INTRODUZIONE
IL MARKETING RELAZIONALE: DALLA MENTALITÀ
PIRAMIDALE ALLA COMMUNITY
L’approccio network: una opportunità strategica per le società
sportive
Il sistema sportivo italiano, per come è organizzato e gestito
attualmente, presenta diverse storture che si ripercuotono sia
sull’attività professionistica e semi professionistica sia su quella
dilettantistica e di base. Uno dei problemi principali nella gestione
economica dello sport è il fatto che le risorse finanziarie sono
indirizzate in gran parte verso coloro che già ne hanno a sufficienza:
chi è ricco e potente acquisisce sempre maggiore centralità, gli altri
soggetti rimangono confinati nella marginalità e nella scarsità di
risorse.
Il calcio di vertice è il settore sportivo di gran lunga dominante.
¨ una realtà sotto gli occhi di tutti. In termini di visibilità mediatica,
catalizzazione dell’attenzione, capacità di attrarre risorse economiche
(sponsor, diritti media e finanziamenti), fatturato complessivo, si tratta
di un mondo a parte rispetto agli altri sport: è la punta della piramide.
Il gap dei top club di calcio con gli altri sport, ma anche con lo stesso
calcio minore, è abissale. Ciononostante, continua ad essere
destinatario di grandissima parte dei contributi statali.
Il CONI distribuisce i contributi statali (che costituiscono il 95% delle
sue risorse) prevalentemente alle FSN (Federazioni Sportive
Nazionali), a CONI Servizi (per prestazioni erogate dalla stessa a
favore del sistema sportivo) ed in parte limitata agli altri soggetti
istituzionali dello sport. In questa erogazione “a pioggia”, la FIGC
(Federazione Italiana Gioco Calcio) ha assorbito nel 2010 il 33% del
totale dei contributi monetari erogati dal CONI alle FSN, seguita a
notevole distanza dal nuoto (3,9%) e da un blocco di altre federazioni
che ricevono ciascuna intorno al 3% del totale
1
. Tutto ciò appare
ancora piø sbagliato considerando che, per motivi di popolarità, di
convenienza e di scelte di libero mercato, le cifre che il calcio di
vertice riesce a ottenere per quanto riguarda le sponsorizzazioni e i
diritti TV non sono paragonabili con nessun altro sport: 70 milioni di
euro è il valore complessivo delle sole naming sponsorship della serie
A
2
, il cui sistema viene ingrassato da ben 1 miliardo di euro derivante
dai diritti televisivi. Il tutto appare ancora piø squilibrato in un quadro
italiano che vede una generale contrazione delle sponsorizzazioni,
all’interno del quale, tra il 2011 e il 2012, le sponsorship sportive sono
passate da un valore di 856 milioni a 782 milioni di euro, con
una flessione dell'8,6%. Anche nel 2013, secondo l’analisi predittiva
di Stage Up, il mercato delle sponsorizzazioni (generiche) in Italia
scenderà di un ulteriore 6,4%.
1
CONI, 2012
2
StageUp-Sport & Leisure Business e Ipsos, 2013
Ma le devianze non vanno solo in direzione dell’ipertrofico
mondo del pallone. Ecco cosa fanno, infatti, le Federazioni con i soldi
erogati dal CONI: mediamente, il 40% dei costi per l’attività sportiva
è destinato alla “Preparazione Olimpica / Alto Livello”, e la stessa
percentuale (40%) è destinato all’attività agonistica. In tutto ciò, la
FIGC dedica a queste due categorie piø del 90% delle risorse che
impiega, lasciando alla voce Promozione neppure il 10%. In sostanza,
il contesto piø ricco riesce anche a generare maggiore ritorno
economico e di immagine, dunque ad esso è destinato anche la gran
parte delle risorse economiche e degli investimenti, accrescendo lo
scompenso.
Riflettere sulle incongruenze del sistema sportivo-economico
italiano meriterebbe una tesi a parte. Piø interessante in questa sede è
assumere il punto di vista degli sport challenger del calcio, ovverosia
tutti quegli sport che quotidianamente devono fronteggiare lo
strapotere del calcio e competere per ritagliarsi una quota di mercato,
una fetta di visibilità e delle scarse risorse economiche, come briciole
che cadono dalla tavola imbandita dal pallone. Per restare nell’ambito
degli sport di squadra che sono in diretta competizione con il calcio,
parliamo ad esempio di volley, di basket o di rugby.
Come possono questi club sportivi di medio / bassa visibilità e
spesso di rilevanza unicamente territoriale lavorare bene e tentare di
superare la sterilità di un sistema sportivo che ha ampiamente
dimostrato di non riuscire a costruire business attorno alle società e
ancor piø difficilmente attorno alle Leghe?
Gli approcci per rispondere potrebbero essere molteplici, ma a
questa domanda tentiamo di rispondere con una semplice
constatazione, valida sia per il calcio di vertice che per gli sport
challenger. I club sportivi sono in possesso di una risorsa strategica
importante, spesso sottoutilizzata, legata al proprio patrimonio di
contatti, in termini di tifosi-clienti così come di aziende partner. Non
è piø sufficiente per le società sportive limitarsi a gestire bene il lato
sportivo e vendere spazi pubblicitari a bordo campo. Limitandoci ad
una descrizione superficiale, si ricorda come le teorie di analisi delle
reti sociali, sviluppatesi a partire dai contributi di Jacob Levi Moreno,
padre della sociometria (scienza che analizza le relazioni
interpersonali), applicate al management, abbiano modificato la
visione di una impresa da una entità chiusa e indipendente ad un entità
coinvolta, nell’approccio interattivo, in relazioni diadiche, per
ampliarsi poi a relazioni multipolari nel cosiddetto approccio network.
Come spiega Gambetti (2005), l’approccio network si basa sulle
ipotesi che:
- le relazioni sviluppabili tra due imprese siano
condizionate da quelle che queste intrattengono già
con altri soggetti (clienti, fornitori, ecc.); da qui nasce
la necessità di valutare complessivamente le reti di
relazioni e studiare le strategie di gestione delle
relazioni piø efficaci;
- la rilevanza della rete di relazioni fa sì le imprese che
vi operano non possano piø essere considerate come
unità indipendenti i cui rapporti sono regolati dalle
“forze di mercato”, ma devono essere analizzate come
unità interconnesse, nell’ambito di strutture complesse
e altamente specializzate: i network.
Per generare valore attorno a un club è necessario considerare
l’intero network di relazioni in cui la società è immersa. ¨
fondamentale, quindi, ripensare la società sportiva come una
piattaforma nella quale fare entrare in contatto e partecipare
attivamente gli stakeholders (persone e imprese) coinvolti. Questo
dovrebbe essere uno degli obiettivi principali di una società sportiva,
insieme al bilancio sportivo, al bilancio sociale e alla stabilità
economica. La complessità del sistema sportivo fa sì che tra questi
molteplici attori si venga a creare una serie di relazioni “multi
direzionali” che possono essere rappresentate attraverso una
costellazione del valore (Normann, Ramirez, 1995) (cfr. fig. 1).
Numerosi stakeholders co-partecipano alla realizzazione dell’attività
sportiva: farli collaborare in maniera proficua, pur con ruoli e obiettivi
specifici, e attivare questo network di relazioni deve essere tra le
preoccupazioni di una società sportiva.
Fig. 1 – La costellazione del valore nel sistema sportivo (Zagnoli, Radicchi, 2001)
Solo se vista in questa ottica di piattaforma per generare e
attivare contatti business-to-consumer (B2C) e business-to-business
(B2B) allora la società sportiva può rivestire qualche reale interesse
per una impresa sponsor. Nel primo caso (B2C), appare
imprescindibile chiudere definitivamente l’era in cui sponsorizzare,
per un’impresa, significava unicamente cartellonistica e sgravi fiscali.
Club e sponsor dovrebbero studiare in modo congiunto i momenti e
gli strumenti adatti per attivare le sponsorizzazioni e fidelizzare i fan
alla maglia. Nel secondo caso (B2B), si dovrebbe puntare a creare un
vero network tra i partner economici coinvolti, ed è un aspetto cruciale
che dovrebbe essere portato avanti anche a livello di Leghe sportive.
Si muovono in questa direzione quelle iniziative che permettono una
vera interazione tra i partner economici che sostengono un sistema
sportivo: per portare un esempio pratico, l’evento Legadue4Business
organizzato da Legadue Basket e Sport4biz, riunisce e mette in
comunicazione gli sponsor coinvolti nel secondo campionato di
pallacanestro italiano, mirando proprio a “sviluppare un network di
business tra aziende e tra imprenditori, che aumenti il valore di una
semplice sponsorship con un club”.
Come può una società sportiva creare una community di fan,
attivare un network proficuo di aziende e proporsi come mezzo di
interazione tra questi soggetti, se per prima non si preoccupa di
conoscere a fondo gli attori coinvolti, stringere relazioni, gestire al
meglio nel tempo le interazioni con essi?
Questo interrogativo costituisce una delle motivazioni principali
alla elaborazione di questa tesi: ricercare nuovi spunti per una
approfondita conoscenza della domanda e una migliore gestione delle
relazioni con il cliente / tifoso, attore centrale in un sistema ad
altissima competizione globale. Per questo motivo, nell’era
dell’economia dei servizi (Pine, Gilmore, 2000) in cui importanza
crescente è assunta dall’utente durante l’erogazione del servizio,
implementare una attività di Fan Relationship Management (di cui
vedremo in seguito definizioni e caratteristiche, cfr. cap. 2, par. 2.2)
può rappresentare una opportunità per i club che non muovono
quantitativamente gli stessi numeri del calcio ma che tuttavia sono
decisi a gestirli qualitativamente in modo migliore. Ciò non significa,
comunque, che il calcio italiano sia particolarmente all’avanguardia in
quest’ottica. Piuttosto, forte dei numeri che ha sempre mosso e della
passione che ha da sempre suscitato in modo quasi “innato”, ha potuto
permettersi di dedicare poca attenzione sia allo studio della qualità del
servizio erogato sia alla gestione delle relazioni con i tifosi.
Adattando agli obiettivi di questa tesi una interessante
riflessione riguardante la gestione del marketing del settore
assicurativo, nella maggior parte dei casi, le società sportive sono
concepite come classiche strutture piramidali: al vertice della piramide
troviamo i vertici societari, di seguito il management (spesso ridotto e
assai poco specializzato), un gradino piø in basso ancora il personale
di contatto e all’ultimo livello la base di tifosi. Scendendo lungo la
piramide diminuisce il grado di potere e aumenta l'ampiezza della
base, il numero di soggetti che intervengono nel business. Business
nel quale, finora, le logiche gestionali sono state prevalentemente di
tipo "top-down" (cfr. fig. 2). Questa considerazione è valida per
quanto concerne i rapporti interni fra "centro" (i vertici societari) e
"periferia" (personale di contatto), spesso gestiti in maniera
“padronale” da personalità forti (presidenti-proprietari). La logica
“top-down” sembra essere valida anche in merito ai rapporti con i
media, considerati troppe volte “voce del potere” e ancor di piø per