5
attraverso ridondanze di tipo intersemiotico, possa comportare delle conseguenze sul
piano della composizione dei sottotitoli a livello di contenuto semantico.
La presente tesi si articola in tre parti distinte, che rappresentano il percorso di
studio svolto. La prima parte è relativa alla sottotitolazione come tipo di trasposizione
linguistica degli audiovisivi. Il primo capitolo si apre quindi con una disquisizione
terminologica intorno al concetto di “trasposizione linguistica” e prosegue discutendo il
perché della necessità di una traduzione degli audiovisivi e il problema dell’adattamento
del testo di arrivo che, nell’impossibilità di raggiungere un’equivalenza traduttiva nel
senso tradizionale del termine, deve soddisfare soprattutto esigenze di tipo funzionale e
puntare, in primo luogo, all’adeguatezza. L’attenzione si è dunque rivolta alle differenti
qualità e difetti propri della sottotitolazione e del doppiaggio anzitutto attraverso la voce
di personaggi illustri che si sono espressi in favore dell’una o dell’altro, in seguito
mettendo a confronto le caratteristiche delle due tecniche e, infine, dando uno sguardo
alla realtà europea, in cui alcuni paesi fanno uso principalmente della sottotitolazione
come tecnica di trasposizione linguistica, e altri, tra i quali l’Italia, ricorrono per lo più
al doppiaggio.
Nel secondo capitolo la sottotitolazione è descritta nel dettaglio sotto il punto di
vista degli aspetti linguistici, grafici e tecnici. Si considerano quindi il passaggio da un
codice linguistico a un altro, la riduzione cui il testo di arrivo necessariamente deve
sottostare, la conversione dalla lingua parlata alla lingua scritta e, infine,
l’interpretazione del discorso verbale all’interno del testo audiovisivo. Segue una
riflessione sui fattori che determinano l’impatto visivo dei sottotitoli, e una descrizione
a sommi capi delle regole di punteggiatura e delle convenzioni tipografiche più
rilevanti. Si valutano infine le limitazioni relative al tempo di esposizione dei sottotitoli
e quindi alla velocità di lettura degli spettatori.
Il terzo capitolo è un resoconto in ordine cronologico dell’evoluzione storica e
tecnologica della sottotitolazione, dalle prime forme di trasposizione linguistica per gli
audiovisivi agli albori del cinema sonoro, sino alle prospettive future che vedono la
diffusione a livello capillare di innumerevoli ‘possibilità’ linguistiche accessibili a
chiunque attraverso la televisione digitale.
6
La seconda parte della tesi concerne la gestualità come modalità della
comunicazione. Nel quarto capitolo si presenta il concetto di multimodalità a livello di
comunicazione umana, che si delinea come un sistema interattivo in cui, pur agendo su
piani molto distanti tra loro, aspetti verbali e visivi coesistono e si completano a
vicenda.
Nel quinto capitolo si entra nel vivo della discussione sulla gestualità: dopo il
problema teorico della definizione di gesto, essa prosegue con una descrizione dello
stretto rapporto che intercorre tra lingua e gestualità, tanto comune quanto poco
esplorato. Alla disamina della caratteristiche delle due modalità della comunicazione,
così dissimili tra loro, segue un resoconto degli studi volti a indagare il valore
comunicativo dei gesti, a sua volta seguito dal confronto tra gestualità e lingue dei segni
e da una riflessione circa il fenomeno per cui nel momento in cui viene a mancare la
parola e la gestualità è chiamata a sostenere tutto il peso della comunicazione, essa
diviene immediatamente più ricca e articolata e nella forma cominciano a emergere
strutture di tipo linguistico. Si presenta dunque una classificazione dei gesti basata sui
criteri di cooccorrenza con il parlato e di modalità di costruzione cognitiva: in questo
modo possiamo distinguere due principali gruppi o categorie gestuali: i gesti codificati,
rappresentati nella mente dei parlanti con una regola di corrispondenza fissa condivisa
fra più individui, che collega quel gesto a un particolare significato in modo
cristallizzato e convenzionale; e i gesti creativi, realizzati in maniera estemporanea e
quindi di significato a priori sconosciuto. La discussione in merito alla gestualità si
conclude con una presentazione delle funzioni che la gestualità può di volta in volta
assumere in seno a una determinata situazione comunicativa. A tale scopo, il sistema
metafunzionale elaborato da Halliday (1989a), si rivela un utile punto di riferimento: il
significato di ogni gesto può così essere descritto in termini di metafunzione ideativa
interpersonale e testuale.
La terza ed ultima parte della presente tesi riguarda l’analisi di una sequenza
filmica e mette in relazione lo studio della gestualità alla pratica della sottotitolazione.
Nel sesto capitolo si riprende il concetto di multimodalità, in questo caso relativamente
al testo audiovisivo, il quale supporto bidimensionale permette a una vastissima gamma
7
di risorse semiotiche di tipo diverso di integrarsi vicendevolmente, confluendo in un
unico messaggio comunicativo. Di queste, la gestualità è al centro dell’interesse del
presente studio, ma, come modalità di significazione nel testo filmico, in cui fa parte
dell’interpretazione degli attori sullo schermo, essa perde le caratteristiche di
spontaneità proprie di una situazione reale: si pone quindi il problema di quanto di ciò
che possiamo affermare per la gestualità ‘naturale’ possa ritenersi valido anche ai fini
dell’analisi di una sequenza filmica.
Nel settimo e ultimo capitolo si introduce la trascrizione multimodale quale
metodo che permette di realizzare un’annotazione scritta delle diverse modalità
semiotiche utilizzate contemporaneamente in un testo audiovisivo, di visualizzare le
relazioni che intercorrono tra queste, nonché di fornirne un’interpretazione. Alla
descrizione del metodo di trascrizione di cui ci avvaliamo per l’analisi, fondato sul
modello ideato da Thibault (2000) e modificato in termini di struttura e di risorse
grafiche in base alle finalità del presente studio, fa seguito la presentazione della
sequenza in analisi, tratta dal film Taxi Driver del regista italoamericano Martin
Scorsese: prescindendo da ogni valutazione critica, tale presentazione ha semplicemente
lo scopo di contestualizzare l’episodio. Seguono dunque la tabella relativa alla
trascrizione multimodale e alla proposta di sottotitolazione della sequenza, che, in
conclusione, sono integrate da un commento finale.
8
PARTE I
Un tipo di trasposizione linguistica per gli audiovisivi: la sottotitolazione
9
Introduzione alla Parte I
La lingua è senza dubbio il mezzo di comunicazione più potente di cui
disponiamo e ciò è altrettanto vero per la comunicazione di massa. La diffusione di una
lingua determina sia il pubblico che il successo dei mezzi di comunicazione di massa,
dei quali costituisce una proprietà intrinseca. Basti pensare alla lingua inglese, che, in
quanto lingua madre di tutta la popolazione del Nord America, del Regno Unito e di
grossa parte della popolazione delle ex-britanniche, nonché seconda lingua di centinaia
di milioni di persone, ha fatto del mondo anglofono il mercato di audiovisivi più grande
ed esteso su scala globale. Questi prodotti hanno letteralmente invaso il settore, con
conseguenze talvolta nefaste sulla produzione di realtà minori in termini di potenzialità,
originalità e quantità.
Ma non è certo questa la giusta sede per prendere in analisi cause ed effetti di
questa situazione: basti dire che l’Europa rappresenta un potenziale mercato audiovisivo
nettamente superiore rispetto al Nord America. Tuttavia, qui la frammentazione
linguistica costituisce un problema, dal momento che, se si considerano anche i paesi
dell’Est, vi si contano ben trenta lingue diverse. Ciò che a noi interessa è quindi la
questione della lingua nel settore degli audiovisivi, i vari problemi che essa comporta
per la circolazione degli stessi e, tra le soluzioni con cui questi sono stati affrontati, la
tecnica della sottotitolazione
1
in modo particolare.
I sottotitoli, come risultato di “un processo di traduzione/adattamento caratterizzato
da un alto grado di complessità” (Blini & Matte Bon 1996: 317), offrono un campo di
1
Essendo il presente lavoro uno studio sulla traduzione, ci riferiremo qui esclusivamente alla
sottotitolazione interlinguistica, che ha come obiettivo la traduzione di un messaggio audiovisivo da una
lingua in un’altra. Non verranno considerati altri tipi, più rari, di processi di sottotitolazione (come ad
esempio quello destinato ai sordi, il cui oggetto non è la traduzione interlinguistica, bensì quella
intralinguistica).
10
ricerca tanto ampio quanto poco esplorato. The attempt to achieve perfect subtitling has
some affinity to the search for the Holy Grail (Baker et al. 1984, citati in Ivarsson 1992:
5): una simile affermazione esprime in modo molto efficace il grado di difficoltà di
questo tipo di trasposizione linguistica. Innanzitutto, la differenziazione che avviene sul
piano diamesico, ossia il passaggio dal codice orale a quello scritto, rende di per sé
impossibile l’equivalenza testuale. Per quanto accurata, la lingua scritta non potrà mai
riprodurre certe caratteristiche dell’oralità, quali le sfumature nella qualità della voce,
l’intonazione, determinate pause nel parlato, ecc. Se a questo aggiungiamo la
limitatezza dello spazio a disposizione del testo scritto, si può comprendere quanto
siano necessari un alto livello di competenza e una buona dose di creatività da parte del
sottotitolista.
La trasposizione linguistica degli audiovisivi ha un peso notevole nella
comunicazione tra lingue e culture diverse, non foss’altro che per la portata di questo
fenomeno, che va espandendosi ed è già quantitativamente superiore a quello relativo
alla traduzione sulla carta stampata (Ivarsson 1992: 9). La lingua è cultura, e coloro che
vivono in contesti linguistici diversi vivono anche in mondi diversi: le culture europee,
per quanto geograficamente vicine, sono molto distanti tra loro per quel che concerne
stili di vita, valori, atteggiamenti e modi di pensare. Mettendo lo spettatore di fronte al
materiale linguistico originale, la sottotitolazione esprime al meglio la natura
multiculturale della comunicazione di massa: essa è pertanto un tipo di trasposizione
linguistica che va non tanto verso un’omologazione di massa, quanto incontro a una
presa di coscienza che si basa sulla conoscenza dell’altrui diversità.
11
1 La trasposizione linguistica degli audiovisivi
Con il termine traduzione multimediale si intende la traduzione di testi con
collocazione multimediale, ossia, come afferma Heiss (1996: 14), la “traduzione di
componenti linguistiche appartenenti a un ‘pacchetto’ di informazioni percepite
contemporaneamente in maniera complessa.”
Sulla base della tipologia testuale espressa da Reiss (1978) ci viene offerta una
prima definizione di testi audiomediali: si tratta di testi scritti per la recitazione o il
canto, che per la loro piena realizzazione dipendono in diversa misura da un medium
non linguistico (tecnico)
2
o da altre forme di espressione non verbale (grafica, acustica,
visiva) (1971: 49). La classificazione che propone Reiss non segue criteri omogenei: i
testi audiomediali possono infatti riassumere in sé le caratteristiche delle altre tre
tipologie testuali ed essere di volta in volta informativi, espressivi o vocativi.
Tali testi passeranno a chiamarsi multimediali con Reiss e Vermeer (1984) in virtù
del fatto che non coinvolgono la sola percezione uditiva. Come tutti i testi, quelli
multimediali nascono in un contesto e sono legati a una situazione e a un intento
comunicativo, ma la loro peculiarità risiede nel fatto che essi dipendono fortemente da
forme di espressione di tipo non-linguistico. In questa accezione, il materiale
linguistico, rappresentando solo una delle diverse componenti costitutive, assume
carattere prettamente sussidiario. L’impiego contemporaneo di diversi media per la
realizzazione di un prodotto comunicativo implica infatti che il destinatario attivi
simultaneamente almeno due canali di percezione (generalmente quello visivo e quello
uditivo), ottenendo informazioni strettamente interconnesse.
2
Media tecnici in questo senso sono ad esempio film d’autore e d’intrattenimento, trasmissioni televisive,
rappresentazioni di opere, operette, musical e brani di teatro, nastri video, DVD, CD-ROM, programmi
multimediali per computer di diverso genere (compresa la realtà virtuale).
12
Tale interdipendenza è una caratteristica fondamentale di prodotti come film e
rappresentazioni sceniche, che spesso sono state a loro volta definite dai semiotici
come testo filmico e testo teatrale. (Heiss 1996: 14)
Secondo Heiss (1996: 15), la traduzione multimediale va intesa quindi come
“elaborazione complessiva di un prodotto multimediale”, di un prodotto articolato in
vari livelli di significazione, e non solo della sua componente linguistica. Dal punto di
vista professionale, gli operatori chiamati a tradurre questi testi dovranno conquistare
una competenza specificatamente riferita al tipo di multimedialità da realizzare.
Una volta definito il concetto di multimedialità e di traduzione multimediale, è
opportuno fare alcune precisazioni terminologiche. Il termine multimediale, molto
generico, ha assunto negli ultimi decenni una serie di significati – primo fra tutti quello
che lo associa al mondo dell’informatica – che sono molto distanti dal concetto di testo
e di traduzione. Il termine audiovisivo, che di multimediale denota solo gli aspetti
relativi al suono e all’immagine ed è recentemente entrato in uso nell’ambito degli studi
sulla traduzione – per lo più in riferimento al cinema e alla televisione
3
– è quindi più
adatto allo scopo di questo studio.
La traduzione per gli audiovisivi si delinea quindi come un particolare tipo di
traduzione multimediale. Dobbiamo tuttavia stare in guardia di fronte alle
generalizzazioni:
Del mismo modo que nadie clasificaría la traducción de libros en un único
apartado [...], es imposible clasificar la traducción audiovisual en un único
apartado, a no ser que se atienda a su modo del discurso, al canal de
comunicación, al medio empleado para el acto de comunicación, puesto que esto
es lo que une a todos los textos audiovisuales, su denominador común y, a nuestro
modo de ver, el foco de atención para el traductor de género de textos. (Chaume
Varela 2000: 396)
3
I materiali audiovisivi possono essere di svariato tipo: documentari, cortometraggi, video commerciali,
messaggi pubblicitari, opere cinematografiche, video-clip, programmi televisivi, cartoni animati, ecc.
13
Se tra gli audiovisivi, come in letteratura, è quindi possibile distinguere vari
generi, essi condividono tuttavia il mezzo di espressione – quello audiovisivo, appunto.
Ciò è sufficiente per impostare una discussione a livello generale sulle caratteristiche
che distinguono la traduzione di questo tipo di testi.
Parlando di traduzione per gli audiovisivi occorre tener presente che ci troviamo
di fronte a un tipo di testo molto speciale: se, tradizionalmente, la buona traduzione, la
traduzione “felice”, era quella che riusciva a integrare una buona qualità estetica a un
alto grado di fedeltà linguistica a vari livelli (lessicale, fonico, metrico, retorico), gli
stessi parametri di giudizio non si applicano alla traduzione per gli audiovisivi (cinema,
televisione, ecc.), che deve anche porsi in relazione con livelli di significazione
audiovisivi non linguistici e più esplicitamente “ricerca […] un compromesso tra le
opposte ma complementari esigenze dell’espressione e della comunicazione” (Cipolloni
1997: 23).
Dato che dell’intero testo audiovisivo si traduce solo una parte (quella linguistica,
principalmente),
4
non si dovrebbe nemmeno parlare di “traduzione”, nel senso che a
questo termine attribuisce Newmark (1981: 7) di craft consisting in the attempt to
replace a […] message and/or statement in one language by the same message and/or
statement in another language. Il messaggio che deve giungere al pubblico di arrivo,
infatti, non è solo verbale, ma è composto anche da immagini e suoni.
Ciò è tanto vero che Luyken et al. (1991) propongono di adottare un termine
diverso, distinguendo tra “traduzione” (translation) e “trasposizione linguistica”
(language transfer) degli audiovisivi. Quest’ultimo termine ci sembra tanto più
appropriato dal momento che mette in evidenza il fatto che si interviene sul piano
linguistico, seppur in relazione alle altre componenti audiovisive dell’opera (cfr. 1.1.2).
4
Si possono altresì includere spiegazioni circa gli aspetti socio-culturali sconosciuti al pubblico di arrivo.
14
1.1 Traduzione e adattamento
1.1.1 La traduzione necessaria
È quasi scontato che il cineclubbista tipo si senta orgoglioso di adeguare, almeno in
pubblico, la propria scala di gradimento a quella di prestigio, che pone il doppiato
all’ultimo posto e il sottotitolato in posizione di rincalzo, riservando la cima
dell’Olimpo, cioè l’angusto spazio tra la vetta dell’intelligenza colta e le nuvole
dell’ignoranza inconfessata, alla sola mitica versione originale senza sottotitoli,
pazienza se in cinese mandarino. (Cipolloni 1997: 30)
La fruizione di un film in lingua originale è un lusso che solo in pochi si possono
– davvero – permettere. Con pungente ironia, Cipolloni mette in luce un problema
fondamentale: per quanto buona la competenza linguistica di un individuo possa essere,
i meccanismi psicologici e linguistici che si innescano nella visione in lingua originale
di un film potranno procurargli solo un piacere limitato, frutto di uno sforzo e di un
percorso cognitivo del tutto consapevole.
Come spiega Barthes (1994, citato in Galassi 1996: 410), nei sistemi di
comunicazione audiovisiva, a livello di significazione primaria, si attua una
rappresentazione analogica della realtà, per cui l’immagine riprodotta sullo schermo
significa in quanto lo spettatore ha esperienza di ciò che l’immagine stessa rappresenta.
Per la dimensione sonora ciò vale solo in parte: mentre certi suoni ci risultano familiari,
l’analogia non è applicabile alla lingua. Sulla base della nostra esperienza una casa è
sempre una casa, a prescindere dai materiali, dalle forme e dai colori, ma i lessemi di
una lingua sconosciuta risulteranno sempre incomprensibili. Succede così che di fronte
alla proiezione di un film in lingua originale
l’emisfero sinistro del nostro cervello si mette automaticamente al lavoro. Un
lavoro massacrante per la maggior parte di noi. Impossibile per altri. Per altri
ancora quasi un gioco, perché la pratica del tradurre può essere anche divertente.
15
Ma nessuno […] si sentirebbe coccolato dalla gradevole sensazione del ritorno a
casa. (Galassi 1996: 409)
Secondo Cipolloni (1996: 40), “nel discorso d’autore la catena dei significanti è
inseparabile dalla mappa dei significati”. È qui che entra in gioco la teoria della
“relatività linguistica” di Paz (citato in Cipolloni 1996: 39), per cui nel mondo post-
babelico, la traduzione diventa “l’unica ragionevole alternativa alla non-comunicazione
e alla distruzione”.
Nel cinema la lingua è situata dentro a un altro linguaggio, ma in una posizione
capace di modificare il processo di significazione da cui dipende la nostra
percezione di quel linguaggio. (Cipolloni 1996: 43)
Da qui la necessità di avvicinare l’opera cinematografica al pubblico. È necessario
chiedersi cosa succede quando si traduce un film, e quale rapporto è possibile stabilire
tra il film, così come è stato licenziato da chi lo ha prodotto e realizzato, e il film che
viene visto e ascoltato in paesi diversi da quello d’origine. Si pone, in sostanza, il
problema della “traducibilità” del film (Galassi 2000: 4). Il cinema è un mezzo di
comunicazione che impiega due diversi livelli di significazione: la significazione
attraverso l’immagine e la significazione attraverso il suono. Si può dunque parlare di
traduzione del film come traduzione dell’immagine e traduzione della colonna sonora
(Galassi 2000: 4).
Se oggi il cinema è un affascinante campo di ricerca, un importante documento di
storia contemporanea o un efficace strumento pedagogico, esso deve tutto ciò al fatto di
essere un grande spettacolo popolare. Ma il suo successo e la sua diffusione mondiale è
stata permessa in primis dalla trasposizione linguistica, che va incontro allo spettatore
permettendogli una fruizione gratificante del prodotto straniero.
16
1.1.2 Adattamento e adeguatezza
Come accennato in 1.1, la trasposizione linguistica dei materiali audiovisivi è una
particolare forma di traduzione multimediale, caratterizzata, come osservano Luyken et
al. (1991: 153-156),
ξ dal fatto di riguardare solo un aspetto di un’opera che ne ha anche altri;
ξ dal fatto di riformulare il messaggio sia culturalmente che linguisticamente in
base a una strategia funzionale e a beneficio di un pubblico diverso, di cui
l’adattatore interpreta le esigenze;
ξ dal fatto di condensare il messaggio, soprattutto – come vedremo – nei sottotitoli;
ξ dal fatto di includere un elemento di editing: l’autore della trasposizione
linguistica è così al contempo traduttore e curatore, dialoghista e adattatore,
interprete ed esecutore, lettore e riscrittore, pubblico e autore.
La trasposizione linguistica non può quindi essere giudicata in termini di fedeltà e
di riuscita estetica: il ‘tradimento’ spesso è addirittura palese e dobbiamo prenderne atto
ogni qualvolta ci apprestiamo a formulare un giudizio. Per essere buona, la
trasposizione linguistica di un audiovisivo deve soprattutto essere efficace. Come
afferma Cipolloni (1997: 23), si tratta in sostanza di saper essere linguisticamente
infedeli, per poter essere cinematograficamente (o televisivamente, ecc.) fedeli, cioè
efficaci e credibili. In modo simile, Gottlieb sostiene che, essendo la sfera dell’uomo e
del mondo in cui vive ciò cui ruota intorno l’audiovisivo, esso non può essere tradotto
in maniera meccanica, ma deve essere interpretato con l’obiettivo di raggiungere nel
pubblico di destinazione lo stesso effetto che si era ottenuto sul pubblico di partenza.
Per dirla con Reiss (1993: 23), si dovrebbe cercare di mantenere la stessa “funzione
comunicativa”. Per ottenere questo risultato il testo d’arrivo deve essere adattato, oltre
che agli specifici condizionamenti di ordine tecnico del medium utilizzato, alle esigenze
del pubblico cui è rivolto, e cioè a un determinato standard non solo linguistico, ma
anche culturale, sociale, generazionale, ecc. Si dovrebbe quindi avere come scopo
l’“adeguatezza” (Adäquatheit) del testo di arrivo (Reiss & Vermeer 1984: 133-139), un
concetto più dinamico rispetto a quello di “equivalenza”.
17
Per lungo tempo il cinema è stato considerato alla stregua della letteratura e, come
questa, semplicemente ‘traducibile’. Le stesse questioni, come la suddetta problematica
sulla fedeltà, si applicavano quindi tanto alla traduzione letteraria come a quella
cinematografica. Oggi l’arte cinematografica e la comunicazione audiovisiva hanno
acquisito uno status estetico autonomo. Così, se nella traduzione ‘tradizionale’
dobbiamo fare i conti con un testo – per quanto poco ‘lineare’ ci possa sembrare –
scritto, per tradurre un testo audio-visivo abbiamo a che fare con due ‘dimensioni’ in
più. Mentre nel primo caso lo scritto conduce a una ricostruzione del suono che resta
individuale e, entro un margine limitato ma sicuro, a un’interpretazione personale del
materiale fonetico, nel secondo caso la stessa componente linguistica è trasmessa
attraverso il canale sonoro, con tutto ciò che tale condizione comporta (v. 1.1.1). Ma,
ciò che è più importante, la lingua è inserita in un contesto di suoni e immagini
interagenti, ossia in un contesto audiovisivo. Questo è un fattore non trascurabile, data
l’importanza della percezione visiva, che fa dei linguaggi audiovisivi un fenomeno
anzitutto figurativo. La dimensione visiva è da tenere in considerazione anche in virtù
del fatto che, per quanto in genere le immagini siano comprensibili “per analogia” (cfr.
1.1.1), può capitare che qualcosa (un gesto, ad esempio) risulti incomprensibile per un
pubblico estraneo alla cultura di origine del film. In questo caso si dovrà intervenire a
livello di trasposizione linguistica integrando quanto più possibile il gap culturale con
informazioni di tipo verbale.
In questo tipo di traduzione ha quindi un ruolo fondamentale la peculiare
collocazione della lingua nell’economia semica del testo audiovisivo, che si delinea
come testo caratterizzato dalla presenza interattiva di una lingua dentro un linguaggio
più complesso.
Il linguaggio del cinema e l’economia del racconto cinematografico
funzionerebbero […] come contesto per la lingua del film, fornendo a essa tutti i
riferimenti semiotici, grammaticali e persino lessicografici che derivano dal fatto
18
che lo spettatore colloca ciò che vede e sente al cinema entro prevedibili orizzonti
di aspettativa, legittimati tanto dalla struttura dei generi, quanto dagli stereotipi
narrativi connessi a certe situazioni e a certi movimenti di macchina. (Cipolloni
1997: 38)
Ma dietro alle generalizzazioni possono celarsi molte insidie, dato che, come
osserva Gregory (1987, citato in Taylor 2000a) a film creates its own situation and
patterns of contextual relations. È quindi necessario cogliere quanto più possibile i tratti
specifici del rapporto interattivo che di volta in volta si instaura tra lingua e linguaggio
all’interno di ogni testo audiovisivo.
Bisogna poi tener conto del fatto che la trasposizione linguistica è solo un aspetto
e un passaggio del processo che accompagna a) il passaggio dei soggetti
cinematografici da un linguaggio ad un altro e b) il passaggio dei film da un mercato
culturale a un altro (Cipolloni 1997: 43). Tale processo traduttivo, che si configura
come un adattamento, risultato di un compromesso artistico e commerciale tra istanze
diverse, viene realizzato per tappe, talvolta mediante l’intervento di figure professionali
diverse, ma più spesso realizzato da un’unica persona: l’adattatore.
L’adattatore-dialoghista è l’autore che, in possesso di preparazione culturale,
sensibilità artistica, attitudine alla scrittura creativa ed esperienza in ambito di
linguaggio filmico, crea o revisiona i dialoghi di una sceneggiatura preesistente o
in corso di realizzazione; traspone, elabora in lingua italiana e adatta in
sincronismo visivo, ritmico e labiale i dialoghi e i testi delle opere
cinematografiche, televisive, multimediali e di ogni altra opera audiovisiva
assimilata destinata al doppiaggio, all’oversound e al sottotitolaggio. (Bucciarelli
2001: 2)
In fase di adattamento, se e quando costituisce un problema, la fedeltà linguistica
si presenta come un dato talmente estrinseco da dover essere oggetto di scelta.