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distinto rispetto alla banca, secondo modalità standardizzate mai praticate in
precedenza (credit derivatives, securitization).
Proprio su tali innovativi strumenti di mitigazione della gestione del rischio di
credito verrà concentrata l’analisi nel secondo capitolo.
Separando, tramite i credit derivatives, il rischio di credito legato ad un’esposizione
dal titolo che la rappresenta, il rischio di credito in questione può essere meglio
gestito e mitigato.
Allo stesso modo, anche la cartolarizzazione dei crediti offre nuove possibilità di
gestione del portafoglio creditizio detenuto dagli istituti bancari; esternalizzando e
titolarizzando il credito, infatti, per il tramite di un SPV, le banche acquisiscono
una serie di vantaggi in termini di requisiti prudenziali, gestione dell’attivo e del
passivo, redditività.
Il lavoro effettuerà, nel prosieguo, un’analisi del processo d’integrazione posto in
essere tra banche e compagnie di assicurazione, fenomeno sempre più in crescita
nell’ultimo periodo, per effetto di forti collaborazioni intercorrenti tra le istituzioni
finanziarie, soprattutto nel collocamento di prodotti assicurativi attraverso gli
sportelli bancari.
Poiché il trasferimento del rischio di credito si realizza, per certi versi, anche in
modo problematico, si individueranno, quindi, le principali implicazioni del
fenomeno del credit risk transfer sugli equilibri del sistema finanziario, si
individueranno le problematiche da affrontare, nonché i vantaggi che il settore
potrebbe trarre da un simile fenomeno in ascesa.
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PRIMO CAPITOLO: IL RISCHIODI CREDITO
1.1. RISCHI E QUESTIONI BANCARIE : ASPETTI DEFINITIVI
Generalmente nella letteratura economica tre sono le nozioni fondamentali di
rischio applicabili alla gestione bancaria, il rischio economico, riferito all’equilibrio
ricavi-costi della gestione, il rischio finanziario, riferito all’equilibrio tra entrate ed
uscite monetarie, ed infine il rischio patrimoniale, riferito all’equilibrio della
struttura finanziaria identificabile nell’ adeguatezza del capitale proprio.
Ognuna di queste nozioni generali merita un approfondimento particolare e
specifico, perché nella letteratura scientifica sulla banca vengono in concreto
impiegate nozioni di rischio più dettagliate che costituiscono logicamente le
sottocategorie delle stesse nozioni generali, in funzione della possibilità di
identificare fattori di rischio più specifici (Resti, 2001).
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1.1.1. RISCHIO ECONOMICO
Come si è detto, per rischio economico s’intende il rischio che il risultato
economico della gestione bancaria non corrisponda, in fatto di livello e di
variabilità, alle aspettative del soggetto economico, alla previsione della direzione
aziendale e all’ andamento del settore. Occorre quindi precisare che il problema del
rischio economico non si pone nei termini assoluti e grossolani dell’alternativa
“reddito o perdita”, ma piuttosto deve essere colto in termini relativi, cioè come
scostamento del risultato economico conseguito relativamente ai tre elementi di
riferimento ricordati, scostamento che deve essere inteso in funzione di due
dimensioni, cioè il livello e la variabilità ( Sironi, Zazzaria, 2001).
Alla formazione del risultato economico concorrono i ricavi finanziari, derivanti da
interessi attivi, commissioni e provvigioni attive, i costi finanziari, derivanti da
interessi passivi, commissioni e provvigioni passive, i costi operativi, per il
personale, costi generali, ammortamenti delle attrezzature tecniche ecc., le
plusvalenze e minusvalenze delle attività rappresentate prevalentemente da titoli il
cui valore di mercato può rivelarsi rispettivamente superiore o inferiore e quello di
libro, ed infine le perdite su crediti derivanti da insolvenza dei debitori. E’ ora
necessario analizzare come tali variabili concorrano a definire le varie tipologie
nelle quali il rischio economico si sostanzia; queste possono essere brevemente
riassunte nel rischio di tasso d’interesse, rischio di cambio , rischio di credito,
rischio di portafoglio e rischio monetario; sembra doveroso, in questa sede,
effettuare una breve disamina di tali componenti, in modo da evidenziare come
ciascuno dei sopracitati fattori sia essenziale per la valutazione del rischio
economico nell’istituzione creditizia (Resti, 2001);
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- Anzitutto è importante precisare la nozione di rischio di tasso d’interesse. Con
questa definizione s’intende concettualizzare il rischio che la dinamica dei tassi
d’interesse del mercato determini, nella sequenza dei risultati economici di periodo,
condizioni di variabilità e di livello incoerenti con gli obbiettivi programmati e
attesi. Per mettere a fuoco il concetto bisogna premettere che le attività e le
passività negoziate dalla banca presentano contrattualmente scadenze differenziate
( a vista o a termine) per quanto riguarda la possibilità di rinegoziare le condizioni
contrattuali di prezzo (tasso di interesse). Bisogna tener presente, quindi, che la
scadenza delle attività o delle passività, non è riferita al termine contrattuale , ma
piuttosto al termine temporale in cui è contrattualmente possibile modificarne il
tasso d’interesse. Sulla scorta di questo criterio, diviene possibile distinguere, nello
stato patrimoniale della banca, le attività e le passività a tasso variabile da quelle a
tasso fisso
(1)
. Inoltre occorre distinguere, nell’ambito delle attività a tasso fisso,
quelle il cui valore di mercato varia in funzione delle variazioni dei tassi d’interesse
del mercato (titoli obbligazionari a cedola fissa) e quelle che, non essendo
negoziabili o trasferibili per la loro forma contrattuale, non presentano alcuna
variabilità di valore economico in funzione della variazione dei tassi d’interesse del
mercato ( prestiti contrattualmente non incorporati in titoli di credito trasferibili).
La variazione dei tassi d’interesse di mercato influisce evidentemente sul valore
economico dei titoli obbligazionari a cedola fissa, infatti una variazione in aumento
o in diminuzione dei tassi di mercato, determina rispettivamente una diminuzione o
un aumento del valore negoziale delle stesse e quindi una potenziale perdita o
guadagno in conto capitale che concorre alla formazione del risultato economico di
periodo.
Per quanto riguarda invece i prestiti non trasferibili, il rischio di tasso d’interesse
non si concreta nella possibilità di svalutazione delle attività in funzione
dell’aumento dei tassi d’interesse, ma deriva invece dalla possibilità che la struttura
per scadenze di rinegoziabilità del tasso dell’attivo non coincida con quella del
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passivo. In questo caso, se ci fosse non coincidenza tra le strutture, una variazione
in aumento dei tassi d’interesse di mercato determinerebbe una variazione negativa
del margine d’interesse, rispetto al margine d’interesse atteso nell’ ipotesi di
stabilità dei tassi di mercato. Nel caso di diminuzione dei tassi d’interesse di
mercato, la variazione del margine d’interesse sarebbe diametralmente contraria;
- una seconda componente di rischio economico è costituita dalla circostanza che
le strutture degli attivi e dei passivi denominati in monete diverse dalla moneta
nazionale non siano simmetriche e speculari. In altre parole, l’eventualità che la
gestione ponga in essere attività e passività nelle singole monete estere per importi
diseguali genera evidentemente un rischio di cambio. Infatti, in sede di stesura del
bilancio d’esercizio, tutte le attività e passività in valuta (moneta estera ) devono
essere necessariamente convertite in moneta nazionale al tasso di cambio corrente
sul mercato valutario. Conseguentemente le variazioni dei tassi di cambio possono
determinare plusvalenze e minusvalenze sia dal lato dell’attivo sia da quello del
passivo: la risultante netta della somma di queste plusvalenze e minusvalenze può
rivelarsi positiva o negativa e perciò influisce sulla formazione del risultato
economico della gestione. E’ pertanto dimostrato che una composizione degli attivi
e dei passivi differenziata per valuta di denominazione e reciprocamente
asimmetrica provoca un rischio di cambio. Tale rischio può trovare contropartita e
compensazione nella preventiva stipulazione di contratti di compravendita a
termine, per importi e scadenze idonee, con riferimento agli specifici sbilanci fra
attività e passività nelle stesse valute
(2)
;
- una terza componente del rischio economico della gestione bancaria è costituita
dal rischio di credito, cioè dall’eventualità che la clientela finanziata si riveli in
tutto o in parte insolvente rispetto all’ obbligazione di rimborsare il capitale o
pagare gli interessi. Il rischio di credito rappresenta una componente fondamentale
di ogni transazione di natura finanziaria, in considerazione del fatto che alla
prestazione contrattuale di una delle due parti si contrappone una prestazione
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dell’altra differita nel tempo o non contestuale in sede di regolamento. La parte che
per prima assolve ai propri obblighi contrattuali si trova quindi esposta al rischio
che la sua controparte non faccia tempestivamente fronte ai propri, quando questi
divengono esigibili, per effetto di una sia inadempienza o insolvenza.
Si pensi per esempio al caso di una banca che concede un finanziamento ad
un’impresa, esponendosi pertanto al rischio che il debitore non sia in grado di far
fronte alla corresponsione periodica degli interessi ed al rimborso del capitale a
scadenza. Analogo è il caso di un investitore, istituzionale o privato che ,
investendo in titoli obbligazionari, assume un corrispondente rischio di credito nei
confronti dell’emittente.
Oltrechè agli strumenti primari, il medesimo discorso trova applicazione inoltre
agli strumenti derivati. Si pensi, a tal proposito, al caso di un operatore che acquista
un opzione call sull’indice MIB30 a fronte della corresponsione di un premio a
pronti. A scadenza, l’opzione pagherà il differenziale, se positivo, tra il prezzo spot
al momento dell’esercizio e lo strike. Oltre alla relativa posizione di mercato,
l’operatore che acquista le call si assume dunque anche il rischio che il venditore
non sia in grado di far fronte al proprio obbligo di corrispondere tale differenziale a
scadenza. L’unica differenza sostanziale rispetto agli strumenti primari va
individuata nel fatto che il rischio di credito associato ai derivati, risulta assai più
complesso da misurare e monitorare. Questo in quanto sia l’ammontare che la
direzione dell’esposizione presentano un andamento dinamico e complesso, in
funzione del comportamento del prezzo di riferimento nel mercato. Basti pensare, a
tal riguardo, al caso di un contratto di swap sui tassi, in cui la controparte A paga
un tasso fisso e riceve un tasso variabile dalla controparte B su di un determinato
ammontare di riferimento; l’ampiezza ed il segno del differenziale tra il valore
attuale della gamba fissa e quello della gamba variabile, e di conseguenza anche il
rischio di credito associato alla posizione, dipendono dall’andamento dei tassi
sottostanti presi a riferimento nello swap.
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La gestione di tale rischio, pertanto, unitamente alla ricerca di strumenti e tecniche
per mitigarne l’esposizione, ha rivestito un ruolo centrale nella valutazione
economica delle diverse transazioni e nel processo decisionale degli operatori.
- il concetto di rischio di portafoglio si sostanzia, invece, in una nozione di rischio
non riferita alle singole attività contrattualmente identificabili, ma al loro
complesso, cioè al portafoglio delle attività. La definizione di rischio di portafoglio,
che deriva dalla teoria microeconomia, per quanto non facilmente applicabile in
termini operativi, mette in evidenza che il rischio complessivo di un certo
aggregato di attività non coincide necessariamente con la media ponderata dei
rischi delle singole attività considerate. Infatti, dato che la correlazione fra i rischi
delle singole attività può essere positiva, nulla o negativa, il rischio di portafoglio
risulta tanto inferiore alla media ponderata dei rischi delle singole attività, quanto
maggiore è lo scostamento dell’indice di correlazione complessivo della posizione
positiva estrema. Quindi, la diversificazione delle attività, perseguita secondo un
criterio di diversificazione negativa dei relativi rischi singoli, produce globalmente
l’effetto di un miglioramento del rischio del portafoglio;
- il rischio monetario, infine, è inteso come rischio economico derivante
dall’eventuale variazione del potere d’acquisto della moneta. Occorre precisare che
il rischio monetario non presenta concettualmente nessuna relazione di affinità con
il rischio finanziario,come potrebbe fare erroneamente intendere a prima vista
l’impiego del termine “monetario”, qui riferito invece all’eventualità del
deprezzamento dell’ unità monetaria di conto.
In quanto intermediario finanziario, la cui struttura patrimoniale si configura
prevalentemente come contrapposizione di attività e di passività finanziarie, la
banca sembrerebbe in prima approssimazione immune dalla variazione del potere
d’acquisto della moneta. Infatti tale variazione influisce in misura eguale sul valore
“reale” delle attività e delle passività finanziarie
(3)
(Sironi , 2001).
11
1.1.2. RISCHIO FINANZIARIO
La nozione di rischio finanziario è già stata implicitamente spiegata, nel suo
contenuto concettuale, dalle considerazioni svolte con riferimento alle nozioni
diverse, ma confinanti, di liquidità e di solvibilità della banca.
Occorre premettere che l’ equilibrio finanziario si forma dalla contrapposizione di
flussi finanziari di segno opposto. E’ importante precisare che per flusso finanziario
si intende un’entrata o un’uscita monetaria. Pertanto flusso finanziario e flusso
monetario sono concetti coincidenti. Si tenga presente che le variazioni delle
attività e delle passività, i ricavi e i costi danno vita a flussi monetari soltanto
quando, come accade prevalentemente, esse avvengono per contropartita di
scambio. Ciò significa, per esempio, che le variazioni di attività e passività
determinate da rivalutazioni o svalutazioni, non danno luogo direttamente a flussi
monetari.
Lo squilibrio di periodo tra entrate e uscite si evidenzia nella variazione netta delle
attività di riserva, o riserva monetaria o ellitticamente “cassa”. Infatti qualsiasi
variazione delle quantità ricordate, se non compensata da uguale variazione di
segno opposto di altre quantità, determina necessariamente una variazione
monetaria o flusso di cassa che modifica la quantità delle riserve monetarie, le quali
costituiscono pertanto la contropartita finale dei movimenti positivi e negativi di
tutte le altre quantità di stato patrimoniale e di conto economico
(4)
(Sironi, Marsella
, 1999).
E’ inoltre importante sottolineare che la compensazione fra flussi finanziari
negativi e positivi,pur determinati discrezionalmente dalla clientela, può avvenire
per “circuito esterno” alla banca, quando si verifichi il fenomeno della “chiusura
dei circuiti finanziari” dell’area di mercato in cui la banca intrattiene rilevanti quote
di relazioni di credito e di debito. In definitiva, le variazioni dell’equilibrio
monetario sono la risultante netta della sommatoria dei flussi finanziari positivi e
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negativi. Il rischio finanziario consiste quindi nell’eventualità che la dinamica
complessa e combinata dei flussi finanziari determini variazioni della disponibilità
di riserve monetarie eccessive rispetto alla dimensione ottimale di quest’ultime.
Infatti un’ eccedenza di riserve monetarie ( infruttifere o quasi) influisce
negativamente sulla redditività della gestione, mentre una carenza delle stesse
comporta sia rischi di liquidità, sia costi di tesoreria derivanti dalle operazioni
necessarie al riequilibrio e quindi in definitiva un effetto non favorevole sul
risultato economico della gestione (Sironi, Zazzaria , 2001).
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1.1.3. RISCHIO PATRIMONIALE
Per rischio patrimoniale deve intendersi l’eventualità che la dimensione relativa dei
mezzi propri nella struttura finanziaria della banca si discosti dalla sua dimensione
ottimale. Per meglio valutare il rischio patrimoniale, anzitutto occorre considerare
il grado di rischio delle attività finanziarie accolte in stato patrimoniale. Quanto
maggiore è il rischio di perdita, derivante sia da insolvenza dei debitori sia da
diminuzione del valore negoziale di mercato, tanto maggiore dovrebbe essere il
fattore di garanzia rappresentato dai mezzi propri, a parità di ogni altra condizione.
A tale proposito, l’adeguatezza dei mezzi propri è fortemente condizionata dalla
presenza di fondi di riserva più o meno capienti a fronte delle ricordate categorie di
rischio
(5)
. Del resto, ciò trova logica giustificazione nella considerazione che la
funzione dei fondi di riserva è una funzione di garanzia non diversa da quella dei
mezzi propri e dalla circostanza che i fondi si formano per accantonamento di utili,
cioè di flussi idealmente destinati, ove non altrimenti deliberato, ad aumentare il
capitale proprio (D’Auria,Gaetano, Pastore, 2001).
In secondo luogo, pure il grado di variabilità delle consistenze degli attivi e dei
passivi discrezionalmente determinate dai comportamenti della clientela, è un
fattore importante del fabbisogno di capitalizzazione. Infatti attivi e passivi volatili
comportano, in linea generale, un fabbisogno di riserve di liquidità elevate o
alternativamente una costante ed intensa attività ( rischiosa) di gestione della
tesoreria in funzione stabilizzatrice. Nell’ uno o nell’altro caso, l’equilibrio
economico della gestione ne risulta negativamente influenzato. Può quindi rivelarsi
conveniente attenuare il problema della liquidità e consolidare l’equilibrio
finanziario mediante una maggiore capitalizzazione della struttura finanziaria della
banca: i mezzi propri, costituendo in sé una componente stabile della struttura
finanziaria aziendale, attenuano la variabilità dei flussi finanziari complessivi.