4
Premessa
Credo che le domande non siano mai sbagliate;
le risposte potrebbero esserlo.
Ma credo anche che astenersi dal fare domande
sia la risposta peggiore di tutte.
Bauman, Z.
La solitudine del cittadino globale, 1999.
Questo lavoro, conclusione del percorso sviluppato durante gli ultimi anni di
formazione universitaria, vuole essere una riflessione su ciò che riguarda il mondo della
comunicazione interculturale in relazione ai contesti di cura: servizi sociali, educativi e
sanitari.
Il presente elaborato si sviluppa a partire dalla seguente riflessione: molti progetti e
servizi sono oggi costretti a confrontarsi con la diversità; non senza difficoltà vengono
promosse politiche di inclusione che hanno come cornice di riferimento quella
dell’approccio interculturale. Spesso però tali interventi non portano con sé i risultati
sperati. Perché? Che cosa è necessario fare? Qual è l’elemento che manca e che
porterebbe ad un reale ed efficace cambiamento?
Considerare diverso l’utente proveniente da un sistema culturale differente dal nostro
può essere il primo passo, ma essere consapevoli che la differenza è presente anche e
soprattutto tra le figure professionali con cui collaboriamo in rete all’interno di
determinato servizio – sia esso sanitario, educativo o sociale - può essere il passo
successivo, per una gestione davvero efficiente dello stesso.
La scelta di analizzare tale tematica è scaturita da una serie di motivazioni fra cui, in
primo luogo, la volontà di approfondire un interesse personale nei confronti della
diversità, delle identità, dell’incontro con l’altro e dell’esperienza formativa che nasce
da tale contatto.
Entrare in relazione con l’altro significa avere l’occasione di sviluppare una maggiore
consapevolezza della propria identità, che si traduce in un arricchimento personale.
5
Durante gli anni di formazione in ambito pedagogico, nella precedente tesi a carattere
sociolinguistico, ho avuto la possibilità di approfondire il tema della differenza tra
culture mainstream e culture minoritarie, riguardante nello specifico la pianificazione
linguistica svolta in Catalogna negli ultimi 500 anni.
1
Successivamente, l’esperienza vissuta in questi primi anni di lavoro a contatto non solo
con un’utenza composta da famiglie di origine straniera, ma anche in un continua
collaborazione con professionisti dell’ambito del sociale, mi ha permesso di
interfacciarmi più volte con stili, modalità e visioni spesso lontane dalla mia.
Dal lavoro di ricerca che mi ha visto coinvolta in questi mesi, inerente
l’approfondimento della condizione delle donne di origine marocchina che vivono nei
territori montani della bergamasca, è nata l’idea di sviluppare una riflessione,
riguardante non solo l’incontro che nasce dalla relazione nei servizi con gli utenti
stranieri, ma anche e soprattutto fra i vari operatori che quotidianamente s’interfacciano
nel lavoro di cura di tali utenti.
Prima ancora della difficoltà di comunicare con utenti provenienti da differenti sistemi
culturali, quali sono le difficoltà di comunicazione fra operatori che si occupano di tali
utenti?
Il presente lavoro si propone quindi di affrontare e descrivere alcune delle questioni a
mio parere più interessanti nella relazione d’aiuto che trasversalmente riguarda tutti gli
operatori coinvolti, ossia la comunicazione tra differenti sistemi culturali di riferimento,
siano essi di tipo etnico, di genere o professionali. La competenza interculturale, intesa
come la capacità di comprendere e rinforzare le diverse identità culturali coinvolte in
una precisa situazione, diviene indispensabile non solo nel lavoro con gli utenti che con
differente modalità vengono accolti nei vari servizi, ma soprattutto, con gli operatori
con cui si è strettamente in rapporto.
1
La Catalogna è una comunità autonoma spagnola in cui convivono due lingue, il castigliano –
comunemente definito spagnolo – ed il catalano: due sistemi linguistici e culturali il cui utilizzo è nei
secoli andato mescolandosi, pur rimanendo ancor oggi ben definito.
6
Introduzione
To survive the Borderlands
you must live sin fronteras
be a crossroads.
G. E. Anzaldúa,
Borderlands/La Frontera: The New Mestiza, 1987
È più facile capire le cose quando
si è sulla linea di confine.
P. Hoeg,
I quasi adatti, 1997
La presenza negli ultimi anni di cittadini di origine straniera, apportando una
diversificazione culturale, sociale e demografica, ha stimolato una rilettura della società,
provocando una graduale trasformazione in ambito normativo, istituzionale, formativo
ed organizzativo: questo processo ha interessato anche l’ambito dei servizi alla persona
- siano essi sociali, educativi e sanitari – proponendo una serie di percorsi per cercare di
adeguare le risposte ad una domanda in continuo mutamento.
Tali percorsi, come spesso accade nella prassi, sono mossi da un bisogno alle volte
emergenziale, come ad esempio quello dell’assistenza sanitaria, oppure più quotidiano,
come quello della presenza a scuola di nuovi cittadini, spesso precedono i lenti percorsi
del diritto, dando luogo ad originali esperienze in diverse regioni ad opera soprattutto
dell’associazionismo e del volontariato.
L’affermazione del diritto alla cittadinanza, così come a quello all’istruzione e alla
salute, come patrimonio irrinunciabile della persona, sia essa migrante o autoctona, a
prescindere dal suo status giuridico, ha successivamente potuto sancire ciò che la prassi
aveva già fatto emergere: una volta creati e sanciti gli strumenti giuridici, il passaggio
successivo, più impegnativo e difficile, risiede nella creazione di nuovi strumenti
culturali che diano luogo ad una profonda e necessaria trasformazione della società, in
grado di edificare un ambiente umano e vivibile.
7
Sempre più spesso ci si accorge, infatti, che operatori sociali, sanitari e personale
educativo si trovano, a diversi livelli - dirigenziali, amministrativi e operativi - a dover
affrontare problemi di comunicazione apparentemente insormontabili, senza essere
dotati di adeguati strumenti culturali. Ancor più spesso, tali problemi sembrano essere
superabili attraverso traduzioni in lingua: ci si affida così alla carta stampata, la quale
spesso non viene nemmeno presa in considerazione da utenti o possibili tali.
Sembra davvero questa la vera emergenza: riuscire a comunicare. Non solo con chi
possiede una lingua madre
2
differente o ha origini diverse, ma con chi ha un retroterra
valoriale, una serie di esperienze, una formazione differente: il collega assistente sociale
che lavora nell’area territoriale con cui si ha che fare ogni giorno; il preside della scuola
con cui ci si deve interfacciare per risolvere una certa questione per un progetto
extrascuola; l’ostetrica che lavora con la famiglia seguita nel servizio di assistenza
domiciliare; il referente d’area con cui lavoriamo a stretto contatto ma cui difficilmente
riusciamo a comunicare veramente o, ancora, l’assessore del comune in cui operiamo,
rispetto al quale sembra di vivere in un universo parallelo.
Esattamente venti anni fa la sociologa Tognetti Bordogna e la neuropsichiatra
Terranova Cecchini, in un saggio pubblicato in collaborazione con la Provincia di
Milano
3
, avevano elencato le raccomandazioni utili alla crescita delle competenze
multiculturali degli operatori, definendo tali competenze come pressanti e decisive:
l’inserimento nel curriculum dei corsi di studi per operatori sociali, sanitari, psicologi ed
educativi la tematica della comunicazione interculturale. Una seconda raccomandazione
riguardava la necessità di maggiori scambi tra gli studiosi di vari ambiti e provenienti da
vari contesti al fine di rendere più efficace il lavoro di analisi e ricerca scientifica, a cui
si aggiungeva la necessità di studi più intensi e in profondità sull’utenza straniera nei
servizi, con una maggior articolazione relativa alle etnie, al genere, alla fascia d’età.
Infine, auspicavano un pronto impegno nella programmazione della formazione alla
multiculturalità da parte delle istituzioni, utile alla valorizzazione delle culture e al
2
La lingua madre, altrimenti definita come prima lingua, lingua materna, madrelingua o L1, è ognuna
delle lingue naturali (lingue standard o dialetti) che vengono apprese da un individuo in età infantile per
mezzo del processo spontaneo di acquisizione linguistica, in maniera indipendente dall’eventuale
istruzione.
3
Terranova Cecchini R. Tognetti Bordogna M. (1992), Migrare. Guida per gli operatori dei servizi
sociali, sanitari, culturali e d’accoglienza. Franco Angeli, pp.105-114.
8
miglioramento dei servizi stessi. Avanzavano inoltre una serie di ipotesi riguardanti la
necessità di inserire operatori dei vari gruppi etnici nei servizi, affinché
“il ruolo di mediazione culturale e linguistica possa essere svolto nel migliore dei modi
dall’interno […] non sottovalutando tale immissione, perché potrebbe portare ad una
deresponsabilizzazione del personale autoctono
4
”.
Orientando l’utenza straniera sull’uso e sulla conoscenza dei diversi servizi,
proponevano di accogliere quest’ultima, in quanto utenza particolare: non perché
portatrice di bisogni particolari - casa, lavoro, famiglia vengono considerati bisogni
universali – ma perché portatrice di un modello culturale di riferimento “altro”, da cui
può dipendere l’insorgere del bisogno ed il conseguente uso o non uso dei servizi
5
.
La diversità culturale è quindi definita come l’elemento che determina la specificità
dell’utente straniero, intesa come l’insieme di svantaggi di vario tipo, fra cui la
precarietà a livello giuridico, economico e linguistico: differenze che necessitano di
essere prese in considerazione affinché l’uguaglianza non rimanga solo un mito, ma
vada a concretizzarsi nel diritto.
Nel corso degli ultimi anni molte sono le variazioni che sono avvenute nel panorama
legislativo, poi tradottesi in metodologie operative all’interno dei servizi: eppure ancora
molte sono le questioni irrisolte, continuando a trattare tali questioni come emergenze e
parlando di tolleranza invece che di rispetto.
Quale struttura dinamica deve assumere ogni comunicazione all’interno di
organizzazioni socio-assitenziali e sanitarie, capaci di accogliere le richieste di una
società complessa?
Questo, in breve, il senso dell’elaborato che segue: nato da un progetto di ricerca
riguardante la condizione delle donne di origine straniera residenti nelle valli Imagna e
Brembana, si pone come fine una riflessione sui processi di comunicazione che
avvengono quotidianamente all’interno di vari ambiti, quale quello dei servizi sociali,
sanitari - ospedali e consultori – ed i vari centri educativi - nidi, servizi integrativi,
centri di aggregazione giovanile. Luoghi in cui nasce l’incontro non solo fra ciò che
normalmente definiamo diverso - il paziente ecuadoregno o l’utente marocchina - ma
dove nasce l’incontro e spesso lo scontro tra chi appartiene ad una cultura professionale
4
Spruit I. P. (1990), “Lo stato di salute dei lavoratori immigrati: percezione dei problemi” in Quaderni
di Sanità Pubblica, n. 65, pp. 29-38.
5
Sachs L. (1990), “L’assistenza sanitaria al di là dei confini culturali” in Quaderni di Sanità Pubblica,
n. 65, pp. 40-50.
9
diversa: attori istituzionali, tecnici che lavorano nel terzo settore, addetti ai lavori di
altre organizzazione con cui si collabora.
All’interno del primo capitolo l’attenzione verrà posta sul concetto di multiculturalismo
e sulle azioni che storicamente le istituzioni hanno sviluppato al fine di tutelare le
minoranze presenti nella società. In seguito si tratterà il possibile sviluppo di tali azioni,
che più autori definiscono essere come il diversity management, ossia la gestione delle
differenze, e le possibili ricadute positive che possono aversi all’interno delle
organizzazioni socio-sanitarie ed educative.
Il secondo capitolo verrà utilizzato per definire quale approccio di metodo si è scelto di
utilizzare, all’interno del macrocosmo della comunicazione interculturale, ossia il
MDSI: il modello dinamico di sviluppo interculturale di Milton J. Bennett, il cui
carattere innovativo risiede nell’apprendere, attraverso specifici percorsi che fanno
esperire la differenza, le competenze necessarie per cambiare la propria prospettiva, al
fine di gestire comunicazioni efficaci
6
.
Il terzo capitolo è dedicato alla presentazione dei supporti metodologici utilizzati
durante l’indagine a carattere socio-antropologico effettuata durante il 2010 ed il 2011,
riguardante la condizione delle neomamme di origine marocchina residenti nel territorio
montano della provincia di Bergamo.
Nel quarto capitolo vengono riportati i risultati della ricerca, inerenti il punto di vista
delle donne intervistate e quello degli operatori coinvolti nei progetti sulla maternità ad
essa correlati.
In ultima analisi, nel quinto capitolo vengono analizzate proposte di cambiamento
inerenti la prosecuzione del progetto e la gestione dei servizi ad esso correlato,
utilizzando come supporto teorico il modello dinamico di sensibilità interculturale
proposto da Bennett.
6
Bennett, M. J. (1993) Towards ethnorelativism: A developmental model of intercultural sensitivity. in
R. M. Paige, Education for the intercultural experience. Yarmouth, ME, Intercultural Press, pp. 21–71 e
Bennett, M. J. (2004) Becoming interculturally competent. In J.S. Wurzel (Ed.) Toward
multiculturalism: A reader in multicultural education. Newton, MA, Intercultural Resource Corporation.
Capitolo I
Confrontarsi con la diversità
Uno dei principali cambiamenti in atto nella società globalizzata è una vera e propria
mutazione delle dinamiche comunicative dovuta ad una crescente complessità, ad una
maggiore differenziazione e all’interdipendenza presente. Qualsiasi semplificazione che
ignori le possibili alterità
1
dell’altro – ossia le premesse implicite che possono essere
date per scontate – porta ad una crisi nelle dinamiche di accoglienza e reciproca
convivenza.
Tale situazione diviene ancor più di rilievo quando si tratta di organizzazioni che a
diversi livelli si occupano di offrire servizi alla persona, nei quali la relazione è
l’elemento centrale: sia essa una relazione di aiuto, di promozione, di assistenza o
terapeutica, la relazione tra operatori e utenza, nonché fra gli stessi operatori, impegnati
nei vari livelli professionali, può divenire uno dei nodi problematici, specialmente se
l’interazione avviene seguendo codici di comportamento e linguistici differenti.
“[…] L’operatore sociale deve essere in grado di entrare nel mondo dell’altro. Deve
contestualizzare l’utente, ma anche gli altri operatori con cui si trova a dialogare, deve
riuscire a comprendere altri punti di vista, modi di essere, indipendentemente dalle
diversità linguistiche, culturali e religiose
2
.
Ma come? Già nel 1972 nel cosiddetto Rapporto Faure, documento redatto dall’Unesco
inerente le competenze da sviluppare durante il corso della vita di ogni individuo –
1
Per una semplice questione di forma, volendo diminuire continue ripetizioni, lungo tutto l’elaborato si
è scelto di utilizzare entrambi i sostantivi che definiscono l’alterità: diversità e differenza. Appare però
opportuno evidenziare l’interessante differenza semantica che contraddistingue i due termini: il primo,
diversità, derivando dal termine latino dis-vertere (Zanichelli, 2009), cioè volgere in opposta direzione,
richiama l'idea di dissomiglianza, di discostamento da una norma, da ciò che è più comune, diffuso,
condiviso e che, nella sua accezione più negativa, può richiedere talora interventi compensatori. Il
secondo, differenza, derivando da dis-ferre (Zanichelli, 2009), che significa "portare oltre, in varie
direzioni", invece, apre più possibilità, senza che uno dei due soggetti della comparazione sia più corretto
o più giusto dell’altro.
2
Terranova Cecchini R., Tognetti Bordogna M. (1992), Op. cit., p. 107.
11
comunemente denominate lifelong learning skills
3
– si evidenziava come, una delle
strategie da adottare nel nuovo millennio, fosse quella di
“[…] promuovere in tutti i modi e per ogni fascia d’età la comunicazione tra individui
appartenenti a culture diverse, al fine di ridurre le difficoltà che i governi incontrano
nell’adeguare i sistemi educativi, le pratiche professionali degli operatori, le reti sociali
alla co-presenza di mondi culturali differenti.”
4
Tale obiettivo però appare sempre più difficile da raggiungere. Sia che si tratti della
relazione che si instaura tra l’ostetrica di un consultorio ed una paziente o l’educatore di
un’assistenza domiciliare impegnato a seguire un minore o, altri ancora, gli attuali
modelli d’’intervento utilizzati in ambito socio-sanitario ed educativo appaiono
fortemente burocratizzati.
Appuntamenti dilazionati nel tempo, procedure rigide e tecnologizzate spesso non
adatte all’utenza e modalità comunicative ancorate allo standard professionale del
contesto lavorativo in cui si è inseriti rendono difficile basare la relazione fra operatori e
utenti, e fra gli stessi operatori, attorno ad una comunicazione efficace. Il risultato
spesso si traduce in servizi inutilizzati, interventi a vuoto e relazioni professionali che
peggiorano. Inoltre, benché il fenomeno migratorio in Italia possa essere datato a partire
dalla metà degli anni ’70, periodo in cui nel nostro paese per la prima volta il numero di
emigranti venne superato dal numero di immigrati
5
, ancor oggi appare che i vari servizi
non siano ancora abituati a confrontarsi con una nuova utenza e che gli strumenti
necessari siano ancora in fase di costruzione.
3
Lifelong learning, definito altrimenti come formazione permanente, è una modalità educativa che
consiste nel promuovere l’apprendimento anche oltre il consueto periodo di formazione scolastica e/o
accademica, durante tutto il corso di vita di una persona. Il concetto si basa sulla convinzione che
l’acquisizione di conoscenze, competenze e abilità avvenga anche attraverso momenti di educazione non
istituzionale, ma anche in contesti non formali, quali ad esempio corsi di formazione continua offerti dalla
organizzazioni, con l’obiettivo di migliorare il benessere personale e lavorativo degli individui.
Apprendere ad entrare in relazione con la diversità rientra a tutti gli effetti in tale approccio.
4
Faure, E. (1972) Learning to be. UNESCO, Parigi.
5
Dopo un passato di oltre 120 anni come paese di emigrazione, nel 1974 il saldo migratorio relativo al
numero di cittadini stranieri in entrata supera quello degli italiani in uscita verso altri paesi.
L'immigrazione verso l'Italia è principalmente da considerarsi come causa di politiche restrittive adottate
da altri paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Belgio, Olanda ecc.) che fino ad allora avevano assorbito i
maggiori flussi migratori; meno importanti risultano invece essere gli specifici pull factors, i fattori
d'attrazione: ancor oggi molti migranti considerano l'Italia più come paese di transito che di soggiorno
definitivo. Inoltre, sino alla prima metà degli anni '80 il fenomeno rimane piuttosto contenuto, come è
testimoniato dall'assenza di una legislazione specifica per regolarlo che arriva, in modo molto parziale,
solo nel 1986 e in modo più complesso nel 1990, con la cosiddetta Legge Martelli. Bisognerà aspettare
la L.40/1998 – Legge Turco-Napolitano - per avere la prima legge organica sull'immigrazione, seguita da
numerosi altri decreti, sino all’attuale modifica L. 189/2002 – Legge Bossi-Fini, confluite entrambe nel
D.Lgs. 286/1998 - Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero, con le modifiche apportate dal D.L. 895/2011.
12
A ciò si aggiunge la difficoltà a lavorare con la complessità, intendendo con tale termine
la visione articolata della dimensione in cui siamo strettamente connessi, e quindi la
difficoltà a riconoscere che la differenza esiste, non solo nell’interazione con l’utenza,
ma anche e soprattutto con le persone con cui lavoriamo a stretto contatto, gli operatori
e le operatrici che prestano a diverso livello servizio nei vari contesti professionali.
Anche prescindendo dall’apporto dei nuovi cittadini di origine straniera, sotto la spinta
della modernizzazione, le nostre società sono divenute segmentate, multiculturali per la
coesistenza della cultura modernizzata - in un certo qual modo definibile standard - e
di culture di gruppo – definite subculture - legate alla regionalità, all’ecosistema, alla
storia del gruppo familiare, del gruppo comunitario o della classe sociale
6
. Appare
indispensabile quindi, da parte dei servizi che a livello sanitario, sociale ed educativo si
interfaccino fra loro e con gli utenti, una profonda riflessione sul diversity come
ulteriore apertura verso il miglioramento.
Il passaggio verso un cambiamento in questo senso non è immediato, né di semplice
sviluppo: al contrario, accettare la complessità può rendere la pratica e la tecnica
professionale meno certa, meno sicura e meno prevedibile. Appare però innegabile che
prendere maggiore consapevolezza della propria identità e della propria cultura, non può
che essere il primo passo nell’incontro con l’altro, verso il consolidamento di nuove
certezze. Lo psichiatra francese Pélicier parlando della pratica transculturale, la definì
come una situazione con carattere di forte mobilità, in grado di scuotere tutte le
articolazioni di un sapere sino al punto di rottura e di rendere meno forti le certezze. La
possibilità di smuovere tali certezze forse può essere la modalità per superare le
difficoltà che in ambito professionale gli operatori dei servizi incontrano nella
quotidianità
7
.
L’approccio transculturale di fatto, secondo Devereux, pioniere dell’etnopsichiatria, non
richiede una piena conoscenza della cultura della persona con cui si necessita entrare in
relazione
8
. Allo stesso tempo tale approccio non si limita a prendere in considerazione
gli elementi più esteriori di un sistema culturale, siano essi la danza, il cibo o
l’abbigliamento, i quali, come si vedrà più avanti, posso essere definiti come gli aspetti
6
Terranova Cecchini R., Tognetti Bordogna M. (1992) Op. cit., pp. 16-17.
7
Pelicier Y. (1981) “Introduction aux psychothérapies transculturelle”, in Cultures et psychotérapies,
Guilhot (cur.), Esf, Parigi, pp.15-20.
8
Bruni C. (2007) Ascoltare altrimenti. Franco Angeli, Milano, pp. 17-41.
13
oggettivi di una cultura, la cui conoscenza non trasmette le competenze necessarie per
entrare in relazione con l’altro. L’apprendimento reale avviene solo quando,
concentrandosi sugli aspetti soggettivi incardinati in una cultura, ossia schemi di
credenze, valori e percezioni appresi e tramandati, si diviene consapevoli che il modo di
guardare la realtà, è solo una dei molti modi in cui è possibile costruirla
9
: sviluppare
questo tipo di sensibilità, partendo da una reale conoscenza degli aspetti soggettivi che
compongono la propria cultura, potrebbe rendere capaci gli operatori dei servizi alla
persona di cogliere segnali e significati mai presi in considerazione sino ad allora, utili
per rendere efficace la comunicazione non solo con gli utenti, ma all’interno della
medesima struttura organizzativa.
2. Ripensare l’idea di straniero
Scrive Kristeva nel libro Stranieri a sé stessi:
“[…] lo straniero ci abita: è la faccia nascosta della nostra identità, lo spazio che rovina
la nostra dimora, il tempo in cui sprofondano l’intesa e la simpatia. Riconoscendolo in
noi ci risparmiamo di detestarlo in lui. Sintomo che rende appunto il “noi” problematico,
forse impossibile, lo straniero comincia quando sorge la coscienza della mia differenza e
finisce quando ci riconosciamo tutti stranieri, ribelli ai legami e alle comunità…”
10
Con il termine multiculturalità s’intende un dato di fatto: l’esistenza in un determinato
territorio di molteplici culture. Con il termine interculturale s’intende invece un progetto
di interazione tra le parti: un approccio che non mira però all’integrazione delle
diversità, poiché rendere integro ciò che è costitutivamente diverso, equivale a
cancellare, nella memoria, la diversità
11
.
Un passaggio successivo lo si ha nel concetto di diversity, nel quale, secondo Ida
Castiglioni, l’elemento caratterizzante risiede nella riconsiderazione dei contenuti che
stanno alla base della comunicazione interculturale. Nello specifico, nell’importanza
dell’utilizzo di una comunicazione efficace come variabile delle relazioni
12
: relazioni
9
Castiglioni I. (2005), La comunicazione interculturale: pratiche e competenze. Carocci, Roma, pp. 9-
13.
10
Kristeva J. (1990) Stranieri a noi stessi. Feltrinelli, Milano.
11
Bosi A. (2004) Il gioco delle appartenenze. La contrattazione sociale nell’educazione interculturale.
Unicopli, Milano.
12
Castiglioni I. (2004), “Dal multiculturalismo al diversity” in Passaggi - Rivista Italiana di Scienze
Transculturali, 7/I/2004, Carocci Editore e Fondazione Cecchini Pace, p. 33.
14
che di fatto costituiscono il patrimonio e la principale area d’interesse delle
organizzazioni che si occupano di gestire i servizi socio-assistenziali e sanitari.
La strutturazione di un percorso di gestione delle diversità non può prescindere da
un’attenta considerazione in chiave sociologica, antropologica e psicologica, senza
sottovalutare una chiave di lettura conoscitiva più generale sul fenomeno migratorio. La
partecipazione a gruppi di lavoro multidisciplinari, così come avviene quotidianamente
all’interno dei vari servizi, può essere favorita da una possibile circolarità delle
conoscenze attraverso l’analisi multidimensionale, considerando così fattori di carattere
sociale, culturale e storico.
Questo in sintesi è stata la chiave di lettura utilizzata all’interno della ricerca socio-
antropologica svolta nei precedenti mesi, intitolata “Dialoghi: neomamme e culture a
confronto”, nata in seguito ad un precedente progetto finanziato con la L.R. 53/2000,
“Nascere in Valle Imagna e in Val Brembana”
13
.
Il progetto Nascere, nato con l’intento di attivare “ pacchetti comprendenti tutti gli
strumenti necessari per una buona accoglienza, cura e crescita del neonato”
14
,
proponeva la seguente tipologia d’interventi:
pacchetti materiali - pacchetto viaggio (carrozzina, passeggino, seggiolino auto);
- pacchetto casa (lettino, fasciatoio);
- pacchetto pannolini;
- pacchetto latte;
- buono asilo nido.
pacchetti assistenza - pacchetto inserimento lavorativo;
- assistenza ostetrica;
- assistenza psicologica;
- assistenza educativa;
- assistenza puericultrice.
I destinatari degli interventi erano cittadini italiani o stranieri con regolare permesso di
soggiorno residenti in uno dei due ambiti territoriali con un figlio con età compresa fra 0
e 12 mesi. L’attivazione dei pacchetti, sia in caso di richiesta effettuata presso i servizi
13
Il progetto - finanziato dall’Asl attraverso la Legge Regionale 23 per azioni a sostegno della maternità -
ha avuto avvio nel mese di febbraio 2009, con durata triennale, con l’obiettivo di coinvolgere un alto
numero di attori provenienti dalla cooperazione sociale del territorio (Cooperativa Il Varco, Cooperativa
In Cammino e Cooperativa L.I.N.U.S.), dal Consultorio Familiare di Villa d’Almè e dai Servizi Sociali
degli Ambiti della valle Brembana (38 comuni) e della valle Imagna (21 comuni), nell’offerta di supporto
alle donne residenti nelle due valli, attraverso la distribuzione mirata di pacchetti materiali e di supporto
alla genitorialità attraverso l’intervento di psicologhe, ostetriche e puericultrici.
14
Come viene riportato nella presentazione del progetto sul sito dell’Azienda Speciale Consortile Valle
Imagna e Villa d’Almè, Settore Servizi alla Persona.
15
sociali dei singoli comuni, sia direttamente presso i consultori, veniva effettuata
attraverso la valutazione dell’intera equipe del progetto.
15
Nel corso del progetto Nascere i vari operatori coinvolti si erano imbattuti negli
inevitabili problemi di comunicazione che caratterizzano, specialmente nel nostro paese,
ogni contatto con persone di madrelingua diversa: a tali problemi si era cercato di
sopperire traducendo nelle maggiori lingue europee parlate anche nei paesi di origine
(inglese per quanto riguarda l’Asia e l’Europa dell’Est e francese per quanto riguarda
l’Africa del Nord) gli opuscoli informativi sul progetto che venivano rilasciati dagli
assistenti sociali o dalle ostetriche degli ospedali. Purtroppo anche quel tentativo si era
rivelato inutile.
Nonostante Nascere fosse in grado di offrire un certo numero di servizi alla persona per
ogni donna nei primi mesi dopo il parto
16
, come l’assistenza di un’ostetrica, di una
puericultrice o di una psicologa, e avesse un fondo specifico destinato al sostegno delle
madri lavoratrici o che desiderassero cercare un lavoro dopo il parto, le donne
immigrate, in particolare quelle di origine marocchina, continuavano - e continuano
tuttora - a richiedere solamente sostegni di tipo materiale, mentre pochissime si
dimostravano interessate ai servizi dell’ostetrica (nessuna ha mai fatto richiesta di altri
interventi specialistici).
Il punto non stava quindi nella semplice traduzione del materiale informativo ma nella
ricerca di un nuovo modo, completamente diverso, di raggiungere queste donne e le loro
famiglie per comprenderne necessità, aspettative, e ragioni della chiusura di fronte alle
offerte di cui avevano già avuto notizia.
Queste sono state le premesse per il lavoro di ricerca socio-antropologico sviluppato tra
settembre 2010 e marzo 2011
17
, con l’intento di andare oltre il “semplice” problema di
comunicazione interlinguistica, attraverso l’incontro diretto con tutte le donne e le
15
Nello specifico, per aderire ai pacchetti materiali è previsto che l’ISEE del nucleo familiare non superi i
12.000 euro annui.
16
Nel report di rendicontazione tecnica elaborato al termine del primo anno si segnala che “il progetto ha
raggiunto 137 nuclei familiari, residenti nelle due valli, fra i quali, come maggiori fruitori dei
pacchetti di beni materiali del Progetto Nascere si evidenziano i nuclei familiari provenienti dal
Marocco (33%) in condizioni sociali di completo isolamento, senza reti a cui far riferimento e in
condizioni economiche di povertà estrema, seguiti in base alla cittadinanza da famiglie italiane (26%),
rumene (5%), tunisine (4%), ivoriane e senegalesi (entrambi 2%).
17
Il lavoro di raccolta ed interpretazione dei dati è stato svolto dalla scrivente, da Amina Tailouti, di
origine marocchina, specializzanda in Cooperazione Interculturale allo Sviluppo (Università di Trieste) e
Carolina Tomio, specializzanda in Antropologia Culturale, Etnologia ed Etnolinguistica (Università Cà
Foscari di Venezia), sotto la supervisione della Prof.ssa Ilaria Micheli, docente di etnolinguistica e ricerca
socio-culturale presso le due università citate.
16
famiglie di origine marocchina – questo il campione selezionato - già incontrate dai
servizi, al fine di conoscere maggiormente visioni del mondo che differiscono da quella
degli operatori e se possibile, riconoscere quali siano i reali bisogni di questi nuovi
utenti dei servizi.
Poiché l’identità di un gruppo, e in fondo di ogni singola persona, è data
dall’interazione di diversi fattori volatili, in movimento e più o meno circoscrivibili, per
comprendere un individuo e la sua storia personale, il suo modo di vedere le cose,
insieme alla lingua, si deve tener conto della sua cultura d’origine, del suo modo di
conoscere il mondo e del suo modo di vivere i suoi stati interiori
18
.
Nello studiare le differenze, riprendendo alcuni studi di sociolinguistica, è possibile
utilizzare due concetti introdotti da Hall
19
: l’approccio emico e l’approccio etico. Tali
termini sono stati coniati in analogia con fonemica, ossia lo studio dei suoni utilizzati in
uno specifico linguaggio, e con fonetica, che studia le generalizzazioni scientifiche di
una lingua
20
. L’approccio emico studia il comportamento all’interno di un sistema
culturale specifico, usando criteri di analisi e categorie esplicative proprie di quella
cultura; l’approccio etico esamina più culture, comparandole secondo criteri e categorie
interpretative universali
21
.
Entrambi gli approcci sono quindi di fondamentale importanza per riuscire a
comprendere le relazioni interpersonali che avvengono nel primo caso all’interno di una
specifica cultura e, nel secondo, fra più sistemi culturali.
Una ricerca interculturale come quella che si è cercato di sviluppare, in quanto studio
delle interazioni fra persone di culture differenti, può essere d’aiuto nei casi in cui ci si
ponga come scopo, come in questo caso, l’analisi delle difficoltà che possono nascere
all’interno di tali interazioni, siano esse fra diverse culture di genere, professionali o
etniche.
Poiché durante la ricerca, fin dai primi passi, si è evidenziato una mancanza di
comunicazione proprio fra gli operatori coinvolti nel suddetto progetto Nascere,
difficoltà molto spesso presente all’interno delle organizzazioni che gestiscono servizi
18
Micheli I., cur. (2011) Neomamme e culture a confronto. Edizioni Linus, Bergamo.
19
Hall E.T. (1975) Beyond Culture. Doubleday, New York.
20
Pike K.L. (1967) Language in Relation to a Unified Theory of the Structure of Human Behaviour.
The Hague, Mouton.
21
Berry J.W. (1989), “Imposed Etics-Emics-Derived Etics: The Operationalization of a Compelling
Idea”, in International Journal of Psychology, 24, pp. 721-735.
17
alla persona, nelle seguenti pagine si cercherà di evidenziare quali cambiamenti siano
possibili nell’ambito della gestione delle organizzazioni stesse, partendo dagli studi di
matrice sociologica ed economica che sono stati sviluppati nel corso dell’ultimo secolo
e che oggi sono collocati sotto il nome di diversity management.
3. Le motivazioni del diversity management
Le forme organizzative vengono influenzate dagli studi di matrice sociologica,
antropologica e psicologica, i quali a loro volta si modificano in base a cambiamenti che
avvengono nelle organizzazioni. La conseguenza di tali cambiamenti ricade sulle
politiche di gestione del principale capitale posseduto dalle organizzazioni, ossia quello
umano.
La maggior parte delle azioni di ricerca e di riflessione sembrano essere ancora
focalizzate sul fenomeno riguardante le donne in azienda e quello inerente i lavoratori di
origine straniera, accennando solo marginalmente all’interpretazione della gestione
della diversità intesa come piena accoglienza non solo delle differenze etniche o di
genere, ma anche delle altre componenti che costituiscono le culture
22
.
L’attuale panorama riguardante la situazione socio-economica in Italia rende ancor più
evidente la necessità di far fronte a tali differenze: l’aumento del fenomeno della
frammentazione del lavoro giovanile ed una conseguente svalutazione delle competenze
apprese nel percorso di studi; un costante invecchiamento della popolazione,
contemporaneamente alla crescita dell’incapacità di gestire la forza lavoro più matura,
cui si contrappongono gruppi dirigenziali ed imprenditoriali sempre più rappresentati da
figure over 50. Nel frattempo, permangono forti differenze retributive determinate dal
genere e, nel complesso, si assiste ad un aumento delle tensioni sociali
23
: sembra
dunque che il tema della gestione della diversità debba ancora assumente una piena
rilevanza nelle competenze di chi gestisce risorse umane. Una situazione che si auspica
possa cambiare anche a fronte delle sempre più pressante esigenza di rivedere logiche
22
Grecchi A., cur. (2002) Diversity management. Valorizzare le differenze: nuovi modelli di pari
opportunità. Provincia di Milano, Franco Angeli.
23
Il recente decreto legge n. 138/2011, cosiddetto “Manovra bis di ferragosto”, riguardante le
disposizioni sancite al fine di stabilizzare l’attuale situazione finanziaria e contenere la spesa pubblica
dello stato italiano, fra i vari cambiamenti, prevede l’innalzamento dell’età pensionabile, l’aumento del
ticket sanitario a carico dei cittadini, il taglio delle agevolazioni fiscali per figli a carico, spese
d’istruzione, redditi da lavoro dipendente per il terzo settore. Infine, dispone minori obblighi per i datori
di lavori in materia di assunzioni e licenziamenti nei confronti del personale dipendente: un corollario di
disposizioni che possono produrre ulteriore tensioni a livello sociale.