7
Il secondo capitolo mira ad inquadrare le società di calcio all’interno del loro settore di
appartenenza: il settore dello spettacolo e del tempo libero (entertainment and leisure). Si procederà
definendo prima il prodotto delle società in oggetto e poi inquadrando le medesime all’interno del
loro ambito, rilevando anche gli impatti non economici delle stesse. Verrà, inoltre, fornita una breve
indicazione sull’organizzazione delle società. Il capitolo si conclude con un’analisi del settore
secondo il modello di Porter.
Il marketing mix delle società calcistiche è oggetto del terzo capitolo, del quale non si pretende di
dare una visione approfondita, bensì una visione d’insieme che permetta di capire come
quest’attività generi valore per le società di calcio. Si analizzeranno quindi il marchio e la sua
rilevanza e tutte le componenti del marketing mix tipico delle aziende calcistiche: luogo, prezzo,
distribuzione, sia dal punto di vista dei biglietti e abbonamenti sia dei diritti televisivi,
comunicazione, merchandising e sponsorizzazione.
Il quarto capitolo espone la struttura del bilancio delle società, poiché si ritiene che il bilancio
d’esercizio, quale documento di sintesi della gestione, sia idoneo a fornire le informazioni utili
all’analisi delle performance delle aziende in oggetto. Si esamineranno, quindi, le varie componenti
del bilancio d’esercizio, con un particolare riguardo alle voci di bilancio tipiche delle società
calcistiche, sia in termini di collocazione in bilancio sia di rilevanza economica.
Il quinto capitolo è dedicato alla quotazione in Borsa, operazione intrapresa solo di recente da parte
delle squadre italiane e limitata a soli tre casi. Si definiranno gli aspetti normativi della quotazione e
del funzionamento della Borsa Italiana S.p.A., si esamineranno i motivi che portano le società a
quotarsi e si analizzerà l’andamento di quelle già quotate in Italia. Si evidenzieranno poi le
ripercussioni delle operazioni e politiche di gestione sulla quotazione in borsa e l’impatto dei
risultati sportivi sulla medesima.
Nel sesto capitolo si presenta un’analisi aggregata del settore calcio, procedendo prima ad
analizzare l’andamento della Serie A e poi quello della Serie B. Si svolgerà una riflessione
sull’impatto del costo del lavoro nelle performance delle società e l’effetto prodotto dalla
promozione/retrocessione.
Il settimo capitolo è dedicato all’analisi specifica di alcuni casi: la Juventus, quale esempio di
gestione efficace, la Roma e la Lazio, quali esempi di società quotate in situazioni economiche
8
problematiche, l’Inter e il Milan, quali esempi di “grandi squadre” non quotate, il Parma, in virtù
della sua qualifica di aspirante grande, esempio di riduzione dei costi per il personale e anche
considerando il difficile momento derivante dalla crisi della Parmalat, proprietaria e sponsor
ufficiale. L’analisi dei casi specifici è preceduta dalla disamina generale della riclassificazione dei
bilanci e analisi degli indici.
L’obiettivo dell’ottavo capitolo è di evidenziare i possibili scenari futuri del mondo del calcio, in
virtù della decisione delle Commissioni Europee sul “decreto salvacalcio”, dell’introduzione delle
Licenze U.E.F.A. e della prevista riforma dei campionati; s’indicheranno dei possibili strumenti per
il contenimento dei costi e sistemi di gestione per raggiungere migliori risultati economici.
9
CAPITOLO I: IL SETTORE CALCIO: ORGANIZZAZIONE, SVILUPPO
ECONOMICO ED EVOLUZIONE GIURIDICA
1.1 Cenni storici
Le origini del calcio s’incontrano nell’antichità, addirittura c’è chi parla del 2600 a.c..
Un ruolo fondamentale nella diffusione di questo gioco lo svolge l’Inghilterra dove, durante la
rivoluzione industriale, il calcio prende piede. La borghesia inglese vede in questo sport una
distrazione per gli operai delle fabbriche.
Le radici
1
, come detto, sono antiche e i primi rudimenti del gioco del calcio rimandano alla Grecia,
precisamente a Sparta, con i ragazzi che si azzuffano sopra ad una palla; Roma eredita l'episkyros e
lo ribattezza harpastum o pulverulentium (per la polvere che si alzava con le gare). Anche nell’Asia
ci sono degli esempi di “calcio”: in Cina si afferma che fosse praticato nel II secolo a.C. mentre in
Giappone troviamo il kemari, uno dei tanti antesignani del calcio
Nel Medioevo in Cornovaglia troviamo l’hurling, a Firenze troviamo il calcio fiorentino, che è più
simile al rugby mentre nella civiltà Maya si pratica il gioco della pelota, che è più simile al basket.
L’evoluzione e diffusione del calcio proviene comunque maggiormente dall’Inghilterra, il 13 aprile
del 1314 il podestà di Londra, Nicholas Fardon per ordine di Edoardo III, proibisce il calcio in
quanto foriero di disordini e nemico della quiete pubblica, ma nel 1617 Giacomo I Stuart, promulga
la Declaration of sport, la quale abolisce i divieti e le restrizioni che avevano colpito il calcio
favorendone la rapida diffusione, soprattutto nei college. Nel 1823 in una Public School (College di
Rugby) si determina lo spartiacque tra il rugby e il gioco del pallone: durante una partita tra studenti
(due squadre contro con una palla da prendere a calci per portarla al di là della meta avversaria,
definita goal, segnata da due legni impiantati in terra) uno studente (William Webb Ellis) afferra la
palla con le mani per portarla oltre la meta avversaria, dopo una lunga corsa.Il vero atto di nascita si
fa risalire al 26 Ottobre 1863 quando, nella taverna dei liberi muratori, viene costituita l'English
Football Association; la prima società calcistica del mondo per i “libri sacri” è lo Sheffield Club,
costituito nel 1857 secondo una ricerca del mensile Calcio2000 risulta essere il Bochum, costituito
il 1 luglio 1848 e nato molto probabilmente come polisportiva o società di ginnastica.
Questo ruolo predominante dell’Inghilterra nell’evoluzione del calcio si riscontra tutt’ora
nell’evoluzione della gestione commerciale delle società, rappresentando un punto di riferimento
per tutte le società del mondo.
1
Le informazioni presenti in questo paragrafo sono tratte dai numeri 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 36, supplemento al nº36
di Calcio2000
10
Una prima forma di regolamentazione risale al 1848 quando, in Inghilterra, si mettono nero su
bianco le "Cambridge Rules". Si stabilisce che i componenti delle squadre devono essere 11, che le
partite durano un ora, con un arbitro, le porte alte 2 metri e che un attaccante non può avere tra se e
la porta meno di 3 uomini; il portiere (ruolo che diverrà tale solo nel 1860) più altri 2. Regola
fondamentale perché istituisce il fuorigioco. Per il primo regolamento ufficiale bisogna attendere il
1863.
In Italia questo gioco giunge nel 1887. In precedenza si trovano dei testi sul calcio: del 1555 è il
"Trattato del gioco della palla" di Antonio Scaino di Salò e del 1688 è il "Trattato sul calcio" di
Lorenzo Bini. Risale al 1898 la fondazione della Federazione Italiana Football (FIF), trasformatasi
poi in Federazione Italiana Giuoco Calcio (di seguito F.I.G.C.), ed il primo campionato nazionale,
disputato tutto in una giornata e vinto dalla squadra del Genoa.
Il primo torneo ufficiale risale al 20/7/1871 quando Ebenezer Cobb Morley presenta la F.A.
Challenge Cup (oggi Coppa d'Inghilterra).
Il 2 giugno 1881 nasce l'I.F.A.B., l'International Football Association Board, con il compito di
unificare i regolamenti di gioco e provvedere alle opportune modifiche e innovazioni, nel 1904 a
Parigi nasce la F.I.F.A. (Fédération Internationale de Football Association). Nel frattempo nel
Regno Unito erano già nate anche le federazioni scozzese (1871), gallese (1875) e irlandese (1880).
Nel 1885 nasce il professionismo in Inghilterra e di lì nascono i primi campionati nazionali (tra
parentesi i club vincitori):
Tab. 1.1 Primi campionati nazionali e primi vincitori
1888 Inghilterra (Preston North End)
1890 Scozia (Dumbarton Rangers)
1895 Belgio (Liegi)
1897 Olanda (Rap Amsterdam)
1898 Italia (Genoa)
1903 Germania (Lipsia)
1928 Spagna (Barcellona)
1932 Francia (Lilla)
Fonte: Calcio2000 n. 28, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 36, supplemento al nº36
Il calcio, sin dagli inizi, è caratterizzato da un forte coinvolgimento sociale, determinato sicuramente
dal fatto che per giocare sono necessarie ventidue persone. Si creano così, gruppi associativi per la
pratica in comune di quest’attività sportiva, che saranno gli embrioni delle attuali S.p.A..
11
1.2 La riforma del 1966
La riforma del 1966 ha radici lontane, già nel 1959 l’allora presidente della Lega Nazionale
Professionisti, Giuseppe Pasquale, facendo riferimento alla crisi economico-finanziaria del calcio
italiano, evidenzia i lodevoli sforzi dei presidenti effettuati per sanare i bilanci, ma si dichiara
convinto di un recupero del disavanzo.
La situazione è, però, più complessa poiché prima del riordinamento del 1966 le associazioni
calcistiche navigano in acque agitate senza alcuna forma di regolamentazione, controllo e
responsabilità. In pratica esse sono gestite per cassa: gli esborsi di gestione al netto dei proventi da
cessione giocatori e da contributi, costituiscono il cosiddetto “deficit”, che viene assunto dai nuovi
dirigenti al momento di subentrare ai cedenti.
Una soluzione è rinvenuta nell’imposizione di uno statuto-tipo ai sodalizi sportivi di serie A e B al
fine di uniformarne le regole relative all’organizzazione, al funzionamento ed allo scioglimento.
L’oggetto sociale è definito all’articolo 3 stabilendo che “La società ha per oggetto la formazione, la
preparazione e la gestione di squadre di calcio nonché di ogni altra attività calcistica in genere nel
quadro, con le finalità e con l’osservanza delle norme e delle direttive della F.I.G.C. e dei suoi
organi.”
Le principali norme introdotte mediante lo statuto sono:
1. obbligo di adottare la forma giuridica delle società per azioni (articolo 1);
2. l’assenza del fine di lucro (articolo 3 comma 1);
3. impossibilità di ripartire gli utili fra i soci in caso di scioglimento (articolo 22);
4. obbligo di devolvere le somme residue ad un fondo di assistenza del C.O.N.I., dopo la
definizione dei rapporti con i terzi e la restituzione ai soci del capitale versato (articolo 23);
5. al socio recedente deve essere corrisposta una somma non superiore al valore nominale delle
azioni delle quali è titolare (articolo 5 comma 2 e articolo 6 comma 2);
Questo tipo particolare di società di azioni configurato per le compagini calcistiche
professionistiche, ha determinato forti discussioni in ambito giuridico: numerosi erano inizialmente
coloro che ne proclamavano la nullità a causa della mancanza del lucro soggettivo, elemento
essenziale al tipo societario in questione.
In particolare con la delibera del Consiglio Federale del 16 settembre
2
, si dispone di sciogliere i
Consigli direttivi delle associazioni calcistiche professionistiche e di nominare un Commissario
straordinario per ciascuna di esse con pieni poteri gestionali, per la durata minima di un anno, a
2
Tale delibera è pubblicata nel Bollettino Ufficiale della F.I.G.C., n. 4 del 30 settembre 1966
12
decorrere dal 30 settembre 1966, data del passaggio delle consegne, allo scopo di procedere alla
sollecita liquidazione delle associazioni calcistiche ed alla loro costituzione in società per azioni.
3
In merito a questa decisione sorgono perplessità riguardo alla legittimità della delibera da cui
deriva; molti giuristi, infatti, s’interrogano sul potere della Federazione che, nel caso in parola,
sembra calpestare l’autonomia negoziale dei sodalizi stessi. La Corte di Cassazione
4
dichiarò
illegittimo tale provvedimento affermando che lo scioglimento diretto di un ente privato “è una
sanzione del tutto eccezionale che deve trovare necessariamente nella legge la sua specifica
determinazione”. Pertanto concludeva la sentenza: “…il provvedimento relativo configura una
lesione di diritto soggettivo perfetto, la cui tutela giurisdizionale è azionabile davanti al giudice
ordinario”. Escluso quindi che la riforma dei sodalizi di calcio potesse attuarsi attraverso un
intervento autoritario dall’esterno, l’adozione della forma di società per azioni è stato il risultato di
due operazioni collegate e successive: delibera di scioglimento delle associazioni da parte delle
rispettive assemblee e ricostituzione di nuove società ad opera dei membri delle disciolte
associazioni. In tal modo si rispettava pienamente l’autonomia statutaria dei sodalizi interessati.
5
Come in ogni intervento legislativo riguardante le società di calcio, l’obiettivo è quello di risanare le
posizioni debitorie dei club cercano di far convivere le finalità sportive con l’inderogabile esigenza
di un’ordinata gestione economica e il rispetto delle disposizioni in materia societaria e fiscale.
La scelta della forma dell’S.p.A. non è casuale: rientra tra le condizioni essenziali per l’ottenimento
del mutuo sportivo, e per la concessione di agevolazioni tributarie; permette l’applicazione di
disposizioni sulla formazione e pubblicità del bilancio che assicurano una gestione più trasparente
nonché un controllo più incisivo da parte delle autorità sportive competenti.
Ma i risultati non sono conformi alle aspettative: il disavanzo complessivo già nel 1972 è di 18
miliardi e nel ’74 il calcio chiede più soldi al Coni: vengono considerati troppo modesti i 500/600
milioni che arrivano dal Totocalcio, capace di produrre 33 miliardi di utili e la situazione continua a
peggiorare.
Il 18 Luglio del ’77 si dimette l’allora presidente della Lega Antonio Griffi dopo che venti società
su trentasei hanno sottoscritto un documento, per la richiesta di un commissario in Lega, in grado di
far fronte ai gravissimi problemi del settore che presenta oltre 50 miliardi di deficit.
Si arriva così al 1981, anno della seconda riforma in cui la F.I.G.C. commissiona ad un gruppo
d’esperti uno studio che inizia così: “Provvedimenti parziali o di comodo possono soltanto traslare
3
Mariano Masucci “Le società calcistiche problemi di gestione e di bilancio”
4
Sent. N. 2028 delle Sez. Unite della Cassazione, 14 marzo – 19 giugno 1968 Presid. Tavolato-Est. Cortesani-P.M.
Criscuoli-Ferri G. e Sanapo V. c/C.O.N.I. e F.I.G.C.
5
Mariano Masucci “Le società calcistiche problemi di gestione e di bilancio”
13
nel tempo la catastrofe del mondo calcistico che oggi si presenta davvero imminente”; il lavoro
analizza nove anni di bilanci consolidati delle 36 società di serie A e B dal 1972 al 1980.
La conclusione è un grido d’allarme in cui si sottolinea la necessità di un articolato piano di
salvataggio finanziario.
Dallo studio emerge che le passività correnti rappresentano già nel 1972 il 56,4% del totale dei
finanziamenti ricevuti dai club, quindi capitale proprio e di prestito e dal 1975 al 1978, nonostante
l’erogazione di un mutuo federale pari a 66 miliardi, il rapporto aumenta a ritmi vertiginosi fino a
raggiungere un valore pari al 67,8%.
Ma il dato più preoccupante riguarda i costi di gestione (problema non risolto anche ai giorni
nostri): assorbono il 97% dei ricavi netti dalle partite, di cui il 50% copre ingaggi, stipendi e premi a
giocatori e tecnici, e quasi altrettanto se ne va in “altre spese” connesse all’attività sportiva.
1.3 Il ruolo della Federazione Italiana Giuoco Calcio
Durante tutto il processo evolutivo del mondo del calcio, i club sono stati assistiti dalla Federazione
che ne ha curato, in particolare, gli aspetti legislativi. Il primo intervento di rilievo si è avuto con la
riforma del 1966.
“La Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) è associazione riconosciuta con personalità
giuridica di diritto privato avente lo scopo di promuovere e disciplinare l’attività del giuoco del
calcio e gli aspetti ad essa connessi.. La F.I.G.C. è l’associazione delle società e delle associazioni
che perseguono il fine di praticare il giuoco del calcio in Italia e degli altri organismi ad essa
affiliati che svolgono attività strumentali al perseguimento di tale fine”
6
La F.I.G.C. è l’unica associazione abilitata ad organizzare e regolare il gioco del calcio nel territorio
nazionale
7
, ed è un organo del C.O.N.I. (Comitato Olimpico Nazionale Italiano, di seguito
C.O.N.I.).
Quest’ultimo ha il compito di organizzare e potenziare lo sport indirizzandolo verso il
perfezionamento atletico con particolare riguardo al miglioramento fisico e morale
8
.
Il C.O.N.I. è un ente pubblico, dotato di personalità giuridica, responsabile dell’organizzazione e
dello sviluppo di tutte le attività sportive in Italia: in particolare preserva e sviluppa lo sport
nazionale, coordina e regola tutte le attività sportive ed infine supervisiona e sviluppa tutte le
organizzazioni sportive.
6
Articolo 1 commi 1 e 2 dello Statuto della F.I.G.C.
7
Articolo 1 comma 4 dello Statuto della F.I.G.C.
8
Articolo 2 legge nº 426 del 16 febbraio 1942
14
E’ finanziato prevalentemente dai proventi derivanti dai concorsi a pronostico relativi al gioco del
calcio (Totocalcio e Totogol), nonché da fondi pubblici, donazioni private, sottoscrizioni dei
membri delle federazioni sportive e attraverso i ricavi generati dagli eventi sportivi.
La F.I.G.C., nello svolgimento delle proprie funzioni di carattere pubblicistico, emana e modifica le
N.O.I.F. (Norme Organizzative Interne della Federazione, di seguito N.O.I.F.), che regolano
l’organizzazione interna della stessa, delle società sportive affiliate e che contengono, tra l’altro, le
norme in tema di ordinamento dei campionati e delle gare, tesseramento, disciplina dei calciatori,
controlli sulla gestione economico-finanziaria delle società professionistiche e delle Leghe, rapporti
con le Leghe e tra società e calciatori.
Le funzioni svolte dalla F.I.G.C. hanno un doppio indirizzo, poiché sono di natura tecnica e di
controllo gestionale. Quest'ultima tipologia è descritta nel Titolo II Sezione B dello Statuto
Federale, agli articoli 15 e16.
Le funzioni tecniche sono regolate nel Titolo II Sezione A dello Statuto Federale
9
e riguardano: le
regole del gioco del calcio in aderenza alle norme della F.I.F.A., la disciplina del tesseramento dei
calciatori, tecnici, arbitri, dirigenti, e collaboratori incaricati della gestione sportiva, la definizione
dell’ordinamento dei campionati; l’assicurazione degli strumenti finanziari ed organizzativi
necessari all’espletamento della giustizia sportiva e della funzione arbitrale, la responsabilità della
squadra nazionale della quale fissa gli incontri e gestisce i diritti televisivi e i contratti con gli
sponsor.
In base alle funzioni di controllo la Figc disciplina, su delega del Coni, il riconoscimento e
l’affiliazione delle singole società ed associazioni sportive; stabilisce i criteri ed esercita il controllo
della gestione amministrativa delle società calcistiche professionistiche, avvalendosi, a questo
scopo, della Commissione di Vigilanza Società di Calcio (la CO.VI.SO.C., di seguito COVISOC).
Negli anni '60, la Federazione, in ragione del suo ruolo, inizia un’opera di risanamento con
l’obiettivo di rendere più sana e trasparente l’attività economica e finanziaria delle società sportive,
che continua tutt’oggi.
1.4 La legge nº 91 del 1981
La riforma del 1966 non produce gli effetti sperati, come indicato precedentemente, le società sono
in perenne disavanzo finanziario colmato con i più svariati espedienti come, ad esempio, l’aumento
del valore dei giocatori iscritti in bilancio.
9
Articoli 10, 11, 12, 13, 14 dello Statuto della F.I.G.C.
15
In pratica, se un giocatore valutato 50 milioni (all’epoca di lire) viene scambiato con due da 25
milioni (sempre di lire all’epoca) ciascuno, le società si accordano per raddoppiare il valore dei tre
elementi scambiati. Le plusvalenze aumentano così a piacimento in funzione delle necessità di
bilancio.
I limiti continuamente evidenziati dai bilanci dei club conducono al secondo passo del processo
evolutivo: la legge nº 91 del 23 marzo 1981.
La riforma introdotta con questa normativa è più profonda della precedente e riguarda la disciplina
del rapporto di lavoro dei calciatori professionisti nell’ambito del contratto di lavoro subordinato,
sia la necessità di definire i rapporti tra società e sportivi professionisti al di fuori del legame
costituito dal cosiddetto vincolo sportivo.
Con l’abolizione di quest'ultimo, sancita all’articolo 16 della legge in questione, la Federazione
stabilisce che la società, con la quale il calciatore stipula un nuovo contratto, deve versare alla
società titolare del precedente rapporto un’indennità di preparazione e promozione calcolata
attraverso i coefficienti fissati nella tabella A dell'art. 98 delle N.O.I.F.. Nell’art.16 della Legge nº
91 del 1981, ancora prima della successiva modifica, si legge: “ le limitazioni alla libertà
contrattuale dell’atleta professionista, saranno gradualmente eliminate entro cinque anni dalla data
di entrata in vigore della legge stessa ”.
Andava quindi eliminato il vincolo sportivo poiché limitava la libertà contrattuale degli atleti
professionisti, che dovevano accettare il trasferimento in un'altra società, purché di categoria non
inferiore ed a condizioni economiche convenienti.
Le società sono quindi costrette a procedere, entro il 30 Giugno 1986, all’eliminazione del valore
residuo di costo sostenuto per l’acquisizione del diritto alle prestazioni di giocatori vincolati a
tempo determinato.
Il vincolo era il rapporto associativo intercorrente tra il singolo giocatore e la propria associazione,
mentre il tesseramento era l’atto che istituiva il rapporto fra il singolo giocatore e la federazione.
Con il professionismo, introdotto dalla legge in esame, si origina un terzo rapporto fra società
sportiva e giocatore, rapporto che ha contenuto essenzialmente economico, consistendo in una
prestazione di attività sportiva contro un compenso monetario. Questo rapporto va tenuto ben
distinto dal vincolo, che ne è il presupposto. Il vincolo è quell’istituto che attribuisce ad una società
sportiva il diritto di utilizzazione esclusiva delle prestazioni di un giocatore.
10
L’introduzione della
forma obbligatoria di Società per Azioni alle società di calcio, presuppone che la Federazione non
sia più espressione diretta dei singoli giocatori, ma sia divenuta espressione delle società sportive.
Risulta, pertanto evidente che il rapporto tra giocatore e società sportiva non ha più niente a che
10
Mariano Masucci “Le società calcistiche problemi di gestione e di bilancio”
16
vedere con l’originario rapporto associativo: esso è il residuo storico di una struttura
dell’organizzazione sportiva che oggi non esiste più laddove lo spettacolo calcistico è esercitato in
forme professionistiche.
11
Questo istituto ha catturato l’attenzione degli studiosi fornendo varie interpretazioni tese a
ricondurre tale rapporto nell’ambito del diritto statale. Per molti, infatti, il vincolo non fa altro che
assicurare, in via esclusiva ad una società, le prestazioni di un giocatore. L’eliminazione non può
che essere condivisa nella misura in cui attribuisce ampia libertà di scelta al calciatore, lavoratore
sui generis ma pur sempre lavoratore.
L’individuazione dello sportivo professionista e quindi del lavoro subordinato, avviene all’articolo
2, inglobando atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatore atletici;essa è particolarmente
importante, poiché a tale fattispecie si sono applicate le successive disposizioni giuridiche
riguardanti la stipulazione, il contenuto e la cessione del contratto (artt. 3, 4, 5 e 6) e una complessa
serie di interventi assicurativi ed assistenziali (artt. 7, 8 e 9). Il rapporto è generalmente di lavoro
subordinato, ma può, secondo l’articolo 3, rientrare nell’ambito del contratto di lavoro autonomo in
presenza di uno dei requisiti indicati dal medesimo articolo.
Per poter stipulare un contratto con atleti professionisti, le società sportive devono essere costituite
nella forma di società per azioni o società a responsabilità limitata.
Alla precedente disciplina, con la quale il calciatore non poteva disporre del proprio cartellino, si è
sostituito un regime contrattualistico, in base al quale egli è libero di stipulare un nuovo contratto. Il
calciatore non è più considerato un “bene” da scambiare tra le società, ma diventa un “soggetto
giuridico”, libero di offrire le sue prestazioni e di far valere la propria forza contrattuale nei
confronti della controparte, anche perché tutelato dall’Associazione Italiana Calciatori.
12
L’obiettivo di eliminare la distorsione dovuta al vincolo non viene raggiunto perché l’introduzione
dell’indennità di preparazione e promozione contrasta con lo spirito di fondo dell’eliminazione
dello stesso in quanto lo sostituisce con un ulteriore legame tra la società ed il calciatore, limitando
di fatto la libertà di scelta di quest’ultimo. Le società per poter usufruire delle prestazioni dei
calciatori e quindi fargli stipulare un contratto di lavoro subordinato devono essere costituite nella
forma della società di capitali, prive però della finalità lucrativa (soggettiva).
Oltre a ciò la riforma all’art.10 prevede il reinvestimento integrale degli utili nella società per il
potenziamento dell’attività sportiva. Tale precetto va poi letto facendo riferimento all’art. 13 della
stessa legge in cui si dispone che, in caso di liquidazione, non è consentito di distribuire a ciascun
socio la parte dell’attivo che eccede il valore nominale delle azioni o delle quote possedute e che il
11
Mariano Masucci “Le società calcistiche problemi di gestione e di bilancio”
12
Associazione fondata nel 1968
17
residuo dell’attivo deve essere assegnato al C.O.N.I., il quale è obbligato a reinvestirlo nel
perseguimento delle finalità sportive.
Con scopo di lucro s’intende l’elemento caratterizzante del contratto di società, questo trova la sua
fonte normativa nell’art. 2247 del c.c., secondo il quale il fine perseguito con l’esercizio dell'attività
economica consiste nel dividerne gli utili.
La riforma specifica nuovamente i poteri di controllo della Federazione nei confronti delle società
affiliate. Si è cercato di rafforzare il potere di controllo per sovrintendere alla gestione delle società
ed in particolare, per vigilare su quegli atti gestionali che possono risultare rischiosi per la stabilità
del patrimonio sociale stesso.
Il risultato di tutto ciò è stato un controllo più profondo e penetrante rispetto a quanto previsto
dall’art. 19 dello statuto tipo.
Lo svolgimento dei controlli federali, che sono di merito e preventivi, finisce col vanificare
l’autonomia che il codice riserva alle società di capitali e altera il ruolo che i singoli organi societari
ricoprono nella gestione della società. L’organo che è subisce maggiormente quest’intromissione è
il collegio sindacale, che è l’organo preposto alla tutela della regolarità degli atti compiuti dagli
amministratori, il cui compito viene vanificato.
Nel capo terzo della legge vengono indicate le disposizioni finanziarie a cui le società di calcio
devono sottostare nei riguardi del lavoro sportivo, norme riguardanti sia l’atleta professionista sia la
società che ha stipulato il contratto. In particolare, si afferma che “l’'indennità prevista dal settimo
comma dell'articolo 4 della presente legge è soggetta a tassazione separata”
13
, e che si ha
l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto “per le cessioni dei contratti previste dall'articolo 5
della presente legge”
14
e inoltre “per l'attività relativa a tali operazioni le società sportive debbono
osservare le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e
successive modificazioni e integrazioni, distintamente dalle altre attività esercitate, tenendo conto
anche del rispettivo volume d'affari.”
15
“Le somme versate a titolo di premio di addestramento e formazione tecnica, ai sensi dell'articolo 6,
sono equiparate alle operazioni esenti dall'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'articolo 10 del
decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.”
16
13
Articolo 15 comma 2 Legge 91 del 23 marzo 1981
14
Articolo 15 comma 3 Legge 91 del 23 marzo 1981
15
Articolo 15 comma 3 Legge 91 del 23 marzo 1981
16
Articolo 15 comma 4 Legge 91 del 23 marzo 198
18
1.5 Le conseguenze della legge nº 91 del 1981
L’entrata in vigore della riforma introduce un’anomalia perché determina la creazione di un
modello societario del tutto anomalo in quanto non previsto nel codice civile.
Si scatenano, così, le interpretazioni dei giuristi sulla legittimità o meno della scelta fatta dalla
federazione, poiché come detto le aziende sportive diventavano società di capitali, sia pure di diritto
speciale, senza l’elemento caratterizzante delle stesse S.p.A..
Questa scelta è giustificata dall’intento del legislatore di proteggere, attraverso l’applicazione di
queste disposizioni, le ex associazioni sportive dall’insorgere di spiacevoli aspetti negativi nella
situazione patrimoniale.
La conferma di questi timori si può trovare nell’art.13 della Legge n.91 del 1981 che prevede il
diretto intervento della Federazione Nazionale. Quest’ultima in caso di gravi irregolarità di
gestione, ha il potere di rivolgersi al tribunale chiedendo la messa in liquidazione della società.
La conseguenza diretta della legge nº 91 è, pertanto, l’introduzione di un modello anomalo di S.p.A.
poiché alle società sportive è riconosciuta soltanto una capacità lucrativa oggettiva, non esistendo
nell’ordinamento quella soggettiva dell’imprenditore sportivo.
Prendendo in considerazione soltanto il profitto dell’impresa e per comprendere tale contraddizione
è utile far riferimento all’art.10 della legge nº 91, in particolare al comma 2 dove da un lato si
riconosce la presenza di utili nei bilanci delle società sportive, ma dall’altro si vincola il loro
utilizzo.
Questa formulazione rappresenta un passo in avanti rispetto al vecchio Statuto-tipo: nell’art.22 di
quest’ultimo, infatti, si parla addirittura di “eventuali” utili di bilancio sottolineando l’assenza della
finalità lucrativa e sottovalutando la capacità lucrativa dell’impresa sportiva.
Le reazioni alla scissione, prodotta dalla legge nº 91, tra finalità lucrativa dell’impresa (oggettiva) e
dell’imprenditore (soggettiva) sono molto forti. Alcuni autori indicano proprio in questa frattura la
causa principale dell’incapacità dei club calcistici di produrre profitto e molti addetti ai lavori
concordano nel ritenere che l’assenza della finalità lucrativa porta inevitabilmente alla mancanza di
managerialità nella gestione di società sportive, poiché è il profitto il propulsore dello svolgimento
dell’attività dell’imprenditore.
La scelta fatta dal legislatore risponde, però, ad una caratteristica innata nelle società sportive: la
presenza di un inattaccabile spirito ideale che, all’inizio di una qualsiasi esperienza in ambito
calcistico, può far passare in secondo piano gli aspetti prettamente economici.
I vecchi sodalizi sportivi, obbedendo alle disposizioni della norma, si sono rapidamente trasformati
in vere e proprie imprese organizzate secondo criteri economici. Una struttura, quindi, che coincide
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perfettamente con quella disciplinata dall’art.2082 del codice civile dove si definisce tanto
l’imprenditore quanto la sua attività.
Il legislatore, pertanto, tenta di far coesistere questi due elementi, tipici dei club calcistici,
prevedendo una particolare forma societaria priva dello scopo di lucro.
Secondo il Codice Civile, la forma societaria può essere utilizzata nell’ottica di due sole finalità di
natura economica: quella lucrativa e quella mutualistica.
La prima costituisce la “causa” del contratto di società, ed è per questo motivo che la dottrina ritiene
inesistente la tipologia di contratto utilizzata per le società sportive.
Non è, infatti, contemplata dal nostro Codice Civile una forma societaria nella quale gli incrementi
patrimoniali non sono di pertinenza dei soci.
Anche la corte di cassazione, in una sentenza del 1958, definisce “complessa” la causa del contratto
di società, poiché composta da due elementi: il conseguimento di utili e la loro ripartizione fra i
soci.
Dalla sentenza si evince che per esserci “l’impresa” è sufficiente il cosiddetto lucro oggettivo:
l’attività deve essere, pertanto, organizzata in modo tale da produrre utili. Affinché ci sia “la
società” è necessaria, però, anche la presenza del lucro soggettivo e, quindi, la divisione degli utili
fra i soci.
E’ evidente la mancanza di questo secondo elemento e con esso l’incongruenza creata dal
legislatore con la Legge nº 91 del 1981. Quest’ultima, infatti, porta di nuovo alla ribalta la vecchia
questione del rapporto tra codice civile e leggi speciali in materia societaria.
Tralasciando le interpretazioni la Legge nº 91, come detto, stabilisce che possono stipulare contratti
con calciatori professionisti soltanto le società costituite nella forma delle società per azioni o di
società a responsabilità limitata, il cui atto costitutivo prevede il reinvestimento degli utili per il
perseguimento esclusivo dell’attività sportiva (art.10). L’art.13, inoltre, indica un altro importante
elemento di distinzione dei sodalizi sportivi: in caso di liquidazione ai soci può essere rimborsato
solo il valore nominale delle singole azioni, spettando le eventuali eccedenze al C.O.N.I..
Gli azionisti non possono, quindi, pretendere remunerazioni periodiche al loro investimento ne
tantomeno guadagni in sede di liquidazione.
Ed è pure impossibile l’applicazione dell’art.2350 del codice civile, in cui si stabilisce il diritto
insito in ogni azione di ricevere una quota proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto
risultante dall’eventuale liquidazione.
L’unica fonte di lucro per questi particolari azionisti è rintracciabile nella possibilità di lucrare una
differenza positiva al momento della cessione della partecipazione, puntando così ad una lucratività
esterna (socio-terzi) e non interna alla società.
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La Legge nº 91 crea quindi una situazione incoerente. In un ordinamento come quello sportivo, nel
quale il motore del processo evolutivo sono i sempre più grandi investimenti economici, è
sicuramente irreale la figura dell’azionista interessato ai successi sportivi piuttosto che a quelli
economici.
Tale configurazione dell’azionista delle società, azionista atipico per l’assenza dello scopo di lucro
soggettivo, non è accettabile in un mondo caratterizzato dal fatto che gli atleti prestano la loro opera
a fine di lucro, il C.O.N.I. realizza lauti guadagni con gli incassi di Totocalcio e Totogol, i grandi
gruppi aziendali fanno ingenti investimenti per pubblicità attraverso le sponsorizzazioni e la mano
dello Stato è sempre più pesante.
Da questa situazione emerge che la legge nº 91 deve, pertanto, essere sottoposta ad un’inevitabile
rivisitazione poiché è molto forte sia la contraddizione creata dal legislatore sia il contrasto esistente
con il codice civile.
I dibattiti e le discussioni dottrinali portano ad una fase caratterizzata da numerose proposte di
riforma della suddetta norma.
L’entrata in vigore di tale disposizione, infatti, non determina effetti benefici per l’impresa-calcio
facendo sì che la profonda crisi che investe il settore si faccia sempre più intensa.
Ma neanche questa riforma riesce ad arginare l’insorgere di patologie nelle situazioni patrimoniali dei
club, nella metà degli anni ’80 il deficit complessivo delle società di serie A e B raggiunge i 200
miliardi di lire.
La situazione è talmente complessa da spingere il Presidente della Lega, Antonio Matarrese a
presentare uno studio in Parlamento per richiedere l’intervento dello Stato attraverso l’erogazione di
un mutuo a tasso agevolato.
Il calcio, tuttavia, riesce a resistere, come in passato, alle difficoltà grazie al fatto che, nel nostro
paese, la tradizione di questo sport è molto radicata. Il numero dei suoi praticanti, compresi quelli a
livello dilettantistico, è, infatti, di gran lunga superiore a quello riferito a tutte le altre discipline
sportive praticate in Italia.
Pur versando in una situazione di crisi non manca chi continua ad investire capitali in questo sport
puntando al conseguimento di guadagni economici indiretti. La notorietà prodotta dal mondo del
calcio è, infatti, uno dei mezzi pubblicitari più efficaci presenti sul mercato nazionale.
Oggigiorno questo fenomeno è sicuramente più rilevante, ma già dalla metà degli anni ottanta molti
presidenti, nonostante le perdite rilevanti, investono nel settore per avere un indotto pubblicitario a
favore delle imprese di cui sono titolari.
Non a caso l’impresa sportiva è inserita a pieno titolo nella gestione del gruppo di società di proprietà
del presidente.