notevolmente superiore rispetto a quelle che utilizzano le autorità”1. Quindi, tentare di
organizzare la società per uno scopo sociale definito, come fanno i sostenitori della giustizia
sociale, conduce alla distruzione dell'ordine di mercato e alla perdita della libertà che
quest'ordine assicura.
Per compredere appieno le critiche di Hayek alla giustizia sociale bisogna innanzitutto
considerare la sua critica alla concezione “costruttivista” della società, che il pensatore
austriaco oppone a quella liberale, e alla pianificazione economica di stampo socialista. Esse
sono fondamentali per capire la visione negativa che Hayek ha nei confronti della giustizia
sociale e la sua conseguente dura condanna. Ciò verrà fatto nel primo capitolo.
Nel secondo capitolo verrà spiegata la concezione hayekiana della “legge” e del rule of law,
fondamentale, nella visione del pensatore austriaco, per il funzionamento della Grande
società.
Nel terzo e quarto capitolo sarà esaminato il modo in cui Hayek considera l'idea di una
giustizia sociale e quindi, nello specifico, le sue argomentazioni contro la giustizia sociale e
le ragioni per cui essa si presenta a suo dire incompatibile con una società libera. In seguito,
nel quinto capitolo verranno prese in considerazione le contraddizioni e le incoerenze del
rule of law, che, come vedremo, così come inteso da Hayek, si rivela non solamente
incompleto ma in contrasto in alcuni punti con la stessa concezione liberale.
Infine, l'ultimo capitolo è dedicato all'analisi delle critiche hayekiane alla giustizia sociale e
al concetto di Grande società. Verrà mostrato quanto Hayek medesimo si contraddica nel
suo ragionamento, mettendo in luce come la giustizia sociale non sia affatto inconciliabile
con un ordine di mercato, ma sia, piuttosto, l'idea della Grande società ad apparire alquanto
utopica ed irrealistica.
1 Dario Antiseri, Friedrich A. von Hayek visto da Dario Antiseri, pp. 50
La presunzione che conduce alla schiavitù
La presunzione fatale
A detta di Hayek la civiltà occidentale dipende, non soltanto nella sua origine, ma anche per
la sua conservazione, da quello che può essere descritto come l'”ordine esteso” della
cooperazione umana, un ordine più comunemente conosciuto come capitalismo. Questo
ordine esteso non è derivato da un disegno o da un'intenzione umana ma è il risultato
spontaneo di un processo di evoluzione, sorto dal conformarsi degli uomini a certe pratiche
tradizionali e morali, adottate poiché esse facevano aumentare di numero e in benessere i
gruppi che le seguivano rispetto ad altri gruppi2.
Secondo Hayek, quindi, la nostra morale non è né istintuale né una creazione della ragione,
ma costituisce una tradizione separata (non è un fatto biologico, ma culturale3), sviluppatasi
contemporaneamente alla nostra ragione e che, anzi, supera le capacità di quest'ultima.
Infatti, essa consente addirittura di adattarci a problemi e circostanze che vanno ampiamente
al di là delle nostre capacità razionali.
Sul piano economico, l'adesione a queste regole non espresse4 ha prodotto l'ordine di
mercato.
Nel mercato la distribuzione delle risorse è effettuata attraverso un processo impersonale nel
quale gli individui, agendo per i loro fini, non conoscono e non possono conoscere quale
sarà il preciso risultato delle loro interazioni. Le circostanze che determinano ciò che
ciascuno deve fare per raggiungere i propri fini includono decisioni sconosciute di molti
altri individui sconosciuti circa i mezzi da usare per i propri scopi. L'informazione che
individui e organizzazioni possono utilizzare è, perciò, necessariamente parziale, ed è
trasmessa da segnali (i prezzi) attraverso lunghe catene di individui. Non di meno, l'intera
2 Friedrich A. von Hayek, Presunzione fatale, pp. 33
3 Biagio Muscatello, Friedrich A. von Hayek. Capitale, giudizi di valore e principi di ordine, pp. 247
4 Ibid., pp. 248
struttura delle attività tende ad adattarsi, attraverso questi segnali frammentari, alle
condizioni da nessuno previste e a tutti sconosciute.
Ciò accade perchè ogni individuo ha la possibilità di decidere come meglio utilizzare le
risorse a propria disposizione, e perchè nessun altro potrebbe utilizzare meglio quelle risorse
all'infuori di esso. Nessuno può comunicare a un altro tutto ciò che egli conosce, perché
molta dell'informazione che egli può usare verrà fuori soltanto mentre farà piani per
l'azione. Quindi, tanto più le decisioni saranno decentralizzate, tanto più efficace sarà
l'ordine complessivo. In questo modo è possibile il più completo sfruttamento di conoscenze
diffuse.
“Il mercato è, perciò, l'unico modo conosciuto per fornire informazioni che rendono capaci
gli individui di giudicare i vantaggi comparati di usi diversi di risorse delle quali hanno
immediata conoscenza, e attraverso il cui uso, che lo intendano o no, essi servono alle
necessità di individui distanti e sconosciuti”5. Questa conoscenza è essenzialmente dispersa
e non può essere in alcun modo raccolta e convogliata verso un'autorità incaricata di creare
l'ordine deliberatamente.
Ciò che caratterizza quest'ordine, lo fa funzionare e lo rende tanto efficiente rispetto ad altri
modi di distribuzione sono proprio le differenze tra individui dunque, che aumentano il
potere del gruppo in cui c'è collaborazione ben oltre la somma degli sforzi individuali. La
differenziazione delle attività mette in gioco talenti distinti, che sarebbero rimasti inutilizzati
se i loro possessori fossero stati costretti a lottare isolatamente per la propria sussistenza. I
contributi particolari degli individui possono essere sufficienti a fornire loro i mezzi di
sostentamento e anche a dare un contributo maggiore di quello che altri danno al totale.
La società estesa si distingue, perciò, dalla società ristretta degli antichi per la mancanza di
conoscenza e rapporti diretti tra le persone. Nella moralità della società libera la conoscenza
e i rapporto tra gli individui sono limitati; occorrono quindi, regole imparziali da applicare
nei rapporti con persone sconosciute e in circostanze imprevedibili: “non sono più gli scopi
perseguiti, ma le regole osservate che rendono l'azione buona o cattiva”6.
Hayek, citando il principio di Hume: “le regole della morale non sono le conclusioni della
5 Friedrich A. von Hayek, Presunzione fatale, pp. 135
6 Ibid., pp. 141
nostra ragione”, esprime la convizione che non vi possa essere una morale costruita
intenzionalmente dalla nostra ragione; piuttosto, i principi morali sono contenuti nella
cultura, nelle tradizioni e nelle istituzioni7 - egli afferma -, risultati di una selezione
impersonale e inconsapevole.
L'economista austriaco si oppone così alla presunzione fatale che esista una qualche persona
o istituzione in grado di poter scegliere determinate soluzioni, giudicandole come le migliori
per tutti8. Agli individui non possono essere imposti né i valori, né i modi
d'impiegare le proprie risorse, benché sia gli uni che gli -altri siano oggetto di un'opera di
selezione che sfugge alla loro percezione.
Altrimenti si corre il rischio di dimenticare non solo che la morale è necessariamente un
fenomeno di condotta individuale, ma anche che essa può esistere solo nella sfera nella
quale l'individuo è libero di decidere da se stesso ed è chiamato a sacrificare
volontariamente il proprio personale vantaggio per l'osservanza stessa della norma morale.
Hayek è molto chiaro a riguardo: “Fuori della sfera della responsabilità individuale non
esiste né bene né male, né opportunità di acquisire meriti morali, né possibilità di dimostrare
le proprie convinzioni sacrificando i propri desideri per qualcosa che si reputi giusto. Solo
quando siamo noi stessi responsabili dei nostri interessi e siamo liberi di sacrificarli, solo
allora le nostre decisioni hanno valore morale”9.
Il senso morale si sviluppa solamente attraverso la libertà di dare ordine ai propri
comportamenti nella sfera personale di ciascuno, e la responsabilità di regolare la propria
vita secondo coscienza. “La responsabilità, non verso un superiore, ma verso la propria
coscienza, la consapevolezza del dovere non imposto con la forza, la necessità di decidere
quali delle cose alle quali si attribuisce valore debba essere sacrificata alle altre, e di
assumere la responsabilità delle conseguenze delle proprie decisioni, sono queste le vere
7 Biagio Muscatello, Friedrich A. von Hayek. Capitale, giudizi di valore e principi di ordine, pp. 251
8 Discutendo del contrasto fra approccio costruttivista e approccio individualista Hayek afferma: “ Non
sarebbe certo un'esagerazione sostenere che il merito principale dell'individualismo sostenuto da Smith e
dai suoi contemporanei consiste nel fatto che si tratta di un sistema in cui gli uomini cattivi possono fare il
minor danno. È un sistema sociale il cui funzionam e n t o n o n d i p e n d e d a u o m i n i b u o n i
c h e l o f a c c i a no andare avanti o dalla circostanza che tutti gli uomini diventino migliori di quello che
sono; è invece un
sistema che usa gli uomini in tutta la foro varietà e complessità, talvolta buoni, talvolta
cattivi, talvolta intelligenti e più spesso stupidi. Ciò a cui miravano era un sistema sotto il quale dovrebbe
essere possibile garantire la libertà a tutti, invece di limitarla, come volevano i francesi a lui coevi, ai «buoni e
ai saggi»”: Friedrich A. von Hayek, Individualismo, pp.46
9 Friedrich A. von Hayek, Via della schiavitù, pp.75
essenze di ogni morale che meriti di essere chiamata tale”10 – asserisce con forza Hayek.
Perciò qualsiasi movimento la cui promessa fondamentale è l'esonero dalle responsabilità
personali non può che essere antimorale nei suoi effetti, per quanto nobili siano gli ideali che
lo hanno fatto nascere.
Un agire irresponsabile degli uomini in questo senso può arrivare anche a distruggere le
istituzioni e le tradizioni consolidatesi nell'arco di secoli di evoluzione culturale. Per
questo i tentativi di cambiarle intenzionalmente richiedono grande moderazione e
gradualità e gli esiti di questi tentativi (previsti e imprevisti) saranno visibili solo in futuro;
accade pure che atti erroneamente diretti a rinsaldare certe tradizioni, finiscano col
danneggiarle irreparabilmente.
La preoccupazione di Hayek è rivolta, per lo più, a una particolare forma di razionalismo
che egli chiama “costruttivismo” o “scientismo”. Questa forma di razionalismo inizia
nell'età moderna con la filosofia di Descartes e continua con le idee di Jean-Jaques
Rousseau. Il costruttivismo si configura, per Hayek, come un razionalismo ingenuo11,
poiché esso ritiene di poter plasmare ex novo la società, la morale, il diritto con l'ausilio
della sola pura ragione. Esso – egli afferma - è il prodotto di una esagerata fiducia nei
poteri della ragione individuale e di un conseguente disprezzo per qualsiasi cosa non
intenzionalmente progettata da essa o che non risulti per essa intelligibile.
Inoltre, prosegue Hayek, il costruttivismo ha indotto le persone a dimenticare l'importanza
delle regole di condotta nel funzionamento dell'ordine esteso, producendo un concetto di
libertà che si esplica nella famosa volontà popolare o “volontà generale” rousseauana,
attraverso cui il popolo diventa un unico “essere singolo”12.
Tale concezione ha conferito legittimità a dei tentativi di disfarsi proprio di quei vincoli - le
norme di condotta - che avevano reso possibile la libertà. Si è cominciato a pensare sempre
di più – continua Hayek - che le regole che determinavano la delimitazione e il
10 Friedrich A. von Hayek, Via della schiavitù, pp.76
11 “Una rapida ispezione mostrerebbe come il razionalismo cartesiano sia continuamente stato un grave
ostacolo alla comprensione dei fenomeni storici e mostrerebbe come esso sia in larga misura responsabile della
credenza in leggi inevitabili dello svilluppo storico e del moderno fatalismo derivante da tale credenza”:
Friedrich A. von Hayek, Individualismo, pp. 41
12 “Questa è forse la fonte principale della presunzione fatale del moderno razionalismo intellettuale che
promette di riportarci in un paradiso in cui i nostri istinti naturali, piuttosto che il controllo che abbiamo
appreso a esercitare su di essi, ci porranno in grado di «sottomettere il mondo»”: Friedrich A. von Hayek,
Presunzione Fatale, pp.95