2
Recentemente, il lavoro di Kuznets è stato ripreso da Williamson e Lindert che,
studiando i dati relativi a Stati Uniti e Gran Bretagna (Kuznets aveva svolto la propria
indagine sui dati relativi ai medesimi Paesi, più la Germania), sono giunti alla stessa
conclusione
3
. Pur con la dovuta cautela rispetto all’interpretazione del fenomeno (le
spiegazioni di Kuznets ad alcuni appaiono troppo semplificate, basate su assunzioni
meccanicistiche), l’esistenza di una relazione «a gobba»
4
tra sviluppo e disuguaglianza
sembra confermata per un certo numero di Paesi avanzati.
La scoperta della curva di Kuznets, in particolare, permetteva di superare le precedenti
concezioni sulla natura e l’evoluzione della disuguaglianza, in particolare quella di Marx
e quella di Pareto. Marx era infatti convinto che le disuguaglianze (sia all’interno di un
Paese che tra le nazioni) fossero inevitabilmente destinate a crescere a causa della
struttura stessa del sistema capitalistico (Piketty 2002, p. 16). Pareto, invece, sul finire
del XIX secolo formulò una propria ipotesi (nota poi come «legge di Pareto») basata
sull’osservazione delle statistiche fiscali disponibili all’epoca. Egli notò quindi che la
distribuzione delle entrate dei contribuenti era riassumibile da una semplice formula
matematica, il cui parametro fungeva da indicatore sintetico di disuguaglianza (α). E
poiché tale indicatore risultava essere costante, sia nello spazio che nel tempo, Pareto
ne trasse la conclusione che la disuguaglianza nella ripartizione dei redditi dipendesse
«… molto più dalla natura stessa degli uomini che dall’organizzazione economica della
società» (in Brandolini 1997, p. 226). Ragion per cui qualunque modificazione, per
quanto profonda, della struttura stessa della società, non avrebbe avuto che poca
influenza sulla ripartizione dei redditi (una ripartizione che a questo punto assomigliava
ad una vera e propria «legge naturale»). Questa visione quasi «aristocratica» della
disuguaglianza era comunque già stata confutata dall’evidenza empirica, ancor prima
che dagli studi di Kuznets: a seguito di un lungo dibattito accademico, l’applicazione
dello stesso metodo paretiano ad un elevato numero di dati di diversi Paesi dimostrò
3
Il lavoro di Williamson e Lindert è stato duramente criticato per i metodi di calcolo da Feinstein, in
particolare per quel che riguardava i dati relativi alla Gran Bretagna. La risposta di Williamson a questi
attacchi è stata l’osservazione che l’imprecisione di alcune fonti da lui usate non pregiudicava il quadro
complessivo. Inoltre, «nonostante i forti dubbi sollevati da Feinstein, i contributi di Williamson
rimangono per gli storici dell’economia il termine di riferimento nel campo della ricerca sulla
distribuzione del reddito» (Brandolini 1997, p. 235)
4
È l’espressione usata da Checchi (1997), p. 93
3
come la «legge di Pareto» fosse inesatta. L’economista Bresciani-Turroni, in particolare,
giunse alla conclusione che la disuguaglianza fosse maggiore nelle zone industriali che
in quelle agricole, nella aree urbane che nelle campagne, nelle grandi città che nelle
piccole, e che «… la forma tipica della curva dei redditi… [è] determinata, piuttosto
che dalla natura dell’uomo, dalla organizzazione economico-privata della nostra
società» (in Brandolini 1997, p. 226) – peraltro anticipando in parte le argomentazioni
di Kuznets di circa 15 anni.
2. Inversione della curva di Kuznets
Kuznets (e i lavori di Williamson e Lindert sembrano confermare questa ipotesi)
individuò differenti periodi in cui era possibile collocare il vertice della curva, a
seconda del Paese analizzato: negli Stati Uniti la disuguaglianza, dopo essere aumentata
nel corso del XIX secolo e nei primi anni del XX, iniziò a calare nel periodo a cavallo
del 1929 e si ridusse ancor più negli anni successivi al secondo conflitto mondiale. Nel
Regno Unito, le disuguaglianze avevano già iniziato a diminuire all’inizio del 1900, con
un trend che era continuato fino alla fine della seconda Guerra Mondiale. Il caso della
Germania risultava più complesso, in quanto le disuguaglianze avevano iniziato a
ridursi a partire dal 1913, ma la depressione degli anni trenta le aveva riportate ai livelli
dell’anteguerra (Kuznets 1955). In ogni caso, i dati di Kuznets si fermavano all’inizio
degli anni Cinquanta. Fu compito degli studi successivi confermare questo andamento,
e le fonti disponibili suggeriscono che lo stesso fenomeno si è in effetti verificato in
tutti i Paesi occidentali (Piketty 2002, p. 17). Se dunque l’ipotesi di Kuznets era stata
confermata, se i dati dimostravano questa tendenza dei redditi verso l’uguaglianza,
come mai non si è assistito alla fine delle disuguaglianze di reddito all’interno dei Paesi
industrializzati? La risposta è da ricercare nell’andamento della curva di Kuznets nel
secondo dopoguerra.
Anthony Atkinson e Andrea Brandolini hanno presentato nel 2004 una ricerca di
lungo periodo sull’andamento delle disuguaglianze in otto Paesi industrializzati (Stati
Uniti, Regno Unito, Canada, Svezia, Finlandia, Repubblica Federale Tedesca, Francia e
Italia), utilizzando come metodo di misurazione l’indice di Gini
5
, indice di immediata
5
L’indice di Gini «…ha il grosso vantaggio di sintetizzare in un numero il grado di concentrazione della
distribuzione osservata» (Checchi 1997, p. 12). Si tratta di un numero compreso tra 0 ed 1, in cui 0
4
percezione. I due autori dimostrano quindi come la disuguaglianza in tutti i Paesi
analizzati è diminuita o è restata quantomeno stazionaria tra la fine della seconda
Guerra Mondiale e gli anni settanta del secolo scorso; nel caso di Stati Uniti e Gran
Bretagna, per i quali esistono dati sufficientemente precisi anche per il periodo
antecedente il conflitto, viene confermato il vertice della curva nei periodi individuati
da Kuznets (Atkinson e Brandolini 2004).
A partire dalla seconda metà degli anni settanta, però, e in misura maggiore negli anni
ottanta, la curva di Kuznets sembra invertirsi: le disuguaglianze dei redditi tornano ad
aumentare in quasi tutti i Paesi analizzati, anche se con differenti intensità dovute alle
specificità nazionali. Quest’inversione della tendenza nell’andamento della
disuguaglianza è sottolineato da diversi autori, tanto che Piketty giunge ad affermare
che «la curva di Kuznets è veramente morta»
6
(Piketty 2002, p. 21). L’aumento delle
disuguaglianze è stato particolarmente drammatico negli Stati Uniti ed in Gran
Bretagna, così come in Svezia, anche se in misura minore. Negli Stati Uniti l’indice di
Gini è aumentato di più di tre punti percentuali dalla seconda metà degli anni settanta
al 1992, con una tendenza ad un ulteriore aumento; nel Regno Unito l’indice di Gini
aumenta vertiginosamente di sette punti percentuali tra il 1985 ed il 1990, mentre già
dalla fine degli anni settanta al 1985 esso si era riportato sui valori dell’immediato
dopoguerra (negli anni novanta l’aumento delle disuguaglianze sembra essersi arrestato
in Gran Bretagna, segno che si è trattato di un episodio particolarmente intenso, ma
non di una tendenza di lungo periodo); in Svezia, dove l’indice di Gini aveva seguitato
a diminuire tra il 1967 ed il 1982, si osserva un’inversione della tendenza attorno ai
primi anni ottanta, ed una crescita continua per tutti gli anni novanta (nel 1990 la
disuguaglianza risultava essere ritornata al livello del 1975). Negli altri cinque Paesi
presi a riferimento nell’analisi di Atkinson e Brandolini, l’andamento dei redditi è più
complesso da interpretare: prendendo a riferimento i redditi disponibili (ossia quelli
costituiti dalla somma, oltre che dei redditi da lavoro e da capitale, anche dei
indica che i redditi sono distribuiti in maniera perfettamente uguale, ed 1 significa che tutti i redditi sono
concentrati in mano ad una persona. Naturalmente, nella realtà l’indice di Gini si trova sempre in un
punto intermedio tra questi due estremi, ma quanto più esso si avvicina ad 1, tanto più i redditi in quel
Paese sono distribuiti in maniera disuguale.
6
Altri autori preferiscono parlare di «grande inversione ad U» («the Great U-Turn»), a significare
un’inversione nella direzione della curva di Kuznets (Alderson e Nielsen 2002).
5
trasferimenti pubblici, e al netto delle imposte), la disuguaglianza non è aumentata in
maniera significativa, anche se si rileva comunque quantomeno un arresto nella sua
diminuzione; in Canada si è invece leggermente ridotta. Se al contrario si fa riferimento
ai redditi di mercato (ossia la mera somma dei redditi da lavoro e da capitale, al lordo
delle imposte), l’aumento delle disuguaglianze a partire dagli anni ottanta è confermato
anche nei restanti Paesi. Questa differenza sta a significare che molto, nell’andamento
della disuguaglianza, dipende dalle misure adottate dallo Stato per contrastare il
fenomeno. Il confronto tra Stati Uniti e Canada inquadra bene la questione: mentre il
mercato del lavoro e la disuguaglianza salariale avevano andamenti simili nei due Paesi,
l’indice di Gini è aumentato enormemente nel primo caso, mentre ha continuato a
diminuire (seppur leggermente) in Canada. Si tratta di un tema su cui torneremo nel
capitolo conclusivo.
3. Ulteriori conferme dell’aumento delle disuguaglianze
Atkinson e Brandolini avvertono più volte nel corso del loro articolo che i dati ivi
riportati devono essere presi con cautela, e invitano a non estrapolarne tendenze
generali
7
. Tuttavia, le loro conclusioni sembrano confermate anche da altri studi. Nel
1995, il LIS (Luxembourg Income Study)
8
ha pubblicato uno studio sulla
disuguaglianza dei redditi (redditi disponibili, ossia al netto delle imposte e tenendo
conto dei trasferimenti pubblici) confrontando i dati di diversi Paesi su base OCSE. I
dati sono elaborati come differenziali P90/P10: vale a dire che, ripartendo la
popolazione in base al reddito percepito (dal più basso al più alto), e scomponendo
questa ripartizione in 10 gruppi di egual misura (ossia in decili, ognuno rappresentante il
dieci per cento della popolazione, dal 10 per cento più povero al 10 per cento più
7
In particolare, i due autori fanno notare come «… molte ragioni possono limitare la comparabilità
delle statistiche sulla distribuzione del reddito nel tempo o tra paesi». Ad esempio, differenze nelle
definizioni, oppure la stessa natura delle fonti originarie (può trattarsi di indagini campionarie o archivi
amministrativi). Essi concludono specificando che «i trend non sembrano essere alterati radicalmente da
queste differenze nelle definizioni. È evidente, tuttavia, che una serie storica ottenuta accostando indici
calcolati con criteri diversi è in genere priva di significato» (Atkinson e Brandolini 2004, p. 414)
8
Il Luxembourg Income Study (LIS) è un ambizioso progetto, iniziato nel 1983 e dotato di una propria
infrastruttura, che mira ad armonizzare i dati sui redditi familiari provenienti da diversi Paesi; suo scopo
è di mettere a disposizione delle scienze sociali un’ampia quantità di dati comparabili (Smeeding 2002a)
6
ricco), il differenziale P90/P10 rappresenta il rapporto fra il limite inferiore del decimo
decile ed il limite superiore del primo decile. In termini grezzi, si può descrivere come
il rapporto tra il reddito più basso riscontrabile nel 10 per cento più ricco della
popolazione ed il reddito più alto riscontrabile tra il 10 per cento più povero. Ebbene,
«il rapporto P90/P10 è passato da 4,9 a 5,9
9
negli Stati Uniti fra il 1979 e il 1986, e da
3,5 a 3,8 in Gran Bretagna» (Piketty 2002, p. 20), ed anche nei Paesi scandinavi si è
verificato un leggero aumento delle disuguaglianze (da 2,8 a 2,9 in Norvegia e da 2,5 a
2,7 in Svezia). Stabile invece il differenziale in Francia. Quello che importa sottolineare,
come fa Piketty, è che in ogni caso «la disuguaglianza dei redditi ha smesso ovunque di
decrescere negli anni ottanta-novanta», anche (come si è visto) in quei Paesi come
Svezia e Norvegia dove tradizionalmente è più forte il sistema di Welfare e dove le
politiche redistributive dovrebbero mitigare la tendenza alla dispersione dei redditi. Un
dato significativo sulla forza dei fattori alla base della spinta verso la disuguaglianza.
Studi ancora più recenti confermano l’aumento delle disuguaglianze a partire dagli anni
settanta-ottanta (Smeeding 2002, Förster e Pearson 2000). Si deve a Timothy Smeeding
il merito di aver unito in un’unica comparazione i risultati di molti di questi studi. In
TABELLA 2 sono riportati i trend sulla distribuzione dei redditi di numerosi paesi,
classificati con dei segni: segno meno (-) se le disuguaglianze sono diminuite nel
periodo di riferimento, e segno più (+) se le disuguaglianze si sono accresciute. Quello
9
Ciò vuol dire che per entrare nel 10 per cento più ricco della popolazione, il 10 per cento più povero
deve aumentare il proprio reddito di 5,9 volte nel 1986, mentre bastavano 4,9 volte nel 1979.
TABELLA 1
L’AUMENTO DELLE DISUGUAGLIANZE SALARIALI DOPO IL 1970, MISURATO DAL RAPPORTO P90/P10
1970 1980 1990
Stati Uniti 3,2 3,8 4,5
Gran Bretagna 2,5 2,6 3,3
Giappone 2,5 2,8
Italia 2,3 2,5
Germania 2,5 2,5
Svezia 2,1 2,0 2,1
Francia 3,7 3,2 3,2
Fonte: rielaborazione (dal trend più crescente al meno crescente) di tabella 7, p. 18, Piketty (2002)