1
INTRODUZIONE
L’elaborato che vado a presentare è il frutto di una ricerca riguardo l’evoluzione e la
situazione attuale del processo di gestione integrata dei rifiuti urbani.
Le motivazioni che mi hanno spinto ad approfondire questo argomento sono legate
non solo all’attualità, si pensi a scandali ed emergenze che si susseguono in Italia, ma
anche e soprattutto alla possibilità che il settore offre di poter trasformare quello che
rappresenta un pericolo per la salute (dell’uomo e dell’ambiente) e un costo per la
comunità, in una risorsa, sia in termini di sostenibilità ambientale sia in termini
economici. Basti pensare che il settore secondo stime UE, potrebbe creare ulteriori
400.000 posti di lavoro in tutta Europa, oltre ai 2 milioni già esistenti. È in un periodo di
profonda depressione economica come quello che stiamo vivendo, le risorse esistenti
vanno razionalizzate e valorizzate.
Il processo di gestione integrata, parte innanzitutto da una revisione del significato di
rifiuto, non più inteso come qualcosa di cui disfarsi, ma come sottoprodotto o materia
prima secondaria.
È chiaro come nel momento in cui il rifiuto viene considerato una risorsa, diventa
necessario un radicale ripensamento e quindi il reengineering di tutto il processo.
Il processo diventa così una serie di operazioni tese al recupero e riciclo, in
applicazione di quanto prescritto dalle relative direttive europee.
Proprio l’Europa è il motore di questa evoluzione, che rientra nel quadro generale di
sviluppo sostenibile. Non si può quindi non richiamare la celebre definizione di
sviluppo sostenibile, contenuta nel rapporto WCED del 1987, “Our common future”,
meglio conosciuto come rapporto Brundtland, che ben definisce l’idea di fondo di una
gestione integrata dei rifiuti:
1
“Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente
senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i
propri bisogni”.
1
http://www.un-documents.net/ocf-02.htm
2
L’obiettivo della gestione integrata dei rifiuti non è solo economico, ma
principalmente volto alla tutela della salute umana e dell’ambiente, attraverso
l’abbattimento delle emissioni gassose, liquide o solide che siano, nonché attraverso la
preservazione delle materie prime.
In tema di salute pubblica pensiamo alla cattiva gestione della discarica di
Malagrotta a Roma, laddove ancora prima dei costi, multe ingenti sono state inflitte
dall’UE, il prezzo più grande è stato pagato dai cittadini: uno studio del Dipartimento di
Epidemiologia del servizio sanitario della Regione Lazio ha evidenziato un aumento per
la popolazione residente da almeno 5 anni, nel raggio di 7 km dalla discarica, una
crescita del ricorso alle cure ospedaliere pari all’8%, in particolare dovuto allo sviluppo
di tumori maligni, malattie cardiovascolari e alle vie respiratorie.
Va comunque premesso che non esiste un modello univoco di gestione ottimale dei
rifiuti, in quanto a seconda delle caratteristiche del territorio esistono diverse soluzioni.
Le caratteristiche principali da considerare sono:
Morfologia
Dotazione infrastrutturale
Caratteristiche sociali
Sviluppo economico raggiunto
Legislazione vigente
Accordi privati
Il primo capitolo dell’elaborato vuole innanzitutto ricostruire il quadro legislativo
europeo, ripercorrendo in modo rapido ma esaustivo la sua evoluzione, fino ad arrivare
all’assetto attuale. Di qui si procede alla ricostruzione del quadro legislativo nazionale,
frutto del continuo recepimento e attuazione delle relative direttive europee. Il quadro
legislativo è quindi completato dalle norme “tecniche”, relative all’introduzione
dell’analisi LCA (Life Cycle Assessment), importante in termini di responsabilità estesa
del produttore, e del programma IPPC e relativa Autorizzazione Integrata Ambientale
(AIA), necessaria per l’operatività di determinati impianti di trattamento.
Il primo capitolo e quindi il quadro generale è completato dall’analisi dei dati relativi
alla produzione e gestione dei rifiuti sia per il contesto europeo che per quello italiano. I
dati utilizzati sono i più recenti disponibili, resi disponibili dall’ISPRA (Istituto
Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) attraverso il rapporto rifiuti 2012.
3
La tesi entra quindi nel vivo, i successivi capitoli sono stati pensati in modo tale da
ricalcare l’ordine logico stabilito dalla c.d. gerarchia della gestione dei rifiuti integrata.
Il secondo capitolo parte quindi dall’obiettivo di riduzione preventiva alla
produzione dei rifiuti, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, passando per
un’applicazione pratica di un’analisi LCA, che in alcuni casi può ribaltare concezioni
tanto diffuse quanto dannose.
Vengono quindi analizzati i metodi di raccolta dei rifiuti, differenziato e
indifferenziato, evidenziando la preferenza del primo e portando a supporto analisi
realizzate dalle Regioni Piemonte e Lombardia.
Da notare come la letteratura dedicata alla gestione dei rifiuti, dedichi poco spazio al
tema della raccolta, nonostante questa fase rappresenti un costo notevole, variabile dal
60% all’80% delle spese totali di gestione
2
, secondo una stima dell’agenzia per la
protezione ambientale tedesca, UBA (Umweltbundesamt).
Il terzo capitolo approfondisce le alternative tecnologiche disponibili per il
trattamento dei rifiuti ed il loro recupero sia come materie prime secondarie sia sotto il
profilo energetico.
Viene analizzata anche la diffusione di tali tecniche in Italia, valutando la dotazione
infrastrutturale e come questa sia correlata con il metodo di raccolta dei rifiuti stessi.
Ancora una volta i dati utilizzati sono i più recenti resi disponibili dall’ISPRA.
Il quarto capitolo espone l’ultima opzione disponibile, la meno auspicabile e che
dovrebbe essere considerata solo in via residuale, ovvero il ricorso allo smaltimento in
discarica. Viene analizzata la vita di una moderna discarica controllata per rifiuti non
pericolosi, dalla fase di progettazione fino a quella di chiusura e recupero.
Viene inoltre analizzato il fenomeno del trasporto transfrontaliero dei rifiuti
relativamente alla normativa vigente, alle motivazioni che spingono Paesi e imprese a
movimentare i rifiuti e ai numeri che riguardano tale fenomeno.
Il lavoro si conclude con l’esame del caso di Salerno che in meno di due anni è uscita
da una situazione emergenziale ed entrata nel novero dei Comuni più virtuosi d’Italia.
2
http://www.umweltbundesamt.de/abfallwirtschaft-e/best-practice-
mwm/data_en/COLLECTION.pdf
4
Capitolo Ι
IL QUADRO DI RIFERIMENTO
1.1. – Quadro legislativo Europeo
La conferenza di Stoccolma del 1972, la prima a interessarsi di tematiche ambientali,
ha dato il via, in campo comunitario, alla produzione di norme incentrate sulla tutela
dell’ambiente e della salute umana.
A tal riguardo, la Direttiva “madre” 75/442/CEE, rappresenta il primo
provvedimento comunitario in tal senso.
All’ articolo 1 la norma definisce «“Rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto […] di cui
il detentore si disfi o abbia l'obbligo di disfarsi secondo le disposizioni nazionali vigenti»
3
.
Riguardo allo smaltimento rimanda all’allegato IIA che elenca le operazioni come
avvengono nella pratica: la raccolta, la cernita, il trasporto, il trattamento dei rifiuti,
l'ammasso e il deposito dei medesimi sul suolo o nel suolo nonché le operazioni di
trasformazione necessarie per il riutilizzo, il recupero o il riciclo. Si può quindi notare
come le operazioni di smaltimento siano ancora equiparate.
L’articolo 7, indica le misure da intraprendere per il corretto smaltimento dei rifiuti e
sollecita gli Stati membri all’elaborazione di piani di gestione che prevedano:
i tipi e i quantitativi di rifiuti da trattare;
i requisiti tecnici generali;
le precauzioni da prendere;
3
http://www.reteambiente.it/repository/normativa/3778_dir442_75_vige.pdf
5
le indicazioni, da fornire su richiesta dell’autorità competente, sull'origine, la
destinazione, il trattamento, i tipi e le quantità di rifiuti.
Restano esclusi da tale direttiva:
i rifiuti radioattivi;
i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall' estrazione, dal trattamento, dall' ammasso
di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;
le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze utilizzate
nell'attività agricola;
le acque di scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido;
gli effluenti gassosi emessi nell' atmosfera;
i rifiuti soggetti a specifiche regolamentazioni comunitarie.
Il 18 marzo 1991 la Commissione approva la Direttiva 91/156/CEE che modifica la
direttiva madre 75/442/CEE, introducendo novità sostanziali per garantire un elevato
livello di protezione dell’ambiente e della salute umana.
L’innovazione più interessante è senza dubbio l’introduzione di una gerarchia della
gestione dei rifiuti:
Fonte: ENEA
6
Lo smaltimento inteso ora come collocazione in discarica non costituisce più
l’operazione principale ma solo quella residuale. Questo principio, collegato ad un nuovo
ideale di sviluppo sostenibile, costituisce tuttora quello cui si ispirano o dovrebbero
ispirarsi tutti i sistemi di gestione di rifiuti europei.
La gerarchia viene definita all’ art. 3 della direttiva prevedendo che gli Stati adottino
in primo luogo misure atte a prevenire o ridurre la produzione e la nocività dei rifiuti, in
particolare mediante:
lo sviluppo di tecnologie pulite che permettano un risparmio di risorse naturali;
lo sviluppo di prodotti in grado di limitare nel loro ciclo di vita (produzione,
utilizzo, smaltimento) la quantità e la nocività dei rifiuti nonché il loro impatto
sull’ambiente;
lo sviluppo di tecniche appropriate per l'eliminazione di sostanze pericolose
contenute nei rifiuti destinati ad essere recuperati.
In secondo luogo adottano misure per:
il recupero dei rifiuti mediante il riciclo, reimpiego, riutilizzo o ogni altra azione
intesa ad ottenere materie prime secondarie;
l’uso dei rifiuti come fonte di energia.
Rimane quindi in via residuale lo smaltimento in discarica, da effettuare in condizioni
di sicurezza, ovvero senza pericolo per la salute umana, attraverso metodi o procedimenti
che evitino di recare pregiudizio all’ambiente, e in particolare:
senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
senza causare inconvenienti da rumori o odori;
senza danneggiare il paesaggio e siti di particolare interesse.
Gli Stati adottano inoltre misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo
smaltimento incontrollati dei rifiuti.
La direttiva, reiterando l’invito all’elaborazione di piani di gestione nazionali, auspica
che ogni Stato raggiunga l’autosufficienza, preferendo quindi limitare la movimentazione
dei rifiuti, possibilità comunque adeguatamente regolata da norme per il trasporto e per
le spedizioni transfrontaliere.
Completano la direttiva tre allegati:
Allegato I: volto a modificare la classificazione dei rifiuti.
Allegato IIA: operazioni di smaltimento.
7
Allegato IIB: operazioni che comportano una possibilità di recupero.
Infine facendo riferimento ai rifiuti di cui Allegato I, e per le operazioni di cui allegati
IIA e IIB, viene introdotto l’obbligo di un registro che indichi la quantità, la natura,
l’origine, nonché se opportuno, la destinazione, la frequenza della raccolta, il mezzo di
trasporto e il modo di trattamento dei rifiuti. L’obbligo è inteso a carico di stabilimenti e
imprese che effettuano le operazioni di smaltimento e/o recupero, estendibile dagli Stati
anche ai produttori.
A sistema con la precedente è emanata la Direttiva 91/689/CEE, volta a integrarla per
quanto concerne l’armonizzazione della gestione dei rifiuti pericolosi. Gli Stati membri
sono dunque tenuti a prendere le misure necessarie per esigere che i rifiuti pericolosi
siano, tanto nel trasporto, quanto nel deposito in discarica, adeguatamente imballati ed
etichettati, in conformità con le norme internazionali e comunitarie. Anche questa norma
è accompagnata da allegati:
L’Allegato IA elenca i rifiuti pericolosi in base alla loro natura o attività che li ha
prodotti;
L’Allegato IB: indica i rifiuti contenenti uno qualsiasi dei costituenti di cui allegato
II e aventi le caratteristiche di cui allegato III;
L’Allegato II: elenca i costituenti che rendono pericolosi i rifiuti dell’allegato IB
quando possiedono le caratteristiche dell’allegato III;
L’Allegato III: riporta le caratteristiche di pericolo per i rifiuti.
Per quanto riguarda la gestione degli imballaggi, la Direttiva 94/62/CE prevede
misure volte a limitare la produzione di rifiuti d’imballaggio, promuovendone il
riciclaggio, il riutilizzo e altre forme di recupero. La loro eliminazione, in accordo con la
gerarchia della gestione dei rifiuti deve essere considerata come la soluzione di ultima
istanza.
Parte più importante della norma è la previsione di obblighi per gli Stati Membri
attraverso la fissazione di obiettivi quantitativi. Entro il 30 giugno 2001 doveva essere
recuperata o incenerita, presso impianti di incenerimento con recupero di energia (cd.
Termovalorizzatori), una quantità compresa tra il 50% e il 65% in peso dei rifiuti di
imballaggio. Doveva inoltre essere riciclata, con un minimo del 15% per ogni materiale
di imballaggio, una quantità in peso compresa tra il 25% e il 45% di tutti i materiali
contenuti nei rifiuti da imballaggio.
Entro il 31 dicembre 2008 doveva essere inoltre recuperato o incenerito, presso
impianti di incenerimento dei rifiuti con recupero di energia, un minimo del 60% in peso
dei rifiuti di imballaggio ed esserne riciclata una quantità compresa tra il 55% e l’80%.
Per quanto concerne i materiali contenuti nei rifiuti di imballaggio dovevano essere
raggiunti i seguenti obiettivi:
8
60% per vetro, carta e cartone;
50% per i metalli;
22,5% per la plastica;
15% per il legno.
L’applicazione della direttiva è risultata soddisfacente sotto questo punto di vista, nel
2009 infatti la Commissione Europea non ha avviato alcuna procedura d’infrazione.
Seconda parte della direttiva riguarda l’indicazione della natura dei materiali da
apporre sull’imballaggio stesso allo scopo di favorirne l’identificazione e la
classificazione (il sistema di identificazione è definito dall’allegato I).
L’allegato II prevede invece determinati requisiti per gli imballaggi immessi sul
mercato, con lo scopo di:
Limitare il peso e il volume dell’imballaggio al minimo;
Ridurre al minimo la presenza di sostanze pericolose e materiali pericolosi;
Concepire un imballaggio riutilizzabile e recuperabile.
Infine gli Stati membri devono costituire apposite banche dati che permettano di
controllare l’attuazione degli obiettivi stabiliti nella direttiva: le informazioni da includere
nel data base sono contenute nell’allegato III.
Interessanti novità vengono introdotte con la modifica apportata dalla direttiva
2004/12/CE.
In particolare viene integrata la definizione di imballaggio sia attraverso gli esempi
illustrativi contenuti nell’allegato I, sia attraverso i criteri di seguito indicati:
sono considerati imballaggi gli articoli che rientrano nella definizione di cui dir.
94/62/CE fatte salve altre possibili funzioni dell'imballaggio, a meno che tali
articoli non siano parti integranti di un prodotto e siano necessari per contenere,
sostenere o preservare tale prodotto per tutto il suo ciclo di vita e tutti gli elementi
siano destinati ad essere utilizzati, consumati o eliminati insieme;
sono considerati imballaggi gli articoli progettati e destinati ad essere riempiti nel
punto vendita e gli elementi usa e getta venduti, riempiti o progettati e destinati ad
essere riempiti nel punto vendita, a condizione che svolgano una funzione di
imballaggio;
i componenti dell'imballaggio e gli elementi accessori integrati nell'imballaggio
sono considerati parti integranti dello stesso. Gli elementi accessori direttamente
fissati o attaccati al prodotto e che svolgono funzioni di imballaggio sono
9
considerati imballaggio a meno che non siano parte integrante del prodotto e tutti
gli elementi siano destinati ad essere consumati o eliminati insieme.
Vengono infine introdotti nuovi obiettivi quantitativi validi per la terza fase di cinque
anni, dal 2009 al 2014.
Allo scopo di regolare il funzionamento della fase di smaltimento, e in particolare
quello delle discariche viene approvata la Direttiva 99/31/CE. La direttiva regola il ciclo
di vita delle discariche, dall’apertura all’esercizio fino alla chiusura, in modo da prevenire
ripercussioni sull’ambiente in particolare relativamente all’ inquinamento delle acque
superficiali, delle acque freatiche, del suolo e dell’atmosfera, nonché rischi per la salute
umana.
In tal senso l’art. 2 lettera g) definisce innanzitutto il concetto di discarica quale area
di smaltimento dei rifiuti adibita al deposito degli stessi sulla o nella terra.
Le discariche vengono poi classificate in tre categorie:
Discarica per rifiuti pericolosi;
Discarica per rifiuti non pericolosi;
Discarica per rifiuti inerti.
Per ognuna di queste categorie sono definiti requisiti tecnici piuttosto puntuali: in
particolare l’allegato I definisce i requisiti generali validi per tutte le categorie, l’allegato
II i criteri e le procedure di ammissione dei rifiuti, l’allegato III le procedure di controllo
e sorveglianza valide sia per la fase operativa che per quella post-operativa.
Infine, ancora una volta, gli Stati membri sono invitati all’elaborazione di una strategia
nazionale volta, qui, alla riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica con
un obiettivo finale fissato alla riduzione al 35% in peso rispetto ai rifiuti urbani prodotti
nel 1995.
Dato il crescente ricorso all’incenerimento dei rifiuti, l’introduzione della Direttiva
2000/76/CE, si presenta come Testo Unico volto a regolare la materia. Infatti se è vero
che da un lato la combustione dei rifiuti limita il ricorso alla discarica, consentendo anche
un parziale recupero energetico, dall’altro comporta emissioni nell’atmosfera, nell’acqua
e nel terreno, in grado di provocare gravi danni alla salute umana.
Impianti coinvolti sono sia quelli di incenerimento, sia quelli di coincenerimento che
utilizzano i rifiuti come combustibile accessorio. Restano invece esclusi solo i piccoli
impianti sperimentali che smaltiscono meno di 50 tonnellate di rifiuti l’anno, nonché gli
impianti che trattano unicamente i seguenti rifiuti:
rifiuti vegetali derivanti da attività agricole e forestali;
10
rifiuti vegetali derivanti dalle industrie alimentari di trasformazione, se l’energia
termica generata è recuperata;
alcuni rifiuti vegetali fibrosi derivanti dalla pasta di carta grezza e dalla produzione
di carta, se il processo di coincenerimento viene effettuato sul luogo di produzione
e l'energia termica generata è recuperata;
alcuni rifiuti di legno;
rifiuti di sughero;
rifiuti radioattivi;
rifiuti animali;
rifiuti derivanti dalla prospezione e dallo sfruttamento delle risorse petrolifere e di
gas negli impianti offshore e inceneriti a bordo di quest'ultimi.
La norma in approccio integrato con la direttiva IPPC impone l’ottenimento di
un’autorizzazione per l’operatività degli impianti interessati. L’autorizzazione, rilasciata
dall’autorità competente per ciascun Paese (la Regione o il Min. dell’Ambiente per gli
impianti più rilevanti), specifica categorie e quantità di rifiuti che possono essere trattati,
le condizioni di esercizio per garantire la combustione completa dei rifiuti, nonché valori
limite per le emissioni atmosferiche (allegati II e V), per le emissioni nelle acque (allegato
IV) e per i residui.
Rende infine obbligatoria l’installazione di sistemi di misura per il controllo sia dei
parametri di esercizio sia delle emissioni.
La Decisione 2001/18/CE riporta il nuovo codice europeo dei rifiuti, CER, che
modifica sensibilmente il sistema di classificazione dei rifiuti pericolosi.
Si ritorna ad un sistema basato sia sull’origine del rifiuto ma anche sul contenuto delle
sostanze pericolose eventualmente presenti, facendo esplicito riferimento ai limiti di
concentrazione previsti nelle direttive 67/548/CEE e 88/379/CEE.
Con la Decisione 2002/909/CE la Commissione accetta le norme italiane che
dispensano dagli obblighi di autorizzazione gli stabilimenti e le imprese che provvedono
al recupero dei rifiuti pericolosi in riferimento alle direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE.
La norma elenca i tipi e le quantità massime di rifiuti pericolosi ammessi, fissando
condizioni specifiche relative alle operazioni di recupero previste, in particolare per i
valori limite delle sostanze pericolose contenute nei rifiuti, valori limite di emissione e
tipo di attività. È infine fatto obbligo di iscrizione delle imprese e degli stabilimenti presso
le autorità competenti.
11
Da menzionare il particolare apprezzamento espresso in merito al progetto dal Regno
Unito, osservando che le deroghe presentate possono incoraggiare il riciclaggio e il
reimpiego.
Al fine di migliorare la gestione dei Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed
Elettroniche, RAEE, il parlamento approva il 27 gennaio 2003 la Direttiva 2002/96/CE,
armonizzando le varie leggi nazionali onde evitare disparità di oneri finanziari a carico
dei diversi operatori economici, col rischio di distorcere la concorrenza dei mercati. La
direttiva mira a prevenire la produzione di RAEE, ma anche a favorirne il reimpiego e il
riciclaggio per ridurre il volume di rifiuti da smaltire.
La norma viene più volte modificata da una serie di direttive: 2003/118/CE,
2008/34/CE, 2008/112/CE.
Infine la Direttiva 2008/98/CE rappresenta una razionalizzazione delle norme
precedenti in materia di gestione del ciclo dei rifiuti, in particolare sostituisce la Direttiva
2006/12/CE che a sua volta aveva sostituito la direttiva 75/442/CE.
La direttiva, appunto, non introduce grandi novità ma si limita piuttosto a riordinare la
legislazione già esistente e ad approfondire i concetti che compongono la gerarchia della
gestione dei rifiuti. Interessante a fini della realizzazione del SEE (un programma di
sviluppo transnazionale europeo), è la previsione secondo cui gli Stati membri possono
collaborare, se necessario, per creare una rete di impianti di smaltimento dei rifiuti. Tale
rete deve permettere l’indipendenza dell’Unione Europea in materia di trattamento dei
rifiuti.
1.2. – Quadro legislativo Italiano
La legislazione Italiana degli ultimi 25 anni è basata sul recepimento delle direttive
europee.
Il D.P.R. 915/82 ha per lungo tempo rappresentato il punto di riferimento degli
operatori del settore. In particolare tale decreto rappresentava l’attuazione della direttiva
madre 75/442/CEE, per cui ancorato alla vecchia logica di “gestione” dei rifiuti: si
riconosceva il bisogno di una maggiore tutela ambientale e della salute umana, ma lo
12
smaltimento dei rifiuti equiparava ancora il recupero e il riutilizzo all’eliminazione
ovvero al conferimento in discarica.
A seguito della modifica della Direttiva madre con la Dir. 91/156/CEE, che
introduceva forti novità in tema di prevenzione e di gerarchia del ciclo dei rifiuti, il
legislatore reagisce inizialmente con una serie di provvedimenti volti a risolvere di volta
in volta il singolo problema, ma al di fuori di un disegno sistemico di gestione.
È con il Decreto Legislativo 22/97, cd. Decreto Ronchi, che finalmente viene prevista
una nuova legge quadro del settore, che in particolare recepisce tre direttive comunitarie:
• Dir. 91/156/CEE
• Dir. 91/698/CEE
• Dir. 94/62/CE
Fino alla sua abolizione ad opera del Decreto Legislativo 152/2006 il Decreto Ronchi
subisce una serie di modifiche volte a riadattarlo alle evoluzioni Comunitarie, modifiche
di seguito riportate:
Decreto legislativo 389/1997 (cd. Ronchi bis)
Legge 128/98
Legge 426/98 (cd. Ronchi ter)
Legge 488/99
Legge 342/2000
Legge 93/2001
Decreto legge 286/2001
Decreto legge 452/2001
Legge 448/2001
Decreto legge 22/2002
Legge 39/2002
Legge 179/2002
Legge 14/2003
Decreto legislativo 36/2003
13
Decreto legislativo 182/2003
Decreto legislativo 209/2003
Decreto del Presidente della Repubblica 254/2003
Legge 308/2004
Il decreto, considerato nella sua versione più aggiornata, disciplina la gestione dei
rifiuti, dei rifiuti pericolosi, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggi, escluse solo
determinate categorie regolate da apposite normative in attuazione di specifiche
normative comunitarie.
La finalità, in ossequio alle direttive comunitarie, è quella di assicurare un’elevata
protezione dell’ambiente. Per cui i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza
pericolo per la salute dell’uomo e senza arrecare pregiudizio all’ambiente, in particolare:
Senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
Senza causare inconvenienti da rumori o odori;
Senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse;
È importante innanzitutto definire i concetti sui quali il decreto si basa.
Il rifiuto è definito quale qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie
riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l’obbligo di
disfarsi.
I soggetti su cui ricadono i maggiori obblighi sono il produttore e il detentore. Il
“produttore” è la persona la cui attività ha prodotto rifiuti o la persona che ha effettuato
operazioni di pretrattamento o di miscuglio o altre operazioni che hanno mutato la natura
e la composizione dei rifiuti. Il “detentore” è il produttore dei rifiuti o la persona fisica e
giuridica che li detiene.
Infine tra le definizioni più rilevanti la “gestione” è definita come un processo
costituito dalla raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il
controllo di queste operazioni, nonché il controllo delle discariche e degli impianti di
smaltimento dopo la chiusura.
I rifiuti possono quindi essere classificati in base alla provenienza o in base alle
caratteristiche.
In base alla provenienza i rifiuti si possono distinguere in urbani e speciali.
I rifiuti urbani sono elencati al comma 2, articolo 7:
i rifiuti domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso
di civile abitazione;
14
i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli
di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità;
i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade;
i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche
o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge
marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;
i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali;
i rifiuti provenienti da esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti
provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui alle lettere b), c) ed e).
Il comma 3 elenca invece i rifiuti speciali:
i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti
pericolosi che derivano dalle attività di scavo;
i rifiuti da lavorazioni industriali, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 8;
i rifiuti da lavorazioni artigianali;
i rifiuti da attività commerciali;
i rifiuti da attività di servizio;
i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti
dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle
acque reflue e da abbattimento di fumi;
i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti.
In base alle caratteristiche i rifiuti possono essere classificati in pericolosi e non
pericolosi. Sono pericolosi i rifiuti non domestici contenuti nell’allegato D sulla base
degli allegati G, H e I. I rifiuti non ricompresi sono considerati non pericolosi. È inoltre
vietato miscelare i rifiuti pericolosi sia con i rifiuti pericolosi, sia con altri rifiuti
pericolosi.
La novità più rilevante per il panorama italiano è l’introduzione di una gerarchia nelle
operazioni di gestione dei rifiuti (Dir. 91/156/CEE), che supera la vecchia logica e
privilegia in ordine di importanza la prevenzione e la riduzione dei rifiuti, il riuso, il