II
Introduzione
La giurisprudenza ed il licenziamento disciplinare: sono questi due temi articolati,
complessi, socialmente densi di significato. Si tratta di affrontare degli argomenti resi
ancora più caldi dall’afa del clima politico di questi nostri mesi: per me che concludo la
prima tratta del mio viaggio negli studi in Scienze Politiche, significa dare attenzione ad
una disciplina dotata di un significato particolare. Ho conosciuto nel tempo qualcuno
che si è un po’ stupito del fatto che uno studente in Scienze Politiche fosse alle prese
con il diritto del lavoro; non posso tuttavia che confermare la mia scelta di approfondire
questi contenuti, perché nel corso dello studio mi sono reso conto sempre più di come il
diritto del lavoro costituisca una formidabile lente d’osservazione della nostra realtà
circostante. Il diritto del lavoro racconta molto di quella che nella nostra società odierna
è la narrazione di tutti i giorni.
Devo tuttavia confessare che questa scelta di parlare di giurisprudenza e di lavoro non si
esaurisce nell’apprezzamento della valenza di questo insegnamento: per me è stato
doveroso – oltre che piuttosto spontaneo – approfondire alcuni argomenti che hanno
acceso l’attualità politica degli ultimi mesi. In un periodo in cui molto si è parlato di
magistrati e molto si è conteso in campo sindacale, ho ritenuto che l’unica risorsa di cui
ci possa armare sia una più approfondita conoscenza di cosa significhi ‘giurisprudenza’
e di cosa significhi essere un lavoratore agli occhi del diritto.
Ritengo dunque appropriato affrontare il tema del licenziamento disciplinare, e di farlo
per via giurisprudenziale. E’ noto infatti che larghi settori del diritto del lavoro sono
stati definiti ed espansi dall’interpretazione giudiziale; da questa fonte così rilevante in
campo giuslavoristico si intende pertanto partire, lasciando che siano le pronunce stesse
III
a illustrare gli istituti, le interpretazioni e ove possibile persino le evoluzioni
ermeneutiche.
E’ a questa visione che il criterio di ricerca si propone di aderire e a questo obiettivo si
adatterà il metodo di realizzazione.
Quanto al lavoro di ricerca in senso stretto, una consistente parte dell’impegno sarà
costituita dal rinvenimento di materiale appropriato. L’intenzione è infatti quella di
rintracciare i testi integrali delle pronunce di giurisprudenza nonostante la poco agevole
dislocazione su pubblicazioni che si occupano di diritto del lavoro: se infatti un buon
numero di riviste ed editoriali divide la propria attenzione tra commenti di dottrina e
pronunce di giurisprudenza, molte meno sono le raccolte che arrivano a riportare il testo
integrale delle sentenze e non il ‘semplice’ principio di diritto. Un numero cospicuo di
pronunce complete si rinverranno soprattutto nella rivista Notiziario di Giurisprudenza
del Lavoro, edita dall’Associazione Bancaria Italiana, che costituirà pertanto una risorsa
indispensabile per la realizzazione del lavoro; si cercherà tuttavia di osservare un buon
equilibrio nella scelta del materiale, per evitare che l’approfondimento sia viziato dalla
presenza eccessiva di giudizi inerenti al settore bancario. Alcuni contributi saranno non
a caso raccolti anche da altre riviste, come ad esempio Il lavoro nella Giurisprudenza,
di cui si rivelerà probabilmente davvero apprezzabile il taglio didascalico che
accompagna le trascrizioni delle sentenze; ancora da Orientamenti di Giurisprudenza
del Lavoro e, in piccola parte, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro. La colossale opera
del Repertorio del Foro Italiano costituirà uno strumento sempre prezioso ma purtroppo
solo di supporto, poiché raccogliendo una gran mole di sole massime difficilmente si
rivelerà adatto a raggiungere i fini già esposti.
L’esposizione che seguirà sarà strutturata in maniera d’indagare su quelli che in sede
giudiziale sono stati gli aspetti più comuni e controversi e che pertanto, con le diverse
IV
statuizioni, sembrano esser divenuti oggi i più eloquenti della disciplina. Per arrivare a
questo, si opererà secondo un ordine che intende richiamare particolarmente l’edificio
del dettato normativo, ed in particolare di quell’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori
che così tanto significato assume nel corso di questa ricerca.
Roma, settembre 2010
- 2 -
Par. 1 » Applicabilità delle norme alla fattispecie del licenziamento disciplinare
La disciplina del licenziamento disciplinare solleva sin dal principio una
rilevante questione. E’ noto infatti che le previsioni collocate nel testo della legge n. 300
del 1970 non fanno mai diretto riferimento all’ipotesi della sanzione espulsiva: l’art. 7
della predetta legge pone in realtà dei limiti procedurali solo in tema di “sanzioni
disciplinari”, con quest’espressione riferendosi sostanzialmente alla più o meno vasta
gamma di provvedimenti che possono essere adottati dal datore di lavoro nei confronti
del prestatore. Il licenziamento disciplinare, pur essendo ontologicamente una sanzione
disciplinare e anzi la più severa di tutte, non incontra un’inequivocabile disciplina
specifica da parte del legislatore: è stato anzi il determinante ruolo della giurisprudenza,
specie della più autorevole, a ricondurre sotto una più omogenea disciplina le fattispecie
di licenziamento. La Corte Costituzionale è giunta alla conclusione
1
che l’eventuale non
applicazione delle tutele previste dallo Statuto dei Lavoratori ai licenziamenti
disciplinari costituirebbe una discriminazione paradossale ed ha inteso confermare
l’applicabilità delle norme contenute nella legge n.300/1970 alla fattispecie del
licenziamento per colpa o mancanza da parte del prestatore.
La questione dell’applicabilità dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori tuttavia non si è
esaurita con la pronuncia della Consulta, proseguendo sino a sollevare il dubbio su
eventuali limiti della portata dello stesso articolo fino ai suoi singoli commi. E’ per
questo che appare necessario chiarire come la giurisprudenza di legittimità abbia
valutato la portata del dettato normativo, così da permettere un’analisi più puntuale
degli orientamenti giurisprudenziali in merito ai molti aspetti afferenti all’ipotesi di
irrogazione di licenziamento disciplinare.
1
Cfr. Corte Cost. n. 204 del 1982.
- 3 -
L’applicabilità dei primi tre commi – inerenti all’affissione del «codice
disciplinare», al diritto di autodifesa e al diritto all’assistenza da parte
dell’organizzazione sindacale – è stata accertata già nel 1982 dalla pronuncia della
Corte Costituzionale poc’anzi citata. Il giudice costituzionale si è infatti domandato se
questi tre commi fossero conformi agli artt. 2 e 3 della Costituzionale, se ‘interpretati
come non estensibili alla sanzione disciplinare del licenziamento, per la quale la
normativa (legislativa, collettiva o validamente posta dallo stesso datore di lavoro) si
limiti ad includere il licenziamento medesimo tra le sanzioni disciplinari e non richiami
espressamente il regime per queste previsto dall'art. 7 l. 300/1970’. Nella stessa
pronuncia la Consulta giunge a conclusione chiaramente affermativa (‘La risposta
affermativa deve essere data da chiunque ravvisi il valore essenziale dell'ordinamento
giuridico di un Paese civile nella coerenza tra le parti di cui si compone’): è solo il
criterio di coerenza che può permettere la sussistenza di un principio di eguaglianza
nell’applicazione del diritto, e pertanto garantire la conformità al dettato costituzionale
italiano. Ribadendo la rilevanza dei principi del nulla poena sine lege e dell’audiatur et
altera pars, la Corte osserva che ‘una volta introdotta con i commi secondo e terzo
l'osservanza del contraddittorio tra datore e lavoratore quale indefettibile regola di
formazione delle misure disciplinari, l'escluderne il licenziamento disciplinare sol
perché la sua normativa non richiama l'art. 7 suona offesa dell'art. 3 pur a prescindere
dalla maggiore gravità del licenziamento rispetto alle altre misure disciplinari’. La
legittimità del licenziamento rimane in definitiva subordinata al rispetto di quanto
dettato dai commi secondo e terzo.
In merito alla portata delle disposizioni del comma quinto – che impone al
datore un termine minimo di cinque giorni dalla contestazione dell’addebito prima di
- 4 -
irrogare un provvedimento disciplinare – l’orientamento consolidato è stato oggetto di
un’evoluzione significativa. Alcune decisioni più datate
2
avevano dichiarato che ‘per la
legittimità del licenziamento, ancorché di natura disciplinare, del lavoratore subordinato
non è richiesto il rispetto da parte del datore di lavoro del termine di cinque giorni dalla
contestazione del fatto addebitato al lavoratore, termine previsto dall’. 7, quinto comma,
dello Statuto dei Lavoratori, unicamente per l’irrogazione delle vere e proprie sanzioni
disciplinari […]’ dal momento che la sentenza n. 204 del 1982 della Corte
Costituzionale aveva statuito l’illegittimità costituzionale dei soli primi tre commi nella
parte in cui non s’applicassero anche ai licenziamenti disciplinari, non estendendo la
valutazione anche al quinto comma, contenente la previsione del termine minimo.
Bisogna tuttavia osservare che la giurisprudenza si è evoluta da questo assunto di base,
non senza qualche traccia di smarrimento
3
, pervenendo alla conclusione opposta. In
altra sentenza
4
le Sezioni Unite civili confermano il dibattito nato in dottrina sulla
contraddittorietà della pronuncia n. 204, che per un verso riteneva applicabili i primi tre
commi dell’art. 7 ai licenziamenti disciplinari, e per altro verso escludeva proprio la
sospensione dell’applicazione del licenziamento. Dato che l’interpretazione fornita dalla
Corte sul comma quinto non risultava vincolante, la giurisprudenza – ricorda la
Cassazione – perveniva non senza contrasti
5
all’affermazione dell’applicabilità ai
licenziamenti disciplinari anche del quinto comma.
Quanto all’applicazione del comma sesto dell’art. 7 – che attribuisce al
lavoratore la facoltà di promuovere la costituzione di un collegio di conciliazione ed
arbitrato – la Sezione Lavoro si è espressa in maniera chiara in una pronuncia
6
del 1992.
2
Cfr. Cass. 13 ottobre 1987, n. 7562 in Rep. Foro It., 1988, 2422
3
Cfr. Cass. Sez. Lav. Del 27 gennaio 1993, n. 1000, in cui il collegio richiama espressamente il netto
cambiamento di rotta impresso dalla Suprema Corte. A tal proposito, cfr. anche il commento di A.
Pizzoferrato in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 1993, II, pag. 853.
4
Cfr. Cass. Sez. Unite Civili, n. 3965 del 26 aprile 1994, II, in Notiziario di Giurisprudenza del Lavoro,
1994, pag. 212.
5
Cfr. Cass. n. 7562/1987 e n. 8399/1987 (sentenze citate in motivazione).
6
Cfr. Cass. Sez. Lavoro n. 4456 dell’11 aprile 1992, in Rep. Foro It. 1992, 1613 pag. 1854
- 5 -
La Corte ha infatti valutato che ‘ove la disciplina collettiva del rapporto di lavoro non
includa tra le sanzioni disciplinari il licenziamento intimato per mancanze del
lavoratore, l’assoggettamento di tale ipotesi di recesso alle garanzie previste dal
secondo e terzo comma, art. 7, l.300/1970 […] non comporta altresì l’applicabilità della
disposizione di cui al sesto comma […]’. Il comma sarebbe dunque inapplicabile se la
disciplina collettiva applicabile al rapporto di lavoro non include tra le sanzioni
comminabili il licenziamento intimato per mancanze del lavoratore.
In ultimo, la valutazione dell’applicabilità del comma settimo alla fattispecie di
licenziamento disciplinare non può che ricollegarsi all’applicabilità del sesto per un
verso ed ad alcune considerazioni di diritto dall’altro. E’ la stessa Corte Costituzionale,
nella medesima pronuncia n. 204/1982, a osservare che ‘invero il comma settimo, vuoi
nel primo vuoi nel secondo periodo, esibisce una sorta di astreintes mediante le quali il
legislatore mira a piegare l'intendimento, dal datore nutrito, di impedire la costituzione
del collegio di conciliazione e di arbitrato e di indirizzare la controversia sulle rotaie
della giustizia togata, sulle quali é massima di comune esperienza che non corrano
frecce di qualsiasi colore: é una scelta di politica legislativa […]’, che se anche non
fosse estesa al licenziamento disciplinare non impedirebbe al lavoratore di adire il
tribunale (ex art. 81 c.p.c.), dopo essersi rivolto all’ufficio provinciale del lavoro, al fine
di conseguire l’integrazione del collegio nonostante l’indifferenza del datore.