggeva l’eliminazione delle barriere
non tariffarie nella circolazione intracomunitaria dei fattori produttivi, dei beni e dei servizi.
3
C. ZANGHÌ, Istituzioni del diritto dell'Unione Europea, verso una Costituzione Europea,
Torino, Giappichelli, 2005, p. 155.
11
l'adozione di misure congiunte
4
.
Un primo tentativo, in tal senso, fu realizzato attraverso l'elaborazione del
Piano Werner del 1970
5
con il quale si prevedeva, attraverso diverse fasi
intermedie, la realizzazione di un’unione monetaria quale presupposto di
un’attività politicamente coordinata in materia.
Il rapporto Werner, per la prima volta, disegna una riforma della politica
economica e monetaria attraverso la progressiva realizzazione di piø tappe capaci
di soddisfare, da un lato, la crescita esponenziale degli scambi commerciali,
provocata dalla liberalizzazione delle tariffe tra i sei Stati allora unici membri
della Comunità, dall’altro la necessità di quest’ultima di affacciarsi sul piano
internazionale quale nuova potenza economica autonoma
6
.
La prima fase del Rapporto, da inquadrarsi tra il 1971 ed il 1974, era
incentrata sulla costruzione di un’attività coordinata volta al completamento del
mercato interno, finalizzata alla riduzione delle disparità tra le politiche
economiche degli Stati membri nonchØ sulla rimozione degli ostacoli
all’integrazione finanziaria e alla cooperazione monetaria
7
.
La seconda fase, invece, prevedeva espliciti accordi fra i governi circa la
definizione dei tassi di cambio tra le diverse monete europee per garantire la
stabilità della bilancia dei pagamenti
8
, mentre nella fase finale era prevista
4
La questione, infatti, non si presentava piø sotto il problema del coordinamento di
gestione delle politiche economiche dei singoli Stati membri bensì come un tassello mancante
per il completamento del mercato interno in cui la libertà di circolazione dei capitali rispetto
alle altre libertà (circolazione di merci, persone e servizi) non aveva ancora visto un'attuazione
concreta, visto che una limitata mobilità dei capitali negli scambi europei ed extra-europei
riusciva a garantire ai governi margini di manovra sicuramente molto ampi.
5
Nel vertice dell'Aja del 1969 i sei Stati membri della Comunità Economica Europea
decisero di predisporre un piano di realizzazione di una futura Unione Economica e Monetaria;
il gruppo era presieduto dal premier lussemburghese Pierre Werner e si prefiggeva l'attuazione
dell'UEM entro 10 anni da quella data, esortando gli Stati a trasferire le competenze in tema di
politica economica e monetaria dalla sovranità statale al piano comunitario.
6
Così C. CAPODICCHIO, (1995), op. cit., p. 138. La fine degli anni sessanta mise a
repentaglio la PAC (Politica agricola comune), uno dei pilastri della CEE. I sei decisero allora
di impegnarsi nell’area delle politiche macroeconomiche individuando nell’Ume, che avrebbe
rimpiazzato l’unione doganale, l’obiettivo degli anni settanta. La moneta unica diveniva per
questa via non solo un fine, ma essa stessa mezzo per un altro fine che era l’unione politica.
7
Così M. FUMAGALLI MERA VIGLIA, La politica economica e monetaria, in U. DRAETTA, N.
PARISI, Elementi di diritto dell’Unione Europea, Milano, Giuffrè, 2010, p. 278.
8
I margini di fluttuazione tra i tassi di cambio sarebbero dovuti scendere dall’ 1,5%
all’1,2%, bensì la previsione non trovò mai attuazione, in special modo a causa dei tassi di
cambio fissati nei confronti del dollaro ed il fallimento del sistema degli accordi di Bretton
Woods.
12
l’istituzione di una banca centrale comunitaria, che, creata sul modello del
Federal Reserve System statunitense, avrebbe dovuto centralizzare la gestione
della politica monetaria espropriando del tutto di tale potere i singoli governi.
L’anno successivo, gli Stati decisero di limitare i margini di fluttuazione
tra i tassi di cambio delle loro monete, fissandolo ad un massimo del 2,25% ed
istituendo, in questo modo, il cosiddetto “serpente monetario europeo”
9
quale
meccanismo di adattamento tra i diversi tassi tra la varie monete europee
partecipanti al sistema.
L’aumento del prezzo del petrolio e la conseguente crisi che ne derivò,
costrinse alcuni degli stati membri ad uscire dal serpente monetario
10
per poter
liberamente stabilire i margini di fluttuazione delle proprie monete, provocando di
fatto l’abbandono del piano Werner vista la scarsissima efficienza di un
meccanismo nel quale le monete entravano e uscivano a seconda delle proprie
esigenze di politica economica.
Contemporaneamente la scena finanziaria internazionale stava
attraversando un grave periodo di crisi, provocato dal crollo improvviso del
meccanismo istituito con il Sistema di Bretton Woods
11
; gli accordi scaturiti dalla
omonima conferenza del 1944 stabilivano parametri unitari per le relazioni
commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati, cercando di
definire un nuovo ordine economico basato sull’integrazione della disciplina
privatistica dei rapporti con le garanzie tipiche del sistema pubblicistico, così da
realizzare appieno la libera circolazione delle merci e dei fattori produttivi
12
.
9
Il rapporto Werner condusse direttamente all’accordo sul “serpente nel tunnel” del 1972,
al fine di ridurre il margine di fluttuazione intra-Cee al 2,25%, invece che del 4,5% previsto
dagli accordi smithsoniani ed alla costituzione del Fondo di cooperazione monetaria europea
del 1973 e ad una varietà di direttive volte all’istituzionalizzazione del coordinamento delle
politiche nazionali.
10
La critica piø diffusa che viene mossa ad un sistema di cambi fissi, come quello previsto
dal serpente monetario, è che l’onere di riequilibrare i tassi di cambio tra le monete gravava sui
Paesi deficitari, provocando così un deflazionamento del sistema. Per la Germania, il serpente
monetario non comportò una sottovalutazione del marco senza che ciò imponesse particolari
freni alla condotta in tema di politica monetaria. Tuttavia, i Paesi piø piccoli rivalutarono le
proprie monete rispetto al marco, controbilanciando ciò con una maggiore stabilità del tasso di
cambio. In tal senso: C. CAPODICCHIO, op. cit., p.141.
11
La questione sarà affrontata in maniera esaustiva nel prosieguo della trattazione.
12
Con quegli accordi venne ad affermarsi il cosiddetto sistema del “liberismo organizzato”
e del multilateralismo istituzionalizzato” teso a riaffermare con nuovi strumenti l’apertura dei
mercati internazionali, superando di fatto il precedente sistema del “liberismo classico” basato
sul principio del laissez faire elaborato da Adam Smith. Sul punto si veda: G. PERONI, La
13
Proprio a fronte di una crescente crisi globale, il piano Werner avrebbe
dovuto rappresentare uno strumento per rilanciare la convergenza economica fra
gli Stati costituendo una zona di stabilità monetaria, prodromica dunque al sistema
monetario europeo (SME) che vide la luce negli anni 1978-1979
13
.
Lo SME contribuì all’istituzione di una unità di conto europea (ecu), una
valuta il cui paniere era composto da tutte le monete nazionali, il cui peso era
commisurato in proporzione al contributo che ciascun paese era in grado di dare al
PIL comunitario
14
ed aveva come obiettivo quello di creare un maggior grado di
stabilità monetaria, una crescita che fosse sempre piø stabile e uno sviluppo
economico convergente tra gli Stati membri.
La sua creazione, infatti, non era finalizzata a ridurre l’instabilità dei tassi
di cambio, bensì ad incidere sugli scambi commerciali, sugli investimenti e sul
dato occupazionale, scopi ritenuti imprescindibili per la crescita economica degli
Stati senza dimenticare la sua funzione essenzialmente deflattiva dettata dalle
monete piø forti come quella tedesca
15
.
La Comunità Economica Europea decise, così, di difendere il proprio
mercato interno dalle turbolenze generatesi sul piano internazionale tramite un
sistema con cui si stabiliva che ogni autorità monetaria avrebbe mantenuto il
valore della rispettiva valuta entro un preciso margine di fluttuazione, sulla base
della convinzione che soltanto un sistema monetario a cambi fissi fosse capace di
realizzare appieno le quattro libertà del mercato comune (merci, persone, servizi e
capitali)
16
.
riforma della governance economica globale ed il ruolo dell’Unione Europea, in I quaderni
europei, 2010, n. 17, p. 7.
13
Il sistema monetario europeo ripropone un meccanismo di fluttuazione in alto o in basso
nel rapporto di cambio fra le monete ma prevede altresì che si possa procedere periodicamente
ad un riallineamento della parità tra le monete stesse con il consenso delle autorità comunitarie.
Analogamente si stabiliscono dei margini di oscillazione piø ampi per le monete considerate
piø deboli, quali per lungo tempo furono la lira italiana e la dracma greca.
14
L’unità di conto europea non era una moneta, nonostante la sigla inglese (European
Currency Unit), sia stata tradotta in “scudo”, ma soltanto una unità di conto determinata da un
così detto paniere nel quale confluivano, in maniera percentuale diversa, le monete degli Stati
membri.
15
Si ritenne che l’esperienza del serpente monetario degli anni sessanta confermasse la
necessità di un inflessibile atteggiamento inflazionistico da equilibrare in base alle scelte
adottate dalla Repubblica Federale Tedesca, sulla base di una delle monete piø forti.
16
Si tratta di un sistema a cambi fissi, nato in forza di una apposita risoluzione adottata dal
Consiglio delle Comunità economica europea il 21 Marzo1972, i cui punti principali
consistevano nell’invito alle banche centrali di ridurre progressivamente i margini di
14
Anche lo Sme non ebbe uno sviluppo lineare nel tempo, basti pensare che
quest’ultimo subì undici riallineamenti tra le varie valute nazionali a
testimonianza di come fossero sproporzionati gli impegni finanziari che
gravavano sulle monete piø deboli rispetto a quelle piø forti tant’è che si decise di
optare per un programma di sostegno reciproco in cui gli istituti centrali dei Paesi
economicamente avanzati, potessero prestare garanzie maggiori rispetto ai propri
impegni di espansione monetaria
17
.
Fino alla crisi valutaria, che colpì direttamente anche l’Italia, il Sistema
SME riusciva a scongiurare una crisi di tipo globale, dovuta alle forti oscillazioni
del dollaro e favorendo lo sviluppo degli scambi commerciali e la crescita
economica, introducendo attraverso l’adozione dell’Atto Unico Europeo
18
,
rilevanti novità proprio in materia di cooperazione economica e monetaria.
Grazie a questo accordo, veniva inserito nel Trattato un nuovo capitolo
19
,
espressamente dedicato alla cooperazione in materia economica e monetaria senza
tuttavia prevedere gli strumenti attuativi necessari e indispensabili per permettere
una convergenza finale delle diverse economie nazionali.
L'Atto unico europeo (AUE) procedeva ad una revisione dei trattati di
Roma al fine di rilanciare l'integrazione europea e portare a termine la
realizzazione del mercato interno modificando le regole di funzionamento delle
istituzioni ed ampliando le competenze comunitarie, in particolare nel settore della
ricerca e dello sviluppo, dell'ambiente e della politica estera comune, attuando gli
obiettivi già previsti con il Libro Bianco del 1985 con cui la Commissione, sotto
fluttuazione tra le monete europee. Tale margine non poteva superare il +/- 2,25%. Nella
risoluzione venivano poi elencate le modalità tecniche della gestione dei tassi di cambio. Tale
accordo non durò a lungo. Il Regno Unito e l’Irlanda, infatti, ne uscirono il 22 giugno dello
stesso anno, seguite dall’Italia e dalla Francia. Si veda: G. PERONI, Il Trattato di Lisbona e la
crisi dell’euro: considerazioni critiche, in Il Diritto dell’Unione Europea, 2011, V ol. 4, p. 971.
17
Detto sistema prevedeva una forma di collaborazione tra gli istituti bancari centrali
sicuramente piø stretta, ma anche una sorta di corresponsabilità degli Stati nel mantenere la
stabilità dei cambi tra i Paesi in deficit e quelli con bilancio in attivo.
18
L'Atto unico europeo (AUE), firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 da nove Stati
membri e il 28 febbraio 1986 dalla Danimarca, dall'Italia e dalla Grecia, costituisce la prima
modifica sostanziale del Trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE). L'AUE
è entrato in vigore il 1° luglio 1987.
19
In particolare l’Atto Unico Europeo aveva aggiunto al Trattato CE, l’articolo 102°, in base
al quale: “Per assicurare la convergenza delle politiche economiche e monetarie è necessario
per l’ulteriore sviluppo della Comunità, che gli Stati membri cooperino conformemente agli
obiettivi dell’articolo 104. A tal fine e nel rispetto delle competenze esistenti, essi tengono
conto delle esperienze acquisite grazie alla cooperazione nell’ambito del Sistema monetario
europeo (SME) e allo sviluppo dell’ECU.”
15
l’impulso del suo presidente Jacques Delors individuava le riforme legislative
necessarie ad addivenire al completamento del mercato interno, fissando il
termine per il compimento dell’Unione Economica e Monetaria al 31 dicembre
1992
20
.
Tra le scelte che anticiparono il processo di integrazione operato dall’Atto
Unico, trovava posto il principio della cosiddetta “dimensione negativa
dell’integrazione”
21
, ovvero della totale attribuzione di responsabilità agli Stati
membri nell’ ambito della gestione della politica economica e monetaria, dall’altro
lato nessuna indulgenza sull’osservanza degli obblighi posti in tema di mercato
interno.
Fu l’Atto Unico a ristabilire, in un certo senso, a incentivare il modello di
integrazione positiva, che agiva su due fronti paralleli: quello della definitiva
eliminazione delle frontiere fisiche e fiscali tra i mercati dei singoli Stati membri e
quello dell’armonizzazione, a livello comunitario, delle diverse legislazioni nella
politica economica
22
.
In concreto, tuttavia, tali disposizioni non contenevano elementi
particolarmente innovativi, limitandosi soltanto a ribadire la necessità di una
convergenza delle politiche economiche degli Stati membri e prevedendo un
obbligo di cooperazione i tal senso.
L’atto unico difettava, inoltre, di indicazioni specifiche sulle modalità di
attuazione concreta di tale coordinamento.
Si assiste, in questa fase, all’inversione del noto principio esistente in tema
di interpretazione dei Trattati internazionali: non piø il favor per la libertà degli
20
Secondo la filosofia della Commissione il completamento del mercato interno presentava
tre aspetti principali: in primo luogo era necessario integrare i mercati nazionali della
Comunità, per trasformarli in un immenso mercato unico di consumatori; in secondo luogo
occorreva garantire che questo mercato unico fosse un mercato in espansione, non statico, ma
dinamico; infine era necessario assicurarsi che questo mercato fosse sufficientemente flessibile
per canalizzare in modo adeguato le risorse umane, materiali e finanziarie. Date queste
premesse iniziali, la Commissione enunciava le misure necessarie per poter completare il
mercato interno, eliminando le barriere fisiche, barriere tecniche e barriere fiscali tra i paesi
comunitari. Gli obiettivi e le scadenze del Libro Bianco sono poi state confermate dall’Atto
Unico europeo, entrato in vigore il 1° luglio 1987.
21
Sul punto: G. TESAURO, Diritto dell’Unione Europea, Padova, Cedam, 2010, p. 394.
22
“Non mancano, peraltro, le previsioni dell’Atto Unico sulle c.d. politiche di
accompagnamento, che hanno incrementato le competenze dell’Unione, magari consacrando
situazioni di fatto già consolidate e comunque estendendole a settori particolarmente
significativi, come la ricerca e lo sviluppo tecnologico, l’ambiente e la coesione sociale.” G.
TESAURO, (2010), op. cit., p. 395.
16
Stati contraenti, al contrario, un favor per le limitazioni alla sovranità statale,
giustificate dal perseguimento di un obiettivo comune
23
.
Gli strumenti forniti dall’Atto Unico, tuttavia, come già specificato, non
prevedevano i mezzi legislativi di attuazione adeguati alle finalità previste,
pertanto cominciavano ad emergere con chiarezza le problematiche legate ad un
sistema che prevedendo ancora autonome politiche monetarie da parte degli Stati
membri mal si conciliava con gli obiettivi della stabilità dei cambi e della libera
circolazione dei capitali.
Per questo nel 1988 venne indetto il Consiglio Europeo di Hannover, nel
quale venne incaricato uno speciale comitato presieduto dall’allora Presidente
della Commissione Europea, Jacques Delors, al fine di predisporre un programma
di realizzazione per una definitiva unione economica e monetaria, da compiersi
attraverso singole tappe per il perseguimento degli obiettivi previsti
24
.
Rispetto al precedente Rapporto Werner, quest’ultimo identificava con
maggior chiarezza gli obiettivi della politiche in oggetto, operando così un salto in
avanti nel trasferimento delle competenze dalle autorità nazionali a quelle
comunitarie.
Le tre tappe del piano Delors, confermate prima dai vertici del Consiglio
europeo di Roma e successivamente dal Trattato di Maastricht del 1990,
prevedevano una prima fase incentrata sul completamento del mercato interno, sul
ravvicinamento delle politiche economiche dei diversi Stati membri e sulla
rimozione degli ostacoli all’integrazione finanziaria e alla cooperazione monetaria
che doveva compiersi tra il 1989 e il 1993
25
, durante la quale i Paesi CEE si
impegnavano a partecipare allo SME, con un margine di fluttuazione delle loro
monete stabilito intorno al 2,25% e, attraverso nuove procedure di concertazione
da parte del Comitato dei Governatori delle banche centrali e del Consiglio dei
23
TESAURO, (2010), op. cit., p. 396.
24
Anche il Rapporto Delors, come già il Rapporto Werner prevedeva attraverso tre distinte
fasi la realizzazione di una unione economica e monetaria; il documento venne ufficialmente
presentato al Consiglio europeo di Madrid e fornì la base per la conferenza intergovernativa del
1990 che diede poi vita al Trattato di Maastricht.
25
Tali condizioni prendevano in considerazione i criteri fondamentali, di cui il primo era
l’imposizione dei limiti di margine di fluttuazione del sistema monetario europeo per almeno
due anni, un tasso di inflazione che non superasse di oltre l’1,5% la media dei tassi dei tre Stati
membri che avevano ottenuto i risultati migliori e un deficit pubblico inferiore al 3%. C.
ZANGHÌ, (2005), op. cit., p. 157.
17
ministri dell’economia e delle finanze (ECOFIN), si diede così l’avvio
all’adozione di misure obbligatorie volte alla stabilizzazione dell’inflazione
indispensabili al funzionamento del Sistema Europeo di banche centrali, che da
questi obiettivi sarebbe dovuto scaturire
26
.
La seconda tappa era incentrata sull’obiettivo di istituire un’Unione
Monetaria Flessibile con la creazione dell’IME, l’Istituto Monetario Europeo, al
quale era affidato il compito di rafforzare la cooperazione fra le banche centrali
degli Stati membri della Comunità, per concludersi tuttavia intorno al 1998 con la
contemporanea nascita della Banca Centrale Europea.
La terza fase, iniziata alla fine degli anni novanta, ha visto la fissazione
irrevocabile dei tassi di cambio delle valute nazionali con l’euro e l’introduzione e
la circolazione della moneta unica con l’avvio della conduzione della politica
monetaria da parte dell’Eurosistema
27
; l’obiettivo è stato perseguito con il
definitivo trasferimento alla BCE dei poteri relativi alle politiche monetarie delle
banche centrali insieme all’adozione di misure di bilancio finalmente vincolanti e
l’istituzione della moneta unica europea, che ha sostituito le monete nazionali.
Secondo parte della dottrina, con il meccanismo dell’Unione Monetaria si
sarebbe venuta a creare una c.d. Europa a “due velocità”, ovvero una Europa
divisa tra gli Stati che potevano procedere molto piø rapidamente all’integrazione
ambita ed altri invece, costretti dalle economie dei propri governi, a rallentare il
passo nel comune processo di coordinamento economico e sociale
28
.
Proprio al fine di rispettare le tappe previste dal piano Delors molti Stati
hanno dovuto procedere ad un totale risanamento economico dei propri conti,
riscontrando le maggiori difficoltà nel controllo del deficit pubblico che non
26
E’ evidente, anche con riferimento alla previsione delle tre tappe, l’influenza della
Germania sulla prospettazione del piano Delors e, in particolare, l’influenza della Deutsche
Bundesbank sulla creazione del SEBC; le sue funzioni, infatti, sembrano ricalcare la gerarchia
di obiettivi fissati per la banca centrale tedesca. Infatti l’art. 3 della legge istitutiva della
Deutsche Bundesbank fissa tra gli obiettivi quello della salvaguardia della moneta; l’art. 12,
fatto salvo il compito della banca centrale, prevede che questa contenga la politica economica
generale del governo federale, mentre dall’altro ne conferma l’indipendenza dalle istituzioni
del Governo Federale. In tal senso: C. CAPODICCHIO (1995), op. cit., p. 145.
27
Gli Stati che non hanno adottato l’euro beneficiano di una riserva che consente loro di
decidere autonomamente se e quando aderire, mentre altri scontano l’esito di un referendum
negativo ed è per questo che l’unione monetaria, quale modello di integrazione europea,
costituisce un sistema di integrazione flessibile.
28
In tal senso, C. ZANGHÌ, (1995), op. cit., p. 157.
18
doveva superare il 3% del prodotto interno lordo, ma lo scopo fu raggiunto, il piø
delle volte, con l’adozione di particolari misure di contabilità pubblica tra cui i
meccanismi di imposizione anomala
29
.
L’adozione dell’euro con cui sarebbe terminata l’ultima fase del Piano,
avrebbe dovuto rappresentare la diretta conseguenza di una serie di cambiamenti
economici e politici che avrebbero condotto alla costruzione di un’effettiva unità
politica
30
e non soltanto economica tra gli Stati membri.
Gli obiettivi previsti dal Piano Delors vennero ripresi e sviluppati durante
la conferenza intergovernativa indetta alla fine degli anni ottanta con la quale, al
fine di definire le modifiche sostanziali da apportare ai trattati per realizzare
l’integrale convergenza delle politiche economiche e monetarie degli Stati
membri, si arrivò alla redazione del Trattato di Maastricht, atto conclusivo di un
processo inizialmente volto al temperamento di esigenze economiche ma
terminato quale percorso necessario per il raggiungimento di una definitiva
integrazione politica.
29
In Italia, ad esempio, venne istituita l’eurotassa. Ancora piø difficoltoso si presentò
l’obiettivo di mantenere il debito pubblico entro il limite del 60% del PIL, considerato che
soltanto in Italia il rapporto si aggirava intorno al 120%, il doppio di quello consentito, di modo
che una rigorosa applicazione del criterio avrebbe escluso certamente per molti anni alcuni
Stati come l’Italia ed il Belgio dalla partecipazione alla moneta unica ma avrebbe
analogamente rinviato l’ingresso di altri Stati (Austria, Irlanda e Svezia) con un rapporto del
debito sul PIL superiore a quello consentito.
30
Il sistema non ha subito reali adattamenti per far fronte alle innovazioni necessarie; non si
è realizzato infatti un parallelismo tra l’integrazione nel settore economico e monetario e
l’integrazione europea nel suo complesso. Si veda in tal senso: A. TIZZANO, Qualche
considerazione sull’Unione economica e monetaria, in Diritto dell’Unione Europea, 1997, p.
455.