3
Introduzione.
Gli anni recenti sono stati caratterizzati da una profonda crisi
economico – finanziaria che, partendo dai mercati e dalla cosiddetta
“economia finanziaria”, si è propagata ai fenomeni produttivi industriali
ed al mercato dei servizi, rendendo necessaria una maggior cooperazione
e uniformazione di regole che esplicano tutto il loro effetto sul piano
giuridico.
Cercando di descrivere in modo esaustivo i sistemi di governance che
caratterizzano le società di capitali, è forse possibile ottenere
informazioni, che consentano di comprendere meglio il rapporto tra le
persone giuridiche e gli altri componenti della società, in primo luogo le
persone fisiche, ma anche le altre forme di tipo associativo. Ad oggi, la
scienza giuridica fa ancora largo uso di concetti giuridici nati in un
contesto sociale molto distante da quello attuale, ma ancora di grande
interesse: l'universalità del diritto commerciale, già declamata a metà '800
da Regnaud de Saint Jean D'Angély nei motivi della redazione del nuovo
code de commerce, è resa evidente oggi dalla globalizzazione.
Non sorprende, quindi, la ormai cristallizzata idea secondo cui il
diritto commerciale tenda all’universalità, prescindendo dalla nazionalità.
Non si ha la presunzione di affermare che l’uniformazione del diritto
derivi unicamente dal diritto commerciale, ma neppure si può
sottovalutare che esso ha assunto il ruolo di guida nel promuovere quella
unificazione di capitali, mercati e regole che oggi chiamiamo
globalizzazione.
1
Proprio la necessità di accomunare il più possibile le regole per gli
scambi commerciali, rende più interessante il discorso sulla governance
delle società di capitali. Analizzando precipuamente la fase costitutiva
delle società per azioni, la forma societaria più utilizzata nell’odierna
economia, si deduce come il suddetto istituto sia sorto in risposta
all’inefficienza dell’attività commerciale oltre il confine nazionale. Inoltre,
valutando i pericoli e/o le opportunità che derivano dal grande processo
di informatizzazione delle imprese e della società in generale, risulta più
che mai necessario fissare delle regole che garantiscano la corretta
1
Contra si veda il pensiero di Marx, il quale ne Il capitale, riteneva che l’economia
fosse la struttura in base alla quale si modellavano gli istituti della società.
4
amministrazione societaria; problema, che può essere risolto solamente
adeguando gli ordinamenti giuridici commerciali alle nuove forme di
scambi e di circolazione delle informazioni.
L’attività di impresa, nelle moderne economie avanzate, è in larga
parte esercitata da soggetti che presentano, per la maggioranza dei casi,
una forma societaria comune, quella cioè di società per azioni. Questa,
pur essendo disciplinata eterogeneamente in ogni legislazione, è
accomunata da determinate regole di fondo che si riflettono in tutti i
principali ordinamenti.
Ci troviamo quindi di fronte ad un argomento che coinvolge sì,
l'economia, la sociologia, la psicologia, ma che fondamentalmente è un
problema giuridico. Dalla gestione, dal “governo” di queste società,
detentrici del potere di far andare le cose in un modo o nell'altro,
dipende “l'evoluzione storica” del nostro futuro.
Il lavoro che si presenta con questo elaborato è incentrato
sull’istituto della governance delle società commerciali, nello specifico con
riferimento alle società di capitali, così come sono disciplinate sia
nell’ordinamento giuridico italiano che nel Regno Unito. Partendo da un
breve excursus sulla nascita dell’istituto, l’analisi seguirà un filo logico che
consentirà di approfondire dettagliatamente la questione. Analizzando la
disciplina giuridica italiana e concludendo con quella britannica, il lavoro
di tesi propone una comparazione tra i due sistemi al fine di individuare
le soluzioni più efficaci ed efficienti per una gestione interstatale delle
società di capitali.
5
1. Cenni storici
Per comprendere a fondo la nascita storica della società per azioni, si
deve partire dal concetto di profitto. «Il sistema del diritto romano comune era
un sistema giuridico basato sulla conservazione, e non sulla accumulazione, della
ricchezza; esso era preordinato al godimento dei beni, non alla ricerca del profitto»
2
.
«Per i romani, il contratto di società creava un semplice rapporto interno, non avente
efficacia nei confronti dei terzi». Ciò vuol dire che il vincolo contrattuale tra
un socio e un terzo non incideva sul rapporto del socio con gli altri soci:
in pratica, la società di diritto privato non era riconosciuta come persona
giuridica; le obbligazioni sorte, potevano essere parziali o solidali,
secondo la scelta del contraente.
Nel Medioevo, il contratto di società del diritto romano venne
utilizzato secondo gli schemi propri dell’epoca classica, tuttavia con il
sistema feudale iniziò ad instaurarsi un rapporto più incisivo tra i
contraenti: ad esempio, tra villani allo scopo di eludere il divieto di
testare che vigeva a profitto del signore.
3
Tale sistema fu adottato sino all’età comunale, periodo in cui iniziò a
crearsi un rapporto c.d. di professionalità tra il produrre beni e servizi e
lo scambio di essi. Venne a crearsi una nuova classe sociale, i mercanti e,
un esempio di tale “nascita e sviluppo” può essere dato dalle attività
marittime intraprese dalle Repubbliche Marinare: queste, infatti,
incrementarono gli scambi commerciali per mare e contribuirono allo
sviluppo del diritto dei mercanti. Nacquero così i primi contratti
obbligatori su merci non presenti su piazza e furono istituite le prime
forme di titoli documentali di credito
4
. Questo rapporto rese possibile la
creazione di regole speciali che venivano applicate agli scambi
commerciali. Con la nascita del diritto commerciale modernamente
inteso, si crearono così delle connessioni più ampie per gli scambi.
5
Sintomatica di questa nuova esigenza fu l’esplorazione commerciale
avvenuta nel XVI e XVII secolo verso il continente americano. Le grandi
2
Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia,
Vo l. I, Cedam, 1977, p. 27.
3
Arangio-Ruiz V., Società – storia del diritto, in Enc. Giur. Trecc., XXXI, 1949, p.
1002.
4
Fiale A., Diritto commerciale, 11° ed., Simone, 1997, p. 6.
5
Al contrario si può notare come il diritto commerciale moderno risponde agli
stimoli della produzione che, nel corso dei secoli, richiedono un sistema in grado di
agevolare un sistema di scambi più ampio.
6
distanze e le difficoltà del viaggio posero problematiche non indifferenti
nella riuscita di queste imprese. La necessità di reperire ingenti capitali e
assicurare un profitto adeguato, limitando al minimo le perdite, a chi
avesse disponibilità economiche forti, portarono alla creazione nel '600
delle Compagnie delle Indie: l’Oost Indische Compagnie olandese e l’East
India Company britannica, sono i modelli prototipali della moderna società
per azioni.
La particolarità principale di queste compagnie era quella di essere
costituite per atto di concessione sovrana: in questo periodo, l'accordo di
alcuni imprenditori con i sovrani rese reale la possibilità di allargare i
traffici commerciali senza tanti rischi economici. L'atto di costituzione
comportava un importante effetto giuridico, caratteristico ancor oggi di
questo tipo societario: la responsabilità limitata dei soci. Era proprio la
specialità del patto con il sovrano che rendeva possibile questo tipo di
responsabilità: vero è che la responsabilità limitata era già presente nella
forma della società in accomandita, ma altrettanto vero è che, in questo
tipo di società, la responsabilità limitata era accordata solamente ai soci
accomandanti, i quali non avevano la gestione dell'impresa. «Il sostegno
dello Stato presentava altri caratteri», oltre a quello della responsabilità
limitata; questi «armava flotte e muoveva gli eserciti»
6
(traslando il
discorso, si può dire che ciò era già avvenuto con Cristoforo Colombo
per la sua spedizione).
Essendo avvenuta una «progressiva trasformazione dell'economia
immobiliare in un'economia (anche) mobiliare, fondata sul commercio,
sull'intermediazione nella circolazione di merci»
7
ed una trasposizione
degli scambi dalle merci stesse, ai documenti che avevano ad oggetto
diritti che incidevano sulle merci
8
, l'altra caratteristica fondamentale di
questo tipo di società era la divisione del capitale sociale in azioni
9
. La
facilità di uscire dall'investimento effettuato, tramite la compravendita di
titoli azionari, permetteva un apporto di capitali maggiormente
6
Cfr. Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico
dell’Economia, Vol. I, Cedam, 1977, pp. 46 ss.
7
Spada P., Diritto Commerciale, parte generale: Storia, lessico e istituti, Cedam,
2004, p. 3.
8
Cfr. Spada P., Diritto Commerciale, parte generale: Storia, lessico e istituti,
Cedam, 2004, p. 6.
9
Cfr. Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico
dell’Economia, Vol. I, Cedam, 1977, pp. 48 ss.
7
appetibile. «L'azione diventò così lo strumento che permetteva alla classe
mercantile, di mobilitare le risorse finanziarie degli altri ceti sociali»
10
.
Un aspetto particolare da tenere in considerazione, già messo in
evidenza da Ariberto Mignoli, è l'organizzazione interna di queste
compagnie. Mentre nell'East Company, «la sovranità apparteneva alla
collettività dei partecipanti», che avevano un voto ciascuno e quindi
parità nelle decisioni, che eleggevano gli amministratori per alzata di
mano, e «avevano diritto ad una ripartizione periodica degli utili e al
rimborso del capitale in caso di liquidazione della società»; nell'Oost
Indische Compagnie, gli amministratori avevano potere assoluto e gli
azionisti solo con «il rinnovo de l'octrooi nel 1622», poterono nominare gli
amministratori, conferendo «ai “partecipanti principali” un limitato
controllo sulla gestione»
11
.
Con la prima rivoluzione industriale, si completò quel processo di
formazione della società per azioni. La necessità di aumentare la
produzione, con la conseguenza di reperire maggiori capitali, spinse
verso la “normalizzazione” di questo tipo societario. «La grande impresa
non era più un fenomeno per sua natura eccezionale» e proprio per
questo, gli imprenditori chiesero «che la società per azioni, diventasse un
ordinario strumento giuridico»
12
. Tuttavia rimaneva ancora qualche
retaggio delle epoche passate: la costituzione di questo tipo societario,
infatti, era ancora sottoposta all'autorizzazione governativa. In questo
periodo lo Stato cercò di coordinare gli interessi delle varie classi sociali
che erano presenti nella società per azioni. Con le codificazioni del 1800,
si crearono delle regole generali per la caratterizzazione di questo tipo
societario; si mirava a coordinare «l’interesse dell’uno con l’interesse degli
altri» e si fondava, quindi, «un modello d’impresa capitalistica basata,
anziché sull’autorità, sulla ricerca del consenso»
13
. Nel Code de Commerce
del 1808, il potere gestionale venne affidato tutto all'assemblea e gli
amministratori non erano altro se non “mandatari temporanei,
10
Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia,
Vol. I, Cedam, 1977, p. 49.
11
Cfr. Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico
dell’Economia, Vol. I, Cedam, 1977, pp. 51 ss.
12
Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia,
Vol. I, Cedam, 1977, p. 78.
13
Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia,
Vol. I, Cedam, 1977, p. 82.
8
revocabili, soci o non soci, salariati o gratuiti” (art. 31 c.c. 1808).
Vennero introdotte regole per una più ampia consultazione tra gli
azionisti, come la richiesta di convocazione dell'assemblea per discutere
su qualsiasi problema che interessasse l'impresa sociale.
Con il progresso della società e dell’economia, cambiarono anche le
ideologie sottese alla politica economica, riflessa nei singoli istituti
giuridici. Nella seconda metà dell'ottocento, il liberismo economico ebbe
una diffusione imponente: siamo ai bagliori del capitalismo. Gli
ordinamenti iniziavano a adeguarsi e, così in Francia come in Inghilterra,
venne abolita l'autorizzazione governativa per la costituzione della
società. Questo però non comportò un generale laissez-faire, anzi, vennero
create proprio in questo periodo, delle regole più specifiche per evitare
ineguaglianze troppo spropositate all'interno della società e «per
proteggere i creditori sociali»
14
: si pensi alla pubblicità degli atti sociali,
alle norme sulla responsabilità degli amministratori, nonché alle norme
che rafforzavano il potere assembleare.
L'evoluzione sociale, economica e giuridica, capovolse questi ultimi
aspetti, «agli sviluppi della democrazia politica... corrispose il regresso
della democrazia economica»
15
: così dalla metà degli anni '50 dello scorso
secolo, si assistette ad un esautoramento del potere assembleare, la sua
competenza verteva solo su materie specifiche, mentre il potere generale
di gestione venne, sempre più, affidato agli amministratori. «Il limite si
raggiunse, proprio in Olanda, nel 1971, quando la riforma societaria
impedì all'assemblea, di nominare gli amministratori»
16
.
14
Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia,
Vol. I, Cedam, 1977, p. 84.
15
Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia,
Vol. I, Cedam, 1977, p. 86.
16
Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia,
Vol. I, Cedam, 1977, p. 87.
9
Capitolo I. L’amministrazione delle società
per azioni in Italia
2. Organizzazione giuridica della società per
azioni
2.1 La possibilità di scelta (D. Lgs. n° 6 del 2003)
Con la Legge Delega 366/2001, il Parlamento ha fissato le direttive
principali per la riforma del diritto societario. Con il Decreto Legislativo
17 gennaio 2003, n° 6 il Governo ha attuato quei principi, modificando
sensibilmente la fisionomia delle regole sulle società. «L'elaborazione del
nuovo sistema di norme, è coincisa con un periodo in cui», in tutto il
mondo, «si era dovuta lamentare una serie preoccupante di crisi
societarie»
17
. Gli obiettivi della riforma erano dunque finalizzati
principalmente: a stimolare la nascita di nuove imprese, dare più spazio
all'autonomia statutaria, adeguare la normativa alle esigenze delle
imprese
18
.
Per quanto riguarda specificamente la società per azioni,
l'innovazione più radicale è stata la previsione di tre modelli alternativi di
amministrazione e controllo, infatti «la società per azioni si configura
come l'unica società di capitali nella quale il rapporto tra società e socio è
completamente spersonalizzato»
19
. La continua oscillazione delle
economie moderne, ha spinto i governi ad intraprendere nuove strade
giuridiche per cercare di regolarizzare il più possibile gli scambi
commerciali intrapresi dalle società. Naturalmente il campo
dell'amministrazione e controllo era il più appetibile e il più incisivo:
proprio con le innovazioni introdotte ci si è spinti il più possibile per
assicurare una competitività giuridica ed economica per le società aventi
sede nel territorio nazionale. Tuttavia, «l'influenza delle diverse tradizioni
giuridiche e dei diversi contesti economici in cui le società si trovano ad
17
Veronelli A., L’organo amministrativo nel sistema monistico: amministratori
indipendenti e funzioni di controllo, Giuffrè Editore, 2006, p. 3.
18
Cfr. Crosta R., La riforma del Diritto Societario: commento al D. Lgs.6/2003,
Simone, 2003, pp. 7 ss.
19
Crosta R., La riforma del Diritto Societario: commento al D. Lgs.6/2003, Simone,
2003, p. 17.
10
operare ha fatto sì, che i diversi modelli trapiantati in ambiti
culturalmente differenti, assumano significato e importanza diversa da
quella originaria»
20
, come si vedrà in seguito.
La previsione della diversità dei sistemi di governance, ha inoltre, la
caratteristica di essere una possibilità tutta italiana; infatti, negli altri
ordinamenti principali, questa triplice scelta non è contemplata. Le
ragioni per una decisione in questo senso, possono essere desunte dalle
parole del relatore per la VI Commissione, il quale sottolineava come «la
capacità del nostro sistema produttivo rimaga ancora troppo bassa e a
questo non può essere estraneo il quadro normativo»
21
.
Di certo, il nostro ordinamento ha adeguato la normativa interna al
Regolamento CE 2157/2001, che nel disciplinare la Società europea
prevede espressamente la possibilità di scegliere tra un sistema dualistico
e uno monistico: «il riconoscimento della possibilità di adottare diversi
sistemi di amministrazione e controllo all'interno di un singolo paese e
l'ampia flessibilità delle norme potrebbero portare ad una concorrenza
non soltanto tra i diversi ordinamenti dell'Unione Europea ma anche tra
i diversi sistemi di amministrazione e addirittura anche tra le singole
clausole statutarie»
22
.
Un ultimo problema può essere sollevato dalla previsione di adottare,
da parte delle società quotate, uno dei sistemi alternativi di governance.
All'indomani dell'entrata in vigore del D. Lgs. 6/2003, si prospettava
un'incompatibilità delle nuove norme con i principi dettati dalla Legge
Draghi (D. Lgs. 58/1998), sopratutto per quanto riguardava la
rappresentanza delle minoranze negli organi di governo societario e
conseguentemente la regolarità della gestione aziendale. Pur se in modo
tortuoso, con una serie di rinvii, modifiche ed aggiunte, sia alla riforma
del diritto societario che al testo unico della finanza, il D. Lgs. 37/2004
ha posto fine al dibattito stabilendo, in sostanza, che per quanto riguarda
la disciplina degli organi amministrativi e di controllo dei nuovi modelli,
si fa riferimento alle norme sul collegio sindacale, in quanto compatibili.
20
Veronelli A., L’organo amministrativo nel sistema monistico: amministratori
indipendenti e funzioni di controllo, Giuffrè Editore, 2006, p. 15.
21
Camera Dei Deputati, XVI Legislatura, Resoconto delle Commissioni riunite II
(Giustizia) e VI (Finanze), 10 luglio 2001, pp. 14 ss.
22
Malberti C., Gli amministratori a cura di Ghezzi F., in Commentario alla riforma
delle società diretto da Marchetti P., Bianchi L.A., Ghezzi F., Notari M., Giuffrè
Editore, 2005, p. 56.
11
La critica di fondo che può essere mossa al legislatore nella redazione
delle norme sulla scelta del sistema di governance consiste da un lato,
nell’aver sottovalutato l’importanza del cambiamento delle regole che
presiedono all’amministrazione ed al controllo della società, regole che
attengono ad un profilo centrale del contratto di società; dall’altro lato,
nell’aver erroneamente presupposto un’equivalenza dei tre sistemi
rispetto all’assetto degli interessi endosocietari, in particolare nella
dialettica tra maggioranza e minoranza.
23
Nonostante le critiche ricevute da una parte della dottrina, la quale ha
sostenuto l'appiattimento delle norme riguardanti i nuovi sistemi di
amministrazione, su quelle relative al sistema tradizionale
24
, la riforma ha
la possibilità di dare i propri frutti nel lungo periodo.
2.1.1 I modelli di governance
«Al centro dell'organizzazione interna della società per azioni si trova
l'organo amministrativo e non più, da quando il capitalismo è uscito dalle
sue prime fasi di sviluppo, l'assemblea»
25
. Il D. Lgs. 6/2003 ha enucleato
una serie di norme che evidenziano l'evoluzione del governo societario,
introducendo la possibilità di scelta fra tre diversi modelli alternativi di
amministrazione e controllo.
L'art. 2380 c.c. introduce la possibilità di scegliere, oltre al
tradizionale modello di governance composto dal consiglio di
amministrazione e dal collegio sindacale, un modello monistico, di origine
anglosassone, basato sulla presenza di un comitato per il controllo sulla
gestione all'interno del consiglio di amministrazione, e un modello
dualistico, di origine tedesca, che prevede un comitato per la gestione e un
comitato per il controllo. Tralasciando per ora le specifiche peculiarità di
ogni modello, si può presupporre che l'adozione di questi sistemi
alternativi susciti vari problemi. «Il concetto di governo societario allude
comunemente ad un sistema mediante il quale le società sono dirette e
23
Poli S., Il nuovo diritto delle società, Commentario a cura di Alberti Maffei A.,
Vol. I, Cedam, 2005, p. 647.
24
Poli S., Il nuovo diritto delle società, Commentario a cura di Alberti Maffei A.,
Vol. I, Cedam, 2005, pp. 626 ss.
25
Mosco G.D., Società di Capitali, Commentario a cura di Niccolini G., Stagno
d’Alcontres A., Vol. II, Jovena, 2004, p. 579.
12
controllate»
26
, «il termine di governance può essere inteso come il
momento di incontro degli interessi in gioco, in relazione al quale viene
disegnata la disciplina giuridica»
27
.
La scelta di modificare il sistema di governo, in modo da garantire
l'efficienza più alta e competitiva possibile, è dovuta a una valutazione in
concreto degli interessi delle imprese e ha portato il legislatore a garantire
dal punto di vista normativo quella libertà di gestione che richiede oggi
l'economia. Tuttavia si nota ancora come questo complesso di norme sia
troppo indietro rispetto alle esigenze dei mercati e si è arrivati a criticare
queste novità, adducendo un eccesso di esterofilia, da una parte, e
un'inadeguatezza di questi modelli all'ordinamento italiano, dall'altra.
Il sistema tradizionale resta quello base, scelto dal legislatore come
punto di riferimento per gli altri due: «se lo statuto non dispone
diversamente, l'amministrazione e il controllo della società sono regolati
dai paragrafi 2, 3 e 4» (art. 2380 c.c.). Grazie a questa scelta, molte delle
norme che regolano gli altri due modelli, rinviano alla disciplina del
modello tradizionale: caratterizzando la scarsa differenziazione tra i vari
modelli per quanto riguarda la responsabilità, i poteri e le funzioni
28
.
Da un punto di vista quantitativo, l'opinione diffusa converge
nell'affermare la scarsa utilizzabilità di questi modelli alternativi,
sopratutto per l'impossibilità di affidare l'amministrazione ad organi
unipersonali; anche se, sotto questo punto di vista, la riforma mira a
superare una tendenza tutta italiana, della non separazione della proprietà
dalla gestione dell'impresa in forma sociale, dovuta in particolar modo
dalla caratteristica dimensionale delle nostre aziende. Da un punto di
vista qualitativo, invece, si è concordi nel sottolineare come i due modelli
alternativi siano appetibili sopratutto da alcune tipologie di società (ad
esempio, per il modello dualistico nelle società aperte)
29
.
Per quanto riguarda infine l'adozione di uno dei modelli di governance,
«lo statuto può prevedere e regolamentare tutti e tre i sistemi consentiti
26
Veronelli A., L’organo amministrativo nel sistema monistico: amministratori
indipendenti e funzioni di controllo, Giuffrè Editore, 2006, p. 34.
27
Cfr. Veronelli A., L’organo amministrativo nel sistema monistico: amministratori
indipendenti e funzioni di controllo, Giuffrè Editore, 2006, p. 35, nota 54.
28
Cfr. Mosco G.D., Società di Capitali, Commentario a cura di Niccolini G., Stagno
d’Alcontres A., Vol. II, Jovena, 2004, pp. 583 ss.
29
Cfr. Poli S., Il nuovo diritto delle società, Commentario, a cura di Alberti Maffei
A., Vol. I, Cedam, 2005, pp. 632 ss.
13
dalla riforma, ma la decisione di cambiare il sistema deve, in ogni caso,
essere adottata dall'assemblea straordinaria con le forme e le modalità
previste per le modifiche statutarie»
30
. «Nel caso di società già costituite,
la variazione avrà effetto a decorrere dall'assemblea che approva il
bilancio di esercizio successivo a quello in cui è adottata la
modificazione»
31
.
2.2 Il modello tradizionale
La riforma delle società (D. Lgs. 6/2003) ha decretato il modello
tradizionale di amministrazione, come modello base per la disciplina
dell’amministrazione e controllo. Il sistema è basato sulla presenza di un
consiglio d’amministrazione e di un organo di controllo, il collegio
sindacale, con la previsione di un revisore contabile, quando sia
necessario
32
.
Il legislatore ha notevolmente aggiornato le norme che riguardano il
modello ordinario, sottolineando come la gestione della società sia
affidata agli amministratori (art. 2380 bis c.c.). Partendo da questo
assunto, si è cercato di arrivare ad una specificazione della divisione dei
compiti all’interno della società, rafforzando l’autonomia degli
amministratori e definendo i poteri dell’assemblea: quest’ultima può
essere coinvolta nel processo decisionale solamente per determinati atti,
che vengono previamente indicati nello statuto.
Con la nuova disciplina dell’art. 2380 bis c.c. viene definito il potere
gestorio: questo «riguarda tutte le operazioni, ossia fatti, atti ed attività
più complesse, volti ad attuare l’oggetto statutario, ossia che si pongono
30
Cfr. Poli S., Il nuovo diritto delle società, Commentario a cura di Alberti Maffei
A., Vol. II, Cedam, 2005, p. 638.
31
Crosta R., La riforma del Diritto Societario: commento al D. Lgs.6/2003, Simone,
2003, p. 80.
32
Art. 2409 bis c.c. come modificato dall’art. 37 D.Lgs. 39/2010: “Oltre alle
funzioni di controllo contabile, che nel precedente sistema spettavano ai sindaci, il
revisore deve verificare, con periodicità almeno trimestrale, la corretta rilevazione
nelle scritture contabili dei fatti di gestione. Il revisore contabile è sempre presente,
senza eccezioni, nelle società che adottano il sistema dualistico o monistico, mentre
nelle società che adottano il sistema tradizionale può facoltativamente essere
sostituito dal collegio sindacale nelle società che, oltre a non far ricorso al mercato
del capitale di rischio, non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato. Nelle
società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio il controllo contabile è
esercitato da una società di revisione, mentre nelle altre società esso può essere
esercitato anche da una persona fisica, purché iscritta nel registro dei revisori
contabili.”
14
in rapporto di strumentalità con il suo conseguimento»
33
. Gli
amministratori costituiscono, dunque, «l’esecutivo della società», che si
rivela particolarmente forte, data la formulazione del comma 1 dell’art.
2380 bis c.c.: questi sono titolari di un potere primario che attiene a tutti i
possibili atti inerenti la gestione societaria.
34
La sancita inderogabilità
della competenza degli amministratori è sottolineata dal fatto che questi
ultimi, nonostante le indicazioni dell’assemblea, possano discostarsi dalle
indicazioni stesse, quando siano contrarie ai doveri propri di un
amministratore, per non incappare in azioni di responsabilità.
35
Essendo il modello di default, il sistema ordinario è regolato in
maniera precisa. Dopo aver definito il ruolo specifico degli
amministratori, il legislatore ha disciplinato lo svolgimento pratico della
funzione.
Innanzitutto, l’amministrazione può essere affidata, in base ad un
rapporto di fiducia da parte dell’assemblea degli azionisti, ad un
amministratore unico, anche non socio, che abbia delle specifiche
competenze e che non sia stato interdetto, inabilitato, dichiarato fallito o
condannato ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea,
dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi (art. 2382
c.c.). Secondo la dottrina prevalente, la natura del rapporto che legava gli
amministratori alla società non era qualificabile come rapporto di
mandato: il carattere ampio ed articolato delle funzioni attribuite agli
amministratori dalla legge, il carattere inderogabile delle stesse, la
posizione di formale autonomia degli amministratori rispetto
all’assemblea, nonché la sottoposizione degli stessi ad una serie di
controlli interni ed esterni, sono i principali argomenti a sostegno di
questa tesi. Tuttavia, prendendo spunto dalle norme sulla responsabilità
degli amministratori, le quali, prima della riforma, definivano lo standard
di diligenza dei consiglieri attraverso il richiamo alle norme sulla diligenza
del mandatario, questo rapporto veniva comunque ricondotto allo
schema tipico delle norme sul mandato
36
. Pertanto, si è cercato di
33
Cass. civ., 13 febbraio 1992, n. 1759, in Giur. comm., II, 1998, p. 502; cfr.
Bianchi G., Gli amministratori di società di capitali, 2° ed., Cedam, 2006, pp. 9 ss.
34
Galgano F., Trattato di Diritto Commerciale e di Diritto Pubblico dell’Economia,
Vo l. XXIX, Tomo I, 3° ed., Cedam, 2006, p. 423.
35
Bianchi G., Gli amministratori di società di capitali, 2° ed., Cedam, 2006, p. 11.
36
Artt. 1710 ss. c.c.
15
definire il rapporto in esame come un vero e proprio rapporto tipico, la
cui disciplina, pur essendo autonoma, si prestava ad essere integrata
attraverso l’applicazione analogica delle norme sul mandato.
37
Oltre agli amministratori nominati dall’assemblea, assume rilievo
giuridico anche il cosiddetto amministratore di fatto: questo è «colui che
esercita in concreto funzioni di amministrazione in una società di capitali
con il consenso di tutti i soci, anche se non espresso in una formale
deliberazione dell’assemblea»
38
.
Qualora l’amministrazione, invece, venga affidata a più persone, si
forma il consiglio d’amministrazione. La legge lascia ampio spazio
all’autonomia privata in tema di composizione di quest’ultimo: stabilisce,
infatti, l’art. 2380 bis c.c. che «se lo statuto non stabilisce il numero degli
amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e minimo,
la determinazione spetta all’assemblea». «È illegittima la clausola dello
statuto di una società, la quale preveda un numero minimo di
componenti del consiglio di amministrazione senza indicare anche il
numero massimo, in contrasto con l’art. 2380 bis, comma 3, c.c.»
39
. «È
anche ammesso che l’atto costitutivo possa prevedere, come numero
minimo, due soli amministratori
40
; in tale ultima ipotesi tuttavia, non è
consentita la prevalenza del voto del presidente
41
».
42
L’assemblea o il consiglio d’amministrazione stesso possono
nominare un presidente, che oltre ad avere funzioni amministrative
generali, convoca e dirige l’attività dell’organo
43
; frequentemente, poi, lo
statuto gli attribuisce la rappresentanza legale della società: tuttavia, ciò
non comporta che egli sia responsabile in proprio dell’attività di gestione
dell’impresa, dato che questa spetta sempre e obbligatoriamente al
consiglio.
44
L’articolo 2381 c.c. disciplina i compiti del presidente e la
possibilità di nomina di un comitato esecutivo o di alcuni amministratori
37
De Nicola A., Gli amministratori a cura di Ghezzi F., in Commentario alla
riforma delle società diretto da Marchetti P., Bianchi L.A., Ghezzi F., Notari M.
Giuffrè Editore, 2005, pp. 80-81.
38
Trib. Milano, 11 dicembre 1997, in Le società, 1998, pag. 802; cfr. anche Bianchi
G., Gli amministratori di società di capitali, 2° ed., Cedam, 2006, pp. 19 ss.
39
Trib. Cassino, 18 gennaio 1991, in Le società, 1991, p. 1369; Bianchi G., Gli
amministratori di società di capitali, 2° ed., Cedam, 2006, p. 30.
40
Trib. Napoli, 21 giugno 1996, in Le società, 1997, p. 71.
41
Trib. Milano, 18 luglio 1984, in Le società, 1984, p. 1363.
42
Bianchi G., Gli amministratori di società di capitali, 2° ed., Cedam, 2006, p. 15.
43
Art. 2381, comma 1, c.c.
44
Bianchi G., Gli amministratori di società di capitali, 2° ed., Cedam, 2006, p. 16.
16
delegati (comma 2). Naturalmente, la legge stabilisce che sia comunque
l’organo collegiale, a stabilire i limiti della delega (comma 3) e vi deve
essere un continuo scambio di informazioni, «con periodicità fissata dallo
statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi» (comma 5).
Le problematiche connesse alla nomina ed alla revoca degli
amministratori sono affrontate nell’art. 2383 c.c. ai sensi del quale «si
ribadisce che la nomina spetta in generale all’assemblea, con l’eccezione
dei primi amministratori, che sono nominati nell’atto costitutivo».
45
La
nomina, in alcuni casi, può essere riservata ai possessori di strumenti
finanziari forniti di diritti patrimoniali e partecipativi
46
o allo Stato o ad
altro ente pubblico
47
. Gli amministratori sono revocabili dall’assemblea
in qualunque tempo, salvo il diritto dell’amministratore del risarcimento
del danno, qualora la revoca avvenga senza giusta causa.
48
Per quanto concerne il potere di rappresentanza, il nuovo articolo
2384 c.c. stabilisce che questo è generale (comma 1) e che «le limitazioni
ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una
decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se
pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito
a danno della società»
49
. La Relazione al testo legislativo chiarisce il
punto in merito a quest’aspetto: «… nei rapporti esterni, per tutelare
l’affidamento dei terzi – e salva l’exceptio doli – sia gli atti compiuti
dall’amministratore munito del potere di rappresentanza ma privo del
potere di gestione (atti estranei all’oggetto sociale o casi di dissociazione
del potere di rappresentanza dal potere di gestione), sia gli atti che
eccedono i limiti – anche se pubblicati – ai poteri di gestione o di
rappresentanza, rimangono validi e impegnativi; nei rapporti interni,
invece, la mancanza o l’eccesso di potere e l’estraneità dell’atto
all’oggetto sociale restano rilevanti quale base per un’azione di
responsabilità (artt. 2393 e 2393 bis c.c.), quale giusta causa di revoca (art.
2383, 3° comma, c.c.) e quale motivo di denuncia al collegio sindacale o
45
Crosta R., La riforma del diritto societario:commento al D. Lgs. 6/2003, Simone,
2003, p. 83.
46
Art. 2351, 5° comma, c.c.
47
Artt. 2449 e 2450, c.c.
48
Art. 2383, 3° comma, c.c.
49
Art. 2384, 2° comma, c.c.