Da queste considerazioni, l'argomento da me trattato: La gestione efficace della
ricchezza "risorse umane" come fattore di sviluppo organizzativo e vantaggio
competitivo.
Oggi, la crescente globalizzazione, il progresso tecnologico, le continue e pressanti
richieste del mercato, la velocità che accompagna ogni funzione lavorativa e la
produzione stessa, non disgiunte dalla volontà di raggiungere un prodotto finito sempre
più preciso ed altamente specializzato, richiedono al mondo del lavoro e, più
specificatamente, alle organizzazioni, un elevato livello di competitività, che permetta
loro di svilupparsi, di tendere ad un miglioramento continuo, per sostenere e superare la
concorrenza, per ottenere il miglior prodotto per il cliente, per raggiungere un vantaggio
competitivo.
Ma le organizzazioni sono gli uomini. Gli uomini lavorano al loro interno, per se stessi
e, quindi, per le organizzazioni. Gli uomini fanno sì che le organizzazioni siano quello
che effettivamente sono. Le organizzazioni nascono, vivono, sopravvivono, si
sviluppano o muoiono, per merito, o demerito, della loro risorsa fondamentale: la
risorsa umana.
L'uomo è la prima e la più importante risorsa dell'organizzazione, perciò, se lo scopo da
perseguire è lo sviluppo di quest'ultima e il raggiungimento di un vantaggio competitivo
per la stessa, strategia ottimale sarà quella di gestire la risorsa umana nel modo migliore
possibile, una gestione efficace della risorsa, efficace per la realizzazione degli obiettivi
dell'organizzazione, ma concordante, prima di tutto, con la motivazione e la
soddisfazione dell'uomo.
Gestire le risorse umane, infatti, significa utilizzare il maggior numero di potenzialità
del singolo e del gruppo per il raggiungimento di obiettivi comuni e, se tale "arte", di
massima importanza per il management, è messa adeguatamente in pratica, si può
parlare di risorse umane come di "variabile" principale del successo aziendale.
ξ INTRODUZIONE
Il lavoro svolto si focalizza sulle risorse umane e, soprattutto, sottolineando la ricchezza
che queste ultime costituiscono per le organizzazioni.
La tesi si sviluppa attraverso un percorso che va a confermare, in crescendo, "l'ipotesi"
di partenza, dalle teorie generali, alle più specifiche, alla pratica.
Nel primo capitolo, "L'organizzazione del lavoro", descrivo, in generale, le
caratteristiche e le funzioni delle organizzazioni, per poi passare in rassegna le
principali teorie organizzative, fino ai pensieri organizzativi più recenti e moderni.
Analizzo, inoltre, il complesso rapporto uomo/organizzazione, gli aspetti che lo
caratterizzano e le conseguenze che ne derivano.
Focalizzo, quindi, l'importanza del concetto di competenza, per competere, e il ruolo
fondamentale della leadership nello sviluppo delle competenze stesse e, più in generale,
nella gestione delle risorse umane.
Infine, accenno alla certificazione della qualità, essenziale per l'organizzazione e per la
valorizzazione delle risorse umane.
Nel secondo capitolo, "Le risorse umane e la loro gestione efficace", parlo delle
competenze e della gestione delle risorse umane: nel rapporto uomo - lavoro -
organizzazione; nella cultura e nel clima organizzativi; nella soddisfazione; nella
motivazione e nella performance del lavoratore.
Delineo, poi, le peculiarità della gestione delle risorse umane e mi soffermo, in
particolare, sugli aspetti di un'efficace gestione delle risorse umane come fattore di
sviluppo per l'organizzazione e di vantaggio competitivo.
Nel terzo capitolo, "Il vantaggio competitivo", descrivo le caratteristiche del vantaggio
competitivo, anche alla luce dell'analisi competitiva tradizionale, condotta
principalmente da Porter, che ha fornito i maggiori contributi.
Mi soffermo, quindi, sulla strategia competitiva organizzativa, sui fattori competitivi e
le determinanti del vantaggio.
Infine, sottolineo l'importanza del rapporto e le conseguenze dell'interazione tra risorse
umane e vantaggio competitivo.
Nel quarto capitolo, "La formazione delle risorse umane", parlo della formazione
professionale e delle tappe principali del suo processo, ponendo particolare attenzione al
fondamentale contributo dell'intervento formativo nello sviluppo delle risorse umane e
nella gestione efficace delle stesse.
Nel quinto capitolo, "La gestione delle risorse umane: un caso aziendale", descrivo un
caso aziendale attraverso un'intervista al Responsabile delle Risorse Umane della BIEM
SpA di Brescia.
Infine porto a conclusione il lavoro svolto, unendo la teoria alla pratica, attraverso
conclusioni personali, particolari e generali, concretizzando lo scopo della tesi, ossia
l'interesse per un argomento attuale, che riguarda tutti da vicino, in particolare i giovani
che si affacciano al mondo del lavoro: come vengono gestite le risorse umane e, più
specificatamente, come è possibile migliorarne la gestione, anche attraverso
l'imprescindibile contributo dell'intervento formativo, perché le stesse diventino
effettivamente quello che sono in potenzialità, cioè la variabile del successo aziendale,
ciò che permette all'organizzazione di essere competitiva.
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ξ 1 - L'ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO
1.1- Le organizzazioni: loro elementi e funzioni
Il termine "organizzazione" deriva dal greco "organon" ed indicava uno strumento
musicale; nel Medioevo assunse il significato di "il formarsi degli organi", mentre nel
1600-1700 di "processo di accomodamento"; oggi "organizzazione" è inteso come
"modalità di mettere insieme, ordinare, preparare, disporre". "Organizzazione" richiama
quindi un'idea di struttura rigida con leggi, ma anche sistemi organizzati quali entità
sociali, chiese, scuole, partiti.
L'organizzazione fa riferimento ad alcuni elementi di artificiosità/convenzione, ma è
anche associata alla costrizione/coercizione. In generale, le organizzazioni sono sistemi
sociali in cui vengono riconosciute una serie di più o meno identificate risorse,
governate da una figura di leadership/controllo/autorità e dotate di un programma per
determinare le finalità e gli scopi.
Le organizzazioni sono, inoltre, organismi specificatamente costituiti per il
conseguimento di determinati obiettivi, i quali hanno ottenuto il massimo impegno
cognitivo e normativo, ma costituiscono anche un modello teorico più ampio (scienza
dell'organizzazione), un modello di organizzazione sociale caratterizzato da:
- un insieme di relazioni sociali che si instaurano tra i soggetti appartenenti all'entità;
- un complesso di "valori condivisi" e praticati dagli stessi soggetti.
Si può parlare di organizzazioni sia per aggregati tipici, come le aziende, sia nel caso di
organizzazioni naturali, come le famiglie, o di più vaste costellazioni, come le città, le
comunità regionali, ecc.
Più specificatamente Etzioni (1961) individua tre tipologie di organizzazione:
- le coercitive: carceri, ospedali psichiatrici, campi di lavoro, comunità terapeutiche;
- le utilitaristiche: hanno una finalità di profitto (aziende di produzione, di credito, di
servizio) o sono associazioni con o senza fini di lucro (no profit, onlus);
- le normative: chiese, ospedali, partiti politici, esercito, organizzazioni scolastiche.
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Le organizzazioni sono delle collettività, i cui soggetti umani che le costituiscono sono
accomunati "dall'operare insieme": di fatto le organizzazioni esistono da quando
esistono gli esseri umani e questi ultimi appartengono ad un'infinità di esse nel corso
della vita. Le organizzazioni costituiscono un processo complesso di differenziazione,
di divisione del lavoro, di specializzazione e divisione dei compiti (cioè ripartizioni
basate su professionalità comuni o su specializzazioni analoghe).
"Le organizzazioni, proprio in quanto sistemi di ruolo, sono sempre e comunque
meccanismi di influenza dei comportamenti individuali", sia perché "gli altri si
aspettano comportamenti previsti da chi ricopre i vari ruoli", sia perché "noi ci
comportiamo in maniera diversa da come siamo naturalmente a seconda dei diversi
ruoli che rivestiamo all'interno delle diverse organizzazioni in cui siamo impegnati"
(Ferrante e Zan 2002).
"L'organizzazione, più che come sistema predeterminabile, è il risultato di processi di
apprendimento organizzativo, di incontro tra i soggetti (attori), di approfondimento
reciproco dei comportamenti e dei loro effetti e di definizione a posteriori delle
preferenze in base all'osservazione degli effetti delle soluzioni organizzative via via
adottate" (Barnard 1970, cit. in Bolognini 2001).
"Organizzazione si riferisce al complesso schema di comunicazioni e di altre relazioni
che viene a stabilirsi in un gruppo di esseri umani. Questo schema fornisce ad ogni
appartenente al gruppo buona parte dell'informazione, delle premesse, degli obiettivi e
degli atteggiamenti che influenzano le sue decisioni e, allo stesso tempo, crea in lui
delle aspettative stabili e ragionevolmente sicure riguardo a ciò che gli altri membri del
gruppo stanno compiendo e al modo in cui essi reagiranno a quanto egli dice o compie.
Il sociologo chiama questo schema un sistema di ruoli, ma per la maggior parte di noi
esso è più familiare sotto il nome di organizzazione" (Simon 1985, cit. in Bolognini
2001).
L'organizzazione complessa è un insieme di parti interdipendenti che formano un tutto,
poiché ognuna fornisce un contributo ricevendone qualcosa, mentre il tutto, a sua volta,
è interdipendente con un ambiente più ampio. Lo scopo viene identificato nella
sopravvivenza del sistema, mentre le parti e le loro relazioni sono presumibilmente
determinate attraverso processi evolutivi.
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Un'organizzazione si dispiega secondo alcuni principi, programmi, funzioni,
competenze. Nelle organizzazioni esistono una serie di adempimenti formali e
ritualistici che definiscono requisiti, rapporti di sequenzialità, di complementarità, di
ruoli e di strutture. Si può affermare che più che ad un meccanismo, l'organizzazione si
avvicina ad un "organismo", ad una realtà mutevole, ma costantemente integrata nelle
sue parti.
Lo sforzo di due o più individui che lavorano insieme per un traguardo comune è più
efficace dello sforzo separato dei singoli individui: l'organizzazione, quindi, è un
fenomeno naturale e spontaneo e gli uomini sono "animali organizzativi".
Ne consegue che le organizzazioni, per essere tali, o per poter sopravvivere a se stesse,
debbano essere in grado di soddisfare i fabbisogni dei propri membri e dare loro
risposte, anche se le condizioni sociali e storiche mutano continuamente e così mutano i
valori e gli incentivi e, perciò, è improbabile definire modelli organizzativi assoluti.
Le organizzazioni possono essere di varia natura (ente, chiesa, esercito, azienda,
ospedale, ecc.) e sono composte da gruppi ed individui, ossia da sottosistemi e singoli
che cercano di raggiungere obiettivi condivisi e distribuiti assumendo alcune
componenti fondamentali:
- divisione del lavoro: i compiti sono distribuiti a più persone;
- obiettivi orientati verso un unico target: ogni membro deve essere in grado di
muoversi, comportarsi ed agire coerentemente nei tempi, modi e luoghi e per farlo è
necessario avere un flusso di informazioni pertinenti;
- sinergie di decisioni tattiche/strategiche: capacità delle organizzazioni di rendere
sinergiche le attività attraverso una guida generale (vision), al fine del
raggiungimento del bersaglio;
- durata nel tempo: lo scopo può essere perseguito in modo durevole nel tempo;
- assetto giuridico: l'organizzazione necessita di un assetto giuridico legale che
contempli anche gli obiettivi della stessa fin dalla stesura del suo statuto; sancito e
riconosciuto dalla struttura giuridica dello stato;
- utilizzazione delle risorse: l'organizzazione deve essere in grado di sfruttare le
risorse tecnologiche, finanziarie, architettoniche (posto fisico, le sedi), logistiche,
materiali, di trasporto, ma soprattutto umane/expertise (depositari di conoscenze,
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competenze e professionalità sufficienti alla sopravvivenza dell'organizzazione e
che permettono il raggiungimento dell'obiettivo);
- soddisfazione dei bisogni dei suoi membri e di individui terzi: bisogni in termini di
beni, servizi, appartenenze o condivisione di interessi politici e sociali (partiti,
sindacati).
In una realtà organizzativa si possono individuare alcune forze determinanti che
contribuiscono a delineare e confermare un'organizzazione:
- processi di differenziazione, ossia di attribuzione di compiti specifici alle
professionalità esistenti; più un'organizzazione è complessa tanto più essa sarà
differenziata;
- processo di integrazione, garantito da un processo di differenziazione, che
garantisce a sua volta il raggiungimento degli obiettivi.
La struttura organizzativa, inoltre, si sostiene su quattro processi:
1- sistema di controllo
2- comunicazione e informazione
3- procedere attraverso metodiche codificate di valutazione e di ricompensa
4- capacità di pianificare
Questi processi sono tali per cui un cambiamento di uno di essi può modificare o
cambiare totalmente gli altri.
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1.2- Le teorie organizzative
1.2.1- La fase classica
Le teorie classiche hanno contribuito all'elaborazione di un modello ideale di
organizzazione esclusivamente formale. Il loro fine era quello di mobilitare in modo
ottimale le risorse materiali ed umane dell'organizzazione inserendo razionalità e
prevedibilità.
Per quanto riguarda l'organizzazione classica si possono individuare alcuni principi
generali:
- principio scalare o gerarchico: è necessario che sia ben chiara la "piramide
aziendale", caratterizzata da un'attenta burocrazia;
- unità di comando: in un'organizzazione classica è necessario che ciascuno sappia
esattamente da chi è comandato;
- principio d'eccezione: nel momento in cui l'organizzazione si trova di fronte ad una
situazione insolita si deve ricorrere al soggetto con più alto potere decisionale;
- ambito di controllo: in un'organizzazione è necessario che colui che
controlla/comanda/gestisce conosca l'ambito nel quale esercita la sua funzione;
- specializzazione organizzativa: più un'organizzazione si evolve e cresce e più essa
tende a specializzare le proprie funzioni;
- accentramento/decentramento: è necessario che in un'organizzazione vi sia la
distinzione tra responsabilità/compiti che sono di diretta funzione
dell'amministrazione centrale e quelle che possono essere decentrate.
L'elaborazione del primo modello organizzativo è da attribuire ad Henry Fayol (1973).
Fayol gettò le basi della dottrina direzionale moderna con un contributo di fondamentale
importanza, ossia la divisione delle funzioni all'interno di un'organizzazione
("Amministration Industrielle et Generale", 1973): le operazioni tecniche, le operazioni
commerciali, le operazioni finanziarie, le operazioni di contabilità, le operazioni di
sicurezza, le operazioni di direzione, di tipo organizzativo e di autorità.
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Max Weber (1991) è il primo studioso che mette in risalto un'idea razionale
operazionalistica delle organizzazioni, arrivando a formulare un ideal - tipo di
organizzazione che parte da un'ipotesi di fondo: le strutture organizzative devono
tendere al raggiungimento razionale dei propri obiettivi. Tale realizzazione sarà tanto
più efficiente quanto più verranno eliminate le arbitrarietà e le occasioni di conflitto
nelle relazioni interpersonali e fra i gruppi.
Ciò è possibile solo razionalizzando la gestione delle operazioni attraverso i principi
organizzativi:
1- divisione del lavoro fondata sulla specializzazione funzionale (funzioni diverse
generano compiti diversi);
2- una gerarchia di autorità ben definita;
3- un sistema di norme precise: esistono delle regole generali che devono essere
seguite e che possono essere apprese;
4- un sistema di procedure per affrontare i problemi;
5- impersonalità delle relazioni interpersonali: le funzioni vanno svolte da ciascuno
senza inutili passioni o entusiasmi;
6- la selezione e la promozione fondata sulla competenza tecnica: i funzionari di
un'organizzazione devono essere assunti e impiegati per le loro competenze non
nominati o eletti su altre basi.
Fayol e Weber offrono, dunque, alcuni principi generali di organizzazione:
il primo individua le funzioni principali che vi possano essere riconosciute;
il secondo un modello perfetto di organizzazione, il "modello burocratico", che insiste
sulla specializzazione e sulle regole.
Il modello di teoria organizzativa di Taylor (1975, cit. in Auteri 1998 e in Tagliagambe
1999) rappresenta la prima importante esperienza sistematica di analisi del lavoro (job
analisys), considerandolo parte della realtà e che quindi può essere studiato e
migliorato, superando la visione del lavoro come attività generata spontaneamente e non
imitabile.
La sua esperienza lavorativa come manovale era stata lo spunto di alcuni propositi di
cambiamento per ottimizzare il lavoro attraverso la tecnica induttiva del bottom up, che
poi diedero origine al modello organizzativo scientifico.
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Questa tecnica fa parte dei fenomeni empirici per raccogliere tutti gli elementi per
definire i principi teorici di un paradigma così da consentire la costruzione di un
modello organizzativo applicabile a più ambiti.
La sua prima intuizione fu quella di vedere il lavoro con una visione più generale, ossia
efficienza e produttività non sono legate ad una singola azione, ma vanno ridistribuite a
lungo termine.
Per Taylor il sistema andava rivisto cercando di aumentare il peso sollevato nell'intero
arco della giornata da persone normali, anche se non dotate di particolare forza fisica.
La sua ipotesi era che ogni lavoratore poteva raggiungere una migliore produttività
trasportando molto più materiale, soltanto se si fosse attenuto ad un sistema di tempi
morti e tempi di lavoro ben precisi, per non far insorgere il sovraffaticamento.
Secondo Taylor, inoltre, non era più indispensabile immaginare l'uomo più adatto ad
una mansione, ma intervenendo sugli strumenti usati nell'azione anche un uomo non
particolarmente dotato poteva ottenere ottime performances (strategia ergonomica:
intervenire sullo strumento per ridurre la fatica ed aumentare l'efficienza su lungo
periodo; contributi degli studi sulle curve di fatica dello scienziato di fisiologia A.
Mosso).
Il modello di Taylor diventa protagonista di una rivoluzione organizzativa della storia
dell'uomo con il nome di "modello scientifico" e costituirà l'ossatura portante dell'
"Organizzazione scientifica del lavoro".
Dietro questo modello organizzativo si concretizzava una filosofia dell'uomo e
sull'uomo: la rappresentazione organizzativa umana è la congiunzione di alcune
caratteristiche e la loro unione è il modello organizzativo dell'uomo e della componente
umana.
La visione dell'uomo per Taylor viene chiamata "Teoria razionale economica
dell'uomo", ossia l'uomo spontaneamente rifiuta il lavoro, rifiuta qualsiasi
responsabilità, non lavora senza un'utilità, non sa organizzarsi razionalmente, ha
modalità operative spontanee - improvvisate, lavora solo se o pagato o punito (principio
del bastone e della carota).
L'organizzazione scientifica del lavoro è il complesso delle regole che vengono stabilite
dall'impresa allo scopo di ottenere il massimo della produttività. Essa ebbe origine negli
USA verso la fine del XIX secolo e fu teorizzata come scienza economica da Taylor, da
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cui prese il nome di taylorismo. Il taylorismo si inserisce in un contesto sociale ed
economico particolarmente problematico dovuto ai massicci flussi migratori verso
l'America, situazione che faceva nascere l'esigenza di gestire e controllare socialmente e
politicamente masse eterogenee e disordinate di persone provenienti da tutto il mondo.
In quel tempo, inoltre, alcune grandi imprese, che volevano conquistare una situazione
di monopolio per la produzione e la vendita di alcuni prodotti industriali, avvertirono la
necessità di produrre a basso costo: per ottenere ciò occorreva aumentare la produttività
del lavoro industriale con sistemi studiati scientificamente.
In Italia l'organizzazione scientifica del lavoro fu introdotta soltanto dopo il secondo
dopoguerra, intorno agli anni '50, quando ebbe inizio la fase più intensa del processo di
industrializzazione. L'esigenza, infatti, di organizzare razionalmente il lavoro umano
scaturisce proprio dalle caratteristiche stesse della produzione industriale e, per
aumentarne la produttività, bisogna eliminare i tempi morti, imponendo precise regole
che razionalizzino al massimo i metodi di lavorazione e l'intervento dell'uomo sui mezzi
tecnici e strumentali.
La frammentazione dei processi di lavorazione in piccole parti viene detta
"parcellizzazione" e, in base ad essa, ogni singola fase operativa viene affidata ad un
operaio che fa parte di una catena di montaggio, nell'ambito della quale un nastro
trasportatore passa davanti all'operaio, in una successione di tempo scandita
rigorosamente secondo ritmi studiati per eliminare tutti i movimenti superflui e ridurre i
tempi morti. La parcellizzazione del lavoro, se da una parte fa aumentare la produttività,
dall'altra fa sì che ogni lavoratore si specializzi soltanto in una fase del lavoro
estremamente ridotta, e ciò determina disinteresse, noia e fatica psicologica.
Due personaggi di spicco, che hanno applicato e potenziato la dottrina del taylorismo
sono stati i coniugi Gilbreth: Frank Gilbreth (1868 - 1924) e Lillian Moller Gilbreth
(1878 - 1972).
I coniugi Gilbreth rappresentano l'espressione organizzativa tecnico - psicologica che è
seguita all'approccio sociotecnico.
I coniugi Gilbreth sono considerati i padri dell'efficientismo e il loro pensiero affonda le
radici nella moderna organizzazione. Essi individuarono una serie di unità elementari di
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movimento ed elaborarono un modello per la definizione dei tempi predeterminati: il
modello MTM.
Inoltre, in particolare Lillian Gilbreth rafforzò l'interesse per gli aspetti umani del lavoro
e per la selezione, il collocamento, l'addestramento del personale dipendente, per la
sicurezza e la salubrità nei luoghi di lavoro, per il valore della persona.
Con Henry Ford (1926) il taylorismo raggiunge la massima maturità.
Henry Ford poggia la sua impresa su due assi portanti: il sistema manifatturiero
americano e lo Scientific Management.
Egli dà inizio alla produzione del "modello T"; applica la teoria di Taylor, dà vita alla
catena di montaggio, ottimizza i tempi.
Il fordismo scopre il mercato di massa e il consumismo e la Ford risulta essere l'impresa
più integrata al mondo.
1.2.2- La fase delle relazioni umane
La scuola delle Relazioni Umane non introduce un nuovo modello esplicito di
organizzazione, ma propone una critica alla concezione classica del fattore umano,
sviluppando delle tecniche per superare certe disfunzioni, quali basso morale, resistenza
al cambiamento e bassa produzione (nasce verso la fine degli anni '20 come psicologia
industriale).
La crisi del modello tecnicista avviene soprattutto ad opera dei pre-ergonomi inglesi e
della ricerca condotta da Elton Mayo.
Mayers (anni '20 - '30) è considerato lo studioso più autorevole tra gli psicotecnici e i
pre-ergonomi inglesi.
Le ricerche attuate dagli psicotecnici inglesi diventano particolarmente attive ed utili
durante la prima guerra mondiale per focalizzare l'attenzione sull'incremento
dell'efficienza e la riduzione della fatica, anche grazie ai contributi di Antonio Mosso,
fisiologo italiano che ha dedicato grande impegno allo studio delle curve di fatica e di
efficienza.
I ricercatori, dopo un attento studio sulle pause lavorative, approdano ad una scoperta
che avrebbe messo in crisi alcuni punti cardine del taylorismo: la monotonia industriale.